La menzogna |
È questa una conclusione assurda: e allora che diremo? Che non ci sia falsa testimonianza se non quando si mente per attribuire a qualcuno un delitto, o per nascondere il delitto commesso da qualcuno, o in qualsiasi modo per incolpare qualcuno in tribunale?
Il testimone infatti sembra esser necessario al giudice per essere informato sul processo.
Ma se la Scrittura facesse menzione del testimone solo a questo riguardo, l'Apostolo non direbbe: Noi risultiamo essere falsi testimoni di Dio se contro Dio abbiamo attestato che egli ha risuscitato Cristo dai morti, mentre invece non l'ha risuscitato. ( 1 Cor 15,15 )
Con tali parole mostra che la falsa testimonianza è una menzogna, anche quando la si dice per elogiare falsamente qualcuno.
Chiediamo se dica una falsa testimonianza colui che mente attribuendo a qualcuno un peccato o nascondendolo, ovvero se in qualche modo reca danno a qualcuno.
Se infatti è riprovevole una menzogna che si dice per nuocere alla vita temporale di qualcuno, quanto maggiormente non lo sarà quella che danneggia la vita eterna?
Tale è ogni menzogna che verte circa la dottrina religiosa, per cui l'Apostolo chiama falsa testimonianza la menzogna che tocca la persona di Cristo, anche se le parole sembrano contenere una sua lode.
Ma supponiamo che si tratti di menzogne dette non per attribuire a qualcuno un peccato o per nasconderlo, menzogne che esulano da inchieste giudiziarie, menzogne dalle quali deriva dell'utile a qualcuno senza che nuocciano ad alcuno.
Diremo forse che non sono false testimonianze né menzogne meritevoli di biasimo?
Che dire pertanto se in casa di un cristiano si rifugi un omicida, o se un cristiano veda dov'egli si è rifugiato, quando di questo venga interrogato da colui che vuol mettere a morte quell'omicida?
Dovrà per caso mentire? E se mente, non sarà forse per occultare il peccato, dal momento che quel tale per cui si mente ha commesso una scelleratezza?
[ Non peccherà ] forse perché non gli viene chiesto qualcosa sul fatto peccaminoso ma solo nel luogo dove si è nascosto?
Sarebbe dunque un male dire una menzogna per occultare il peccato che uno ha commesso e non sarebbe un male dirla per occultare colui che l'ha commesso?
Proprio così, dirà qualcuno. Non si pecca infatti quando si sfugge alla pena capitale ma quando si commette il peccato per cui si merita quella pena.
Nella dottrina cristiana poi s'insegna a non disperare del ravvedimento di nessuno e a non chiudere ad alcuno l'accesso alla penitenza.
Che dire però dell'evenienza che tu, condotto alla presenza del giudice, venga da lui interrogato proprio del luogo dove quel ricercato si nasconde?
Risponderai per caso che non lo sai, mentre invece sai che è in quel luogo?
Ovvero dirai: " Non lo so, non l'ho visto " pur sapendolo e avendolo visto?
Vorrai dunque dire una falsa testimonianza, uccidendo la tua anima, perché non venga ucciso l'omicida?
Vorrai dunque mentire finché non ti trovi di fronte al giudice, mentre quando il giudice ti farà un'esplicita domanda dirai finalmente la verità per non essere un falso testimone?
Con il tuo palesare la cosa, tu allora ucciderai quell'uomo!
La Scrittura divina infatti condanna severamente colui che rivela il colpevole.
Diremo quindi che non ci si renda colpevoli di denunzia quando si risponde con verità al giudice inquirente, mentre si sarebbe rei palesando di propria iniziativa un colpevole per farlo condannare a morte?
E che diremo se tu, informato del luogo dove si nasconda un cittadino giusto e innocente, venga interrogato da un giudice, mentre a condannarlo a morte sia un'autorità superiore [ al giudice ], per cui chi ti interroga sia un esecutore della legge e non il legislatore stesso?
Forse che il mentire a pro' dell'innocente non dovrà dirsi falsa testimonianza, perché a interrogarti non è il [ vero ] giudice ma un esecutore della legge?
Che diremo quindi se ti interrogasse il legislatore in persona o un giudice [ competente ], il quale perché iniquo stia cercando di condannare a morte l'innocente?
