Lettere |
Scritta nel mese di agosto del 408 oppure 409.
Agostino, espresso l'amore per la patria celeste ( n. 1-5 ), biasima il culto pagano ed enumera le violenze dei Calamesi contro i Cristiani ( n. 6-8 ), sottolineando la lealtà della Chiesa nel non permettere che tali violenze rimangano impunite ( n. 9-10 ).
Agostino all'esimio signore e meritatamente onorando fratello Nettario
Non mi stupisco che, sebbene le tue membra siano ormai fredde per la vecchiaia, il tuo cuore arda d'amore per la patria, anzi ti lodo.
Non sono inoltre affatto dispiacente, anzi sono ben lieto di sentire che non solo tieni a mente, ma dimostri con la vita e coi costumi che per i leali cittadini non esiste alcuna misura né limite nel giovare alla patria.
Proprio per questo vorremmo anche te cittadino di un'altra città, cioè della patria celeste, per il cui santo amore vado incontro ai pericoli e alle fatiche cui mi sobbarco secondo le mie forze in mezzo a coloro che aiutiamo a raggiungerla.
Se tu fossi tale cittadino, non metteresti davvero alcuna misura né limite nel giovare alla piccola porzione dei tuoi cittadini, ancor pellegrini sulla terra, e diverresti tanto migliore quanto migliore è la città celeste per la quale dovresti mettere a disposizione i tuoi buoni uffici: nella pace eterna di essa troveresti la felicità senza limiti qualora, per risparmiare le sue pene temporali, tu non ti prefiggessi alcun limite.
Speriamo che ciò possa avvenire, che cioè tu possa arrivare alla patria celeste: anzi forse fin d'ora, assennatissimo qual sei, pensi di conseguirla, tanto più che in essa ti ha già preceduto colui che ti ha generato alla vita terrena.
Ma - ripeto - in attesa che ciò avvenga, perdonami se per quella patria, alla quale desidero vivamente di non rinunziare giammai, dirò qualcosa che potrà dispiacere alla tua patria terrena che desideri lasciare fiorente.
E, proprio riguardo al suo fiorire, non dubito che, se io ragionassi con la tua Prudenza, non ci sarebbe alcun timore che sia difficile persuaderti o che non sia facile accordarci sul come dovrebbe fiorire una città.
Il più famoso poeta della vostra letteratura ricorda certi fiori dell'Italia.1
Noi però nella vostra patria abbiamo conosciuto per esperienza non tanto gli uomini per opera dei quali fiorì l'Italia, quanto piuttosto le guerre per le quali essa arse;2 anzi non tanto le guerre, quanto le fiamme, di cui non dico arse, ma addirittura divampò come un incendio.
Orbene, se un così grave misfatto rimanesse impunito, se i delinquenti non ricevessero un castigo esemplare, pensi forse che alla tua morte lasceresti la patria fiorente?
Oh i bei fiori destinati a produrre non frutti, bensì spine!
Pensa quindi bene e vedi se preferisci che la tua patria sia fiorente per la pietà o per l'impunità, per i retti costumi o per i misfatti commessi con la sicurezza dell'impunità!
Pensaci bene e vedi se ci superi nell'amore verso la patria, se più di noi desideri che essa fiorisca di autentico splendore!
Esamina un po' i libri stessi di Cicerone Sullo Stato, dai quali ha succhiato i sentimenti di cittadino amatissimo della patria, secondo i quali per i cittadini leali non v'è limite o misura alcuna nel giovare ad essa.
Esaminali bene, ti scongiuro, e considera con quanti elogi è esaltata la parsimonia, la morigeratezza, la fedeltà al vincolo coniugale, la castità, l'onestà e la probità dei costumi.3
Quando una città si distingue per queste virtù allora sì che si deve dire che essa è veramente fiorente!
Ebbene, non sono forse questi i costumi insegnati e appresi nelle nostre Chiese di tutto il mondo, che sono come scuole di virtù per i popoli?4
In esse si insegna e s'impara soprattutto la pietà con cui adorare Iddio, il quale non solo ci comanda ciò che ci accingiamo a fare, ma ci da pure la grazia affinché compiamo le opere con cui l'anima umana viene resa capace e degna di unirsi a Dio e diventare cittadina dell'eterna e celeste città.
Ecco perché Dio non solo predisse, ma ordinò ( Lv 26,30; Ez 6,4; Ez 30,13; 1 Re 15,11-13; 2 Cr 23,17; 2 Cr 31,1; 2 Cr 33,15; 2 Cr 34,3s ) pure di abbattere i simulacri innalzati agli innumerevoli e falsi dèi.
