Lettere |
Scritta nel 416.
Aurelio, Agostino e altri vescovi spiegano al papa Innocenzo in qual senso Pelagio ammise la grazia al concilio di Diospoli, pregandolo d'interrogarlo personalmente per convincersi di qual grazia egli parli ( n. 1-8 ) poiché in un recente libro a lui attribuito parla in modo improprio della grazia di Cristo in virtù della quale si salvano gli uomini, compresi i giusti dell'Antico Testamento ( n. 9-12 ), mentre Pelagio ripone la salvezza nella Legge ( n. 13-14 ).
Inviano la confutazione di quel libro ( n. 15 ).
Aurelio, Alipio, Agostino, Evosio e Possidio salutano nel Signore il Papa Innocenzo, loro santissimo signore e fratello assai degno d'essere onorato
Abbiamo inviato alla Santità tua due lettere di due concilii, cioè della provincia di Cartagine e della Numidia, sottoscritte da un gran numero di vescovi, nelle quali si combattono i nemici della grazia di Cristo, i quali confidano solo nella loro forza ( Gv 8,36 ) e pare vogliano dire al nostro Creatore: " Tu ci hai fatti uomini, ma noi ci siamo fatti santi da noi stessi".
Essi affermano che la natura umana è libera, per non cercare il Liberatore; affermano ch'è salva, per giudicare superfluo il Salvatore.
Affermano infatti che la natura ha tanta potenza che, mediante le sue forze ricevute nella creazione, può domare e soffocare tutte le passioni e vincere tutte le tentazioni col libero arbitrio, senza l'aiuto ulteriore del suo Creatore.
Molti di essi si sollevano contro di noi e dicono all'anima nostra: Non c'è salvezza per lei nel suo Dio. ( Sal 3,3 )
Ma la famiglia del Cristo, la quale dice: Quando sono debole, allora sono potente ( 2 Cor 12,10 ) e alla quale il Signore dice: Sono io la tua salvezza, ( Sal 35,3 ) aspetta con ansia, con timore e tremore l'aiuto del Signore anche tramite la carità della Santità tua.
Abbiamo infatti sentito dire che a Roma, ove Pelagio è vissuto a lungo, ci sono molti a lui favorevoli: alcuni cioè perché si dice che vi abbiano convinti delle loro idee, altri invece, in numero più grande, i quali non credono ch'egli abbia tali opinioni, soprattutto perché si afferma a vanvera che nell'Oriente, dove si trova attualmente, sono stati redatti dei Verbali d'un processo ecclesiastico in cui si reputa che si sia giustificato.
Ma se alcuni vescovi lo hanno dichiarato cattolico, si deve credere che una tale eventualità si sarà potuta avverare solo perché Pelagio avrà proclamato che ammetteva la grazia di Dio e che uno può vivete santamente in virtù dello sforzo personale e della propria volontà senza per altro affermare che noi, per ottenere questo risultato, non siamo aiutati dalla grazia di Dio.
All'udire siffatte dichiarazioni i vescovi cattolici non potevano intendere altra grazia se non quella che sono soliti leggere nelle Sacre Scritture e predicare al popolo di Dio, e precisamente quella di cui l'Apostolo dice: Io non annullo la grazia di Dio, poiché, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto certamente senza motivo. ( Gal 2,21 )
I vescovi intendevano senza dubbio la grazia che ci giustifica dalla colpa e ci salva dalla debolezza, non quella consistente nell'essere stati creati con la nostra volontà personale.
Se infatti quei vescovi avessero capito che Pelagio parlava della grazia nel senso di quella che abbiamo comune con gli empi in quanto uomini come noi, e che negava quella per cui siamo Cristiani e figli di Dio, chi dei vescovi cattolici avrebbe sopportato non dico di ascoltarlo ma d'averlo davanti agli occhi?
Per questo motivo non possiamo dar torto a quei giudici dal momento che intesero il termine " grazia" nel senso consueto nella Chiesa, ignorando che cosa cotesti individui sono soliti diffondere nei libri della loro scuola o nelle orecchie dei loro discepoli.
Non si tratta del solo Pelagio, che forse si è corretto ( e Dio voglia che sia così ) ma di molti altri sparsi ovunque; essi con le loro verbose discussioni trascinano le anime deboli e ignoranti come se fossero accalappiate e con i loro sproloqui stancano perfino le anime forti e ferme nella fede.