Che farai in tal caso? Dirai la falsa testimonianza o rivelerai quell'uomo?
E poi, sarà veramente un delatore colui che di sua spontanea volontà indica a un giudice giusto il nascondiglio dell'omicida e non lo sarà colui che, interrogato da un giudice iniquo dove si nasconda l'innocente, da lui perseguitato a morte, rivela colui che si era messo fiduciosamente nelle sue mani?
Rimarrai dunque dubbioso e incerto fra il delitto di falsa testimonianza e quello di delazione?
Forse che stando in silenzio o ripromettendoti di non dir nulla potrai esser certo di aver evitato tutt'e due i mali?
Perché allora, prima di comparire davanti al giudice, non vorrai evitare la menzogna?
Evitando la menzogna, eviterai anche la falsa testimonianza, tanto se qualsiasi specie di menzogna è anche falsa testimonianza quanto se non lo è; se invece eviterai ogni falsa testimonianza, intesa come tu vuoi, non eviterai ogni specie di menzogna.
Con quanto maggiore fortezza e nobiltà di spirito dirai dunque: Non lo denunzierò e non mentirò!
Questo fece or non è molto un vescovo di Tagaste che si chiamava Fermo e che nella volontà fu ancora più fermo.
Egli aveva nascosto con massima solerzia un uomo che si era rifugiato presso di lui.
Richiesto per ordine dell'imperatore, che aveva spedito delle guardie a prelevare quell'uomo, il vescovo rispose che non poteva né mentire né rivelare il nascondiglio del ricercato, e sopportando molti tormenti corporali ( in quel tempo gli imperatori non erano cristiani ) restò saldo nella sua decisione.
Quando più tardi fu tradotto in presenza dell'imperatore, si mostrò d'una virtù così ammirabile da chiedere e ottenere lui stesso senza difficoltà la grazia all'uomo che aveva tenuto presso di sé.
Cosa si potrebbe fare di più forte e coraggioso d'un tale gesto?
Ma qualcuno, più pauroso, potrebbe obiettare: Io sarei disposto a tollerare ogni sorta di tormenti e ad affrontare la stessa morte per evitare il peccato; ma se non è peccato mentire quando non si reca danno a nessuno, non si dice falsa testimonianza e si fa del bene a qualcuno, è una stoltezza, anzi un grave peccato, sottoporsi inutilmente a tormenti volontari e gettar via di fronte a nemici imbestialiti la salute e la vita, che forse potrebbero risultare ancora utili.
A costui domando perché tema la parola della Scrittura: Non dire falsa testimonianza ( Es 20,16 ) e non tema quell'affermazione rivolta a Dio: Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono menzogne. ( Sal 5,7 )
Risponde: " Non è scritto: Ogni menzogna "; ma io lo intendo come se dicesse: " Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono falsa testimonianza ".
Infatti nemmeno in questo caso si dice: Ogni falsa testimonianza.
Dice ancora: " Questa però è collocata fra quegli atti che sono cattivi sotto ogni punto di vista ".
" Ma non sarà così anche di quel testo che dice: Non uccidere? ( Es 20,15 ) ".
Che se l'uccidere è in tutti i casi un'azione cattiva, come scusare da colpa quei giusti che, dopo che fu promulgata la legge, uccisero tante persone?
Ti risponde che non uccide di persona colui che è esecutore materiale d'un precetto giusto.
Il timore di questi obiettori io lo accetto, ma credo che quell'uomo encomiabile che non volle mentire né denunziare il suo protetto capì meglio la parola della Scrittura e mise in pratica con più coraggio ciò che aveva compreso.
A volte si arriva al caso che non ci si domandi dove si trova colui che è ricercato né siamo costretti a rivelare dove si nasconda colui che, se noi non lo indichiamo, non può essere facilmente scoperto; ma ci si chieda soltanto se stia o meno in quel determinato posto.
Se noi lo sappiamo, col nostro stesso tacere lo denunziamo, e così pure se diciamo che non riveleremo mai se egli sia o non sia in quel luogo.
Da ciò infatti l'investigatore ricava che effettivamente egli si trova lì, poiché se non vi si trovasse, la persona interrogata che non volesse né mentire né rivelare il nascondiglio risponderebbe semplicemente: Non c'è.
