La Genesi difesa contro i Manichei |
Che cosa diremo, inoltre, della condanna pronunciata contro l'uomo?
Si deve forse pensare che i ricchi, i quali si procurano con molta facilità il sostentamento e non coltivano la terra, sono forse sfuggiti a questo castigo così formulato: Maledetto sarà per te il suolo riguardo a tutte le opere tue; con dolore e con gemiti ne trarrai il nutrimento per tutti i giorni della tua vita.
Spine e rovi a te produrrà e tu mangerai l'erba del tuo campo, col sudore del tuo volto mangerai il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, perché tu sei terra e nella terra ritornerai? ( Gen 3,17-19 )
È certo invece che nessuno sfuggirà a questa sentenza.
In realtà per il fatto stesso che chiunque è nato in questa vita ha difficoltà a trovare la verità a causa del corpo corruttibile.
Così infatti dice Salomone: Un corpo corruttibile appesantisce l'anima, e un'abitazione terrestre aggrava la mente di molti pensieri. ( Sap 9,15 )
Questi sono i travagli e i dolori che l'uomo ha dalla terra; le spine e i rovi sono le fitte dolorose delle questioni intricate e le preoccupazioni per quanto si deve provvedere a sostentare la vita; se queste spine e rovi non vengono estirpati dal campo di Dio, per lo più soffocano la parola perché rimanga senza frutto, come il Signore dice nel Vangelo. ( Mc 4,18-19 )
E poiché la stessa verità necessariamente ci viene richiamata alla mente dai nostri occhi e dalle nostre orecchie ed è difficile resistere alle immagini che per questi sensi entrano nell'anima - sebbene attraverso di essi entri anche il richiamo della verità - il volto di chi dunque in questa realtà complicata non gronderà sudore per mangiare il proprio pane?
Noi soffriremo queste angustie penose tutti i giorni della nostra vita, cioè della vita presente destinata a passare.
Proprio così è detto a chi coltiverà il proprio campo, poiché soffrirà queste difficoltà fin quando non tornerà nella terra da cui è stato tratto, vale a dire finché non terminerà questa vita.
Chi infatti coltiverà questo campo nell'ultimo e arriverà a procurarsi il proprio pane sia pur con pena, potrà supportare questa fatica; ma dopo questa vita non sarà più necessario che soffra.
Chi, al contrario, per caso non lo coltiverà e permetterà che sia soffocato dalle spine, avrà in questa vita la maledizione della propria terra riguardo a tutti i suoi lavori e dopo questa avrà o il fuoco purificatore o il castigo eterno. In tal modo nessuno sfugge questa sentenza ma occorre sforzarsi di sperimentarla almeno solo in questa vita.
Ma chi non si stupirebbe che Adamo, dopo il peccato e la condanna di Dio giudice, chiami "Vita" sua moglie perché fosse la madre dei viventi, dopo ch'essa aveva meritato la morte ed era stata destinata a partorire figli mortali, se non perché la Scrittura considera come figli quei frutti [ spirituali ] dopo aver partorito i quali nei dolori si volgerà verso suo marito e questi la dominerà?
Di tali frutti abbiamo parlato più sopra.
Così infatti essa è vita e madre dei viventi poiché la vita vissuta nei peccati di solito è chiamata "morte" nelle Scritture, allo stesso modo che, secondo quanto dice l'Apostolo, la vedova che vive nel piacere è morta. ( 1 Tm 5,6 )
Leggiamo inoltre che la parola "morto" è usata per indicare lo stesso peccato nel passo della Scrittura ove è detto: Se uno si lava dopo aver toccato un morto e poi lo tocca di nuovo, che cosa gli giova quell'abluzione?
Così pure chi digiuna per i propri peccati e poi va e li commette di nuovo. ( Sir 34,26 )
Invece di "peccato" lo scrittore sacro usa la parola "morto", mentre dice "astinenza e digiuno dopo il peccato" come per dire "un lavacro", cioè purificazione per il contatto con un morto; il tornare poi al peccato lo assimila al toccare di nuovo un morto.
