Lettere |
Agostino saluta nel Signore Fabiola, signora assai religiosa, figlia assai venerabile ed eccellentissima
Mi sono rallegrato di aver ricevuto per tramite del fratello mio [ *** ] la risposta della Santità tua; potessi io contraccambiarti le parole di saluto senza trovarmi nella tristezza.
Adesso invece per la prima volta proprio io, tormentato dal dolore, sono diventato importuno e molesto alla tua santa tranquillità, ma sopportami con pazienza: possa tu perseverare sino alla fine con profitto nella grazia di Cristo. ( Mt 10,22; Mt 24,13 )1
So infatti che le mie lettere non ti arrecano mai molestia ma piuttosto gioia.
Scusa questa lettera, poiché contiene molti motivi di dolore per te ma per la vicendevole carità in Cristo cerca di condividere con me i miei dolori e alle mie unisci le tue preghiere a Dio, nostro Signore, affinché ci consoli.
Sono venuto a sapere con quanta bontà e spirito di fede hai accolto Antonino, figlio e collega mio nell'episcopato, e con quanta cristiana benevolenza hai alleviato la sua mancanza di risorse dandogli ospitalità.
Sta' dunque a sentire chi sono io per Antonino e chi è Antonino per me; che cosa io devo a lui e che cosa io chiedo a te.
Egli venne ad Ippona da piccolo con la madre e il patrigno; erano tanto poveri che non avevano il necessario per il sostentamento quotidiano; in fine, avendo essi fatto ricorso all'aiuto della Chiesa e avendo io saputo che il padre di Antonino era ancora vivo e che sua madre s'era separata da lui e si era unita con un altro uomo, convinsi ambedue a vivere in continenza, e così il patrigno con il suo ragazzo [ fu accolto ] nel monastero, la madre nell'ospizio dei poveri sostentati dalla Chiesa, e perciò grazie alla misericordia di Dio cominciarono a vivere tutti e tre a nostre spese.
In seguito, con il passare del tempo - per non farla troppo lunga - quello morì, essa invecchiò, il bambino crebbe; tra i suoi compagni esercitava l'ufficio di lettore e già aveva cominciato a mostrare tali qualità che il nostro fratello Urbano - il quale era allora presso di noi sacerdote e superiore del monastero, ora invece è vescovo della Chiesa di Sicca - volle, durante la mia assenza, farlo ordinare prete in una grande tenuta sita nella nostra diocesi, poiché alla mia partenza gli avevo ingiunto di scegliere qualcuno [ dei monaci ] che, senza aspettare il mio ritorno, fosse ordinato in quella località dal vescovo vicino.
La cosa - è vero - non poté effettuarsi per il rifiuto opposto da quel vescovo, ma tuttavia, essendo in seguito venuto a sapere il fatto, presi a considerare Antonino come indispensabile per quell'incarico, non per il fatto che io lo conoscessi quanto sarebbe stato necessario, ma sulla testimonianza del suo superiore.
Nel frattempo, non bastavo da solo a governare la diocesi assai vasta, come l'esigeva il bisogno, in quanto s'erano venute ad aggiungere non solo molte persone in città, ma anche molte comunità nelle campagne, provenienti dalla sètta di Donato; perciò, dopo aver discusso a fondo il progetto con i fratelli, mi parve opportuno che in una borgata, chiamata Fussala, dipendente dalla sede episcopale d'Ippona, fosse ordinato un vescovo al quale appartenesse la cura di quella regione.
Mandai a prendere il primate; egli si degnò di venire; all'ora fissata il prete che credevo di avere pronto per il mio scopo ci lasciò in asso.
Che cosa avrei dovuto fare allora per agire bene, se non rinviare un atto così importante?
Ma io temevo che, se il santo primate, il quale a stento era venuto da noi da lontano, fosse partito da noi e fosse tornato a casa sua senza aver compiuta quella funzione, tutti coloro per i quali era stato indispensabile fosse compiuta quella ordinazione, si sarebbero scoraggiati e ci sarebbero stati di quelli che i nemici della Chiesa avrebbero potuto ingannare prendendosi gioco della nostra iniziativa andata a vuoto; per questo motivo ritenni utile presentare quel [ nostro monaco ], che si trovava lì, per farlo ordinare, dal momento che avevo sentito dire che conosceva anche la lingua punica.
In realtà non furono i fedeli a chiederlo di loro spontanea volontà, ma non osarono rifiutarlo sembrando loro ch'egli fosse uno dei miei e di mio gradimento.
Sottoposi dunque a una carica sì importante un giovane che aveva non più di vent'anni senza che fosse stato prima sottoposto alla prova in alcun grado del clericato, e del quale io non conoscevo il carattere che avrei dovuto conoscere in precedenza.
Ebbene, tu vedi quale fu il mio enorme peccato: considera che cosa ne seguì.