In questo modo sia con il nostro silenzio sia con le parole che diciamo riveliamo dove si trovi quell'uomo, e così colui che ne va in cerca entra nel nascondiglio, se ne ha il potere, e lo scopre.
Con una nostra menzogna invece avremmo potuto impedire che lo trovasse.
In conclusione, se non sai dove si trova non hai motivo per nascondere la verità, ma dovrai confessare che non conosci la cosa.
Ecco invece che tu sai dove si trova colui che è ricercato, tanto se lo si cerchi là dove effettivamente si trova quanto se lo si cerchi altrove.
Se a te si chiede se sia in quel luogo o in un altro, a questa richiesta ( dove sia o dove non sia ) tu non devi rispondere: Non ti dirò mai quello che tu cerchi, ma risponderai: So dove si trova, ma a te non lo indicherò mai.
Se infatti nel rispondere non dirai niente del posto dichiarando però che dici così perché non lo vuoi rivelare, è come se mostrassi a dito il posto stesso.
Susciti infatti un sospetto che non lascia dubbi.
Se invece cominci col dire che tu conosci dove si trova ma non vuoi dirlo, può darsi che l'inquirente si tenga lontano da quel posto ma ti carichi di domande perché tu manifesti il suo nascondiglio.
E se tu avrai da sopportare qualcosa per essere coscienzioso e benevolo e lo farai con fortezza, nessuno dirà che sei colpevole, ma tutti che meriti lode.
Si escludono evidentemente i casi in cui chi ha da soffrire qualcosa lo fa non per motivo di fortezza ma di lussuria e disonestà.
Questo tipo di menzogna è l'ultimo, e ne dovremo trattare con più accuratezza.
La prima specie di menzogna, quella che è necessario evitare e fuggire sopra ogni altra, è quella che riguarda la dottrina religiosa.
La si deve escludere da tutti senza alcun cedimento.
Seconda è quella che danneggia ingiustamente qualcuno: che cioè è tale che a nessuno reca vantaggi mentre nuoce a qualcuno.
La terza specie è data da quelle menzogne che, mentre a qualcuno giovano, ad altri recano danno, non però contaminando il corpo sì da renderlo immondo.
La quarta è di quelle menzogne che si dicono solo per la voglia di mentire e trarre in inganno, cioè le bugie pure e semplici.
La quinta specie è data da quelle menzogne che si dicono per il desiderio di farsi belli per l'arguzia nel parlare.
Tutte queste specie di menzogna bisogna assolutamente evitare e disapprovare.
C'è poi una sesta specie, che è quella in cui la falsità non arreca danno a nessuno mentre a qualcuno reca vantaggi.
È il caso di uno che sa dove si trovi il denaro di un altro, e a chi vuol sottrarglielo ingiustamente dice, ricorrendo alla menzogna, che non lo sa, chiunque sia colui che lo interroga.
Settima specie è quella menzogna che, senza nuocere ad alcuno, giova a qualche altro, e chi interroga non è il giudice.
Ad esempio, uno mente per impedire che sia condannato a morte un ricercato, non solo se buono e innocente ma anche se colpevole.
Rientrano infatti nella dottrina cristiana le massime che non bisogna disperare del ravvedimento di nessuno e che non si deve precludere ad alcuno l'accesso alla conversione.
Riguardo a queste due specie di menzogna di solito vengono sollevate grandi controversie, ma di questo noi abbiamo già trattato a sufficienza mostrando la soluzione che preferiamo.
È questa: gli uomini e le donne forti, muniti di fede e amanti della verità, debbono evitare anche questi due tipi di menzogna, sostenendo a tal fine le inevitabili molestie, che occorre sopportare con animo retto e grande fortezza.
L'ottava specie di menzogne è quella in cui il mentire non danneggia nessuno e giova a qualcuno, preservandolo dall'essere contaminato nel corpo con una di quelle lordure che sopra abbiamo elencate, e non altre.
Infatti i giudei ritenevano che fosse una contaminazione anche il mangiare senza lavarsi le mani. ( Mt 15,2.20 )
Che se qualcuno chiamasse impurità anche questo, io non la ritengo tale che per evitarla si possa mentire.
