Lettere |
Agostino saluta nel Signore il proprio santo fratello e collega nel presbiterato Girolamo, signore degno d'essere onorato con i più profondi sentimenti d'amore cristiano
Per mezzo del diacono Palatino, figlio nostro e mio concittadino, ho ricevuto la lettera della Santità tua insieme all'altra lettera che hai avuto la bontà d'inviarmi per mezzo di Lazzaro, santo mio collega d'episcopato.
Avevo però già ricevuto anche in antecedenza tue notizie per mezzo del nostro figlio, il prete Orosio, dal quale venni a sapere molte cose, e così pure pochi giorni addietro ho ricevuto un'altra tua lettera inviatami per mezzo del prete Innocenzo.
Per mezzo di lui avevo risposto non solo alla Dilezione tua ma anche ad altri, di cui egli mi aveva recapitato le lettere, e a certe persone che non mi avevano fatto recapitare alcuno scritto per mezzo di lui, pregandolo di portare alla Santità tua le copie necessarie delle mie lettere che allo stesso tempo feci eseguire per lui; in quelle lettere non ho taciuto ciò che ho creduto doveroso dire a proposito dell'empio errore di certi individui, ch'è motivo non piccolo di turbamento per la Chiesa.
Ho sentito dire che sono veramente già arrivati alla Corte imperiale i libri che tu hai pubblicato recentemente contro questa medesima esiziale eresia.
Siccome quei libri cominciano a farsi conoscere, è già cominciato a diminuire di molto il numero di tanti individui perversi che sostenevano sfacciatamente tesi di tal genere, poiché lo stesso Pelagio non osa difenderle apertamente, ma difende se stesso dicendo che tale non è il suo pensiero.
Egli infatti si è preoccupato di far arrivare anche a me la sua breve e recente apologia, come l'intitola lui stesso, contro l'accusa di opinioni eretiche lanciatagli dai [ vescovi ] della Gallia.
Molte e insostenibili di quelle tesi nega che siano sue e di alcune di esse cambia il senso con un'astuzia ben dissimulata.
Non è pertanto poco, grazie alla misericordia di Dio, che nemmeno lui osi più difendere sfacciatamente ciò che temiamo sia creduto dai deboli.
Per conseguenza, o mio signore e santo fratello, degno d'essere onorato con i più profondi sentimenti di amore cristiano, non dispererò che anche lui, essendo un uomo, confesserà un giorno, con un sincero pentimento, d'essere caduto in un empio errore.
Ora dunque ho trovato l'occasione d'un latore nel servo di Dio Luca, che il diacono Palatino mi ha fatto capire di conoscere assai bene, e mi ha promesso che tornerà al più presto da noi e per lui mi si è fatto garante che non devo esitare ad affidargli lettere di qualunque genere da recapitare; per mezzo di lui [ ti ] mando il libro del medesimo Pelagio.
Me lo consegnarono i servi di Dio Timasio e Giacomo, che il Signore ha liberato da quell'errore mediante la mia povera opera.
Essi erano discepoli di Pelagio e a lui assai cari.
Ti mando anche il libro con cui gli ho risposto: mi avevano chiesto quest'opera con insistenza e avevo previsto che sarebbe stata loro utile e salutare; poiché ho scritto a essi e non a Pelagio, rispondendo tuttavia alla sua opera e alle sue parole, ma senza fare ancora il suo nome, poiché desideravo correggerlo come un amico, cosa - lo confesso - che desidero ancora e non dubito che lo voglia ugualmente la Santità tua.
Infine ho scritto adesso anche a lui qualche rigo che - se non m'inganno - riceverà di malanimo, ma che forse in seguito gli gioverà per riacquistare la salute.
A proposito di lui ho scritto anche una lunga lettera ai vescovi Eulogio e Giovanni e un'altra breve al santo prete Passerione.
Ho consegnato questi scritti con l'ordine di recapitarli tutti alla Sincerità tua; ma alla prima occasione di qualsiasi specie che mi si presenterà avrò cura, con l'aiuto del Signore, d'inviare alla Fraternità tua una copia di tutte le suddette lettere firmate di mia propria mano, che - ne sono sicuro - ti è ben nota, perché tu sappia e me lo faccia sapere con una tua risposta [ in cui indichi ] che non solo ti sono giunte tutte, ma anche integre ed esenti da errori.
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