Perché dunque non dovrebbe chiamarsi "vita" la nostra parte animale che deve ubbidire alla ragione come al marito quando, in virtù della stessa ragione, mediante la parola di vita concepisce il peso del ben vivere che sarà partorito?
E perché non dovrebbe chiamarsi "madre dei viventi", cioè delle opere buone quando, col partorire l'astinenza, sia pure con dolori e gemiti, opponendosi alla cattiva abitudine, partorisce l'abitudine per le opere buone?
A queste sono contrari i peccati che abbiamo dimostrato poter essere indicati con la parola "morto".
D'altra parte tutti noi che siamo nati da Adamo siamo stati destinati dalla natura a pagarle il debito di subire la morte minacciata da Dio quando diede il precetto di non mangiare il frutto dell'albero.
La morte era dunque simboleggiata nelle tuniche di pelle. I progenitori infatti si fecero delle cinture di fico attorno ai fianchi, e Dio fece loro tuniche di pelli, il che vuol dire ch'essi avevano desiderato il piacere di mentire abbandonando la bellezza della verità, e Dio cambiò i loro corpi nell'attuale natura mortale della carne ove si nascondono cuori menzogneri.
Non si può infatti credere che possano nascondersi i pensieri nei corpi celesti, come si nascondono nei corpi terrestri, ma nello stesso modo che alcuni moti dell'animo appaiono nel volto e soprattutto negli occhi, così non credo che nella trasparenza e semplicità dei corpi celesti possano nascondersi proprio tutti i moti dell'animo.
Meriteranno quindi di abitare nel cielo e d'esser trasformati nella natura degli angeli coloro che anche in questa vita, pur potendo nascondere le menzogne sotto tuniche di pelle, tuttavia le odiano e se ne guardano, spinti da ardentissimo amore per la verità, e coprono solo ciò che quelli che li odono non potrebbero sopportare, ma senza dire alcuna menzogna.
Verrà infatti il tempo in cui nulla resterà nascosto: poiché non c'è nulla di nascosto che non verrà svelato. ( Mt 10,26 )
I progenitori poi restarono nel paradiso - sebbene soggetti alla sentenza di Dio che li aveva condannati - finché non si giunse alle tuniche di pelle, cioè alla condizione mortale di questa vita.
Con qual altro segno più efficace poteva esser simboleggiata la morte che proviamo nel corpo se non con le pelli che si è soliti staccare dagli animali morti?
Quando pertanto l'uomo brama d'esser Dio contravvenendo al precetto, non per mezzo d'una legittima imitazione ma spinto da illecita superbia, viene abbassato fino alla condizione mortale delle bestie.
21.33 Ecco perché la Sacra Scrittura per bocca di Dio si da beffe di lui e con questo scherno siamo ammoniti d'evitare la superbia con tutto il nostro impegno.
Ecco, Adamo è diventato come uno di noi per la conoscenza del bene e del male. ( Gen 3,22 )
Questa espressione ambigua ha un senso ironico poiché la frase: è diventato come uno di noi si può intendere in due sensi: o uno di noi come se anch'egli fosse Dio, e ciò rientra nello scherno, o come si dice "uno di noi" [ ex nobis ] allo stesso modo ex-proconsole o ex-console di uno che non è più tale, perché sarebbe stato Dio anche Lui - sebbene non per natura ma per grazia del suo Creatore - se avesse voluto rimanere sotto il potere di lui.
Ma rispetto a che cosa è divenuto "come uno di noi?".
Naturalmente rispetto alla conoscenza del bene e del male, di modo che, provandolo, imparò per esperienza personale il male che Dio conosce in virtù della propria sapienza, e mediante il suo castigo imparò ch'è inevitabile il dominio dell'Onnipotente, a cui non volle assoggettarsi quand'era felice e obbediente.
Allora, perché Adamo non stendesse la sua mano all'albero della vita e vivesse in eterno, Dio lo lasciò andar via dal paradiso. ( Gen 3,23 )
Giustamente la Scrittura dice: lo lasciò andare via, e non "lo scacciò", affinché apparisse ch'era stato spinto dallo stesso peso dei suoi peccati verso un altro luogo a lui confacente.