La tua Santità dovrebbe chiamarlo a Roma, esaminarlo attentamente chiedendogli qual è la grazia di cui parla, in modo che ammetta, se pur già lo ammette, che da essa siamo aiutati a evitare il peccato e a vivere santamente; oppure dovrebbe trattare la faccenda con lui per corrispondenza epistolare.
Qualora poi si scoprisse che Pelagio per " grazia " intende quella insegnata dalla vera dottrina ecclesiastica e apostolica, solo allora la Chiesa dovrebbe assolverlo senza scrupolo, senza sotterfugi o equivoci e noi dovremmo rallegrarci della sua giustificazione.
Se infatti per " grazia " egli ha inteso il libero arbitrio o il perdono dei peccati oppure i comandamenti della Legge, non riconosce alcuno dei mezzi che servono a vincere le passioni e le tentazioni mediante l'aiuto dello Spirito Santo, il quale è stato abbondantemente effuso in noi ( Tt 3,6 ) da Colui ch'è asceso al cielo e, portandosi con sé la schiavitù della natura umana redenta, ha concesso doni agli uomini. ( Ef 4,8; Sal 69,19 )
Ecco perché noi preghiamo di riuscire a vincere le tentazioni, affinché lo Spirito di Dio, di cui abbiamo ricevuto il pegno, aiuti la nostra debolezza. ( Rm 8,26 )
Chi poi prega dicendo: Non ci far soccombere nella tentazione, ( Mt 6,13 ) non prega precisamente per essere uomo, poiché lo è già per natura, e neppure per avere il libero arbitrio, poiché lo ha già ricevuto quando è stata creata la stessa natura, né domanda il perdono dei peccati, poiché in precedenza si dice: Rimetti a noi i nostri debiti ( Mt 6,12 ) né prega per ricevere i comandamenti, ma precisamente per adempierli.
Se infatti sarà indotto in tentazione, se cioè soccomberà alla tentazione, commette appunto un peccato contro i comandamenti.
Chi prega così, prega per non peccare, cioè per non commettere nulla di male, come prega l'apostolo Paolo per i Corinti dicendo: Noi quindi rivolgiamo suppliche al Signore affinché non facciate nulla di male. ( 2 Cor 13,7 )
Da ciò appare sufficientemente chiaro che il libero arbitrio, della cui esistenza non v'è alcun dubbio, non basta per evitare il peccato, cioè per evitare il male, se non viene aiutata la debolezza della volontà.
La preghiera stessa, dunque, è la testimonianza più lampante della grazia.
Pelagio riconosca questa grazia e noi ci rallegreremo della sua ortodossia o della sua correzione.
Si deve distinguere tra la Legge e la grazia: la Legge dà solo degli ordini, la grazia invece è capace d'aiutare; la Legge poi non darebbe ordini, se non supponesse la volontà umana, né la grazia darebbe aiuto, se fosse sufficiente la volontà.
Ci viene comandato d'avere l'intelligenza nel passo della S. Scrittura ov'è detto: Non siate come il cavallo e il mulo che non hanno intelligenza, ( Sal 32,9 ) eppure noi preghiamo per aver l'intelligenza dicendo: Dammi l'intelligenza perché io comprenda i tuoi comandamenti. ( Sal 119,125 )
Ci viene comandato d'aver la sapienza nel passo della Scrittura che dice: Voi, stolti, siate una buona volta sapienti, ( Sal 94,8 ) eppure si prega per aver la sapienza nel passo della Scrittura ov'è detto: Se però qualcuno di voi ha bisogno della sapienza, la chieda al Signore, che la concede a tutti in abbondanza senza rinfacciarlo, e gli sarà concessa. ( Gc 1,5 )
Ci viene comandato d'aver la continenza nel passo della Scrittura ov'è detto: Conservati puro, ( 1 Tm 5,22 ) eppure preghiamo per aver la continenza secondo l'espressione della stessa Scrittura: Poiché sapevo che nessuno può essere continente, se non glielo concede Iddio, e che segno di sapienza è già sapere di chi essa è dono, mi sono rivolto al Signore e glie l'ho chiesta. ( Sap 8,21 )
Infine, per non fare una rassegna troppo lunga di passi consimili, la S. Scrittura ci ordina di non fare il male quando dice: Evita il male, ( Sal 37,27 ) eppure noi preghiamo di riuscire a evitare il male conforme a ciò che ci dice la stessa Scrittura: Noi eleviamo suppliche al Signore affinché non facciate nulla di male; ( 2 Cor 13,7 ) essa inoltre ci comanda di fare il bene quando dice: Evita il male e fa il bene, ( Sal 37,27 ) eppure si prega che facciamo il bene quando dice: Non cessiamo di pregare e domandare per voi, ( Col 1,9 ) e tra le altre cose che domanda per i fedeli l'Apostolo dice: Che vi comportiate in maniera degna di Dio sì da piacergli in tutto, in ogni opera buona e in ogni discorso avente per oggetto il bene. ( Col 1,10 )
Ordunque, come noi riconosciamo il libero arbitrio quando ci sono dati tali precetti, così anche Pelagio riconosca la grazia quando la Scrittura ci attesta la preghiera per ottenere di adempierli.
