Lettere |
Scritta tra il 426/427.
Dario, mentre ringrazia Agostino della lettera inviatagli ( n. 1-2 ) lo rassicura d'adoperarsi per ristabilire la pace e lo prega d'inviargli i libri delle Confessioni, ricordandogli una supposta lettera del re Abgar a Cristo; scrive d'avergli inviate delle medicine ( n. 3-6 ).
Dario invia saluti ad Agostino, suo signore
Oh se il Dio tuo e di tutti, o mio santo padre e signore, m'avesse fatto giungere personalmente alla tua presenza e davanti agli occhi tuoi, allo stesso modo che il mio nome è stato fatto giungere alle tue orecchie, grazie alla bontà dei tuoi - come tu dici - colleghi Urbano e Novato!
Non perché la perspicacia del tuo giudizio mi avrebbe giudicato migliore o forse come ti ero stato presentato dalla benevola conversazione e nella lettera piena di elogi di persone tanto qualificate, ma perché piuttosto potessi cogliere i frutti genuini e immortali della celeste tua sapienza dalla tua bocca attingendo, per così dire, immediatamente la dolcezza dell'acqua pura proprio dalla sua sorgente che scorre perenne.
Oh me fortunato non solo tre o quattro volte, come si legge in non so quale autore,1 ma mille volte, anzi infinite volte di più, se mi fosse stato concesso di vedere con i miei occhi il tuo volto splendente come un astro, di sentire la divina tua voce che insegna la verità di Dio, di cogliere i frutti del tuo ingegno, non solo, ma di avere anche la gioia di ascoltarti avidamente!
Mi sarebbe parso, allora, di ricevere le vere e proprie norme che menano all'immortalità, non già dall'alto del cielo ma stando proprio nel cielo, e di sentire davvero le parole di Dio, non già stando lontano dal tuo tempio, ma come se mi trovassi proprio presso il trono di Dio!
Per l'ardentissimo desiderio che avevo di te meritavo forse che mi toccasse una simile fortuna, ma non la meritavo - lo confesso - per la mia intima convinzione.
Ciononostante, anche lontano da te, ho ricevuto frutti non affatto piccoli del tuo nobile desiderio, anzi la mia contentezza è completa, anche se il bene ricevuto non uguaglia quello desiderato.
Sono stato elogiato presso chi io desideravo per bocca di due santi vescovi pur abitanti in paesi tra loro distanti: ti sono giunte le testimonianze, per così dire, immediate dell'uno nella benevola conversazione scambiata tra voi e dell'altro nella lettera partita a volo e contenente le medesime espressioni di simpatia.
Queste persone così qualificate e importanti mi hanno intrecciato, per così dire, presso di te una corona formata non con rami di fiori rigogliosi, ma con gli alti attestati di stima delle loro parole simili a pietre preziose non soggette ad appassire.
Prego perciò il sommo Dio per te e ti scongiuro che tu interceda per me, padre santo, affinché un giorno almeno possa aver la gioia d'essere tale, essendo consapevole di non meritare attestati così lusinghieri!
Orbene, non hanno forse i due santi vescovi ottenuto un risultato superiore a tutti gli svantaggi derivanti dall'essere io lontano da te, che cioè tu ti degnassi di rivolgermi la parola, di scrivermi e d'inviarmi i tuoi saluti e d'essere spiacente che noi siamo lontani l'uno dall'altro?
Fino a poco tempo fa soffrivo di non essere conosciuto da te, che, dopo Dio Salvatore, sei il mio salvatore; ma - come dici tu stesso - tu guardi non tanto l'aspetto fisico quanto - ciò che più conta - quello del cuore e ti sono apparso tanto più amabile quanto più mi hai osservato nell'intimo.
Dio faccia sì, padre mio, ch'io risponda all'opinione che hai di me e io non abbia sulla coscienza qualche peccato, dal momento che non vedo nel mio intimo d'essere quale ti sei immaginato che io sia.
Nella tua divina e celeste lettera,2 con la consueta eloquenza che ti suggerisce le parole per elogiare ciò che vuoi, tu affermi che io uccido la guerra con la parola.
A questo punto, mio santo Padre, il mio animo è uscito, per così dire, fuori dalle tenebre dei suoi pensieri come se avessi riconosciuto per vero il tuo elogio.
Per confessare tutto brevemente e schiettamente alla Beatitudine tua, se la guerra non siamo riusciti a spegnerla, l'abbiamo per lo meno differita e con l'aiuto di Dio, sovrano di tutti, sono state mitigate le sciagure ch'erano ormai cresciute fino al colmo delle sventure.
Ma io spero da parte di Colui, dal quale dobbiamo sperare ogni bene ( e ne traggo auspici dalla larga e sicura benedizione della tua stessa lettera ) che proprio il differimento della guerra, cui ho accennato, contenga e mantenga in sé le salde basi d'una pace perenne e perpetua.
Fondandoti sulla legge eterna di Dio tu mi hai detto di rallegrarmi di questo che tu chiami mio bene grande e verace e di rallegrarmene in Dio dal quale dici che ho avuto la grazia d'essere come sono e di assumere una missione sì importante.