La medesima sorte subisce di solito un malvagio quando comincia a vivere tra persone per bene se rifiuta di cambiarsi in meglio, dal peso della sua cattiva abitudine viene bandito dalla compagnia dei buoni, e quelli non lo scacciano contro la sua volontà ma lo lasciano andare perché lo desidera lui.
Quanto poi alla frase: perché Adamo non stendesse la sua mano all'albero della vita, è anch'essa una espressione ambigua.
Noi infatti ci esprimiamo allo stesso modo allorché diciamo: "Ti ammonisco affinché tu non torni a fare quanto hai fatto" desiderando certamente che non torni a farlo; diciamo ugualmente: "Ti ammonisco se mai tu non sia buono" desiderando naturalmente che lo sia, cioè come se dicessimo: "Ti ammonisco poiché non dispero che tu possa essere buono".
In questo senso parla l'Apostolo: Se mai Dio conceda loro di pentirsi affinché riconoscano la verità. ( 2 Tm 2,25 )
Può dunque sembrare che l'uomo sia stato lasciato andare nei travagli di questa vita perché una buona volta stenda la mano verso l'albero della vita e viva in eterno.
Ora l'allungare la mano simboleggia bene la croce, grazie alla quale si riacquista la vita eterna.
D'altronde anche se intendiamo nel primo senso la frase: perché non stenda la mano e viva in eterno, non è un castigo ingiusto che dopo il peccato sia impedito l'accesso alla sapienza, fintantoché, per la misericordia di Dio, al tempo dovuto non ritorni in vita chi era morto e non si ritrovi chi era perduto.
L'uomo dunque fu lasciato andar via dal paradiso di delizie perché lavorasse la terra da cui era stato tratto, lavorasse cioè nel corpo terrestre e, qualora ne fosse capace, ivi riponesse per sé il merito di ritornarvi.
Egli invece fissò la sua dimora di contro al paradiso nella miseria ch'è naturalmente contraria alla felicità.
Io penso infatti che col nome di paradiso è simboleggiata la felicità.
Dio poi pose i Cherubini e una spada fiammeggiante che roteava, la quale con un solo termine può chiamarsi roteante, per custodire l'accesso all'albero della vita. ( Gen 3,24 )
Come sostengono coloro che hanno tradotto le parole ebraiche nelle Scritture, si dice che in latino la parola "Cherubim" vuol dire "pienezza della scienza".
La spada fiammeggiante e roteante simboleggia le pene corporali, poiché i tempi scorrono col movimento rotatorio del mondo; è detta anche fiammeggiante poiché ogni tribolazione in un certo qual modo brucia.
Ma una cosa è venire bruciati per essere distrutti, un'altra per esser purificati, poiché anche l'Apostolo dice: Chi riceve scandalo, senza ch'io mi senta bruciare? ( 2 Cor 11,29 )
Questo sentimento però lo purificava di più perché proveniva dalla carità.
Anche le tribolazioni che soffrono i giusti fari parte di questa spada fiammeggiante: Poiché l'oro e l'argento si provano col fuoco, ma gli uomini bene accetti nel crogiuolo del dolore. ( Sir 2,5 )
E così pure: La fornace prova le stoviglie del vasaio, ma gli uomini giusti sono provati dalla tentazione; ( Sir 27,6 ) Poiché dunque Dio corregge chi ama e sferza chi riconosce per suo figlio, ( Eb 12,6 ) come dice l'Apostolo: Sapendo che la tribolazione produce la perseveranza e la perseveranza una virtù provata, ( Rm 5,3-4 ) noi non solo leggiamo e ascoltiamo, ma dobbiamo anche credere che l'albero della vita è custodito dalla sapienza della scienza e della spada fiammeggiante.
Nessuno dunque può giungere all'albero della vita se non attraverso queste due cose e cioè: la sopportazione delle molestie e la pienezza della scienza.
