Gli atti di Pelagio

Indice

1.1 - Quest'opera esamina l'autodifesa di Pelagio nel Concilio palestinese che lo assolse

Dopo che nelle nostre mani, o santo papa Aurelio, sono giunti gli Atti ecclesiastici, nei quali Pelagio è stato dichiarato cattolico dai quattordici vescovi della provincia della Palestina, è terminata la mia esitazione per la quale non mi decidevo ad esaminare in maniera un poco più ampia e libera la sua stessa autodifesa.

Io infatti l'avevo già letta in un fascicolo che egli stesso mi aveva mandato.

Ma, poiché insieme al fascicolo non avevo ricevuto da lui nessuna lettera, temevo che nelle mie parole venisse a trovarsi qualcosa di diverso da ciò che si leggesse negli Atti vescovili.

E così, se Pelagio negava d'esser stato lui a mandarmi quel fascicolo, non essendo facile poterlo confutare con la mia sola testimonianza, io piuttosto da coloro che lo spalleggiassero nel suo diniego sarei stato accusato o di sospetta falsità o, per dirla con più moderazione, di temeraria credulità.

Ora dunque, poiché posso analizzare i fatti sulla testimonianza degli Atti, si vedrà se Pelagio abbia difeso la propria causa come già mi è sembrato che abbia fatto.

Scartato ormai ogni dubbio, certamente la santità tua ed ognuno che legga giudicherà con maggiore facilità e sicurezza sia della sua difesa, sia di questo nostro libro.

1.2 - La scienza della legge aiuta a non peccare

Prima di tutto rendo indicibili grazie al Signore Dio, nostro governatore e nostro custode, di non essere stato tradito dalla stima che avevo dei nostri santi fratelli e coepiscopi che sedettero come giudici in quella causa.

Non senza ragione infatti essi approvarono le risposte di Pelagio, attenti non a come egli aveva esposto nei suoi scritti quanto gli si addebitava, ma a come egli rispondeva presentemente nell'esame diretto.

Altro è infatti il caso di una fede non sana e altro il caso di una esposizione non cauta.

Per venire infine al concreto, secondo il libello sporto dai nostri santi fratelli e coepiscopi galli, Eros e Lazzaro, i quali non poterono assolutamente esser presenti, a causa di una grave malattia d'uno di loro - questo è il motivo più probabile che abbiamo appreso in seguito -, tra le accuse mosse e lette a Pelagio la prima fu d'aver scritto in un suo libro: " Non può esser senza peccato se non chi ha la conoscenza della legge ".

Dopo la lettura di essa il Sinodo chiese: " Hai scritto così, Pelagio? ".

Ed egli rispose: " L'ho scritto senza dubbio, ma non nel senso inteso da costoro.

Di chi ha la conoscenza della legge non ho detto che non può peccare, ma che dalla stessa conoscenza della legge viene aiutato a non peccare, come è scritto: Egli ha dato la legge in loro aiuto ". ( Is 8, 20 sec. LXX )

A questa risposta il Sinodo disse: " Non sono contrarie alla Chiesa le affermazioni di Pelagio ".

Certamente non sono contrarie le risposte date da lui, ma altro è il senso di quello che fu allegato dal suo libro.

I vescovi però, che erano persone di lingua greca e ascoltavano le parole di Pelagio attraverso un interprete, non si curarono d'esaminare tale differenza, guardando solamente a quello che l'interrogato diceva d'aver ritenuto e non con quali parole si diceva esser stata scritta la medesima sentenza nel suo libro.

1.3 - La scienza della legge non è l'unico mezzo per non peccare

Ora, altro è che l'uomo venga aiutato a non peccare dalla conoscenza della legge e altro che non possa esser senza peccato se non chi ha la conoscenza della legge.

Vediamo infatti per esempio che le messi si possono battere anche senza le trebbie, benché queste siano di valido aiuto se ci sono.

Senza pedagoghi i fanciulli possono andare a scuola, benché non siano inutili le prestazioni dei pedagoghi.

Molti senza medici possono guarire da una malattia, sebbene siano risaputi i vantaggi dell'assistenza medica.