In effetti non c'è nulla che renda tanto insocievoli gli uomini per causa della loro corruzione, quanto l'imitazione di quelle divinità, quali sono descritte ed esaltate nella letteratura pagana.
Infine dottissimi pensatori indagarono ed esposero per iscritto nelle loro discussioni familiari un tipo ideale dello Stato e della città terrena, quale brillava nella loro mente, più che insegnarlo e formarlo nella pratica della loro attività pubblica.
Ebbene essi, per formare il carattere dei giovani proponevano quali modelli da imitare, non tanto i loro dèi, quanto piuttosto i personaggi da loro reputati egregi e lodevoli.
Proprio così: quel giovane di una commedia di Terenzio,5 alla vista di una scena dipinta sopra una parete, in cui era rappresentato un adulterio del re degli dèi, rinfocolò la passione, da cui era trascinato, anche con le sollecitudini ricevute da un esempio sì autorevole.
In realtà egli non sarebbe scivolato nel desiderio di un'azione turpe, né sarebbe precipitato nel commetterla, se avesse preferito imitare Catone invece di Giove.
Ma in qual modo avrebbe potuto fare ciò, dal momento che nei templi era costretto ad adorare Giove anziché Catone?
Ma forse non dovremmo prendere da una commedia quest'esempio per dimostrare chiaramente la corruzione e la sacrilega superstizione dei pagani!
Allora leggi e ricorda quanto saggiamente in quegli stessi libri sullo Stato si espone la convinzione che le descrizioni e le azioni sceniche delle commedie non dovrebbero incontrare tanto favore, se non fossero state conformi ai costumi di chi le approvava.
In tal modo l'autorità dei personaggi tanto segnalati nello Stato e anche teorici dello Stato ci conferma che gli individui scostumati diventano peggiori coll'imitare gli dèi falsi e bugiardi.
Ma si potrebbe obbiettare: " Tutto quel che fu scritto nell'antichità sulla vita e sui costumi degli dèi dev'essere inteso e interpretato dai sapienti in senso molto diverso ".
È vero: e ancora poco tempo addietro abbiamo sentito che in alcuni templi si leggono al popolo ivi radunato delle proficue interpretazioni.
Ma ti domando: è forse il genere umano così cieco di fronte alla verità, da non vedere cose tanto chiare e lampanti?
E dire che in tanti luoghi viene dipinto, viene fuso, scolpito, lavorato a sbalzo, descritto, letto, rappresentato sulle scene, nelle danze e nei canti Giove in atto di commettere i suoi innumerevoli adulterii!
Quanto meglio sarebbe, invece, se almeno nel Campidoglio, a lui dedicato, si leggesse ch'egli proibisce tali sconcezze!
Si dirà forse che le città fioriscono quando queste infami ed empie sconcezze non vengono proibite da nessuno e imperversano fra la gente, vengono fatte oggetto di culto nei templi, di risa sguaiate nel teatro?
Quando, per immolare loro vittime, si devasta perfino il gregge dei poveretti?
Quando, perché gli istrioni le rappresentino nelle commedie e nelle danze, si profondono i patrimoni dei ricchi?
Di tali fiori è stata trovata la radice non in una terra feconda né in qualche vigorosa dote dell'animo; come loro degna madre è stata prescelta la dea Flora, in onore della quale si celebrano spettacoli teatrali con turpitudini così sfrenate e licenziose, che ognuno può capire che razza di demonio essa sia, dal momento che non può essere placata con sacrifici di volatili o di quadrupedi e neppure col sangue umano, ma con un sacrificio molto più scellerato: quello in cui venga per così dire immolato e si perda il pudore umano!
T'ho detto ciò perché mi hai scritto che, quanto più si avvicina la tua fine, tanto più desideri lasciare la tua patria salva e fiorente.
Si sopprimano tutti i falsi idoli e tutte le follie: si convertano le persone al culto del vero Dio, a costumi più casti e più pii; vedrai allora la tua patria fiorire non secondo la falsa opinione degli stolti, ma secondo la verità professata dai sapienti.
Quando questa patria, in cui nascesti alla vita mortale, sarà una porzione della patria, alla quale si nasce non col corpo ma con la fede e dove tutti i santi e i servi di Dio, dopo l'inverno pieno delle sofferenze di questa terra, fioriranno nell'eterna vita che non conosce tramonto, allora sì vedrai la tua patria fiorente!