L'animo del giovane, salito d'un tratto alla carica di vescovo senza alcun merito di fatiche precedenti, fu assalito dallo spavento; in seguito però, vedendo che gli erano soggetti chierici e fedeli - come poi lo mostrò la realtà - si gonfiò dell'arroganza del dispotismo e, non insegnando nulla con la parola, ma costringendo a far tutto autoritariamente, si compiaceva di farsi temere quando vedeva che non riusciva a farsi amare.
Per sostenere quella parte andò in cerca d'individui simili a lui.
C'era nel nostro monastero un tale che aveva fatto lo stenografo della mia segreteria il quale, con mio grande dolore, era diventato un poco di buono; per essere stato trovato a parlare da solo con alcune religiose in un'ora inopportuna era stato sottoposto alla fustigazione dal superiore e aveva quindi perso la reputazione.
Costui, abbandonato il monastero, si recò presso il vescovo, di cui parliamo, e da lui fu subito ordinato prete senza chiedermi consiglio e a mia insaputa.
Io infatti venni a sapere che ciò era successo prima che avessi potuto crederlo possibile, sebbene un tale, al quale avrei dovuto credere, me ne avesse parlato.
Vorrei che tu mi credessi, non riuscendo a spiegartelo, quanta tristezza invase allora, in verità, il mio cuore per la paura di vedere un giorno la rovina di quella Chiesa che sarebbe avvenuta per colpa di lui.
Presentatasi tuttavia un'occasione - quando proprio il medesimo vescovo mi espose le sue lamentele assai gravi sul conto di quel prete di tal fatta - procurai che fosse scomunicato e fosse restituito alla sua patria dalla quale m'era stato dato.
Così era avvenuto, ma non so come, senza chiedere il mio consiglio, lo restituì alla propria comunione e amicizia.
Egli fece anche diacono un altro [ monaco ] datogli per verità dal nostro monastero con un regolare ordine ma non si dimostrò turbolento se non quando fu diacono.
Quali sventure furono costrette a subire quella borgata e quelle circostanti a causa di questi due chierici, il prete e il diacono, per causa del difensore della Chiesa e per colpa anche di un altro individuo ex soldato o disertore, al quale più abitualmente impartiva ordini, e a causa, inoltre, degli uomini di quella medesima borgata ch'egli aveva costituiti sentinelle in corpi di guardie notturne e dei quali si serviva quando aveva bisogno d'una masnada un po' più numerosa, può conoscerle in ogni modo chiunque avrà la pazienza di leggere i processi verbali redatti in seguito a numerose querele sporte nelle denunce scritte davanti ai vescovi nella Chiesa d'Ippona, ove occupavo un posto anch'io.
In essi troverà lamenti degni di compassione di poveri uomini e di povere donne e, cosa più grave, di vedove che né il loro nome, che la Sacra Scrittura ci raccomanda specialmente di difendere, ( 1 Tm 5,3 ) né la loro età avanzata poté proteggere in qualche misura dalle rapine, razzie e vessazioni criminali perpetrate da quegli individui.
Chiunque cadeva per caso nelle loro mani perdeva il denaro, la suppellettile, i vestiti, il bestiame minuto, i raccolti, infine legname e pietre da costruzione; le case di alcuni venivano occupate, quelle di altri venivano anche demolite per portarne via i materiali che esigeva la costruzione di nuovi edifici.
Certi oggetti venivano comprati ma senza pagarli; dei campi di alcuni quelli s'impadronivano con la forza e venivano restituiti solo dopo averne portato via i raccolti per parecchi anni; alcuni di quei campi sono stati posseduti e occupati fino al giudizio episcopale.
Molti altri misfatti, oltre quelli contenuti nei processi verbali, anche noi abbiamo sentiti da qualche parte e nelle contrade di coloro che li hanno subiti, sono denunciati ripetutamente non mediante lagnanze sussurrate, ma per mezzo di grida di persone urlanti, e sono raccolti per essere provati qualora sedessero in tribunale ove dei giudici non sovraccarichi di lavoro per mancanza di un numero sufficiente [ di magistrati ] o anche potessero bastare ad ascoltare tutte le deposizioni quelli che sederanno, dal momento che a stento uno potrebbe avere la pazienza di esaminare attentamente le deposizioni da noi ascoltate nell'udienza e contenute nei processi verbali ecclesiastici.
Veramente di quei fatti solo una minima parte sono stati in un modo o in un altro scagionati; molti invece, in parte per l'assenza di coloro dai quali erano stati commessi, non furono esaminati e furono rinviati [ ad altro tempo ].
Quanto ai chierici, cioè il prete e il diacono, sarebbe troppo lungo descrivere in qual modo la loro presenza è stata sottratta e ancora fino ad oggi è sottratta al tribunale episcopale.
Tuttavia nei verbali sono registrate le parole del vescovo con le quali confessò spontaneamente che li aveva esortati a presentarsi perché erano stati suoi complici e che quelli avevano dichiarato di voler presentarsi.