Gli uomini possono vivere con altri cibi senza il pane, benché non si neghi che è considerevolissimo l'apporto del pane.

Molte altre esperienze si affacciano con facilità a chi ci pensa, senza che noi ne parliamo.

Da tutto questo siamo certamente portati a pensare che gli aiuti sono di due specie.

Alcuni sono tali che senza di essi non si può ottenere ciò per cui aiutano: per esempio senza nave nessuno naviga, senza voce nessuno parla, senza piedi nessuno cammina, senza luce nessuno vede, e molti altri fatti simili, tra i quali anche questo: nessuno vive rettamente senza la grazia di Dio.

Altri mezzi al contrario ci aiutano così che anche senza di essi resta possibile ottenere per altro verso il risultato per cui cerchiamo tali mezzi, come negli esempi già ricordati da me: le trebbie per battere le messi, il pedagogo per accompagnare i ragazzi, una medicina preparata dalla scienza umana per ricuperare la salute, e tutti gli altri mezzi di tal genere.

Dobbiamo dunque chiederci a quali di queste due categorie appartenga la conoscenza della legge, ossia in che modo aiuti a non peccare.

Se in tal modo che senza di essa è impossibile non peccare, Pelagio non solo rispose bene in giudizio, ma scrisse bene anche nel suo libro.

Se invece ci fa ottenere, senza dubbio, lo scopo quando è presente, ma senza compromettere che anche in sua assenza il medesimo risultato si possa ottenere per altro verso, Pelagio rispose certamente bene in giudizio e giustamente piacque ai vescovi la sua affermazione: " L'uomo viene aiutato a non peccare dalla conoscenza della legge ", ma non scrisse bene nel suo libro: " Non può esser senza peccato se non chi ha la conoscenza della legge ".

I giudici lasciarono questa dichiarazione senza discuterla, perché erano ignari della lingua latina, perché erano contenti della confessione di colui che stava difendendosi in tribunale, e soprattutto perché non c'era dall'altra parte nessuno che costringesse l'interprete a spiegare le parole del libro di Pelagio e a chiarire ciò che con ragione urtava i fratelli.

Pochissimi sono infatti quelli che possiedono la conoscenza della legge ed invece la grande massa delle membra del Cristo, diffuse dappertutto, è ignara di una legge così profonda e molteplice.

Il vanto dei fedeli è costituito tutto dalla pietà d'una fede semplice e da una speranza fermissima in Dio e da una carità sincera.

Ricca per grazia di Dio di questi doni, la massa dei fedeli confida di poter essere mondata dai suoi peccati mediante Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 )

2.4 - I bambini si salvano senza la scienza della fede

Se a ciò per caso Pelagio rispondesse che la conoscenza della legge, senza la quale disse impossibile all'uomo esser libero da peccati, è per lui quella stessa che s'impartisce ai neofiti e ai piccoli nel Cristo mediante l'insegnamento della fede e con la quale si catechizzano anche i battezzandi perché conoscano il Simbolo, allora gli faremmo osservare che non è certo cotesta la conoscenza di cui si tratta quando di qualcuno si dice che ha la conoscenza della legge, bensì quella secondo la quale si parla di periti della legge.

Del resto se Pelagio chiamasse conoscenza della legge queste semplici nozioni del Simbolo che sono poche di numero, ma grandi di peso e che secondo l'uso di tutte le Chiese si fanno imparare fedelmente ai battezzandi - asserendo che di queste egli ha detto: " Non può esser senza peccato se non chi ha la conoscenza della legge " -, attesa la necessità d'impartire tali nozioni ai credenti prima che siano ammessi alla stessa remissione dei peccati, anche in tal caso egli si verrebbe a trovare in mezzo ad una moltitudine innumerevole di bambini battezzati, incapaci di disquisire, ma capaci di vagire, che si metterebbero a gridare non con parole, ma con la stessa verità dell'innocenza: - Che è, che è mai quello che hai scritto: " Non può esser senza peccato se non chi ha la conoscenza della legge "?