A me intanto sta a cuore non solo di non venire meno alla mansuetudine cristiana, ma di non lasciare neppure nella vostra città un dannoso esempio che potrebbe essere imitato dalle altre.
Quanto poi al modo di riuscirvi, speriamo nell'aiuto di Dio, se non è gravemente sdegnato con quei cittadini.
In caso diverso, tanto la mansuetudine che desideriamo conservare, quanto la punizione che ci sforzeremo di usare con moderazione, potrebbe essere impedita, se questa è l'occulta volontà di Dio: o perché giudica necessario punire sì grave delitto con un più terribile flagello, oppure perché vuol lasciarlo impunito in questa via, permettendo che non vi correggiate e non vi convertiate a lui; in questo caso lascerebbe capire di essere sdegnato in modo ancor più tremendo.
La tua Prudenza mi prescrive in certo modo le norme che un vescovo dovrebbe osservare e dici che la tua patria è caduta in disgrazia per una grave colpa commessa dal suo popolo: se questa dovesse misurarsi in proporzione al rigore delle leggi pubbliche, dovrebbe essere punita con un castigo piuttosto severo.
"Ma a un vescovo - soggiungi - non sta bene se non di procurare la salvezza alle anime, patrocinare nelle cause un atteggiamento più favorevole dei giudici e intercedere presso Dio il perdono per le colpe altrui ".
Proprio questo ci sforziamo di fare: che nessuno sia punito con castighi troppo severi né da noi né da altri, presso i quali intercediamo.
D'altronde desideriamo pure procurare agli uomini la salvezza riposta nella felicità di vivere bene e non già nell'impunità di fare il male.
Mi impegno inoltre di ottenere il perdono per i peccati, non solo nostri ma anche degli altri; ciò però non possiamo in nessun modo ottenerlo per coloro che non si sono emendati.
Soggiungi ancora: " Ti supplico il più caldamente possibile, che qualora vi sia la possibilità di difesa, venga difeso l'innocente e la pena non ricada sugli innocenti ".
Ed ora ascolta brevemente come si svolsero i fatti e poi giudica tu stesso chi sono i colpevoli e chi gli innocenti.
Trasgredendo le leggi recentissime, il primo di giugno fu solennemente celebrata dai pagani la loro sacrilega festa senza che nessuno vi si opponesse: anzi una turba di scapestrati danzatori ebbe l'arrogante ardire di passare proprio davanti alla porta della chiesa, come non era mai avvenuto nemmeno ai tempi di Giuliano.
Siccome il clero tentava d'impedire una sì sconcia gazzarra, quelli si misero a scagliare sassi contro la chiesa.
In seguito, quasi otto giorni dopo, avendo il vescovo richiamato alla mente dei magistrati le leggi, per altro arcinote, mentre sembrava che avessero intenzione di farle eseguire, la chiesa fu fatta nuovamente bersaglio di una sassaiola.
Il giorno seguente i nostri, per incutere almeno paura a quegli scalmanati, volevano mettere a verbale negli Atti municipali la loro querela, ma fu loro negato questo esercizio dei diritti civili.
Quello stesso giorno però alla sassaiola seguì una grandinata, come se Dio volesse spaventare i ribaldi almeno con quel segno.
Invece, non appena la grandine cessò, quelli tornarono per la terza volta alla sassaiola e appiccarono infine il fuoco alla chiesa e alle persone addette alla chiesa.
Uccisero anche un servo di Dio che era giunto loro a tiro mentre tentava di fuggire.
Degli altri ecclesiastici alcuni si nascosero, altri si diedero alla fuga ovunque era possibile.
Il vescovo intanto se ne stava nascosto tutto rannicchiato in uno sgabuzzino da dove sentiva le grida di quegli sciagurati che lo cercavano per dargli la morte e incolpavano se stessi di non averlo trovato e di aver compiuto un crimine così orrendo senza poter raggiungere lo scopo. Questi misfatti furono compiuti press'a poco dall'ora decima fino a notte inoltrata.
Di quelli la cui autorità aveva un peso rilevante, non si fece vivo nessuno, nessuno cercò di accorrere in aiuto, tranne un forestiero, il quale riuscì a liberare moltissimi servi di Dio dalle mani di quei forsennati che tentavano di ucciderli e a recuperare molti oggetti depredati da quei briganti.
L'intervento di costui dimostra chiaramente quanto facilmente si sarebbe potuto evitare che quelle violenze si iniziassero o fossero compiute se i cittadini, e specialmente i capi, si fossero adoperati ad ostacolarne l'inizio e a reprimerne il compimento.
