La menzogna

Indice

7.10 - Non si può mentire nemmeno per difendere il pudore

E veniamo ora al rispetto del corpo.

Ecco, fa' che ti si presenti una persona degna della massima stima e ti chieda insistentemente che tu dica una menzogna perché la insidia uno stupratore che si potrebbe tenere lontano con una menzogna.

In questo caso - dicono certuni - si deve mentire senza alcun dubbio.

È facile la risposta: non c'è pudicizia del corpo se non quella che deriva dall'integrità dell'anima.

Se s'infrange quest'ultima, necessariamente cade anche l'altra, sebbene all'apparenza essa sembri rimanere intatta.

Questo, perché non la si collochi fra i beni corporali, per cui la si possa strappare anche a chi ha volontà contraria.

Ne consegue che l'anima non deve in alcun modo contaminarsi con la menzogna per giovare al proprio corpo, sapendo che il corpo rimane intatto se la corruzione non intacca l'anima.

Infatti tutto ciò che il corpo subisce per una violenza esterna senza alcuna libidine antecedente deve chiamarsi sopraffazione, non corruttela.

O, ammettendo che ogni sopraffazione sia corruttela, non ne segue che ogni corruttela sia riprovevole e viziosa!

Lo è soltanto quand'è provocata da affetto libidinoso o quando con tale affetto ad essa si consente.

Orbene, quanto l'anima è superiore al corpo, altrettanto più grave è il delitto di chi la corrompe.

Là dunque si può conservare la pudicizia dove non ci può essere corruzione che non sia volontaria.

Ma ecco che il corpo di una persona viene aggredito da uno stupratore che non si riesce ad ostacolare né opponendogli la forza né ricorrendo a persuasioni o menzogne.

In tal caso, dobbiamo confessarlo, la pudicizia del violentato non è compromessa dalla sporca passione dell'aggressore.

E siccome non c'è alcun dubbio che l'anima è superiore al corpo, all'integrità del corpo va preferita l'integrità dell'anima: quell'integrità che potremo conservare per sempre.

Ora, chi oserà dire che l'anima di colui che proferisce menzogne è integra?

Questa in effetti è la definizione esatta della libidine: Appetito dell'anima per il quale ai beni eterni si preferiscono i beni temporali, di qualsiasi genere siano.

Ne segue che nessuno può addurre ragioni valide per sostenere che almeno qualche volta è lecito mentire: fino a quando almeno non avrà dimostrato che con la menzogna si può conseguire qualche bene eterno.

Ma se è vero che l'uomo tanto più si allontana dall'eternità quanto più si allontana dalla verità, è cosa quanto mai assurda asserire che uno allontanandosi dalla verità possa conseguire un qualsiasi bene.

Ovvero, se c'è un qualche bene che sia eterno senza che rientri nella verità, questo non è un vero bene, e pertanto, siccome è un bene falso, non è nemmeno un bene.

E come si deve stimare più l'anima che il corpo, così la verità deve stimarsi più dell'anima, con la conseguenza che essa deve essere desiderata dall'anima non solo più del corpo ma anche più di se stessa.

Ciò facendo, in quanto gode dell'immutabilità propria della verità più che non della propria mutevolezza, l'anima ci guadagna in integrità e castità.

Si pensi a Lot. Essendo talmente giusto da ospitare in casa sua anche gli angeli, diede ai sodomiti le proprie figlie perché abusassero di loro e in tal modo si violassero corpi di femmine e non di maschi. ( Gen 19,8 )

Ebbene, con quanto maggiore oculatezza e tenacia non dovrà conservarsi la castità dell'anima perché resti nella verità, se è certo che l'anima stessa è superiore al corpo più di quanto non lo sia un corpo maschile rispetto a un corpo di donna?

8.11 - Non è lecito mentire per procurare ad alcuno la salvezza

Ci potrà essere chi ritenga lecita la menzogna detta ad uno a vantaggio di un altro per farlo vivere, ovvero perché non venga contrariato nelle cose che gli stanno molto a cuore, e così possa raggiungere, attraverso l'apprendimento, la verità eterna.