Noi al contrario ordinammo la restituzione dei beni sottratti, ma conservammo al vescovo l'episcopato intatto e intero con una limitata punizione, per evitare che quelle malefatte restassero del tutto impunite e gli si lasciasse di continuare a commetterle o ad altri d'imitarle; ci limitammo cioè a imporgli come punizione ch'egli avesse la sede vescovile solo in una delle sue cattedre, affinché non si dicesse ch'era stato trasferito in una cattedra diversa dalla sua contro le prescrizioni ecclesiastiche, senza però governare più a lungo i Fussalesi contro la loro volontà.
Penso che questa specie di castigo deve considerarsi un favore che gli facciamo, evitandogli di vivere con coloro che lo rifiutano, dei quali la sua stessa presenza inasprirebbe in modo assai pericoloso i loro sentimenti di odio, già molto aspri.
Naturalmente decretammo che fosse scomunicato finché non restituisse tutto ciò che aveva rubato.
Questa nostra decisione l'abbracciò anche lui fino al punto che non fece appello, e pochissimi giorni dopo versò dei soldi [ d'oro ] presi a prestito come prezzo dei beni rapinati, affinché non gli fosse negata più a lungo la comunione.
Ora molti fratelli e figli nostri che avevano con noi compassione di lui per essere stato assolto assai probabilmente con giustizia da quattro gravi e capitali colpe di violenza carnale rinfacciategli non già da abitanti di Fussala, ma che erano state rinfacciate o fatte rinfacciare da altre persone offese da lui per certi motivi, si rallegrarono con noi con vive espressioni di gioia fraterna per aver noi pronunciato quella sentenza nei suoi confronti.
Scrisse anche una supplica al santo primate della Numidia, in cui gli chiedeva che avesse la bontà di far attendere fino alla data del concilio [ provinciale ] il desiderio degli abitanti di Fussala, i quali reclamavano con tutte le forze che fosse ordinato un vescovo per loro; il primate li fece attendere.
Quando si venne al concilio e tutti i partecipanti trovarono opportuno di mettere in esecuzione i nostri decreti, neppure a causa di ciò presentò appello; se l'avesse fatto allora l'avrebbe fatto certamente troppo tardi, dal momento che alcuni mesi prima non aveva fatto appello contro di noi.
In seguito il nostro superiore, il primate, inviò a Fussala dei vescovi alla cui presenza fosse scelto con il voto dei fedeli chi sarebbe dovuto essere ordinato come [ loro ] vescovo e fosse inviato a lui per essere ordinato, e così fu fatto.
Ma, quando spuntò il giorno dell'ordinazione, allora venne in mente ad Antonino l'idea di presentare appello.
Tuttavia, avendo accettato la spiegazione datagli dal santo primate e comprendendo di fare invano ciò che da tanto tempo faceva dopo ch'era stata pronunciata in giudizio la sentenza sul conto di lui, acconsentì che gli fossero attribuite otto comunità, che per certe ragioni non si erano recate alla chiesa di Fussala a esprimere il proprio voto per la scelta del vescovo da ordinare.
Ma, per seminare di nuovo discordie, ( Pr 6,19 ) ottenne, a forza d'insistere, che nella lettera da lui inviata al santo primate fosse aggiunto che venisse unita nella lista anche una delle comunità che si erano recate a Fussala per chiedere il [ proprio ] vescovo, cioè quella della tenuta di Togoneto; [ egli pretese ciò ] per avere lì la cattedra da cui dipendessero tutte le altre appartenenti a lui.
Questa tenuta è tanto vicina al borgo [ di Fussala ] che si vedeva bene ch'egli non vi cercava se non occasioni di litigi con cui turbare la pace della Chiesa.
Allora i coloni di quella tenuta, poiché già lo conoscevano per la vicinanza e con altri avevano sofferto per le sue ribalderie, scrissero alla padrona della tenuta che, se avesse permesso che ciò fosse avvenuto, se ne sarebbero andati via immediatamente.
Scrissero parimenti anche a me, perché intervenissi in loro difesa affinché ciò non avvenisse; per essi scrivemmo, lei e io, al primate.
Costui dunque, allorché vide che ciò [ che voleva ] non gli era stato concesso, decise di passare il mare con una lettera di raccomandazione del suo superiore, il primate, avuta non allora ma prima, allorché quell'autorevole personaggio aveva creduto ingenuamente che quello non avesse colpe di nessun genere e desiderasse passare il mare per far liberare degli individui che il vicario dell'Africa teneva prigionieri, mentre invece non aveva ancora conosciuto in modo del tutto chiaro, attraverso i processi verbali, le angherie subite dagli abitanti di Fussala e il loro giusto dolore.
Antonino dunque fece consegnare al venerabile papa Bonifacio una dichiarazione scritta in cui affermava, mentendo, che a partire dal giorno in cui era stato giudicato, era stato nella comunione ecclesiale - come ho ricordato più sopra, egli era stato scomunicato finché non avesse restituito tutti i beni da lui rubati agli abitanti di Fussala, e per questo scopo pochi giorni dopo, è vero, aveva rimesso una certa somma in solidi d'oro perché fosse riammesso nella comunione -, passò inoltre sotto silenzio tutto l'ordine in cui si erano succeduti i fatti necessari a [ intendere ] la causa e ottenne dal papa una lettera chiaramente assai prudente.
