Lettere |
Promemoria per il diacono Faustino
Sebbene tu sia stato inviato alla volta delle Gallie a ordinare una nave per la faccenda del prete Eraclio, tuttavia, se ne avrai l'occasione, insisti presso Novato, mio fratello e collega nell'episcopato, perché si degni d'interessarsi d'una faccenda della Chiesa.
Si tratta del denaro che la vedova di Basso fece mettere sotto sequestro chiedendo una dilazione fino al primo luglio, poiché in seguito il tribuno Fiorentino scrisse al medesimo depositario del denaro sequestrato di non dare alla Chiesa quello stesso denaro che, a quanto aveva scritto il conte Sebastiano, doveva essere dato.
Alcuni anni fa il conte Bonifacio, essendo ancora vivo il domesticus Fiorentino, donò alla Chiesa una somma di denaro affidandola a due persone presso le quali l'aveva depositata il tribuno Basso [ prendendola ] dal conto di Bonifacio, e dalle quali aveva preso le ricevute del deposito, da essi compilate a suo nome.
Uno di loro dunque, ch'era disposto a rendere alla Chiesa la parte di denaro che avevano in deposito presso di loro, reclamava la ricevuta ch'egli aveva rilasciato a Basso.
Di quella somma, tuttavia, il depositario ne rimise alla Chiesa una parte, più o meno ottanta solidi d'oro, se non sbaglio, che la Chiesa distribuì per le proprie necessità, considerandoli presi dai propri beni.
Dopo un certo tempo anche quel banchiere morì, lasciando degli eredi.
In seguito però la vedova di Basso venne a Ippona e ricevette il resto del denaro, cioè la somma più consistente, dagli eredi di quel medesimo banchiere e restituì loro la ricevuta del deposito.
Essa tuttavia diceva di essere disposta a sborsare alla Chiesa quei medesimi solidi d'oro e a rimettere la ricevuta della persona che aveva l'altra parte del denaro rimasta nelle proprie mani.
Poiché - lo abbiamo già detto - la rimessa fiduciaria del denaro in credito era stata fatta a dei banchieri diversi.
Essa dunque diceva che voleva rendere alla Chiesa non solo i soldi ricevuti dagli eredi dell'uno, ma anche la ricevuta dell'altro, ma voleva che [ prima ] le fosse reso il chirografo del proprio marito rilasciato al conte e concernente quella faccenda, oppure venisse annullato qualora non fosse possibile restituirlo.
Dopo che fu fatto così, non volle rendere alla Chiesa ciò che prima asseriva di voler fare, ma pose il denaro sotto sequestro e chiese una dilazione fino al primo di luglio.
Partì poi da Ippona alla volta di Sitifi o per trattare colà - come asseriva - una certa faccenda o per recarsi anche a Tipasa.
Ma pochi giorni dopo il tribuno Feliciano scrisse al sequestratario di non rendere alla Chiesa - secondo la decisione presa dalla donna - i " solidi " d'oro che il conte Sebastiano aveva ordinato alla donna di rendere dopo essere stato reso inefficace il chirografo del marito.
Pregherai dunque il fratello Novato di esaminare attentamente il caso qui esposto, soprattutto al fine di evitare che noi dessimo l'impressione di opprimere una vedova; in tal modo, se egli verrà a sapere che il denaro appartiene a lei, ne informi il conte Sebastiano specialmente riguardo al fatto che la Chiesa ha già distribuito come suo [ parte di quel denaro ].
Non gli costerà infatti nulla di farlo restituire alla donna per evitare che ne venga reclamata alla Chiesa la restituzione per via legale.
Se invece il vescovo verrà a conoscere che la causa della donna è ingiusta, faccia in modo che sia dato ordine o il permesso al sequestratario di restituire alla Chiesa il danaro depositato preso di lui, dopo aver fatto togliere l'interdizione del tribuno Feliciano.
Se invece la donna non si trova a Sitifi, il fratello Novato veda che cosa risponderà su ciò il tribuno Feliciano e il caso venga portato a conoscenza del conte Sebastiano, il quale, in base a quelle informazioni, potrà decidere quanto gli parrà opportuno decidere.
Indice |