Abbiamo inviato alla Santità tua anche un libro consegnatoci da due giovani servi di Dio, pii e nobili di nascita, di cui non vogliamo tacere neppure il nome: si chiamano Timasio e Giacomo.
Come noi abbiamo sentito dire e come tu pure ti compiacerai di sapere, essi, dietro esortazione di Pelagio, hanno abbandonato tutto quello che potevano sperare nel mondo ed ora servono Dio nella continenza.
Dopo essersi finalmente liberati dall'errore mediante l'opera nostra, quale che possa essere stata, e per ispirazione di Dio, essi ci hanno portato il detto libro affermando ch'era di Pelagio e pregandoci insistentemente di rispondergli.
Noi lo abbiamo fatto, abbiamo inviato loro copia della risposta e ci hanno scritto ringraziandoci.
Abbiamo inviato tanto il libro al quale è stato risposto quanto la risposta fatta da noi.
Per non aumentarti il disturbo, abbiamo anche sottolineato con un segno i passi che ti preghiamo di esaminare - se non ti dispiace - per accertarti come in essi, all'obiezione rivoltagli che negava la grazia di Dio, egli ha risposto in modo da far capire che, secondo lui, la grazia non è altro che la natura con cui Dio ci ha creati.
Se poi egli nega che il libro o i passi da noi sottolineati nel libro non sono suoi, noi non vogliamo stare a litigare: li condanni, e ammetta in modo chiaro ed esplicito la grazia quale è esposta e predicata dalla dottrina cristiana come propria e specifica dei Cristiani, la quale non è la natura ma quella con cui è salvata e aiutata la natura non già con la predicazione della dottrina o con qualche altro sussidio visibile, come fa dall'esterno chi pianta o innaffia, ma con l'aiuto dello Spirito Santo e con l'invisibile misericordia di Dio, il quale fa crescere. ( 1 Cor 3,6-7 )
Si può, beninteso, chiamare grazia in un certo senso quella con cui siamo stati creati affinché fossimo degli esseri non simili a cadaveri senza vita o agli alberi privi di sensi o agli animali privi d'intelligenza, ma fossimo uomini, cioè esseri viventi, dotati di sensi e d'intelligenza, e fossimo capaci di ringraziare il Creatore per questo immenso beneficio.
Possiamo quindi chiamare ciò una grazia perché concessaci non in vista di meriti acquisiti con buone opere precedenti, ma per gratuita bontà di Dio; tuttavia ben diversa è la grazia, in virtù della quale siamo predestinati, chiamati alla fede, giustificati e glorificati ( Rm 8,30 ) e perciò possiamo dire: Se Dio è in favore di noi, chi sarà contro di noi?
Egli non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha consegnato alla morte per noi tutti. ( Rm 8,31-32 )
Questa è l'autentica grazia di cui si parlava quando dai vescovi, fortemente scandalizzati e turbati da Pelagio, gli si rinfacciava che la combatteva nei suoi discorsi, in cui sosteneva che non solo per osservare ma per compiere alla perfezione i comandamenti di Dio bastava a se stessa la natura umana guidata dal libero arbitrio.
Questa è l'autentica grazia di cui parla giustamente la dottrina degli Apostoli, l'autentica grazia che ci salva e ci giustifica in virtù della fede in Gesù Cristo.
