Lettere |
Scritta dopo il 395, forse nel 405.
Agostino a Lampadio sull'errore d'attribuire i peccati al destino ( n. 1-2 ) trascurato perfino dagli astrologhi quando si tratta di castigare i falli dei loro familiari ( n. 3 ).
Agostino a Lampadio
Che il tuo animo fosse non poco turbato dal problema del fato e della sorte, non solo me ne accorsi quando ero con te di persona, ma l'ho appreso anche adesso dalla tua lettera, che m'ha fatto molto piacere e che me ne ha dato una conferma più sicura.
Su tale problema ti sono debitore d'una risposta che richiede un foglio di carta abbastanza lungo.
Il Signore mi concederà di spiegartelo nella maniera ch'egli sa più adatta alla salvaguardia della tua fede.
Poiché non è un piccolo male essere spinti da false teorie non solo a commettere il peccato, attratti dagli allettamenti del piacere, ma anche ad allontanarsi dal rimedio della confessione per difendere lo stesso peccato.
Ora, per dirla proprio in due parole, sappi che, se la causa del peccato non è la volontà, tutte le leggi e tutti i principi morali, gli elogi e i rimproveri, gl'incoraggiamenti e le minacce e tutti i metodi che servono a guidare e a governare il genere umano vengono rovesciati e sovvertiti completamente e non rimane in essi la minima ombra di giustizia.
Quanto è dunque più coraggioso e più giusto biasimare, per parte nostra, gli errori degli astrologhi, anziché esser costretti a condannare e a ripudiare le leggi di Dio oppure il governo delle nostre famiglie, cosa questa che non fanno nemmeno gli stessi astrologhi?
Quando per esempio qualcuno di questi tali spaccia il fatuo fato a gente denarosa, appena stacca lo sguardo dalle tavolette d'avorio e torna alle preoccupazioni del governo della casa, dà una lavata di testa alla moglie non solo con rampogne ma anche con le busse, non dico per averla trovata a motteggiare un po' sfacciatamente, ma solo per averla vista affacciata un po' a lungo alla finestra.
Ora, se lei gli domandasse: " Perché mi batti? Batti Venere se ci riesci, perché è lei che mi spinge a fare così ", allora sì ch'egli penserebbe non già quanto sono false le parole inventate da lui per gabbare gli estranei, ma quanto sono giuste le bòtte che appioppa per castigare i suoi familiari.
Allorché dunque uno, appena è rimproverato d'una colpa, ne addossa la responsabilità al fato e non vuole esserne incolpato perché afferma d'essere stato costretto dal fato a commettere la colpa di cui viene redarguito, rientri in se stesso e applichi una simile teoria anche nei confronti dei suoi, non castighi lo schiavo da cui è stato derubato, non si lamenti del figlio insolente, non minacci il vicino disonesto.
Perché mai infatti avrebbe il diritto di fare una di queste cose, se tutti quelli dai quali riceve dei torti non sono responsabili delle proprie azioni, ma vi sono costretti dal destino?
Supponiamo al contrario che, in virtù del suo speciale diritto e con la diligenza propria del padre di famiglia, tutte le persone di qualunque condizione che ha temporaneamente alle proprie dipendenze, le esorti al bene, le distolga dal male, imponga loro d'ubbidire alla sua volontà, premi quelle che ubbidiscono ai suoi cenni e castighi quelle che trasgrediscono i suoi ordini, ricambi le persone benefiche e detesti quelle ingrate; in tal caso dovrò io forse perder tempo a discutere contro il destino, dal momento che constato ch'egli non a parole, ma a fatti, manifesta tanto profonde convinzioni, che dà l'impressione di rompere quasi con le proprie mani tutti i sassolini sulla loro testa?
Se quindi la tua avidità non è soddisfatta di queste poche righe e desidera su questo argomento un trattato da leggere più a lungo, devi aspettare ch'io abbia un po' di tempo libero e devi pregare Dio che si degni di concedermi il tempo e la possibilità di soddisfare il tuo desiderio su tale problema.
Potrò tuttavia farlo con maggior prontezza se alla tua Carità non dispiacerà ricordarmelo spesso, con una tua lettera, e se in una tua risposta mi farai conoscere il tuo giudizio sulla presente.
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