Il papa Bonifacio di venerabile memoria assegnò, in realtà, dei giudici i quali giudicassero se la spiegazione [ di Antonino ] fosse fondata, se quello avesse indicato fedelmente l'ordinata successione dei fatti, se le cose stessero come le aveva esposte nel testo della sua dichiarazione; soltanto allora gli sarebbe dovuta essere restituita la chiesa di Fussala come a uno esente da colpe, a causa delle quali gli sarebbe stata tolta giustamente.
Si radunarono in una città della Numidia, cioè nella chiesa di Tegulata i vescovi che vi si poterono recare; v'erano anche altri vescovi ch'egli non aveva richiesti ma che avevano altri motivi di recarvisi e, sebbene non fosse completo il numero dei vescovi da lui richiesto, disse tuttavia che gli erano sufficienti.
Eravamo presenti anche noi, cioè il fratello Alipio ed io, avvertiti da una lettera del primate ma non per pronunciare di nuovo una sentenza riguardo ad Antonino - che cosa infatti sarebbe stato più ingiusto? - ma per rendere conto del nostro giudizio, se ce ne fosse stato bisogno; la relazione sarebbe stata presentata alla sede apostolica.
Si lessero dunque i documenti portati da Antonino.
Il primate della Numidia Aurelio, il più anziano d'età, espose il motivo per cui aveva ordinato Antonino.
In quella esposizione risultò chiaro ciò che quello aveva tralasciato di dichiarare [ al papa ] per ottenere da Roma una lettera siffatta, e come non aveva indicato fedelmente la successione ordinata dei fatti.
Il vescovo Antonino chiese allora che fosse fatto entrare il prete inviato dagli abitanti di Fussala; dopo l'ingresso del prete si diede lettura delle lettere dei preti e degli abitanti di Fussala.
Quando egli sentì che le lettere erano straboccanti di lagnanze contro di lui, che suscitavano le lacrime e a causa delle quali rifiutavano in ogni modo di ricevere per vescovo un uomo, del quale avrebbero fatto a meno giustamente e felicemente, non volle credere che fossero state inviate da essi e chiese al santo primate di avere la bontà di recarsi di persona negli stessi luoghi con alcuni dei vescovi che gli erano stati assegnati quali componenti di quella commissione, per sondare l'animo dei preti e dei fedeli a condizione che, se gli abitanti di Fussala avessero posto in discussione la questione di accettarlo, egli ricevesse, contro la loro volontà, la comunità di Togoneto aggiunta alle altre otto comunità che aveva già prima; oltre a ciò [ volle ] che il venerando primate mi chiedesse che le altre cinque comunità che, senza indicarle per iscritto nei processi verbali, gli avevo promesso perché non si accanisse contro gli abitanti di Fussala, io le confermassi facendole registrare nei processi verbali.
Dopo ch'ebbi fatto ciò senza alcuna difficoltà, ce ne andammo - per modo di dire - in pace, se non che io vedevo che la borgata di Togoneto gli era contraria non meno degli abitanti di Fussala e che la padrona del possedimento non glie lo avrebbe concesso, come sembrava al venerando primate Aurelio.
Infine, come gli era stato chiesto, il primate promise, è vero, facendolo registrare nei verbali, che si sarebbe recato a Fussala, ma nessuno gli fece promessa, facendola registrare nei processi verbali, di concedergli la comunità di Togoneto.
Il medesimo vescovo Antonino fece poi una dichiarazione così perentoria che obbligò i vescovi a riconoscere, in seguito alla risposta degli abitanti di Fussala, che cosa dovessero fare.
Pochi giorni dopo si andò a Fussala come era stato deciso; con il primate c'erano anche due vescovi di cui Antonino aveva chiesto la presenza tra quelli che si trovavano in città, e così gli furono accordati quelli che poté trovare vicini alla medesima borgata; accompagnavano il primate anche altri tre vescovi quale scorta d'onore come vuole l'usanza.
Io ero assente, poiché non oso nemmeno vedere gli abitanti di Fussala; a loro che ormai s'erano calmati avendo accettato un vescovo dopo la nostra sentenza, mentre ora di nuovo sono turbati dall'agitazione di costui, sono diventato odioso anch'io stesso, poiché sarei stato io ad arrecare loro una sì grave sciagura, come essi non bisbigliano più con soffocate mormorazioni, ma lo vanno proclamando con aperte proteste e alte grida; oltre a ciò proprio costui, con mostruosa ingratitudine, mi giudica solo un suo nemico.
Era ugualmente assente il fratello Alipio ch'era in viaggio per tornare a casa sua.
In tal modo, alla presenza di sei vescovi, quella comunità accorsa numerosa e con entusiasmo fu interrogata e fu trovata mossa dallo stesso sdegno di quando aveva inviato la lettera alla Chiesa di Tegulata per mezzo d'un prete, e anzi ancora più violenta e più inesorabile.