Ecco, noi siamo un grande gregge di agnelli senza peccato e tuttavia non abbiamo la conoscenza della legge -.

Almeno questi bambini con la loro lingua che tace lo costringerebbero certamente a tacere, oppure forse anche a confessare o di essersi adesso corretto di quell'errore o d'aver ritenuto senza dubbio anche prima la medesima opinione da lui espressa davanti al tribunale ecclesiastico, ma di non aver adoperato per tale sentenza parole ben ponderate e che perciò la sua fede era da approvarsi e il suo libro da emendarsi.

Come è infatti scritto: C'è chi sdrucciola con la sua lingua, ma non di proposito. ( Sir 19,16 )

Se Pelagio avesse detto o dicesse così, chi non perdonerebbe con la massima facilità alle sue parole scritte incautamente e distrattamente, non difendendo egli la sentenza contenuta in quelle sue parole, ma facendo sua la sentenza conforme alla verità?

Ciò è da credere abbiano pensato anche quei santi giudici, se pur poterono capire sufficientemente dopo una diligente traduzione quello che si trova nel suo libro latino, come non giudicarono contraria alla Chiesa la sua risposta resa in lingua greca e per questo facilmente compresa.

Ma vediamo ormai gli altri punti.

3.5 - Il governo della propria volontà non esclude nell'uomo il governo di Dio

Il Sinodo episcopale continuò dicendo: " Si legga un'altra imputazione ".

E si lesse che Pelagio aveva scritto nel suo medesimo libro: " Tutti sono governati dalla propria volontà ".

Terminata la lettura, Pelagio rispose: " Questo l'ho detto per il libero arbitrio, al quale Dio presta il suo aiuto nello scegliere il bene.

Quando invece l'uomo pecca, sua è la colpa, dotato com'è di libero arbitrio ".

Ciò udito, i vescovi dissero: " Nemmeno questo è contrario alla dottrina della Chiesa ".

Chi infatti condannerebbe o negherebbe il libero arbitrio, se insieme ad esso si sostiene l'aiuto di Dio?

Perciò da una parte giustamente piacque ai vescovi la risposta di Pelagio e dall'altra parte tuttavia la frase del suo libro: " Tutti sono governati dalla propria volontà " dovette necessariamente colpire i nostri fratelli che conoscevano le contestazioni solite a farsi dai pelagiani contro la grazia di Dio.

L'affermazione infatti che " tutti sono governati dalla propria volontà " è posta da loro come se Dio non governasse nessuno e come se fosse stato scritto invano: Salva il tuo popolo e la tua eredità benedici, governali e sostienili per sempre. ( Sal 28,9 )

Se gli uomini fossero governati dalla propria volontà senza Dio, rimarrebbero come pecore prive di pastore ( Mc 6,34 ): e ciò non sia mai vero per noi.

Certamente infatti essere portati è più che essere governati: chi è governato agisce anche lui in qualche modo e viene governato proprio perché agisca in modo buono; chi invece è portato è quasi impossibile capire che faccia anch'egli qualcosa.

Tuttavia è così tanto quello che la grazia del Salvatore presta alle nostre volontà che l'Apostolo non esita a dire: Tutti quelli che sono portati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. ( Rm 8,14 )

E nulla di meglio può fare in noi la volontà libera che lasciarsi portare da colui che non può agire male, e dopo che l'ha fatto non dubiti che a farlo è stata aiutata da colui al quale si dice in un salmo: O mio Dio, la tua misericordia mi preverrà. ( Sal 59,11 )

3.6 - Una testimonianza biblica contro l'autogoverno dell'uomo

Inoltre nel libro dove Pelagio scrisse quelle proposizioni, all'affermazione che " tutti sono governati dalla propria volontà e ciascuno è lasciato al proprio desiderio " egli aggiunse una testimonianza delle Scritture, dalla quale ben apparisce che l'uomo non deve affidare se stesso al suo proprio governo.

Dice infatti a proposito di ciò nella Sapienza di Salomone: Anch'io sono un uomo mortale come tutti, discendente del primo essere plasmato di creta … ( Sap 7,1 ) fino alla fine del passo dove si legge: Si entra nella vita e se ne esce alla stessa maniera.