Costui non si rende conto, prima di tutto, che non c'è nefandezza a commettere la quale non ci si possa costringere quando si avverano le stesse condizioni, come è stato esposto sopra.

Inoltre è chiaro che l'autorità stessa della dottrina è eliminata e cessa totalmente se in coloro che vorremmo condurre alla verità, con la nostra menzogna creiamo la persuasione che qualche volta sia necessario mentire.

Tener presente che la dottrina rivelata risulta composta di cose che in parte sono da credersi mentre altre sono da comprendersi: soltanto che alle verità da comprendersi non si può arrivare senza prima credere a quelle che debbono essere credute.

Orbene, come si può credere a uno che ritiene, almeno qualche volta, necessaria la menzogna, senza pensare che egli menta anche quando ci ingiunge di credergli?

In base a che si può dedurre con certezza che egli non abbia anche in quel caso un qualche motivo per dire una menzogna "officiosa ", come egli la considera?

Egli infatti potrebbe pensare che l'interlocutore, spaventato dal racconto falso [ che gli viene fatto ], si astenga dagli atti di libidine; e pertanto come non dire che in tal modo egli con la sua menzogna abbia anche contribuito a farlo progredire spiritualmente?

Notiamo tuttavia che, una volta ammesso e approvato un tale comportamento, va a rotoli tutta la normativa della fede e, scomparsa questa, non si arriva nemmeno alla comprensione [ della verità ], per ottenere la quale la fede nutre la mente dei piccoli.

Pertanto, se si apre il varco per ammettere in qualche situazione la menzogna ( anche quella chiamata " ufficiosa" ), viene tolta di mezzo ogni norma di verità, la quale è costretta a ritirarsi di fronte alla falsità anche nelle sue forme più stravaganti.

Chiunque mente infatti antepone alla verità i vantaggi temporali, o propri o di qualche altro: ma ci può essere qualcosa più perversa di questa?

Può anche darsi che uno ricorrendo alla menzogna intenda condurre un altro all'acquisto della verità; costui però nello stesso tempo gl'impedisce il raggiungimento della verità.

Volendo infatti conseguire la verità ricorrendo alla menzogna, si rende inattendibile anche quando dice la verità.

Pertanto, o non si deve credere ai buoni, o bisogna credere a coloro che ritengono lecito dire menzogne, almeno in qualche caso, o bisogna credere che i buoni non dicano mai menzogne.

Di queste tre ipotesi, la prima è perniciosa, la seconda insipiente.

Si conclude che i buoni non debbono in nessun caso mentire.

9.12 - Mentire per evitare mali peggiori

A questo punto la questione della menzogna potrebbe dirsi esaminata e risolta da entrambi i lati, ma la conclusione non deve trarsi con faciloneria.

Occorre ascoltare quei tali che dicono non esserci azione così cattiva che non si possa commettere per evitare un male peggiore: e fra queste azioni umane sono da annoverarsi non solo gli atti che gli uomini compiono ma anche quelli che subiscono condiscendendovi.

Ci si chiede, ad esempio, se non sia un motivo valido per cui il cristiano possa offrire incenso agli idoli quello di non consentire allo stupro che il persecutore gli minaccia in caso di rifiuto.

Alla pari sembra [ loro ] lecito domandarsi se non sia lecito mentire per evitare la stessa infame sconcezza.

Dicono costoro che il consenso prestato nell'offrire incenso agli idoli piuttosto che subire lo stupro non è una passione ma un semplice gesto: per non fare quella sconcezza ecco che uno preferisce offrire l'incenso.

Ebbene, con quanto maggiore facilità non avrebbe dovuto scegliere la bugia se con essa gli fosse stato possibile sottrarre il corpo ad una oscenità così mostruosa?

9.13 - Si critica questa argomentazione

Riguardo a questa argomentazione si possono fare diverse domande.

E cioè: se un tale consenso può essere preso come un [ semplice ] fatto; se si può parlare di consenso dove non ci sia anche l'approvazione; se sia un'approvazione dire: " È meglio subire questo [ male ] che fare quest'altro "; se abbia agito bene colui che per non subire lo stupro ha offerto incenso agli idoli; se finalmente sia preferibile mentire piuttosto che offrire incenso, qualora capitasse una tale occasione.