Che cosa fece costui in precedenza nel desiderio d'incutere in essi paura non c'è bisogno di scriverlo; te lo confesserà forse lui stesso qualora si sentisse obbligato, sebbene anche i latori della nostra lettera possano riferirlo fedelmente alla tua Reverenza.
Così la folla, dopo essere stata interrogata per tutta una giornata, avendo manifestato a sufficienza i suoi sentimenti nei riguardi di costui, reclamò con grandissima impazienza la presenza del proprio vescovo, poiché neppure lui era presente quando fu effettuata la prima indagine.
Pertanto dopo l'intervallo di un giorno, essendo allora presente anche il loro vescovo, diedero a propria difesa molte risposte contro costui, urlarono molte accuse contro di lui; tutto fu registrato nei processi verbali.
Il primate poi mi pregò di andargli incontro in una località ove potessimo vedere tutti insieme che cosa fare.
Mentre mi recavo là, durante il viaggio ricevetti una lettera dell'illustrissima signora a cui appartiene la tenuta di Togoneto: mi faceva sapere che il suo fattore le aveva scritto che il venerando primate gli aveva detto d'aver sentito dire dal vescovo Antonino ch'essa aveva acconsentito ch'egli stesse a Togoneto.
" Ma di ciò non so nulla " - disse lei - " anzi, egli venne da me e fu lui stesso a pregarmi di non acconsentire ".
La lettera della pia donna la portai con me poiché l'avevo considerata un documento indispensabile; io però avevo già saputo ch'egli aveva agito in quel modo, ma non vedevo con quale altra prova sicura potesse essere dimostrato bugiardo, se lo avesse negato in assenza di quella rispettabilissima donna.
Essendoci dunque trovati insieme in una località lontana dieci miglia dalla borgata di Fussala, ove io non volevo andare, ci mettemmo tutti a discutere con lui come ciascuno era in grado di fare, per evitare che un vescovo cattolico provocasse più a lungo turbamento e rovina a danno dei cristiani cattolici.
Quando si prese a trattare della tenuta di Togoneto, io presentai la lettera della padrona del possedimento; dopo la lettura della lettera, poiché tutti i fratelli e nostri colleghi d'episcopato, ch'erano presenti, erano rimasti profondamente scossi e avevano preso a rivolgergli gravi rimproveri, rispose che non s'era espresso in quei termini ma, siccome essa per prima aveva detto che non gli avrebbe concesso quella località, egli aveva ribattuto non in tono di supplice ma di sdegnato: " Se non vuoi, non concederla; non la voglio neppure io ".
Si passò poi a un altro scambio di parole con cui cercavamo - se fosse stato possibile - di fargli accettare altre due località invece di quella tenuta in modo che a nessuna delle comunità, che ormai erano cominciate ad appartenere al vescovo di Fussala, fosse più a lungo molesto; ma la proposta non fu accolta poiché tutti lo rifiutavano risolutamente.
Fummo anche in una località delle otto che gli erano state assegnate e dove governava senz'essere contestato.
Era stato il fattore della tenuta a chiederci d'incontrarlo e lì avemmo parecchie discussioni con lui ma inutilmente.
Proprio lì ricevetti un'altra lettera della padrona della tenuta di Togoneto, poiché le avevo scritto a mia volta informandola della risposta data da Antonino e le avevo chiesto che mi riferisse per lettera, punto per punto, come era andata la cosa.
Ella quindi scrisse anzitutto che per mezzo di suo genero le aveva fatto sapere che le chiedeva di fargli il favore di non acconsentire ch'egli stesse a Togoneto e neppure nella sua parrocchia, se avesse dovuto avere la cattedra episcopale in una località diversa da Fussala; in seguito essa confermò a viva voce ch'era stato lui a chiederle ciò.
Di questo erano testimoni non solo suo genero, ma anche il vescovo della località dove si trovavano allora, come essa scrisse in modo assai esplicito.
Terminata la lettura di quella lettera alla presenza dei fratelli, [ Antonino ] rimase talmente sconvolto che non mi rispose altro che parole oltraggiose.
E poiché il primate mi aveva detto ch'egli s'era lamentato della presenza del loro vescovo il giorno in cui gli abitanti di Fussala erano stati interrogati per la seconda volta, si decise di consultarli ancora una terza volta, in assenza del loro vescovo, separatamente i coloni di ciascuna tenuta con i loro affittuari e sovrintendenti, senza i fattori.
Ma per raggiungere Fussala avevamo dovuto passare per Togoneto e io pregai il primate di riammettere [ quegli abitanti ] nella comunione poiché li aveva scomunicati avendo essi sbraitato contro Antonino alla sua presenza, e temevo che a causa dello sdegno proprio dei contadini arrivassero ad una completa rovina.
In realtà, tra i due vescovi, essi erano stati abbandonati a se stessi fino al punto che io venni a sapere che alcuni di essi avevano cominciato ad apostatare.