Per questo pregai e mi fu elargito il senso della prudenza, implorai e venne in me lo Spirito della sapienza. ( Sap 7,6-7 )

Non apparisce più chiaro della luce come Salomone, considerando la miseria della fragilità umana, non osò abbandonarsi al proprio governo, ma desiderò e gli fu dato quel senso di cui l'Apostolo dice: Noi invece abbiamo il senso del Signore ( 1 Cor 2,16 ); implorò e venne in lui lo Spirito della sapienza?

Da questo Spirito appunto e non dalle forze della propria volontà vengono governati e portati coloro che sono figli di Dio. ( Rm 8,14 )

3.7 - La volontà basta all'uomo per fare il male, non per fare il bene

Nel medesimo libro delle Proposizioni come se volesse dimostrare che " tutti sono governati dalla propria volontà ", allega anche il testo del salmo: Ha amato la maledizione: ricada su di lui!

Non ha voluto la benedizione: da lui si allontani! ( Sal 109,17 )

Chi ignora che un tale comportamento è vizio non della natura come l'ha creata Dio, ma della volontà umana che si è allontanata da Dio?

Ma tuttavia, se non avesse amato la maledizione e avesse voluto la benedizione e negasse che in questa stessa scelta la sua volontà è stata aiutata dalla grazia divina l'uomo, ingrato ed empio, sarebbe abbandonato a governarsi da sé, perché, caduto a rompicollo senza più esser governato da Dio, capisse dall'esperienza delle pene che non aveva potuto governarsi da se stesso.

Così pure nel testo a cui ricorre nel medesimo libro e per il medesimo scopo: Ti ho messo davanti l'acqua e il fuoco: stendi la mano dove vuoi.

Davanti agli uomini stanno il bene e il male, la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà, ( Sir 15,17-18 ) è chiaro che se l'uomo stende la mano al fuoco, se gli piace il male e la morte, ciò dipende dalla sua volontà; se al contrario ama il bene e la vita, allora non è solamente la sua volontà che agisce, ma viene aiutata da Dio.

L'occhio per esempio basta a se stesso per non vedere, cioè per le tenebre, ma per vedere non gli basta la sua luce interiore, se non gli si offre in aiuto una chiara luce esteriore.1

Lungi però da noi l'affermare che quanti sono stati chiamati da Dio secondo il suo disegno, che quanti Dio ha preconosciuti e predestinati ad esser conformi all'immagine del suo Figlio, ( Rm 8,28-29 ) siano abbandonati al proprio desiderio perché periscano.

Questo è ciò che subiscono i vasi d'ira che sono stati fatti per la perdizione; e pur nella loro stessa perdizione Dio manifesta la ricchezza della sua gloria verso i vasi della sua misericordia. ( Rm 9,22-23 )

Per questo, dopo aver detto: O mio Dio, la tua misericordia mi preverrà, ( Sal 59,11 ) aggiunge immediatamente: Il mio Dio mi si è mostrato nei miei nemici. ( Sal 59,12 )

Per i vasi d'ira dunque si avvera quello che è scritto: Dio li ha abbandonati ai desideri del loro cuore. ( Rm 1,24 )

Ciò non avviene invece per i predestinati che lo Spirito di Dio governa, non risonando vana la loro supplica: Non mi abbandonare, Signore, ai miei desideri peccaminosi. ( Sal 140,9 )

E contro gli stessi desideri è stata rivolta la preghiera in cui si dice: Sensualità e libidine non s'impadroniscano di me, a desideri vergognosi non mi abbandonare. ( Sir 23,6 )

Dio concede questi benefici a coloro che governa egli stesso come sudditi, non invece a coloro che si stimano in grado di governarsi da sé e disdegnano con dura presunzione d'aver Dio per governatore della loro propria volontà.

3.8 - Ambiguità di Pelagio

In questo stato di cose, i figli di Dio che conoscono tali verità e si rallegrano d'esser governati e portati dallo Spirito di Dio, in che modo dovettero urtarsi a sentire o a leggere queste parole di Pelagio: " Tutti sono governati dalla propria volontà e ciascuno è lasciato al proprio desiderio "!