Orbene, se tale consenso è da ritenersi un fatto, sono omicidi anche coloro che preferiscono farsi uccidere anziché dire una falsa testimonianza; anzi il loro omicidio è più grave [ perché commesso ] contro se stessi.

Perché infatti non dire che essi hanno ammazzato se stessi, se hanno scelto essi stessi che l'atto venisse compiuto contro di loro per non dover cedere alla costrizione?

Ovvero, se si ritiene che uccidere un altro sia più grave che uccidere se stesso, che dire se a un martire venisse fatta la seguente proposta: tu non vuoi dire una falsa testimonianza su Cristo né immolare sacrifici ai demoni; ebbene dinanzi ai tuoi occhi ti viene ucciso non un qualsiasi uomo ma tuo padre, e lo si uccide mentre egli scongiura te, suo figlio, di non permettere col tuo persistere che una tale sventura gli accada.

Non è del tutto chiaro in questo caso che, se quel tale rimane saldo nella sua determinazione di dare una testimonianza di assoluta fedeltà [ a Cristo ], quegli altri, cioè coloro che gli uccidono il padre, sono certo degli omicidi, ma lui stesso non è un parricida?

Egli non è stato corresponsabile di quell'enorme delitto avendo preferito che suo padre, uomo magari sacrilego la cui anima stava per andare in perdizione, venisse ucciso da gente estranea anziché macchiare la propria fede con una falsa testimonianza.

Il suo consenso non lo ha infatti reso corresponsabile di così enorme delitto se lui personalmente non voleva compiere il male, e di fatto non l'ha compiuto, qualunque cosa abbiano poi fatto gli altri.

In effetti, i persecutori che cosa dicono se non: Fa' tu il male perché non abbiamo a farlo noi?

E se davvero avendo fatto noi il male essi non lo facessero, nemmeno in questo caso noi dovremmo dare ad essi l'appoggio del nostro consenso.

Ma ecco che essi, pur non dicendo cose come queste, fanno il male: ora perché si dovrebbe essere detestabili malfattori e loro e noi, e non loro soli?

In effetti il nostro operare non può chiamarsi consenso, poiché noi non approviamo quello che essi fanno, ma cerchiamo sempre [ il bene ] e, per quanto sta in noi, ci sforziamo d'impedire che facciano [ il male ] e, quanto all'azione cattiva, non solo non la compiamo insieme con loro ma la condanniamo detestandola con tutto il nostro animo, per quanto ci è possibile.

9.14 - Evitare la collaborazione al peccato

Tu replichi: Come si fa a dire che quel tale non compie la tal opera se gli altri non l'avrebbero fatta qualora l'avesse fatta lui?

In questa maniera siamo noi che sfondiamo la porta insieme con i predoni, poiché se noi non la tenessimo chiusa loro non la forzerebbero; siamo noi che uccidiamo la gente con gli assassini se per caso sappiamo che ciò essi avrebbero fatto, poiché se noi li avessimo uccisi prima [ del delitto ], essi non avrebbero ucciso nessuno.

Supponiamo ancora che qualcuno ci confessi l'intenzione di commettere un parricidio.

Noi siamo suoi conniventi se, potendolo, non lo uccidiamo prima che egli passi all'azione, ammesso che noi non possiamo trattenere l'omicida né impedire [ il suo gesto ] in altre maniere.

In poche parole si può dire: Tu hai commesso [ il delitto ] insieme con lui, poiché egli non avrebbe potuto commetterlo se tu avessi posto quell'altro atto.

Veramente, io non avrei voluto commettere nessuno dei due mali, ma sono riuscito ad evitare soltanto quello che era in mio potere.

Quanto all'altra parte dell'altrui colpa, io non potendola escludere con un atto della mia volontà, non dovevo impedirla con una colpa mia.

Non approva quindi il colpevole colui che si rifiuta di peccare al posto di un altro, e nessuno dei due elementi peccaminosi approva colui che non si compiace di nessuno dei due, ma quello che era in sua facoltà lo esclude anche intervenendo, mentre l'altro lo disapprova solo con la volontà.