Ora, quasi tutti coloro che cercano d'arrivare all'albero della vita, devono sopportare le molestie di questa vita, mentre sembra che non tutti acquistino la pienezza della scienza, sicché si può dire che non tutti coloro che giungono all'albero della vita vi arrivino attraverso la pienezza della scienza, sebbene tutti sperimentino la sofferenza delle molestie, cioè la spada fiammeggiante e roteante.
Se però consideriamo ciò che dice l'Apostolo, e cioè: La carità è quindi il pieno adempimento della legge, ( Rm 13,10 ) e vediamo che la carità si fonda sul duplice precetto: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la tua mente, ( Mt 22,37 ) e: Amerai il prossimo tuo come te stesso, poiché da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti, ( Mt 22,40 ) comprenderemo senza dubbio che all'albero della vita si arriva non solo attraverso la spada fiammeggiante e roteante, cioè attraverso la sopportazione delle molestie temporali, ma anche attraverso la pienezza della scienza, cioè attraverso la carità, poiché se non ho la carità - dice S. Paolo - non ho nulla. ( 1 Cor 13,2 )
In questo libro dunque io ho promesso di esaminare i fatti storici, cosa che credo di aver portato a termine ma ho pure promesso di considerare il senso profetico, cosa che adesso mi resta da fare in poche parole.
Una volta infatti fissata una prefigurazione evidente con la quale si possano determinare tutti gli altri, a mio avviso questo esame non c'intratterrà a lungo.
L'Apostolo infatti dice che è una grande e misteriosa verità la seguente affermazione della Scrittura: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due formeranno una sola carne, ( Ef 5,31 ) e la interpreta soggiungendo: Io poi dico questo riferendomi al Cristo e alla Chiesa. ( Ef 5,32 )
Ciò che dunque si è avverato storicamente e alla lettera riguardo ad Adamo, si è compiuto simbolicamente riguardo a Cristo che lasciò il Padre poiché disse: Io sono uscito dal Padre e sono venuto in questo mondo. ( Gv 16,28 )
Egli tuttavia non lasciò il Padre allontanandosi da un luogo, poiché Dio non è contenuto in alcun luogo, né allontanandosi da Dio, cosa ch'è propria del peccato, come abbandonano Dio gli apostati, bensì mostrandosi agli uomini nella natura umana poiché il Verbo si fece carne e dimorò tra noi. ( Gv 1,14 )
Questo medesimo fatto non significa però un cambiamento della natura di Dio, ma l'assunzione della natura d'una persona inferiore, cioè di quella umana.
Questo significa anche la frase dell'Apostolo: Spogliò se stesso, ( Fil 2,7 ) perché non si presentò agli uomini rivestito della gloria e della maestà ch'egli possiede col Padre, per mostrarsi indulgente verso la debolezza di coloro che non avevano ancora il cuore puro con cui potesse vedersi il Verbo che in principio era con Dio. ( Gv 1,1 )
Che significa dunque ciò che abbiamo detto: "lasciò il Padre", se non: "lasciò di manifestarsi agli uomini come è con il Padre?".
E così pure egli abbandonò la madre, cioè la pratica religiosa antica e carnale della Sinagoga, ch'era sua madre per la sua discendenza dalla stirpe di Davide secondo la carne, e si unì alla sua sposa, cioè alla Chiesa affinché siano due in una sola carne.
L'Apostolo infatti afferma ch'egli è il capo della Chiesa e la Chiesa è il suo corpo. ( Col 1,18 )
Anch'egli dunque si addormentò nel sonno della passione perché fosse formata sua sposa la Chiesa, sonno ch'egli canta per bocca di un Profeta dicendo: Io mi addormentai e presi sonno, ma mi svegliai perché mi sostenesse il Signore. ( Sal 3,6 )
La sua sposa, cioè la Chiesa, fu dunque formata dal suo fianco, vale a dire dalla fede proveniente dalla passione e dal battesimo.