E tuttavia, mentre veniva interrogato dai vescovi, Pelagio avvertì come suonassero male le sue parole e rispose: " Questo l'ho detto per il libero arbitrio ", aggiungendo subito: " Al quale Dio presta il suo aiuto nello scegliere il bene; quando invece l'uomo pecca, sua è la colpa, a causa del libero arbitrio ".

Quei pii giudici, approvando anche questa dichiarazione, non vollero esaminare o indagare con quanta sbadataggine o in quale senso avesse scritto quelle parole nel suo libro e ritennero sufficiente che costui avesse ammesso il libero arbitrio così da dire che Dio presta all'uomo il suo aiuto nello scegliere il bene e che invece nel peccare è colpevole l'uomo, bastandogli a ciò la propria volontà.

Dio dunque governa coloro che aiuta a scegliere il bene.

Ed è per questo che essi governano bene tutto ciò che governano, perché essi stessi sono governati dal Bene.

3.9 - Non tutti i peccatori vanno all'inferno

Fu letto altresì dal libro di Pelagio: " Nel giorno del giudizio non ci dovrà esser perdono per gli iniqui e i peccatori, ma dovranno esser bruciati da fuochi eterni ".

Quest'affermazione in tanto aveva mosso i nostri fratelli a credersi in dovere di contestarla in quanto era stata fatta nel senso che tutti i peccatori dovessero esser puniti dal supplizio eterno, non esclusi coloro che hanno come proprio fondamento il Cristo, ( 1 Cor 3,11-12 ) benché sopra di lui edifichino con legno, fieno e paglia.

Di questi dice l'Apostolo: Se l'opera di qualcuno finirà bruciata, sarà punito, tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco. ( 1 Cor 3,15 )

Avendo risposto Pelagio che " questo l'aveva detto secondo il Vangelo, dove si dichiara riguardo ai peccatori: E se ne andranno questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna", ( Mt 25,46 ) non poté dispiacere in nessun modo a giudici cristiani la sentenza del Vangelo e del Signore.

Ignoravano essi che cosa nelle parole prese dal libro di Pelagio avesse turbato i nostri fratelli, avvezzi a sentire le discussioni sue o dei suoi discepoli.

Ma erano assenti coloro che avevano presentato al santo vescovo Eulogio il libello d'accusa contro Pelagio, e nessuno faceva pressione perché Pelagio distinguesse con qualche riserva i peccatori destinati a salvarsi attraverso il fuoco dai peccatori destinati al castigo del supplizio eterno.

Solo in tal modo i giudici avrebbero potuto capire il motivo per cui era stata avanzata quella obiezione e Pelagio sarebbe stato giustamente condannato se non avesse voluto distinguere.

3.10 - Pelagio attacca un errore dell'origenismo

La postilla poi aggiunta da Pelagio: "Se qualcuno crede diversamente è origenista" i giudici l'accettarono come corrispondente a ciò che la Chiesa in realtà riprova giustissimamente in Origene: l'opinione cioè che anche coloro che il Signore dice destinati al castigo del supplizio eterno e lo stesso diavolo e i suoi angeli, dopo che si siano purificati per un tempo lungo quanto si vuole, saranno liberati dalle pene e si uniranno ai santi che regnano con Dio in comunione di beatitudine.

Il punto dunque di cui il Sinodo ha detto, non secondo Pelagio, ma piuttosto secondo il Vangelo: "Non è contrario alla Chiesa" è questo: saranno bruciati da fuochi eterni esattamente gli iniqui e i peccatori che il Vangelo giudica degni di tale supplizio; per cui condivide detestabilmente la sentenza di Origene chiunque dice che un giorno potrà finire il loro supplizio, che il Signore ha definito eterno.

Quanto invece ai peccatori di cui l'Apostolo prevede la salvezza quasi attraverso il fuoco distruggitore delle loro opere, ( 1 Cor 3,15 ) poiché nulla fu obiettato esplicitamente a Pelagio in rapporto ad essi, i vescovi non pronunziarono nessun giudizio.