Tu poi soggiungi: " Confermi il Signore ciò che per suo mezzo ha compiuto per noi ".
Oh il bell'augurio formulato non solo per me, bensì per la salvezza di tutti!
In realtà questa mia gloria non può essere separata dalla salvezza di tutti e, perché io possa esser felice in virtù delle tue preghiere, è necessario che insieme con me siano felici tutti quanti.
Possa tu, padre, formulare a lungo tali voti e preghiere per l'Impero romano, per lo Stato romano, per quanti a te parranno degni delle tue preghiere e quando, il più tardi possibile salirai in cielo,3 trasmettili ai posteri e prescrivili ai tuoi successori.
Mi sono dilungato forse più di quanto avrei dovuto, pur dicendo meno di quanto avrei voluto.
Te lo confesso: mentre ti scrivo, mi raffiguro il tuo volto come se fosse alla mia presenza e, sebbene il mio rozzo modo di esprimermi e il mio linguaggio povero mi vengano meno, tuttavia non mi sazio, come se stessi conversando e chiacchierando familiarmente con te.
Anche da ciò misura quindi il nostro affetto per te.
Anche se questa mia prolissa e quindi forse importuna lettera avrebbe dovuto avere termine già da un pezzo, tuttavia, per soddisfare il nostro desiderio, mettiamo da parte la riservatezza e ci viene di pensare che troncare la lettera è come un allontanarci da te.
Vorrei perciò terminarla ma non ci riesco.
Se infatti mi credi, padre mio, tu sei penetrato profondamente nella nostra mente e nel nostro cuore da quando, non contenti di conoscerti per via della tua così grande e gloriosa rinomanza, abbiamo avuto più caro conoscerti nei tuoi scritti, sebbene l'unica e breve lettera che mi hai inviata abbia suscitato nel mio cuore una fiamma d'ardentissimo amore verso di te.
È vero: noi abbiamo ripudiato completamente il culto pagano, trovando un aiuto quanto mai efficace anche nella lettura delle tue opere; quantunque noi abbiamo abbracciato la legge di Cristo a cominciare dai genitori, dagli avi fino agli ultimi discendenti della nostra famiglia, talora tuttavia ci serpeggia nella mente l'orgogliosa, menzognera e dannosa superstizione pagana.
Per questo ti preghiamo e ti scongiuriamo con tutta l'anima d'aver la cortesia d'inviarci in dono anche i libri delle Confessioni scritti da te.
Se infatti altre persone sono state tanto condiscendenti e buone da farci dono dei tuoi scritti, quanto meno dovresti addurre scuse proprio tu per rifiutarcene dei tuoi!
Si dice che mentre Cristo, nostro Dio e Signore, si trovava ancora nel paese della Giudea, prima che tornasse al suo cielo, un satrapo, o meglio, un re gli scrisse una lettera;4 poiché dalla malattia era impedito di mettersi in viaggio per andare da lui e non credeva di poter guarire in modo diverso, scongiurava lui, salvezza e medicina del mondo, d'usargli la bontà di recarsi lui in casa sua.
Si dice inoltre che, perché non sembrasse che si recava offesa a così eccelsa maestà, ch'egli s'era sì immaginata in modo rispettoso ma non perfetto, facesse l'elogio della propria città affinché Dio, attratto dalla bellezza di essa e dall'ospitalità regale, non respingesse come indegna la sua supplica.
Dio soccorse il re: questi fu guarito; facendogli poi un favore più grande di quello richiesto gl'inviò una lettera con cui gli assicurava anche il potere regale, e rese la sua città immune per sempre dagli attacchi dei nemici.
Che cosa può aggiungersi a tali benefici?
Quanto a me, umile servitore di sovrani, domando a te, mio signore, d'intercedere per i miei peccati ogni giorno presso questo Cristo, nostro Dio e Signore, di pregarlo incessantemente per me e domandargli tutte le grazie che vorrai.
Se questa mia lunga lettera t'arreca noia, sopportala con la forza della tua magnanimità e ascrivine la colpa a te, poiché sei stato tu a volerla.
Ti preghiamo tuttavia e ti supplichiamo di scrivere un'altra volta in modo che possiamo aver un indizio che hai gradito i miei scritti.
Dio ci conceda ancora per molti anni la Beatitudine tua affinché preghi per noi, mio signore e padre veramente santo.
C'incarica di salutarti il nostro figliolo Verimodo, il quale s'è molto rallegrato con se stesso perché ti sei degnato di ricordarti di lui nella tua lettera.
Abbiamo consegnato al santo prete Lazaro, perché te le desse, non so quali medicine avute dal medico primario che si trova con noi, il quale mi assicura che gioveranno molto a sollievo dei tuoi dolori e alla guarigione della tua malattia.
Indice |
1 | Verg., Aen. 1, 94 |
2 | Ep. 229,1-2 |
3 | Horat., Carm. 1, 2, 45 |
4 | Euseb., Hist eccl. 1, 13 |