E ora il caso dell'offerta dell'incenso.

A chi fa ad un cristiano la proposta: " Se tu non offrirai l'incenso, ti capiterà questo e questo ", egli può rispondere: " Io non scelgo nessuna delle due cose a me proposte, le disapprovo di cuore tutt'e e due e non vi acconsento in alcuna maniera ".

Con queste parole o simili, certamente vere, si esclude da lui ogni consenso, ogni approvazione; e qualsiasi pena egli subisca da parte loro, è da considerarsi un maltrattamento da lui subìto mentre negli altri un reato commesso.

Ma allora, dirà qualcuno, quel tizio doveva subire lo stupro piuttosto che offrire l'incenso?

Se domandi che cosa fosse tenuto a compiere, egli non era tenuto a compiere né l'una né l'altra cosa.

Se infatti ti dicessi che era tenuto a farne una delle due, dimostrerei che l'approvo; invece io le disapprovo tutt'e e due.

Può invece porsi la domanda: Quale delle due cose doveva evitare colui che non poteva evitarle entrambe ma solo una?

Risponderei: Doveva evitare quella che era peccato per lui personalmente più che non quella che era peccato per l'altro, e questo anche se il suo peccato era più leggero e quello dell'altro più grave.

Salvo una ricerca più approfondita, ammettiamo in via provvisoria che lo stupro sia un peccato più grave che non l'offerta dell'incenso; nel nostro caso però fare l'offerta è un peccato commesso in prima persona, mentre lo stupro un peccato commesso da un altro, anche se subìto dallo stesso soggetto.

Ora il peccato è di chi compie l'opera [ cattiva ].

Infatti, per quanto l'omicidio sia una colpa più grave del furto, è tuttavia cosa peggiore commettere un furto che subire l'omicidio.

Supponiamo dunque che ad un tizio venga proposto di rubare.

Se non lo farà, verrà messo a morte, cioè si compirà un omicidio contro di lui.

Non potendo evitare tutti e due i mali, egli dovrà evitare quello che è peccato suo piuttosto che quello che è peccato degli altri.

Questo non diventerà peccato suo per il fatto che è stato commesso contro di lui e nemmeno perché lo avrebbe evitato se avesse commesso il suo peccato personale.

9.15 - Mentire per evitare le profanazioni del corpo

Il nocciolo della presente questione si riduce a questo: sapere se nessuno dei peccati altrui, sebbene commesso contro di te, sia imputabile a te qualora tu possa evitarlo con un tuo peccato più leggero e non l'hai fatto.

Non si dovrà per caso fare eccezione per le sudicerie con cui ci si imbratta il corpo?

In effetti nessuno oserà dire che l'uomo è insudiciato quando lo si uccide o lo si getta in prigione o lo si incatena o lo si flagella o colpisce con altri strumenti di tortura o di strazio.

Lo stesso se lo si proscrive o danneggia nelle forme più gravi fino a ridurlo all'estrema nudità, se lo si priva di ogni titolo onorifico e gli si scarica addosso tutta una serie di insulti e vituperi.

Qualunque sofferenza fra quelle elencate uno abbia subìto ingiustamente, nessuno sarà così pazzo da dire che egli ne è stato contaminato.

Ma poniamo il caso che uno venga coperto di escrementi o che roba come questa gli si sbatta in faccia o cacci in bocca o si abusi di lui come di una prostituta.

Il sentimento di tutti, o quasi, aborrisce queste cose, e di chi le ha subite si dice che è stato contaminato e reso immondo.

Le conclusioni che derivano da tutto questo sono le seguenti: nessuno deve evitare mediante peccati propri i peccati altrui, qualunque essi siano, eccettuando quelle cose che rendono immondo colui sul quale si commettono; e quindi non si può peccare né per la propria né per l'altrui utilità, ma si deve affrontare il male e sopportarlo con fortezza.

Se pertanto non è lecito evitare il male commettendo un qualsiasi peccato, non lo si può evitare nemmeno con la menzogna.