Di conseguenza temevo che diventasse più grave l'orribile ferita del mio cuore e mi affrettavo a farla guarire il più presto possibile.
Giungemmo colà verso sera e il giorno seguente vedemmo gli abitanti adunati nella chiesa.
Ma appena il venerando primate si mise a parlare in lingua punica riguardo al vescovo Antonino, dichiararono la loro volontà con alte grida e avendo chiesto loro quali torti avesse loro fatto colui al quale si opponevano con tanta ostinazione, uno alla volta si misero a dire ciò che avevano sofferto.
Quando però furono invitati a fare le loro deposizioni nominativamente per registrarle nei processi verbali, risposero che avevano paura di farsi scoprire da lui, che avrebbe potuto perseguitarli ad uno ad uno e mandarli in rovina.
Ma siccome erano invitati a fare piuttosto quanto era stato detto, all'improvviso tutti ci abbandonarono e se ne andarono con lagnanze piene di sdegno al punto che non rimase nemmeno una sola delle religiose.
Chi potrebbe esprimere come rimanemmo sconvolti dalla paura che nel giudizio di Cristo la loro perdizione venisse legata al nostro collo più pesante di quella macina d'asino di cui parla il Vangelo? ( Mt 18,6 )
A stento poterono essere richiamati grazie alla promessa del primate di non far nulla contro la loro volontà nel dar loro un vescovo.
Usciti dunque dalla chiesa dopo la celebrazione dei divini misteri trovammo anche due abitanti di Fussala, mandati con un promemoria scritto dove dicevano ch'erano giunte ai loro orecchi delle voci secondo le quali noi li volessimo interrogare ad uno ad uno mentre già tante volte era apparsa chiara e non ambigua la loro volontà riguardo a chi volessero avere per loro vescovo e che individualmente non avrebbero detto altro che quanto avevano potuto dire tutti insieme.
Ma se la cosa fosse fatta affinché il loro nemico sapesse quali persone indicate per nome egli dovesse perseguitare, avremmo dovuto capire che con questa procedura sarebbero stati consegnati alla morte, e comunque ci sarebbe dovuto bastare d'aver ucciso le loro anime assegnando loro Antonino, e non dovevamo consegnare anche i loro corpi in modo che fossero uccisi una seconda volta da Antonino.
Nel medesimo promemoria aggiungevano pure che, se ci fosse parso opportuno, ordinassimo d'istruire di nuovo il processo restituendo loro le accuse scritte contro Antonino, che avevano consegnate ad Ippona, e tutti gli altri documenti che sarebbe troppo lungo ricordare.
Tuttavia, poiché si sarebbe potuto dire che quel promemoria non conteneva la volontà dei fedeli, ma era stato indirizzato da uno o due di essi - e in ogni caso da pochissime persone - non ci parve doveroso cambiare la nostra decisione di recarci da loro.
Per conseguenza, il primate si recò a mezzogiorno a Fussala con quelli ch'erano indispensabili, mentre io e il loro vescovo restammo nella medesima località.
Il giorno seguente in cui il primate interrogava i fedeli per la terza volta, noi gli andammo incontro in una località ove sarebbe dovuto passare al ritorno e vi trascorremmo tutto il giorno mentre egli si trovava a Fussala.
Lì ci raggiunsero poi i vescovi con il venerando primate portando le lagnanze e le deposizioni registrate di quegli sventurati, nelle quali essi non ritennero doveroso di risparmiare neppure me stesso.
In effetti dichiararono ad alta voce nei miei riguardi ciò che meritavo di sentirmi dire, che cioè ero io la causa di quella sì grande loro calamità, dando loro una persona da essi non richiesta, dalla quale erano afflitti con tante sofferenze.
Scrivemmo poi allo stesso vescovo Antonino e ci raggiunse in una borgata, quella di Gilva, ove da una faccenda urgente della Chiesa il primate era costretto a recarsi; egli infatti si era separato da noi con l'impegno di raggiungerci ovunque fosse stato convocato per lettera.
Lì, avendo inteso riferire anche dai vescovi, da lui richiesti scegliendoli tra gli altri giudici, ciò che avevano visto e inteso di persona e avendo ciascuno di noi consigliato, per quanto gli era possibile, di non dover far altro - se si considerava un vescovo - se non di governare tranquillamente le comunità che lo avevano accettato senza alcuno scandalo per la Chiesa e senza alcuno scompiglio, rispose che non voleva avere nemmeno quelle e che aveva fatto il fermo proposito di voler rimanere lontano dalle folle in un posto molto solitario, distante dagli invidiosi, come [ un semplice ] servo di Dio; se noi lo avessimo voluto, avrebbe desiderato darci la prova di quel suo proposito adducendo anche la testimonianza di coloro ai quali ci raccontò di averlo comunicato prima di vederci.