Il suo fianco fu infatti trapassato dalla lancia e versò sangue ed acqua. ( Gv 19,34 )
Il Verbo di Dio divenne uomo - come ho detto poco prima - discendendo dalla stirpe di Davide secondo la carne, ( Rm 1,3 ) come dice l'Apostolo, cioè - per così dire - dal fango della terra, quando non c'era ancora alcun uomo che coltivasse la terra, poiché nessun uomo ebbe rapporto sessuale con la Vergine, dalla quale è nato il Cristo.
Una sorgente però sgorgava dal suolo ed irrigava tutta la faccia della terra. ( Gen 2,6 )
Per "faccia della terra" cioè "splendore della terra" molto giustamente s'intende la madre del Signore, la Vergine Maria, irrigata dallo Spirito Santo, che nel Vangelo è indicato col nome di "sorgente" e di "acqua", ( Gv 7,37-38 ) affinché fosse - per così dire - plasmato dal fango di tal genere l'Uomo che fu stabilito nel paradiso per ivi lavorare e custodirlo, che cioè fu stabilito nella volontà del Padre per adempierla e osservarla.
Ebbene, il precetto ch'egli ricevette, noi l'abbiamo ricevuto in lui poiché ogni cristiano rappresenta la persona di Cristo, come dice il Signore stesso: Ciò che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli l'avete fatto a me. ( Mt 25,40 )
Volesse il cielo che noi godessimo - come ci è stato comandato - d'ogni albero del paradiso ch'è simbolo delle delizie spirituali!
Il frutto dello spirito, invece, è carità, gioia, pace, longanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, temperanza, ( Gal 5,22-23 ) come dice l'Apostolo.
Volesse invece il cielo che non toccassimo l'albero della conoscenza del bene e del male piantato in mezzo al paradiso, non volessimo cioè insuperbire della nostra natura, la quale - come abbiamo già detto - sta in mezzo tra Dio e le creature inferiori; in questo modo noi c'inganneremmo e sperimenteremmo qual differenza ci sia tra la semplice fede cattolica e gl'inganni degli eretici!
In tal modo infatti giungeremo a distinguere il bene dal male.
Poiché è necessario - è detto - che in mezzo a voi ci siano delle eresie, perché risultino manifesti tra voi quanti sono di provata virtù. ( 1 Cor 11,19 )
In effetti il serpente in senso profetico simboleggia il veleno degli eretici e soprattutto quello di cotesti manichei e di tutti quelli che avversano l'Antico Testamento.
Io credo infatti che per mezzo di quel serpente non sia stato prefigurato con maggiore evidenza null'altro che questi individui, o meglio il dovere di evitarlo nella persona di costoro.
Poiché nessuno promette la conoscenza del bene e del male con maggior loquacità e millanteria di costoro che presumono di mostrare tale conoscenza nell'uomo stesso, come nell'albero piantato in mezzo al paradiso.
Inoltre, anche riguardo alla frase della Scrittura: Sarete come dèi, ( Gen 3,5 ) quali altri individui affermano con più sicumera di costoro che, sforzandosi con la loro superba perversione di persuadere altre persone, affermano che l'anima è per natura la stessa sostanza di Dio?
E ancora, l'aprirsi degli occhi carnali a chi si riferisce in modo più appropriato che a costoro i quali, abbandonata la luce interiore della conoscenza, obbligano ad adorare il sole che noi vediamo con gli occhi del corpo?
Ma è anche vero che tutti gli eretici in genere ingannano promettendo la conoscenza e rimproverano coloro ch'essi trovano essere credenti con semplicità e, poiché persuadono a credere in realtà assolutamente carnali, si sforzano d'indurli, per così dire, ad aprire gli occhi carnali perché resti accecato l'occhio interiore.
26. A costoro tuttavia dispiace anche il proprio corpo, non a causa della sua condizione mortale, da noi meritata come castigo per il peccato, ma in modo da negare che Dio è il creatore dei corpi in quanto agli occhi aperti dispiace questa nudità.