Riguardo poi alle aberrazioni che si commettono sull'uomo rendendolo impuro, le dobbiamo evitare anche con peccati nostri: i quali, essendo commessi per evitare appunto tale contaminazione, non meritano nemmeno il nome di peccato.

Non è infatti peccato ciò che, se non si facesse, ci attirerebbe [ giusti ] rimproveri.

Si deduce da questo che le cose che si fanno perché non c'è alcun modo di evitarle non sono nemmeno da chiamarsi contaminazione.

Anche in tale ipotesi infatti colui che le subisce ha un qualcosa di buono da compiere, e cioè sopportare con pazienza ciò che non gli è possibile evitare.

Ora nessuno che fa il bene può essere contaminato dal contatto materiale con qualsiasi cosa [ impura ].

Dinanzi a Dio è impuro chi commette ingiustizie, mentre il giusto ( qualsiasi giusto ) è puro; e se non lo è dinanzi agli uomini, lo è certamente dinanzi a Dio, che giudica con verità.

Pertanto, quando l'uomo subisce tali affronti, se ha facoltà di evitarli e non li evita, non viene reso impuro dal contatto materiale con le cose ma dal peccato per il quale, dandoglisi la possibilità, non ha voluto evitarli.

Qualunque cosa poi sarà stata compiuta per evitarli, non sarà peccato; e quindi, se per evitarli uno fosse ricorso alla menzogna, non avrebbe peccato.

9.16 - Illecite tutte le menzogne che nuocciono agli altri

Ma non bisognerà per caso eccettuare alcune menzogne, per le quali sia preferibile subire la contaminazione piuttosto che mentire?

Se così fosse, ne risulterebbe che non tutto quello che si fa per evitare le sudicerie di cui sopra è esente da colpa.

Lo dico di certe menzogne, commettere le quali è più grave che non subire l'oltraggio.

Ecco uno, che un disonesto ricerca per violentarlo sessualmente e che invece con una menzogna si potrebbe tenere nascosto.

Chi oserà dire che nemmeno in questo caso è lecito mentire?

Ma se per occultarlo bisogna ricorrere a una menzogna che lede la fama altrui, incriminando falsamente questo secondo della contaminazione a cui si voleva sottoporre quell'altro?

Se si dicesse, [ ad esempio ], a quel perverso il nome di un uomo casto e del tutto estraneo a simili disordini: " Va' dal quel tizio, e lui ti procurerà senz'altro come equalmente tu possa scapricciarti a tuo piacimento.

È infatti uno che conosce l'ambiente e ci gongola "?

Ammesso che con tali parole si possa distogliere quell'uomo dal perseguire la persona ricercata, non saprei dire se si possa ledere con la menzogna la fama di uno per impedire che sia profanato dalla libidine di quel malintenzionato il corpo d'un altro.

In realtà mai bisogna dire menzogne che rechino vantaggio a uno, se un altro ne viene danneggiato, anche se il danno di costui sia inferiore a quello dell'altro, che tu impedisci con la tua menzogna.

Fa' conto che si tratti del pane: se uno si rifiuta di darlo ed è in ottima salute, tu non glielo puoi togliere per sfamare un affamato.

Così tu non puoi fustigare un innocente, che non voglia subire la pena, per evitare che un altro [ innocente ] venga ucciso.

Se essi liberamente accettassero la cosa, la si faccia!

Accettando loro personalmente, non c'è più lesione.

10.16 Ci si chiede ora se si può macchiare la fama di una persona anche consenziente attribuendole falsamente il peccato di stupro per impedire che un'altra persona sia stuprata nel corpo.

È una questione spinosa, e io non saprei dire se facilmente si possa trovare un motivo per concludere che è giusto macchiare con l'accusa d'uno stupro inventato la fama d'una persona consenziente piuttosto che macchiare col medesimo stupro il corpo di chi vi si oppone.

10.17 - In fatto di religione la menzogna è sempre illecita

Ora ripensiamo a quel tale a cui si proponeva d'offrire l'incenso agli idoli piuttosto che subire delle sfrenatezze postribolari.

Se per evitare questi abusi qualcuno si permettesse d'offendere con la menzogna il buon nome di Cristo, con questo suo comportamento si dimostrerebbe persona del tutto impazzita.