Poiché non avevo voluto credere facilmente a una sì buona sua disposizione d'animo, gli dissi che, se pensava e diceva ciò con sincerità, non gli rincrescesse di offrire al nostro Dio anche il sacrificio di misericordia concedendo una sicura tranquillità alla sua Chiesa, eliminando la paura ch'essa aveva di lui e manifestando quella sua volontà nei processi verbali del tribunale vescovile; ma avendo egli affermato che non avrebbe dichiarato assolutamente nulla nei processi verbali, gli dicemmo di manifestarla almeno in uno scritto di proprio pugno, e siccome rispose che non avrebbe fatto neppure ciò, si sentì dire quanto era doveroso dirgli, che cioè non pensava sinceramente di voler servire Dio, dal momento che godeva di lasciare nel turbamento, derivante da una tale paura, la Chiesa di Colui ch'egli aveva intenzione di servire.
Allora, vedendosi messo alle strette dalle argomentazioni dei vescovi alle quali non poteva rispondere, una buona volta fece esplodere ciò che dissimulava nel suo cuore e con uno sguardo e un tono di voce terribile disse che in alcun modo lo si poteva convincere di non cercare con qualsiasi mezzo possibile di tornare alla chiesa di Fussala.
Udito ciò, mi misi a pregare con istanza il venerando primate di formulare contro di lui, in relazione ai processi verbali di Tegulata, un'accusa verbalizzata nel processo d'inchiesta ecclesiastica, di cui si potesse fare rapporto alla Sede Apostolica.
" Io - disse lui - non dichiarerò nulla ai processi verbali "; si alzò tutto sconvolto e se ne andò, ma poi, tornato subito indietro, con gesti incomposti per la collera, minacciò di recarsi presso la Sede Apostolica come se noi avessimo avuto intenzione d'inviare a un'altra sede tutti i punti del dibattito che sarebbe stato registrato nei processi verbali.
Restava dunque d'informare la Sede Apostolica indirizzandole una lettera e i processi verbali.
Ci prendemmo cura di farlo il più presto possibile.
Ecco quale lunga favola siamo diventati per i Giudei, per i pagani ( At 19,17 ) e per gli eretici, e anche per tutti i nostri nemici all'interno della Chiesa, volesse il cielo senza la morte spirituale di coloro ai quali, liberati dall'eresia, ormai aspirano di nuovo a una certa luce dell'unità, renderemo odioso il nome cattolico, se neppure adesso sarà confortata la loro debolezza facendo in modo che non abbiano come vescovo uno che essi, con espressioni di risentimento, dichiarano di non poter avere.
Ecco quanto ho creduto mio dovere riferire per iscritto all'Eccellenza tua, affinché se verrà a trovarti, tu non ignori che cosa tu debba raccomandargli.
A cotesto povero uomo tu farai un'elemosina molto migliore dandogli consigli per la vita eterna che non il sostentamento per la vita presente; poiché gli manca in modo più pericoloso quell'elemosina per mancanza della quale il suo spirito muore anche se il corpo è sano. ( Pr 10,21 )
La finisca di pretendere di esercitare un potere dispotico su membri di Cristo radunati con il sangue versato da altri.
Poiché, da quando cominciò ad essere vescovo in quella località, non ha sopportato da parte dei donatisti né danni né ferite d'alcun genere né lui né alcuno dei presbiteri o chierici o alcuna delle persone, quali che fossero, sottoposte al suo governo.
Ma perché costui trovasse colà una tale pace, inorridisco a dire quali sofferenze i nostri vi sopportarono!
Gli bastino le comunità che Dio volle che lo accettassero senza scandalo, il governo d'una sola delle quali, esercitato con spirito di fede e con diligenza, procura un gran premio presso Dio.
Ma tali pensieri non ha costui il quale, facendo bestemmiare il nome di Cristo e provocando gemiti di morte di gente sventurata, desidera godere per il numero delle sue comunità, non cercare di procurare molti fedeli a Dio ma di menar vanto d'averne molti.
Altrimenti non avrebbe il desiderio di fare suoi, con tanta fatica, coloro che già vede appartenere a Cristo.
Ascolti da te queste esortazioni, te ne prego, e non tacergli nulla di tutto ciò che il Signore avrà la bontà di concederti di dire a costui, della cui sanità spirituale desidero tanto rallegrarmi.
Rispetto a lui tu hai infatti un'età da mostrargli dignitosamente un affetto materno.
Se infatti la collera di Dio a cui soggiace non è troppo grave, non disprezzerà in te i consigli di sua madre; so che tu sei risuscitata con Cristo in modo che cerchi le cose del cielo, non quelle di questo mondo; ( Col 3,1 ) a un vescovo dunque che cerca le cose di questo mondo non aver paura di dare un consiglio conforme alla fede.
Tu infatti in questo mondo cerchi Dio, egli al contrario nella Chiesa cerca questo mondo.
Poiché, cosa che forse non avresti creduto se te lo avesse detto un altro, non esitò a comprare dei poderi in nome suo e non della Chiesa, lui ch'era stato fatto vescovo nell'uscire dal monastero senza avere di suo null'altro che il vestito che portava quel giorno.