Nulla però simboleggia e bolla più efficacemente costoro di ciò che dice il serpente: Voi non morrete affatto, perché Dio sapeva che il giorno che ne aveste mangiato, si sarebbero aperti i vostri occhi. ( Gen 3,4-5 )
Costoro infatti credono che in quel serpente fosse Cristo e immaginano che quel precetto fu dato da un non so qual dio delle tenebre - così affermano - come se volesse impedire agli uomini la conoscenza del bene e del male.
Da questa opinione credo che siano anche nati non so quali Ofiti che - si dice - adorano il serpente invece di Cristo senza considerare quanto dice l'Apostolo: Io temo che, allo stesso modo che Eva fu sedotta dal serpente con la sua astuzia, così si corrompano anche i vostri pensieri. ( 2 Cor 11,3 )
Io dunque credo che costoro sono stati prefigurati da questa profezia.
Ora, dalle parole di questo serpente viene sedotta la nostra concupiscenza e da questa viene ingannato Adamo, non Cristo, ma il cristiano.
Se questi volesse osservare il precetto di Dio e vivere costantemente nella fede fino a quando non fosse capace di comprendere la verità, se cioè lavorasse nel paradiso e custodisse i doni ricevuti, non arriverebbe a quella deformità di modo che, quando gli dispiace la carne come se fosse la propria nudità, deve procurarsi piuttosto coperture carnali di menzogne, cioè come una specie di foglie di fico per farsi una cintura ai fianchi.
Costoro fanno così allorché mentiscono a proposito di Cristo e proclamano ch'è stato proprio lui a mentire e si nascondono - per così dire - dal cospetto di Dio allontanandosi dalla sua verità per volgersi alle menzogne come dice l'Apostolo: Non daranno più ascolto alla verità e si volgeranno alle favole. ( 2 Tm 4,4 )
Il serpente è in verità l'errore degli eretici, l'errore che tenta la Chiesa e contro il quale l'Apostolo ripete l'ammonizione dicendo: Io temo che, allo stesso modo che il serpente sedusse Eva con la sua malizia, così si corrompano anche i vostri pensieri; ( 2 Cor 11,3 ) l'errore degli eretici dunque striscia sul petto e sul ventre e si nutre di terra.
Esso infatti inganna solo i superbi che, arrogandosi ciò che non sono, sono corrivi a credere che la natura del sommo Dio e quella dell'anima umana è unica ed identica, oppure inganna coloro che sono involti nei desideri carnali e volentieri sentono dire che tutte le azioni lussuriose da essi compiute non le compiono essi ma la genia delle tenebre, oppure inganna i curiosi che hanno sentimenti terreni e indagano le realtà spirituali con occhi terreni.
Ci sarà poi inimicizia tra il serpente e la donna, tra la stirpe di lui e quella della donna qualora questa partorisse dei figli sia pur nei dolori e si volgesse verso il marito per subire il dominio di lui.
Poiché allora si potrà conoscere che il nostro essere non appartiene per una parte a Dio creatore e per un'altra alla stirpe delle tenebre, come affermano costoro, ma che, al contrario, deriva da Dio non solo la parte che nell'uomo ha il potere di governare, ma anche quella inferiore che dev'essere governata, come dice l'Apostolo: L'uomo non è obbligato a coprirsi il capo, poiché è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo.
L'uomo infatti non è stato tratto dalla donna, ma è la donna ch'è stata tratta dall'uomo.
L'uomo inoltre non è stato creato per la donna, ma è stata la donna ad essere creata per l'uomo.
Per queste ragioni e anche a motivo degli angeli la donna deve portare un velo sul capo.
Tuttavia di fronte al Signore la donna non esiste senza l'uomo né l'uomo senza la donna.
Come infatti è vero che la donna è stata tratta dall'uomo, è anche vero che ogni uomo nasce da una donna e che entrambi derivano da Dio. ( 1 Cor 11,7-12 )
Ora dunque Adamo dovrà lavorare nel suo campo e, quanto al fatto che la terra produce spine e rovi, deve capire ch'esso non deriva dalla natura ma dal castigo e lo deve attribuire non a un non so quale genia delle tenebre ma al giudizio di Dio, poiché la norma della giustizia è di dare a ciascuno il suo.