Perciò non sbaglia Pelagio a chiamare origenista chi dice che gli iniqui e i peccatori condannati dalla Verità all'eterno supplizio potranno un giorno esser liberati.

D'altra parte però, a chi non ritiene degno di misericordia nel giudizio di Dio nessun peccatore Pelagio dia il nome che vuole, purché comprenda che dalla verità ecclesiastica non è accolto nemmeno questo errore.

Infatti il giudizio sarà senza misericordia, ma per chi non avrà usato misericordia. ( Gc 2,13 )

3.11 - Rimane incerto il pensiero di Pelagio sulla sorte dei peccatori

Come poi avverrà questo giudizio è difficile poterlo capire dalle Scritture sante, perché viene descritto in molte maniere ciò che si compirà in una sola maniera determinata.

Una volta il Signore dice che chiuderà la porta in faccia a coloro che non accoglierà nel suo regno e al loro reclamo: Aprici.

Abbiamo mangiato e bevuto nel tuo nome ( Lc 13,25-26 ) e a tutte le altre proteste che faranno, come sta scritto, risponderà: Non vi conosco, voi che siete operatori d'iniquità. ( Lc 13,27 )

Una volta dice che si farà condurre quanti non hanno voluto che egli regnasse e li farà uccidere davanti a sé. ( Lc 19,27 )

Un'altra volta dice che verrà con i suoi angeli nella sua maestà, perché siano radunate al suo cospetto tutte le genti e divise in due gruppi: alla sua destra quelli da portare alla vita eterna, dopo che ne avrà celebrato le opere buone, e alla sua sinistra quelli da condannare al fuoco eterno, dopo che li avrà rimproverati di sterilità nelle opere buone. ( Mt 25,31-46 )

Una volta comanda che, legato mani e piedi, sia gettato fuori nelle tenebre il servo cattivo e pigro che ha trascurato d'investire il denaro ricevuto ( Lc 19,22-24 ) o anche l'uomo trovato privo, nel convito, di veste nuziale. ( Mt 22,11-13 )

Una volta, dopo aver fatto entrare le cinque vergini sagge, chiude la porta in faccia alle altre cinque vergini stolte. ( Mt 25,10-12 )

Tutto questo e altro se c'è che ora non viene in mente è detto del giudizio futuro che ha da esser celebrato non per una persona sola o per cinque, ma per molte.

Perché, se l'ordine d'esser buttato fuori dalla sala del convito nelle tenebre per non aver la veste nuziale colpisse uno solo, Gesù non direbbe subito di seguito: Molti sono chiamati, ma pochi eletti. ( Mt 22,14 )

Tanto più che di fronte ad uno respinto e condannato è evidente che molti rimasero dentro.

Ma sarebbe lunghissimo discutere ora a sufficienza su tutti questi dettagli.

Brevemente tuttavia posso affermare, senza pregiudizio di un migliore esame - come si suole dire nei conti d'amministrazione -, che il giudizio, che si svolgerà in un certo qual modo per noi inscrutabile, salva comunque in ogni caso la diversità dei meriti nei premi e nelle pene, viene indicato in molti modi dalle Scritture Sante.

Ecco però quanto basta all'argomento di cui adesso si tratta: se Pelagio avesse detto che tutti assolutamente i peccatori dovranno esser puniti con il fuoco eterno e con il supplizio eterno, chiunque avesse approvato un tal giudizio avrebbe pronunziato contro se stesso prima di tutto una sentenza di condanna.

Infatti è scritto: Chi può dire: Sono mondo dal peccato? ( Pr 20,9 )

Poiché però Pelagio non disse né tutti né alcuni, ma si espresse indeterminatamente e protestò d'attenersi al senso del Vangelo, dal tribunale episcopale fu, sì, confermata una sentenza vera, ma non risulta ancora chiaro quale sia la sentenza di Pelagio e senza impertinenza se ne va alla ricerca anche dopo questo pronunziamento episcopale.

Indice

1 Aug., De nat. et gr. 48,56