Forse tu mi chiederai come fece a comprarle: non dirò con le rapine di cui gli abitanti di Fussala si lamentavano per averle subite; i frutti di quelle rapine venivano consumati immediatamente.
Eppure, per il sostentamento suo e dei suoi collaboratori gli avevo dato un fondo della Chiesa d'Ippona sito nel suddetto territorio di Fussala.
Egli lo aveva dato in affitto e con il denaro riscosso dell'affitto di cinque anni interi trovò la somma per poterlo comprare.
Se volessi esporti quale querela presentò contro di lui il venditore in un ricorso all'imperatore e a quali rischi giudiziari si espose o in qual modo il difensore della Chiesa di Fussala - presso il quale il venditore si lamentò d'essere stato incarcerato in una prigione privata affinché vendesse al vescovo il suo possedimento al prezzo più vantaggioso per lui - a stento sfuggì, grazie ai nostri sforzi, alla pena d'una pubblica condanna, poiché aveva già confessato di aver agito in quel modo per ordine del vescovo, benché questi dichiarasse d'aver dato l'ordine che quel tale fosse tenuto in prigione non per metterlo alle strette a vendere quel fondo ma per un'altra colpa; se volessi raccontare tutti i particolari [ di quella faccenda ], quando mai la lettera potrebbe essere terminata?
Comprò anche un altro piccolo possedimento sempre a nome proprio ma non so con quale denaro; per altro, anche nel caso di quello stesso possedimento, trattò il proprio comproprietario, insieme al quale possedeva in comune la metà del fondo, in modo che - come è stato dichiarato nella deposizione scritta presentata dal comproprietario al nostro tribunale - si prese tutti i frutti e spogliò delle tegole la casa che possedevano in comune.
Ascoltammo la deposizione, ne avemmo le prove, ne ordinammo la restituzione.
Il comproprietario ci presentò anche una lettera di suo fratello e fu letta nel nostro tribunale: lo scrivente denunciava le pressioni esercitate su di lui dal vescovo perché vendesse la propria parte di comproprietà e di non aver ricevuto tutto il prezzo che avrebbe dovuto ricevere.
Ma poiché non ci veniva mostrato chiaramente se quella fosse davvero una lettera di suo fratello, troncammo bene o male il dibattito tra i presenti e conservammo all'assente il diritto di un'azione giudiziaria.
Antonino però diede quel fondo a un altro, del quale demolì la casa e trasportò tutti i materiali con cui era stata costruita per farli servire alla sua costruzione; presso di lui interposi i miei buoni uffici io stesso perché non aggravasse il vescovo con una denuncia scritta e una sua querela nel nostro tribunale.
E di fatto la questione tra loro fu troncata con una sentenza arbitrale privata, in base alla quale quel tale doveva ricevere da Antonino per la sua parte una porzione della proprietà in compenso dei danni subiti; eppure costui, da monaco miserabile che era, divenuto vescovo, dice ancora adesso agli abitanti: " Rendetemi la mia casa che ho costruito nel vostro villaggio ", casa che non sembrava certo costruire per lui stesso ma per la Chiesa; e magari l'avesse costruita con mezzi onesti e con le legittime offerte e non con le rapine!
A quanto infatti si dice, nella costruzione di quella casa non c'è quasi nulla che non si possa dimostrare essere stato portato via da proprietà altrui e mostrare a dito il luogo dal quale è stato rubato.
Ma a questo proposito c'è un altro punto che voglio spiegarti; ho voluto sfogare con te la mia profonda afflizione scrivendo alla tua Sincerità per il fatto che un giovane allevato da noi nel nostro monastero e che, quando lo accogliemmo, non aveva alcun bene da lasciare o da distribuire ai poveri oppure da versare per metterlo a disposizione della comunità, si va ora vantando di tenute e d'una casa come se fossero sua proprietà; e non solo di queste cose vuole appropriarsi ma anche dello stesso gregge di Cristo, mentre invece vuol essere del numero di coloro dei quali l'Apostolo dice: Cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo; ( Fil 2,21 ) e quanto grave è questa ferita del mio cuore lo vede Colui che può guarirla.
In nome di Cristo, della sua misericordia e del suo giudizio, ti scongiuro di aiutarmi in questa faccenda per lui e per la Chiesa.
Ho infatti voluto darti queste informazioni, forse con più prolissità che discrezione, non perché tu lo abbia in odio, ma piuttosto affinché tu pensi al suo vero bene spirituale nella misura che il Signore te ne vorrà dare la capacità, con il non permettere che faccia del male a se stesso.
In realtà a chi altri mai potrà fare un male maggiore se non a se stesso, se farà di tutto per mettere sossopra e abbattere una Chiesa che dovrebbe voler guadagnare a Cristo e non a se stesso?
Io credo che ubbidirà alla tua santa Benevolenza e non alzerà contro di te la sua superbia, se la Sorgente di [ ogni ] misericordia esaudirà in favore di lui le mie [ preghiere fatte con ] lacrime tanto frequenti e abbondanti.
Indice |
1 | Ep. 209,3 |