Dico di più: egli sarebbe pazzo se per evitare un atto di libidine commesso da un altro, per impedire cioè che si compia un atto che egli subisce senza alcuna sua voglia libidinosa, falsificasse il Vangelo di Cristo lodando Cristo con lodi menzognere.

Così facendo, dimostrerebbe di voler evitare la contaminazione del proprio corpo da un estraneo più che evitare di contaminarsi da se stesso nella dottrina che santifica le anime e i corpi.

Pertanto occorre assolutamente evitare ogni sorta di menzogne quando si tratta di dottrina religiosa e di tutte quelle espressioni in cui si enunzia la dottrina religiosa, tanto nell'insegnarla quanto nell'apprenderla.

Non si pensi che per un qualche verso si possano trovare motivi che autorizzino a mentire in questa materia, se è vero, com'è vero, che nella dottrina religiosa non è lecito mentire nemmeno per rendere più facile l'adesione ad essa.

Vanificato o soltanto sminuito di un po' il peso della verità, tutto rimarrebbe dubbio, perché certe cose, se non le si crede vere, non le si può ritenere nemmeno certe.

Pertanto a un espositore o trattatista o predicatore delle verità eterne, o anche a un narratore o banditore di cose temporali che mirano ad edificare l'uomo nella religione o nella santità, sarà lecito tenere occulto per un certo tempo ciò che si ritiene dover restare occulto, ma non sarà mai lecito mentire e nemmeno occultare [ la verità ] ricorrendo alla menzogna.

11.18 - Da escludersi tutte le menzogne che recano danno

Una volta stabilito con assoluta fermezza quanto or ora detto, si può con maggiore tranquillità indagare sulle altre menzogne.

E come conseguenza logica segnaliamo subito che è da escludersi qualsiasi menzogna che ingiustamente leda la persona altrui.

A nessuno infatti è lecito recare un danno, anche se leggero, per allontanare da un altro un danno magari più grave.

Né si debbono tollerare quelle menzogne che, sebbene non nuocciano ad alcuno, non giovano a nessuno mentre nuocciono a chi le proferisce senza un perché.

Chi mente così, propriamente merita il nome di impostore.

C'è infatti differenza fra mentitore e impostore.

È infatti mentitore anche chi mente contro voglia; impostore invece è colui che ama mentire e dentro l'animo in modo abituale si diletta della menzogna.

Sono da prendersi in considerazione anche coloro che nel mentire si propongono di accattivarsi il plauso della gente.

Costoro non danneggiano né offendono nessuno ( questo genere di mentitori li abbiamo già condannati! ), ma agiscono così per essere piacevoli nel loro discorrere.

Questi tali differiscono dalla categoria degli impostori, di cui parlavamo sopra, perché questi provano gusto nel mentire godendo della falsità della cosa stessa, mentre questi altri intendono piacere per il loro parlare faceto ma vorrebbero piacere più ancora per la verità che dicono.

Non trovando facilmente cose vere con cui rendersi graditi agli uditori, preferiscono dire menzogne anziché tacere.

È comunque difficile che questi bugiardi riescano una qualche volta a imbastire un racconto del tutto falso; in genere essi mescolano il falso con il vero, quando viene loro a mancare la vena del dire.

Queste due specie di menzogna non danneggiano chi vi presta fede, poiché non lo si imbroglia nella dottrina concernente la religione o la verità né in qualcosa che gli rechi profitto o emolumento.

A chi crede così è, infatti, sufficiente poter concludere che quanto gli viene raccontato sia potuto realmente avvenire, e in tal modo conservi fiducia nel narratore che non si può prendere per bugiardo senza validi motivi.

Che pregiudizio infatti mi reca supporre che il padre o il nonno d'un tale sia stato una buona persona mentre non lo era?

O che uno, facendo il soldato, sia arrivato magari in Persia, mentre di fatto non si è allontanato mai da Roma?

Tali menzogne però sono di grave danno a coloro che le dicono.

Nuocciono agli uni perché si allontanano dalla verità per godere della falsità; nuocciono agli altri perché al piacere proprio della verità antepongono il loro piacere personale.