Se però si trattasse d'una menzogna che danneggia qualcuno, anche nel caso che ti preservi da quella contaminazione che la gente aborrisce e detesta [ io mi chiederei ancora ]: Si deve anche in tal caso dire una menzogna dalla quale non deriva un disordine che rientri tra quelle sudicerie di cui ora stiamo trattando?
Ma è una questione diversa.
Non si fa più infatti una ricerca sulla menzogna, ma ci si chiede se anche senza mentire si possa procurare a qualcuno un danno per eliminare una contaminazione da una terza persona.
Per parte mia, io penserei che ciò non sia affatto lecito, anche se si trattasse di piccolissimi danni, come quello che sopra ho ricordato, cioè la perdita di un solo moggio.
È pur vero che lascia molto perplessi il fatto che non dobbiamo arrecare a nessuno nemmeno il più piccolo torto, quando facendolo una qualche persona potrebbe essere riparata o protetta contro la minaccia di uno stupro.
Ma questa, come ho detto, è un'altra questione.
Ora occupiamoci della questione accennata: è lecito o no mentire se ci si trovi nella situazione ineludibile o di dire una menzogna o di subire uno stupro o un'altra contaminazione altrettanto esecrabile, anche nel caso che con la menzogna non si danneggi nessuno?
Su questo argomento si aprirà un qualche spiraglio utile alla nostra considerazione quando avremo esaminato i libri dotati di autorità divina che proibiscono la menzogna.
In effetti se essi non ci danno alcun fondamento è inutile che noi cerchiamo altrove le soluzioni.
Bisogna infatti attenersi ad ogni costo al comando di Dio e seguire di buon grado la sua volontà anche se, per eseguire i suoi comandi, dobbiamo affrontare dei patimenti.
Se viceversa rimanesse aperto un qualche varco, in tal caso non sarebbe obbligatorio rifuggire dalla menzogna.
Le divine Scritture infatti descrivono non solo i precetti di Dio ma anche la vita e il comportamento dei santi, e così, qualora il senso di un qualche precetto risultasse oscuro, diventerebbe comprensibile attraverso l'agire dei santi.
Bisogna tuttavia eccettuare quegli avvenimenti che si possono prendere in senso allegorico, sebbene non si possa dubitare che si tratti di fatti realmente avvenuti.
Tali appunto sono quasi tutti gli avvenimenti narrati dai libri dell'Antico Testamento.
Chi infatti oserà dire che una qualche narrazione ivi contenuta non rientri fra le prefigurazioni simboliche?
In tal senso anche l'Apostolo dice che i figli di Abramo raffigurano i due Testamenti, sebbene essi fossero nati e vissuti secondo l'ordine naturale con cui si propaga una stirpe, come è facilissimo rilevare. ( Gal 4,22-24 )
Non nacquero infatti in modo tale da poter essere presi come portenti o esseri straordinari, e così indurre l'animo di qualcuno ad attribuire loro un valore simbolico.
Lo stesso diciamo di quel dono stupendo conferito da Dio al popolo d'Israele, quando lo liberò dalla schiavitù che l'opprimeva in Egitto, e dei castighi con cui lo punì per i peccati commessi durante la traversata [ del deserto ], ( 1 Cor 10,1-11 ) sebbene Paolo affermi che ciò avveniva con valore di simbolo.
Quali fatti dunque potrai tu trovare per considerarli una eccezione a questa regola e sui quali oserai affermare con sicurezza che non si possono prendere come una figura?
Esclusi pertanto questi avvenimenti, gli altri, cioè le opere dei santi del Nuovo Testamento nelle quali c'è un richiamo chiarissimo perché ne imitiamo la condotta, vanno presi come esempi per comprendere quei passi delle Scritture che contengono precetti.
Leggiamo nel Vangelo: Hai ricevuto uno schiaffo? Presenta l'altra guancia. ( Mt 5,39 )
Orbene, della pazienza noi non troviamo un esempio più forte e sublime di quello datoci dal Signore stesso; eppure egli, quando fu schiaffeggiato non disse: " Eccoti l'altra guancia ", ma: Se ho parlato male rimproverami del male; se invece ho parlato bene perché mi percuoti? ( Gv 18,23 )
Con ciò dimostra che l'offerta dell'altra guancia è da farsi nel cuore.
