Il maestro interiore

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Uno solo è il maestro di tutti

Forse che i maestri hanno per professione di far percepire e di far tenere a mente i loro pensieri anziché le discipline che pensano di trasmettere con le parole?

E chi è preso da così sciocca curiosità da mandare il figlio a scuola perché apprenda ciò che il maestro pensa?

Piuttosto, una volta che i maestri abbiano esposto con parole tutte le discipline che professano di insegnare, compresa quella relativa alla virtù e alla saggezza, allora i cosiddetti discepoli considerano in se stessi se ciò che è stato detto è vero, guardando naturalmente alla verità interiore secondo le loro forze.

Quindi apprendono e, quando hanno scoperto nella propria interiorità che sono vere le cose dette, lodano i loro maestri, senza sapere che non lodano i maestri ma degli uomini dotti, ammesso che costoro sappiano ciò di cui fanno professione.

Dunque gli uomini si ingannano nel chiamare maestri quelli che non lo sono, perché il più delle volte non c'è intervallo fra il momento della parola e il momento della conoscenza; e, poiché apprendono immediatamente nell'interiorità dopo l'avvertimento di colui che parla, suppongono di aver appreso dal di fuori, da colui che ha richiamato la loro attenzione.

Ma tutta l'utilità delle parole che, a ben considerare, non è poca, se Dio lo consente, la esamineremo un'altra volta.

Per ora ti ho già avvertito di non concederle più del dovuto, affinché non solo si creda, ma si incominci anche a comprendere la verità di ciò che è stato scritto per divina sollecitazione.

Cioè di non considerare nessuno come nostro maestro sulla terra perché l'unico maestro di tutti è in cielo.

Poi cosa voglia dire "in cielo" ce lo insegnerà colui che ci fa dare dagli uomini con segni, dall'esterno, l'avvertimento a ricevere il suo insegnamento ritornando all'interno, verso di lui.

Amare e conoscere lui costituiscono la vita beata che tutti proclamano di cercare, ma che pochi possono compiacersi veramente di aver trovata.

Ma ora vorrei che tu mi dicessi cosa pensi di tutto questo mio discorso.

Se infatti riconosci che ciò che è stato detto è vero, qualora fossi stato interrogato su ciascuna delle affermazioni, avresti dovuto rispondere che le sapevi.

Puoi dunque comprendere da chi le hai apprese; non certo da me perché, se ti avessi interrogato, mi avresti risposto su ogni cosa.

Se invece non riconosci che è vero, non ti abbiamo insegnato né io né lui: io perché non sono mai in grado di insegnare, lui perché tu non sei ancora in grado di apprendere.

AD. - Io, in verità, dall'avvertimento contenuto nelle tue parole ho appreso che con le parole non si fa altro che avvertire l'uomo perché apprenda e che ci sono poche possibilità che il linguaggio riveli qualche cosa del pensiero di colui che parla.

Ho appreso inoltre che insegna, se si può dire il vero, quegli soltanto che, mentre parlava dall'esterno, ci ha avvertito che abita nell'interiorità.

Perciò, con l'aiuto della sua grazia, lo amerò tanto più ardentemente quanto più progredirò nell'apprendere.

Comunque ti sono molto grato del discorso che mi hai tenuto, soprattutto perché ha prevenuto e dissolto tutte le obiezioni che ero pronto a farti.

Inoltre non hai lasciato da parte assolutamente nulla di ciò che mi rendeva dubbioso e su cui questo oracolo interiore non mi abbia risposto nel modo indicato dalle tue parole.

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