Lettere |
Agostino saluta nel Signore il venerando fratello e collega di episcopato Cirillo, signore beatissimo e degno di essere onorato con doverosi sentimenti di carità e di stima
Mi raccomando con tutto il cuore alle tue sante preghiere mentre ricambio alla tua Venerabilità deferenti saluti tramite il servo di Dio chiamato Giusto, da me conosciuto proprio recentemente come un buon fratello.
Giunto qua da noi proveniente dalle tue parti e tornando di qui nel suo paese ci ha offerto l'occasione assai gradita di adempiere il nostro dovere di ossequiare la Beatitudine tua.
Non credo poi di dover passare sotto silenzio il motivo che lo ha spinto a recarsi presso di noi: me lo ha fatto sapere e me lo ha spiegato lui stesso.
La Sincerità tua - io penso - si ricorderà di averci inviato gli Atti processuali ecclesiastici compilati nella provincia di Palestina ove Pelagio venne assolto perché ritenuto cattolico, essendosi nascosto dietro astuti sotterfugi di parole e avendo ingannato così i nostri fratelli che allora presiedevano in veste di giudici, senza che dall'altra parte alcun avversario lo confutasse.
Dopo aver considerato ed esaminato con tutta la diligenza possibile quegli atti processuali ne scrissi un libro che indirizzai ad Aurelio, nostro venerabile fratello e collega di episcopato, vescovo della Chiesa di Cartagine;1 in esso ho mostrato - nella misura della capacità concessami dal Signore - quale linea di condotta avevano seguito i giudici cattolici riguardo alle tesi sostenute da Pelagio nelle sue risposte, assolvendolo come cattolico.
Molti infatti, implicati nell'errore di Pelagio, andavano ripetendo che, in seguito all'assoluzione di Pelagio, anche le sue tesi eretiche erano state confermate come cattoliche da una sentenza dei vescovi cattolici; inoltre, poiché insistevano a diffondere dappertutto queste loro idee, un grandissimo numero di persone, ignorando quanto era accaduto, credevano che la cosa stesse così, con grande scandalo della Chiesa.
Per togliere di mezzo la suddetta opinione, ho composto con gran cura il libro in cui, secondo le mie capacità, ho dimostrato che, anche se Pelagio era stato assolto - non già da Dio, che non può essere ingannato da nessuno, ma dagli uomini ch'egli fu in grado d'ingannare - tuttavia quelle dottrine funeste erano state assolutamente condannate, come le aveva condannate lui stesso.
Questo libro, che era nelle mani del suddetto servo di Dio, Giusto, latore della presente lettera alla tua Venerabilità, ha urtato il sentimento di certuni per il fatto che in esso io sostengo che non tutti i peccatori vengono puniti col fuoco eterno; quei tali hanno affermato che il passo in questione del libro - come egli mi ha riferito - non era stato scritto da me in quei termini, ma era stato falsato da lui stesso.
Giusto quindi, turbato da quella insinuazione, è venuto per mare da me portando seco il medesimo suo manoscritto, temendo di averne una copia inesatta poiché era ben consapevole di non aver commesso alcun errore nel copiarlo.2
Collazionando quindi il suo manoscritto con quelli nostri - aiutato in ciò anche da me che conoscevo assai bene la questione - si trovò che egli possedeva una copia senza alcun errore.
Perciò, poiché ciò mi preoccupa, ho il sospetto - e Dio non voglia che sia malevolo, ma piuttosto pieno di carità, e tuttavia da non disprezzare - ho il sospetto che la frase, in cui affermo che al castigo eterno vengono condannati non tutti, ma solo alcuni peccatori, dispiaccia a coloro i quali sostengono che i fedeli servi di Dio vivono senza peccato anche in questa vita mortale e, per conseguenza, per ottenere il perdono dei loro peccati - poiché non ne hanno - non hanno bisogno nemmeno di recitare la preghiera insegnata dal Signore, con la quale tutta quanta la Chiesa ad alta voce chiede a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )
La Santità tua prevede che quei tali devono essere corretti dalla perversione di questa eresia.
È certo infatti che siffatta dottrina deriva da quella eretica di Pelagio, la quale asserisce che tutti i peccatori vengono puniti con il fuoco eterno non venendo lasciata, così, alcuna speranza di perdono a coloro i quali con veracità confessano di non essere esenti da peccati, con il risultato che in tal modo o si gonfiano di superbia, ( Dt 17,13 ) credendo che la loro vita presente non abbia alcun peccato, oppure si struggono nella disperazione poiché hanno l'impressione d'essere già destinati all'eterno castigo!
Eppure l'Apostolo per verità dice: Quello che varrà l'opera di ciascuno lo proverà il fuoco; se l'opera di uno rimarrà salda sul fondamento su cui l'ha edificata, ne riceverà la ricompensa; se invece l'opera di uno sarà distrutta dal fuoco, ne subirà il danno, ma egli tuttavia sarà salvo come [ chi passa ] attraverso il fuoco. ( 1 Cor 3,13-15 )
Questa affermazione dell'Apostolo però deve intendersi non del fuoco del giudizio finale ma di ciò che precede quel giudizio sia in questa vita che dopo la morte.
Tuttavia dev'essere evitato con ogni mezzo l'errore di credere che tutti i peccatori siano destinati a finire nel castigo del fuoco eterno qualora quaggiù non abbiano condotto una vita del tutto esente da qualsiasi peccato.
Bisogna anche badare che i seguaci di quest'opinione non si trovino a condividere anche altre tesi pelagiane non meno pazzesche o che lo sono anche di più e che questo terribile contagio non si propaghi nel popolo inconsapevole,3 fintanto che non si reprime né si guarisce un male che la preoccupazione della carità fraterna ha fatto scoprire in alcuni.
Raccomando dunque alla piissima tua Santità il nostro fratello Giusto in modo che tu non solo lo difenda contro i suoi calunniatori, ma anche riguardo a quegli stessi che a ragione sono da lui ritenuti sospetti di perdere le loro anime e d'inocularvi il veleno pelagiano, dégnati di correggerli con la tua diligenza di pastore e con la tua mitezza di padre o anche, se è necessario, con la severità adatta a eliminare il male, oppure, se li trovi sani nella fede, ( Tt 1,13 ) di liberare l'animo del suddetto fratello dallo scrupolo di quel sospetto.
Sia lui che quegli quelli sono latini: sono venuti in cotesti luoghi della Chiesa di Occidente, in cui ci troviamo anche noi.
Ecco il motivo per cui devono essere raccomandati soprattutto da noi alla tua Venerabilità perché non diano l'impressione di avere scelto cotesto paese per nascondersi impunemente in mezzo ai Greci, ove le loro discussioni sugli argomenti suddetti non sono capite e ove perciò non è facile confutare il loro errore.
D'altra parte noi facciamo questo al fine di non rattristarci per la morte spirituale di nessuno, ma piuttosto di rallegrarci - per quanto è possibile - della salvezza di tutti.
Indice |
1 | Aug., De gest. Pel. 1,1 |
2 | Aug., De gest. Pel. 3,9 |
3 | Verg., Georg . 3,469 |