Il maestro interiore |
Le parole hanno valore entro questi limiti; per valutarle quanto più è possibile dirò che ci stimolano soltanto a cercare le cose, ma non ce le presentano perché le conosciamo.
Invero mi insegna qualche cosa soltanto chi mi presenta agli occhi o a qualche altro senso del corpo oppure alla mente stessa ciò che voglio conoscere.
Dunque, con le parole apprendiamo soltanto le parole, anzi il suono e lo strepito delle parole.
Se infatti non sono parole quelle che non sono segni, nell'ascoltare una parola non so se è tale fino a che non ne conosco il significato.
Dunque, con la conoscenza delle cose si ottiene anche la conoscenza delle parole, mentre con l'udire le parole non si apprendono neanche le parole.
Infatti non apprendiamo le parole che conosciamo: oppure possiamo affermare che abbiamo apprese quelle che non conosciamo solo dopo che ne abbiamo percepito il significato, la qualcosa avviene non già con l'ascolto delle parole proferite, ma con la conoscenza delle cose significate.
È un ragionamento verissimo e formulato in modo ineccepibile quello secondo cui, quando si proferiscono parole, o sappiamo ciò che significano o non lo sappiamo; se lo sappiamo, lo richiamiamo alla memoria piuttosto che apprenderlo; se invece non lo sappiamo, neppure lo richiamiamo alla memoria, ma forse siamo sollecitati a cercarlo.
Ammettiamo poi, dopo aver detto a proposito dei famosi copricapo, il cui nome è da noi percepito soltanto come un suono, che non possiamo conoscerli se non dopo averli visti e che ne possiamo conoscere meglio il nome solo dopo averli conosciuti, che tu obiettassi che abbiamo appreso solo per mezzo di parole come questi fanciulli hanno superato con la fede e la pietà le fiamme e il re, quali lodi hanno cantato a Dio, quali onori si sono meritati perfino dal loro nemico.
In tal caso io ti risponderei che conoscevamo già tutto ciò che queste parole significano.
Infatti sapevo già cosa sono tre fanciulli, la fornace, il fuoco, il re e, infine, cosa voglia dire illesi dal fuoco e tutto il resto che quelle parole significano.
Quanto ad Anania, Azaria e Misael, essi mi sono ignoti tanto quanto le famose sarabare e i loro nomi non mi hanno aiutato per conoscerli né mi potranno ormai più aiutare.
Del resto confesso più di credere che di sapere che tutto ciò che si legge di quella storia sia avvenuto in quel tempo così come è scritto.
Questa differenza era nota anche a coloro ai quali crediamo; dice infatti il Profeta: Se non crederete, non comprenderete, e di certo non l'avrebbe detto se non avesse ritenuto che non c'è nessuna differenza.
Dunque ciò che comprendo, lo credo anche; ma non tutto ciò che credo lo comprendo.
E so tutto ciò che comprendo, ma non tutto ciò che credo.
Del resto non ignoro quanto sia utile credere molte cose che ignoro; e appunto tra le cose utili metto anche la storia dei tre fanciulli.
Dunque, poiché non posso sapere un buon numero di cose, tuttavia so quanto è utile credervi.
Ma su tutte le realtà che comprendiamo interpelliamo la verità non in quanto risuona al di fuori di noi, ma in quanto presiede interiormente allo spirito stesso stimolati forse dalle parole.
Ora, colui che noi interpelliamo è colui che insegna, il Cristo di cui si è detto che abita nell'uomo interiore, ossia la Potenza immutabile e la Sapienza eterna di Dio.
È essa che tutte le anime razionali interpellano, ma si apre a ciascuna nei limiti in cui può accoglierla secondo la propria buona o cattiva volontà.
E se talora l'anima sbaglia, non avviene per difetto della Verità interpellata, come non è per difetto della luce esterna che gli occhi corporali spesso ci ingannano; questa luce, dobbiamo confessare, la interpelliamo relativamente alle cose visibili, perché ce le mostri secondo le nostre capacità di vedere.
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