Perciò fra tutti quei cittadini potrai forse distinguere non già gli innocenti dai colpevoli, ma i meno dai più colpevoli.
Hanno in realtà commesso un peccato minore quelli che non ebbero il coraggio di correre in aiuto degli oppressi per paura soprattutto d'offendere i cittadini più potenti, da essi conosciuti come nemici della Chiesa.
Sono invece scellerati tutti quelli che, pur senza la propria cooperazione o istigazione diretta, agirono comunque di propria volontà, e se più scellerati furono gli autori di simili misfatti, scelleratissimi furono gli istigatori.
Ma riguardo all'istigazione, ammettiamo pure che si tratti solo di un sospetto e non di una realtà: non indaghiamo nemmeno su intenzioni che gli inquisitori potrebbero scoprire solo strappandole a forza di torture dalla bocca di chi le sa!
Perdoniamo pure la paura di quelli che giudicarono più doveroso pregare Dio per il vescovo e per i suoi servi, piuttosto che offendere potenti nemici della Chiesa!
Ma riguardo ai rimanenti, credi forse che non si debbano punire con alcun castigo?
Pensi che una dimostrazione così orripilante di furore debba proporsi agli altri come impunita?
Non abbiamo alcuna brama di alimentare la nostra collera col punire colpe passate: ci preoccupiamo unicamente di procurare ai colpevoli il loro bene avvenire! I malvagi si trovano nella condizione di poter essere dai Cristiani puniti non solo in modo clemente, ma anche in modo vantaggioso, cioè proficuo per la salvezza dell'anima.
Essi infatti hanno l'incolumità del corpo per vivere, hanno mezzi non solo per vivere, ma anche per vivere male!
Lasciamo loro intatti il corpo e i mezzi per vivere, affinché possano vivere dopo essersi pentiti.
Questo appunto noi desideriamo per quanto dipende da noi, a questo consacriamo senza tregua la nostra attività.
Quanto ai mezzi per vivere male, però, Dio li castigherà con molta misericordia, se vorrà che siano loro tolti, come si amputa un membro canceroso e pericoloso.
Se invece Dio vorrà un castigo peggiore, oppure non vorrà un castigo nemmeno lieve, saprà Lui il motivo di una disposizione più profonda e certamente più giusta.
Quanto a noi, sarà nostra cura e nostro dovere agire attenendoci ai dettami della coscienza, pregando Dio di approvare la nostra intenzione di venire in aiuto di tutti e di non permettere che compiamo passi che Egli sa molto meglio di noi che non tornerebbero utili né a noi né alla sua Chiesa.
Quando, poco tempo fa, siamo stati a Calama per confortare quei nostri fedeli afflitti da sì acerbo dolore e calmare i più accesi di sdegno, abbiamo fatto coi Cristiani, nei limiti delle nostre possibilità, tutto ciò che a nostro avviso richiedeva la circostanza.
In seguito abbiamo pure dato udienza ai pagani, origine e causa di tanta sciagura, i quali avevano chiesto di vederci.
Abbiamo approfittato dell'occasione per dare loro degli avvisi su quanto avrebbero dovuto fare, se avevano giudizio, non solo perché rimuovessero le preoccupazioni del momento, ma anche perché cercassero la salvezza eterna.
Molte cose hanno sentito da noi: molte preghiere hanno rivolto a noi.
Ma non vogliamo essere dei servi di Dio cui possa piacere d'esser pregati da coloro dai quali non è pregato Dio nostro Signore!
Da ciò comprendi, perspicace qual sei, che, salvaguardando la mansuetudine e la moderazione cristiana, dobbiamo sforzarci di distogliere gli uni dall'imitare la perversità dei malvagi oppure di desiderare che gli altri imitino il loro ravvedimento.
Quanto ai danni che furono arrecati, essi vengono condonati dai Cristiani o risarciti dai Cristiani.
Quanto a noi, sono le anime quelle che, anche a prezzo del nostro sangue, bramiamo di guadagnare a Dio e speriamo non solo di fare gli acquisti più abbondanti proprio nella tua città, ma anche che in altre non siano impediti da questo esempio.
La misericordia del Signore ci conceda di rallegrarci della tua salute.
Indice |
1 | Verg. Aen. 7, 643 |
2 | Verg. Aen. 7, 643 |
3 | Cicer., De repub. fragm. IV, 7. 7 |
4 | De civ. Dei 2, 6 |
5 | Terenzio, Eunuchus, act. 3, scaen. 5, vv. 584-591 |