Di essa sta scritto: Io non annullo la grazia di Dio, poiché, se la giustificazione deriva dalla Legge, Cristo è morto senza Motivo. ( Gal 2,21 )
In un altro passo sta scritto: Voi, che pretendete essere giustificati dalla Legge, vi siete staccati da Cristo, siete decaduti dalla grazia, ( Gal 5,4 ) e in un altro ancora: Ma se l'elezione è per grazia, non è più in virtù delle opere, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia, ( Rm 11,6 ) e ancora: Orbene, a chi opera, la mercede non viene computata a titolo di favore ma secondo il dovuto.
Al contrario, chi non opera ma crede in Colui che giustifica l'empio, è la fede che viene imputata a giustizia; ( Rm 4,4-5 ) e così molti altri passi che tu puoi ricordare meglio e comprendere più saggiamente e predicare più chiaramente.
Quanto alla grazia per cui siamo stati creati uomini, anche se può chiamarsì così con qualche ragione, sarebbe tuttavia sorprendente trovarla chiamata così nei libri canonici dei Profeti, dei Vangeli o degli Apostoli.
Quando fu sollevata contro Pelagio l'obiezione a proposito di questa grazia, ben nota ai Cristiani fedeli e cattolici, affinché cessasse di combatterla, perché mai, dopo essersi fatto la stessa obiezione nel suo libro come se gli venisse da un avversario, davanti al quale dovesse giustificarsi con una risposta, perché mai non rispose altro se non che a rappresentare la grazia del Creatore era solo la natura con cui è stato creato l'uomo?
Perché mai rispose che in tal modo affermava che si può raggiungere la perfezione morale mediante il solo libero arbitrio accompagnato dall'aiuto della grazia di Dio, l'aiuto cioè dato da Dio all'uomo per mezzo della possibilità insita nella natura umana?
Gli si risponde con ragione: È stato dunque tolto di mezzo lo scandalo della croce, ( Gal 5,11 ) Cristo dunque è morto senza motivo. ( Gal 2,21 )
Non è forse vero che se Cristo non fosse morto per i nostri peccati e non fosse risorto, non fosse asceso al cielo e, menando in schiavitù la schiavitù della natura umana, non avesse dato doni agli uomini, ( Rm 4,25; Ef 4,8; Sal 68,19 ) non avremmo questa possibilità della natura difesa da Pelagio?
Mancava forse la Legge di Dio e perciò Cristo è morto?
Tutt'altro; la Legge anzi è santa, giusta e buona. ( Rm 7,12 )
Già era stato detto nella Scrittura: Non desiderare, ( Es 20,17 ) e così anche: Amerai il tuo prossimo come te stesso, ( Lv 19,18 ) precetto col quale l'Apostolo dice che s'adempie tutta la Legge. ( Rm 13,9 )
E siccome chi non ama Dio, non ama se stesso, il Signore dice che da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti. ( Mt 22,40 )
Anche questi due precetti erano già stati dati.
Forse che non era stato ancora promesso il premio eterno alla santità?
Una simile affermazione non si trova in Pelagio, poiché nei suoi scritti egli ha detto espressamente che il regno dei cieli era promesso anche nell'Antica Alleanza.
Se dunque, per compiere anche alla perfezione i precetti della santità, v'era già la possibilità della natura guidata dal libero arbitrio, se v'era già il precetto santo, giusto e buono della Legge di Dio, se era già stato promesso il premio eterno, Cristo è morto senza motivo.
La santità dunque non dipende né dalla Legge né dalla capacità della natura, ma dalla fede e dal dono di Dio per mezzo di Cristo nostro Signore, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. ( 1 Tm 2,5 )
Se nella pienezza dei tempi egli non fosse morto per i nostri peccati e non fosse risorto per la nostra giustificazione, ( Rm 4,25 ) sarebbe inutile la fede dei giusti dell'Antica Alleanza e la nostra.
