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Lettera 267

Scritta dopo il 395.

Agostino alla nobilissima dama Fabiola, angustiata per il terrestre pellegrinaggio ricordandole che gli animi non sono separati dallo spazio purché siano legati col vincolo dell'amicizia.

Agostino invia religiosi saluti a Fabiola, signora molto religiosa e illustre, figlia degna di lode nell'amore di Cristo

1. Sebbene la lettera della Santità tua fosse solo una risposta, l'ho letta in modo che ho ritenuto mio dovere di darti una risposta.

Ti sei infatti lamentata che nel terrestre pellegrinaggio non ci è concessa la fortuna di poterci intrattenere sempre con i fedeli servi di Dio e giustamente hai stimato sia meglio desiderare la patria celeste, dove nessuna distanza di luoghi ci separerà più, ma godremo sempre nella contemplazione dell'Unico.

Felice sei tu nel meditare queste realtà, come si conviene a un Cristiano; ancor più felice sei tu nell'amarle e perciò sarai anche felicissima nell'ottenerle.

Ma anche adesso considera più attentamente qual è la causa per cui si dice che siamo distanti ( gli uni dagli altri ): se cioè perché non vediamo vicendevolmente i nostri corpi o perché non possiamo scambiarci gli uni e gli altri i segni dell'animo nostro, il che si chiama conversare.

Poiché io penso che, sebbene distanti col nostro corpo in paesi lontani, se potessimo conoscere i nostri pensieri, saremmo assai più uniti che se stessimo in un medesimo luogo a guardarci vicendevolmente senza parlare, senza mostrare con parole alcun segno dei nostri intimi sentimenti, senza manifestare con alcun gesto del corpo il nostro animo.

Tu quindi capisci che ciascuno è più presente a se stesso di quanto uno lo sia a un altro, poiché ciascuno è noto a se stesso più che a un altro, non già per il fatto di guardare il volto che uno ha, che pure gli rimane nascosto se non gli sta dinnanzi uno specchio, ma per il fatto di guardare la propria coscienza ch'egli vede anche ad occhi chiusi.

Quanto poca cosa è dunque la nostra esistenza ( individuale ) che pure è stimata come un gran bene!

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