È suo dovere dare alla moglie il cibo celeste ricevuto dal suo capo ch'è il Cristo; non deve ricevere da lei il cibo vietato, vale a dire gli inganni degli eretici accompagnati da solenni promesse di dare la conoscenza e, per cosi dire, la rivelazione delle realtà occulte, per cui l'errore stesso diventa più nascosto per riuscire ad ingannare.
Poiché il superbo desiderio degli eretici, avido di nuove esperienze, grida nel libro dei Proverbi, sotto le sembianze d'una donna, dicendo: Chi è stolto venga da me, ( Pr 9,16 ) ed esorta i privi di senno dicendo: Mangiate volentieri il pane preso di nascosto e bevete l'acqua dolce furtiva. ( Pr 9,17 )
Quando tuttavia uno crede anche a questi inviti mosso dalla precedente passione di mentire, per cui crede che Cristo ha mentito, è necessario che riceva per giudizio di Dio anche una tunica di pelle.
Con questo nome, preso nel senso allegorico, mi pare venga indicata non la natura mortale del corpo ch'è indicata nel senso letterale già esposto, ma le rappresentazioni della fantasia prodotte dai sensi carnali che per legge divina accompagnano e coprono chi mentisce carnalmente; per questo motivo tale mentitore è allontanato dal paradiso, cioè dalla fede e dalla verità cattolica, destinato ad abitare nella parte opposta al paradiso, destinato cioè a opporsi alla medesima fede.
Costui potrebbe un giorno volgersi a Dio spinto dalla spada fiammeggiante, cioè dalle tribolazioni temporali col riconoscere i propri peccati e col piangerli, accusando non più una natura estranea che non esiste, ma se stesso al fine di meritare il perdono: in tal caso mediante la pienezza della scienza ch'è la carità, amando cioè Dio ch'è immutabile al di sopra d'ogni cosa, amandolo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, e amando il prossimo come se stesso, potrà arrivare all'albero della vita e vivere in eterno.
Che cosa hanno dunque costoro da criticare in questi libri dell'Antico Testamento?
Ci rivolgano pure delle domande com'è loro costume e noi risponderemo come il Signore si degnerà di concederci.
"Perché mai - dicono - Dio creò l'uomo dal momento che sapeva che avrebbe peccato?".
Perché, anche per mezzo d'un peccatore, avrebbe potuto molte cose buone, ordinandolo secondo la norma della propria giustizia, e perché il suo peccato non avrebbe nociuto affatto a Dio: e inoltre sia perché, se non avesse peccato, non ci sarebbe stata la morte, sia perché, per il fatto che commise il peccato, gli altri mortali si correggono considerando le conseguenze del suo peccato.
Nulla infatti distoglie dal peccato gli uomini, come il pensiero della morte che tutti ci attende.
"Dio - dicono - avrebbe dovuto creare l'uomo incapace di peccare".
Ma, al contrario, era l'uomo stesso che doveva impegnarsi a ciò, perché era stato fatto in modo che, se non avesse voluto, non avrebbe peccato.
"Non si sarebbe dovuto permettere - dicono - al diavolo di avvicinarsi alla moglie di Adamo".
Al contrario; proprio lei non doveva permettere che le si avvicinasse il diavolo, poiché era stata fatta in modo che, se non avesse voluto, non lo avrebbe lasciato avvicinare.
"Non sarebbe dovuta esser fatta la donna" dicono; vale a dire: non avrebbe dovuto essere fatto un bene e un bene così grande che l'Apostolo dice ch'essa è la gloria dell'uomo e tutto proviene da Dio.
I manichei domandano ancora: "Chi fece il diavolo?".
Fu lui stesso a farsi diavolo, non essendo tale per natura ma lo è diventato per aver peccato.
"Dio - essi dicono - non avrebbe dovuto nemmeno crearlo, se sapeva che avrebbe peccato".