12.19 - La menzogna che arreca vantaggi

Condannate senza esitazione di sorta queste specie di menzogna, saliamo gradatamente verso il meglio e consideriamo quella menzogna che la gente dice esser propria dei buoni e dei bendisposti: quando cioè chi la proferisce non solo non nuoce a nessuno ma a qualcuno procura vantaggi.

Riguardo a questo genere di menzogne, tutta la controversia sta nel decidere se chi offende la verità per giovare a un altro non rechi danno a se stesso.

È pacifico, certo, che merita il nome di verità solo quella che illumina le menti con la sua luce interiore e immutabile; tuttavia chi agisce così agisce contro un qualcosa di vero.

Pur ammettendo infatti che i sensi del corpo si ingannano, è indubitato che si pone in contrasto con la verità colui che di una cosa asserisce che è così, o non così, senza che tale conclusione gli venga presentata o dalla ragione o dai sensi o da personali congetture o persuasioni.

Stabilire quindi se un'affermazione che giova a un altro non nuoccia a chi la dice o non gli nuoccia, perché il danno è compensato dal vantaggio che si reca al prossimo, è una gran questione.

Se fosse vero questo, ne seguirebbe che uno può anche procurare vantaggi a se stesso con una menzogna che non nuoce a nessuno.

Sono questioni collegate fra loro; e se le si accetta, ne derivano conseguenze che lasciano molto sconcertati.

Ci si potrebbe chiedere infatti quale danno derivi a un uomo che nuota nell'abbondanza di beni superflui se dagli innumerevoli mucchi di frumento gli si sottragga un moggio, con il quale il ladro possa procurarsi il necessario per vivere.

La conseguenza sarebbe che si può impunemente anche rubare e dire falsa testimonianza senza commettere peccato.

Ma quale conclusione potrebbe essere più sballata di questa?

Ancora: si potrà ammettere che un tizio rubi quel moggio [ di frumento ] sotto i tuoi occhi e tu, interrogato del fatto, per favorire il povero possa dire una menzogna a coscienza tranquilla, mentre saresti colpevole se rubassi per rimediare alla tua povertà?

Quasi che tu debba amare più il prossimo che non te stesso! …

Se ne deduce che le cose sono tutt'e due sconvenienti, e quindi da evitarsi.

12.20 - Menzogne oneste: ci sono? e quando ci sono?

Forse qualcuno vorrà qui aggiungere una qualche eccezione e sostenere che ci siano menzogne innocenti: quelle cioè che, senza nuocere ad alcuno, recano anche dei vantaggi.

Si escludono evidentemente quelle dette per occultare o difendere le azioni criminose.

È infatti senz'altro riprovevole la menzogna che, pur senza danno per alcuno, anzi con utilità del povero, tuttavia serve ad occultare un furto; ma se non danneggiasse nessuno e a qualcuno recasse utilità né vi si nascondesse o difendesse alcuna azione peccaminosa, diremo che è cosa disonesta?

Facciamo l'esempio che tu veda un tizio che sta nascondendo il proprio denaro per non farselo rubare o portar via per forza.

Interrogato del fatto, tu dici una menzogna, che non reca danno a nessuno mentre è utile a colui che occulta il denaro.

Col tuo mentire non commetteresti peccato, come non è peccato nascondere i propri averi di cui si teme la perdita.

Ma se mentendo non pecchiamo in quanto non occultiamo alcuna colpa, né rechiamo danno ad alcuno né a qualcuno rechiamo vantaggi, come la metteremo nei confronti di quel peccato che è la menzogna di per se stessa?

Dove sta scritto infatti: Non rubare, sta anche scritto: Non dire falsa testimonianza. ( Es 20,15.16 )

Sono cose proibite tutt'e due.

Perché dunque dovrebbe essere illecita la falsa testimonianza quando serve a nascondere il furto o qualche altro peccato, ed essere esente da colpa quando la si dice solo per mentire e non per difendere una qualche colpa?

Il furto e gli altri peccati sono colpe di per se stessi: che quindi sia lecito fare il peccato, mentre è illecito occultarlo?

Indice