Orbene, tolta la fede, quale perfezione morale rimarrebbe possibile all'uomo dal momento che l'uomo timorato di Dio vive di fede? ( Rm 2,4 )
Da quando infatti per colpa d'un sol uomo il peccato è entrato nel mondo e col peccato la morte e così s'è estesa a tutti gli uomini poiché tutti hanno peccato, ( Rm 5,12 ) senza dubbio dal corpo di questa morte in cui un'altra legge contrasta con la legge della mente, ( Rm 7,24 ) nessuno è stato o è liberato dalla propria capacità, poiché una volta rovinata ha bisogno del Redentore e una volta ferita ha bisogno del Salvatore, ma si viene liberati dalla grazia di Dio mediante la fede nel Mediatore tra Dio e gli uomini cioè nell'uomo Cristo Gesù; ( 1 Tm 2,3 ) egli essendo Dio creò l'uomo e, rimanendo Dio dopo essersi fatto uomo, rifece quello ch'egli aveva fatto.
Io credo d'altra parte che Pelagio ignori che la fede in Cristo, rivelata in seguito, era velata al tempo dei nostri Patriarchi dell'Antica Alleanza, eppure per grazia di Dio in virtù di quella fede sono stati salvati tutti coloro che hanno potuto essere redenti in tutte le epoche del genere umano per occulta ma non biasimevole disposizione di Dio.
Ecco perché l'Apostolo dice: Avendo pertanto lo spirito di fede ( il medesimo cioè che avevano i Patriarchi ), secondo quanto sta scritto: Ho creduto e per questo ho parlato, anche noi crediamo e per questo parliamo. ( 2 Cor 4,13; Sal 116,1 )
Ecco perché lo stesso Mediatore dice: Abramo, vostro padre, desiderò di vedere il mio giorno; lo vide e ne tripudio. ( Gv 8,56 )
Per lo stesso motivo Melchisedech, avendo offerto il pane e il vino, ch'era figura dell'Eucaristia, simbolizzò l'eterno sacerdozio del Signore. ( Gen 14,18 )
Quanto alla Legge scritta, l'Apostolo dice ch'essa fu introdotta in seguito perché abbondasse il peccato; ecco il passo relativo: Se infatti l'eredità si ottiene in virtù della Legge, non lo è più in virtù della promessa.
E allora perché mai la Legge?
Essa fu aggiunta in vista delle trasgressioni finché non venisse il Discendente, per il quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli coadiuvati da un Mediatore.
Ora, non c'è un Mediatore per una sola persona, mentre Dio è uno solo.
La Legge è dunque contro le promesse di Cristo? Nient'affatto!
Poiché, se fosse stata concessa una Legge capace di dare la vita, la perfezione morale verrebbe davvero dalla Legge; ma la Scrittura ha racchiuso ogni cosa sotto il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa per la fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,19-22 )
Da questo passo non appare forse abbastanza evidente che la Legge ha avuto la funzione di far conoscere il peccato e di far sì che questo si moltiplicasse per causa della trasgressione?
Dove infatti non c'è la legge, non c'è nemmeno la prevaricazione. ( Rm 4,15 )
La Legge in tal modo ha fatto sì che, se l'uomo non voleva soggiacere al peccato, doveva ricorrere alla grazia di Dio, consistente nelle promesse, e la Legge non era in tal modo contro le promesse di Dio in quanto per mezzo di essa viene a conoscersi il peccato e i peccati si moltiplicano per la trasgressione della Legge affinché, per essere salvi, si cerchino le promesse di Dio, vale a dire la grazia di Dio: così l'uomo comincia a essere santo non per la perfezione sua personale ma in virtù di quella di Dio, vale a dire concessa in dono da Dio.
Questo stato di grazia che viene da Dio è ignorato ancora adesso da coloro, che rassomigliano ai Giudei, dei quali è stato detto nella S. Scrittura che: volendo stabilire una loro propria perfezione morale, non sono sottomessi alla grazia di Dio. ( Rm 10,3 )
Essi credono d'esser giustificati per mezzo della Legge, come se per osservarla bastasse il libero arbitrio, vale a dire con la rettitudine insita nella natura umana, non concessa dalla grazia divino che perciò si chiama " giustizia di Dio ".
Ecco perché sta parimenti scritto: La Legge serve a far conoscere il peccato.
