Lettere |
Scritta nel mese di giugno o luglio del 408 oppure 409.
Nettario, un nobile pagano della colonia romana di Càlama, prega Agostino di far condonare ai propri concittadini le pene meritate non solo per aver trasgredito il recentissimo editto imperiale, che proibiva di celebrare le solennità sacre agli idoli, ma anche per le vessazioni fatte da essi ai Cristiani in occasione delle stesse solennità.
Nettario all'insigne signore e meritatamente spettabile fratello e Vescovo Agostino
1 - Poiché tu sai quanto è grande l'amor di patria, non te ne parlo.
Esso è il solo amore che a buon diritto è più forte di quello stesso dei genitori.
Ora, se per i leali cittadini ci fosse alcuna misura o limite nel fare il bene alla patria, io potrei a quest'ora reputarmi esonerato dal renderle servigi.
Ma poiché ogni giorno cresce in me l'amore e la gratitudine verso la mia città e, quanto più mi avvicino al termine della vita, tanto più cresce in me il desiderio di lasciarla incolume e fiorente, per questo motivo sono lieto anzitutto di rivolgere la parola ad una persona istruita in ogni scienza.
Per diversi motivi merita il mio amore la colonia di Càlama: sia perché m'ha dato i natali, sia per i grandi servigi che mi pare d'averle resi.
Orbene, essa è caduta in una grave disgrazia per una non lieve colpa dei suoi cittadini, o mio eccellentissimo e stimatissimo signore.
Se volessimo misurare tale colpa in proporzione al rigore delle leggi pubbliche, dovrebbe essere punita con un castigo piuttosto severo.
Ma ad un vescovo non sta bene se non il procurare la salvezza delle anime e, nelle cause, patrocinare un atteggiamento più favorevole dei giudici e intercedere presso Dio il perdono per le colpe altrui.
Ti supplico quindi il più caldamente possibile che qualora vi sia possibilità di una difesa, gli innocenti vengano difesi e la pena non ricada su di loro.
Concedici dunque ciò che il tuo buon cuore giudica possa essere da noi chiesto.
Riguardo ai danni ci è facile sostenere la tassazione; imploriamo solo che vengano risparmiati i castighi corporali.
Vivi caro a Dio, egregio signore e rispettabilissimo fratello.
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