Al contrario; perché non avrebbe dovuto crearlo, dal momento che in virtù della propria giustizia e provvidenza riconduce sulla retta via molte persone servendosi della malvagità del diavolo?
Non avete forse udito l'apostolo Paolo che dice: Li ho consegnati al potere di Satana perché imparino a non bestemmiare? ( 1 Tm 1,20 )
Di se stesso inoltre dice: E perché non montassi in superbia a causa delle grandi rivelazioni che ho avuto, m'è stato dato un pungiglione della carne, come un emissario di Satana che mi schiaffeggi. ( 2 Cor 12,7 )
"Il diavolo dunque - dicono - è buono perché è utile?".
Al contrario: egli è cattivo in quanto è diavolo, ma buono e onnipotente è Dio il quale, servendosi anche della malvagità di lui, produce molti effetti giusti e buoni.
Al diavolo infatti non viene imputato nient'altro che la propria volontà con cui si sforza di compiere il male, non la provvidenza di Dio che agisce rettamente servendosi di lui.
Infine, essendo la discussione tra noi e i manichei relativa alla religione e il problema della religione, è sapere che cosa deve pensarsi di Dio con spirito di fede, poiché essi non possono negare che il genere umano non si trova nell'infelicità derivante dei peccati, dicono che la natura di Dio è nell'infelicità.
Noi però lo neghiamo e diciamo invece che nell'infelicità si trova la natura che Dio fece dal nulla e giunse a questa condizione non perché vi fosse stata costretta ma perché vi fu spinta dalla volontà di peccare.
Essi dicono che la natura di Dio viene indotta dallo stesso Dio a pentirsi dei suoi peccati.
Noi lo neghiamo e diciamo invece che a pentirsi dei peccati è la natura creata da Dio dopo ch'essa ha peccato.
Essi dicono che la natura di Dio riceve il perdono dallo stesso Dio.
Noi lo neghiamo e diciamo invece che il perdono dei peccati lo riceve la natura che Dio creò dal nulla, se tornerà al suo Dio allontanandosi dai propri peccati.
Essi dicono che la natura di Dio è necessariamente mutevole.
Noi lo neghiamo ma diciamo che a cambiarsi per propria volontà fu la natura che Dio creò dal nulla.
Essi dicono che alla natura di Dio arrecano danno i peccati commessi da altri.
Noi lo neghiamo ma diciamo che i peccati nuocciono solo alla natura che li commette.
Noi inoltre affermiamo che Dio è tanto buono, tanto giusto, tanto incorruttibile che non solo egli non pecca, ma non nuoce nemmeno a nessuno che non vorrà peccare, e nemmeno nuoce a lui alcuno che vuol peccare.
Essi dicono ch'esiste la natura del male, alla quale Dio è stato costretto a cedere una parte della propria natura per essere tormentata da quell'altra.
Noi invece affermiamo che non esiste alcun male naturale, ma che tutte le nature sono buone, che lo stesso Dio è la suprema natura e tutte le altre nature derivano da lui e che tutte sono buone in quanto esistono, poiché Dio ha fatto molto buone tutte le cose, ordinate però nei loro distinti gradi in modo che una sia migliore di un'altra; in tal modo è pieno d'ogni sorta di beni questo universo ch'è per intero perfetto negli esseri, alcuni dei quali perfetti, altri invece imperfetti.
L'autore e creatore di questo universo, Iddio, non cessa di governarlo con giusto ordinamento, poiché egli fa tutto di propria volontà e non subisce alcun male per necessità.
Dato infatti che la sua volontà è superiore ad ogni necessità.
Dato infatti che la sua volontà è superiore ad ogni cosa, Dio non subisce nulla da nessuna parte contro la propria volontà.
Questo è dunque ciò che affermano essi e ciò che affermiamo noi: ciascuno per conseguenza scelga che cosa deve approvare.
Io infatti - lo dirò sinceramente al cospetto di Dio -, ho esposto ciò che mi pareva giusto senza alcun desiderio di contesa, senza alcun dubbio sulla verità e senza alcun pregiudizio d'una spiegazione più diligente.
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