Adesso invece s'è manifestata, senza la Legge, la giustizia di Dio, attestata dalla stessa Legge e dai Profeti. ( Rm 3,21 )
Dicendo: s'è manifestata, fa vedere ch'essa esisteva già ma era come la rugiada ottenuta con le preghiere da Gedeone, era cioè, per così dire, come nascosta nel vello, mentre ora è come palese sull'aia. ( Gdc 6,37 )
Orbene, siccome la Legge senza la grazia sarebbe potuta essere non la morte ma la forza del peccato, essendo stato detto: Pungiglione della morte è il peccato, forza invece del peccato è la Legge, ( 1 Cor 15,56 ) allo stesso modo che molti, per sfuggire al dominio del peccato, ricorrono alla grazia come palese nell'aia, così pochi ricorrono ad essa come nascosta nel vello. Questo succedersi di epoche diverse è un effetto della profondità della ricchezza della sapienza e scienza di Dio, a proposito della quale è stato detto: Quanto sono imperscrutabili le sue disposizioni e inesplicabili le sue vie! ( Rm 11,33 )
Se quindi non solo prima ma anche durante l'epoca della stessa Legge i santi Patriarchi, viventi di fede, erano giustificati non dalla capacità della natura debole, corrotta e venduta come schiava del peccato, ( Rm 7,14 ) ma dalla grazia di Dio in virtù della fede; se dunque è così, Pelagio condanni con anatema i suoi scritti in cui, forse non per arroganza ma per ignoranza, combatte la vera grazia col difendere la capacità della natura a vincere i peccati e adempiere i comandamenti.
Se invece dice che quegli scritti non sono suoi oppure che le idee, che nega essere sue, sono state interpolate nei suoi scritti dai suoi nemici, le colpisca anatema e le condanni mosso dalla paterna esortazione e dall'autorità della Santità tua.
Se dunque lo vuole, cerchi di toglier di mezzo uno scandalo così oneroso per lui e così pernicioso per la Chiesa, scandalo che i suoi discepoli e i suoi amici ( amici in senso cattivo ) non cessano di spargere ovunque.
Se infatti sapranno che il detto libro, ch'essi credono o sono convinti essere suo, è stato colpito anatema e condannato non solo dall'autorità di vescovi cattolici e soprattutto della Santità tua che - ne siamo assolutamente certi - è presso di lui di peso maggiore, ma anche da lui stesso, pensiamo che non oseranno più turbare i cuori infedeli e lealmente cristiani, parlando contro la grazia di Dio rivelata nella passione e nella risurrezione di Cristo; ma piuttosto con l'aiuto di Dio misericordioso, con le tue preghiere, ardenti di carità e di pietà, unite alle nostre, essi riporranno la loro fiducia non già nelle loro forze ma nella grazia di Dio al fine di essere non solo eternamente felici ma anche perfetti e santi.
Abbiamo pertanto creduto più opportuno inviare alla Santità tua la lettera scritta a Pelagio da uno di noi, al quale aveva fatto recapitare certi suoi scritti in cui fa vista di giustificarsi: ti preghiamo d'essere tanto buono da inviargliela tu stesso.
In tal modo sarà più facile ch'egli non rifiuti di leggerla, tenendo presente più chi glie l'ha inviata che colui che glie l'ha scritta.
Quanto all'affermazione degli eretici che l'uomo può essere senza peccato e osservare facilmente i comandamenti di Dio purché lo voglia, sebbene sembri un'affermazione più tollerabile in quanto tale possibilità è subordinata all'aiuto della grazia, rivelata e largita per mezzo dell'incarnazione dell'Unigenito Figlio di Dio, può tuttavia suscitare ragionevoli perplessità.
Dove e quando la grazia produce in noi l'effetto di farci vivere senza peccato?
Forse in questa vita, durante la quale la carne ha desideri contrari allo spirito, ( Gal 5,17 ) oppure nell'altra in cui si avvererà la parola della S. Scrittura: Dov'è, o morte, la tua vittoria, dov'è il tuo Pungiglione?
Il pungiglione della morte è infatti il peccato. ( 1 Cor 15,55 )
Occorre dunque esaminare la questione più attentamente a causa di alcuni altri autori i quali hanno pensato e hanno tramandato nei loro scritti che anche in questa vita l'uomo può vivere senza peccato, non dall'inizio della sua nascita ma da quando si converte dai peccati e s'incammina verso la perfezione, e da una vita malvagia a una vita onesta.
In realtà essi hanno inteso in tal senso quello che la S. Scrittura dice di Zaccaria e di Elisabetta, che cioè vivevano osservando in modo irreprensibile tutti i comandamenti del Signore. ( Lc 1,6 )
Quegli esegeti hanno preso l'espressione in modo irreprensibile nel senso corrispondente a " senza peccato", pur non negando, anzi ammettendo con spirito religioso - come si vede anche in altri passi dei loro scritti - l'aiuto della grazia di nostro Signore, non derivante dallo spirito naturale dell'uomo, bensì dallo spirito principale di Dio.
Quei commentatori però non hanno riflettuto abbastanza - a quanto pare - che Zaccaria era appunto sacerdote e che tutti i sacerdoti, di quel tempo avevano bisogno - in base alle disposizioni della Legge - di offrire il sacrificio innanzitutto per i peccati propri e poi per quelli del popolo. ( Lv 9,7; Eb 7,27 )
Ma allo stesso modo che adesso col sacrificio della preghiera si dà la prova che noi non siamo senza peccato, poiché ci viene comandato di dire: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) così allora col sacrificio degli animali immolati a Dio si dimostrava che i sacerdoti non erano senza peccato, poiché veniva loro comandato di offrirne per i loro peccati.
Se invece è vero che in virtù della grazia del Salvatore noi progrediamo bensì durante la vita presente col diminuire della cupidità e col crescere della carità, ma diventeremo perfetti solo nell'altra vita con l'estinguersi della cupidità e nella pienezza della carità, l'espressione della S. Scrittura: Chi è nato da Dio, non pecca, ( 1 Gv 3,9 ) si riferisce alla carità, ch'è la sola a non peccare.
Della seconda nostra nascita, ch'è da Dio, fa parte infatti la carità, che dev'essere aumentata e perfezionata, non la cupidità, che dev'essere smorzata e annientata; questa fin quando è nelle nostre membra, in forza d'una legge per così dire sua propria, si ribella alla legge dello spirito.
Chi però è nato da Dio, poiché non ubbidisce ai desideri delle passioni e non offre le proprie membra come armi d'iniquità al peccato, può dire: Non sono io a compiere quest'azione, ma il peccato che abita in me. ( Rm 7,20 )
In qualsiasi modo si risolva la questione, siccome, pur non trovandosi in questa vita alcuno senza peccato, si afferma che una siffatta condizione può avverarsi con l'aiuto della grazia e dello Spirito di Dio ( cosa che dobbiamo sforzarci di ottenere e domandare al Signore ), è scusabile sbagliarsi in un punto cosi oscuro: non è un'eresia diabolica, ma un errore umano affermare ciò che dev'essere oggetto dei nostri sforzi e dei nostri desideri, anche se ciò che si afferma non può dimostrarsi, in quanto si crede possibile ciò ch'è certo lodevole desiderare.
A noi basta comunque che nella Chiesa di Dio non si trovi alcun fedele, qualunque sia il grado di perfezione e di santità al quale sia giunto, il quale osi affermare che non è necessario rivolgere a Dio l'invocazione della preghiera insegnataci dal Signore: Rimetti a noi i nostri debiti e affermi d'essere senza peccato, poiché ingannerebbe sé stesso e in lui non sarebbe la verità, ( 1 Gv 1,8 ) anche se già vivesse in modo irreprensibile: questo infatti non sarebbe un peccato qualunque derivante dalla tentazione umana, ma un peccato grave e biasimevole.
Quanto agli altri errori rinfacciati a Pelagio e quanto al modo con cui questi s'è difeso, la Beatitudine tua può esaminarlo nei Verbali ecclesiastici e farsene così un'idea precisa.
La bontà amabilissima del tuo cuore ci perdonerà sicuramente d'avere inviato alla Santità tua una lettera forse più lunga di quanto avresti desiderato.
Noi non pretendiamo con ciò d'ingrossare la sovrabbondante sorgente della tua scienza riversandovi il rigagnolo di quella nostra ma, nella dolorosa prova di questo frangente, da cui preghiamo che ci liberi Colui al quale diciamo: Non ci far soccombere alla tentazione, ( Mt 6,14 ) noi desideriamo solo sapere se anche il nostro rigagnolo, per quanto esiguo, scaturisce dalla medesima sorgente dalla quale sgorga anche il tuo cosi abbondante; ecco che cosa desideriamo che incontri la tua approvazione e che tu ci risponda per consolarci riguardo alla comunione della medesima unica grazia.
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