È questa una cosa di cui anche l'apostolo Paolo era ben cosciente.
Infatti quando fu preso a schiaffi dinanzi al pontefice non disse: " Percuoti anche l'altra guancia ", ma: Il Signore ti percuoterà, o muro imbiancato!
Tu [ che ] siedi per giudicarmi secondo la legge, e contro la legge mi fai colpire di percosse … ( At 23,3 )
Egli penetrava a fondo nella realtà che il sacerdozio giudaico era ormai diventato tale che, mentre all'esterno rifulgeva per il titolo, all'interno s'era insudiciato con desideri di fango.
Dicendo quelle parole, egli illuminato dallo Spirito prevedeva che quell'istituzione sotto i colpi dell'ira divina stava per tramontare; eppure aveva il cuore pronto non solo a ricevere altri schiaffi per amore della verità ma anche a sopportare ogni genere di tormenti, amando sempre coloro da cui li riceveva.
Sta scritto ancora: Io però vi dico di non giurare in alcun modo; eppure l'Apostolo nelle sue lettere ricorre al giuramento, ( Rm 9,1; Fil 1,8; Gal 1,20 ) mostrando in tal modo come si debbano intendere le parole: Vi dico di non giurare in alcun modo.
Significano che non deve succedere che a forza di giurare si passi alla facilità nel far uso del giuramento, dalla facilità nel giurare all'abitudine, e dall'abitudine si scivoli poi nello spergiuro.
Per questo non si trova che Paolo abbia giurato altrove fuorché nei suoi scritti: qui infatti un'attenta considerazione impedisce alla lingua d'uscire in espressioni incontrollate.
Con ciò egli si teneva lontano dal male, di cui è detto: Il di più viene dal male: ( Mt 5,34.37 ) non il male proprio certamente ma della fragilità di coloro nei quali anche in questo modo si sforzava di generare fiducia.
Che egli abbia proferito giuramenti anche quando parlava e non scriveva, non so se la Scrittura ce ne dia una qualche notizia.
Quanto invece al Signore, siccome egli dice di non giurare in alcun modo, nemmeno a chi scrive permette di giurare.
Ma anche riguardo a Paolo, è delitto affermare che egli abbia colpevolmente trasgredito un comando [ del Signore ], specialmente perché le sue lettere sono scritte e propagate per la vita spirituale e la salvezza delle genti.
Pertanto intenderemo l'espressione del Vangelo: In alcun modo come pronunciata nel senso che tu, per quanto sta in te, non ammetta, non ami, non desideri con compiacenza il giuramento come se fosse un bene.
Vale qui quanto diciamo per le parole: Non preoccupatevi del domani, e per le altre: Non preoccupatevi del mangiare, del bere e del vestire. ( Mt 6,34 )
Vediamo in effetti che il Signore aveva una borsa dove venivano depositate le offerte che gli si davano, perché fossero serbate per gli usi necessari giorno per giorno; ( Gv 12,6 ) e negli Atti degli Apostoli leggiamo che gli apostoli erogarono molto denaro ai fratelli che erano nell'indigenza, e questo non per un giorno ma durante la carestia che si protrasse per un tempo assai lungo. ( At 11,28-30 )
Da ciò risulta con sufficiente chiarezza che quei precetti [ del Signore ] debbono essere intesi nel senso che noi non dobbiamo fare alcun'opera come costretti da necessità, né per l'avidità d'accumulare beni temporali né per il timore d'essere ridotti in miseria.
Nello stesso senso fu detto agli apostoli di non portare nulla con sé nei loro viaggi e di ricavare il vitto dal Vangelo.
In un testo lo stesso Signore spiegò il motivo delle sue parole aggiungendo: Poiché l'operaio è degno del suo compenso. ( Lc 10, 4.7; Mt 10,10 )
Dicendo così mostra chiaramente che si tratta di una concessione, non di un comando, per cui se uno avesse fatto ciò, se cioè nel predicare la parola avesse preso da coloro a cui si rivolgeva qualcosa necessario per vivere, non doveva pensare d'aver commesso una illegalità.
Avrebbe potuto, naturalmente, rinunciarvi ( e ciò sarebbe stato ancor più encomiabile ), come appare evidente nell'apostolo Paolo, il quale tuttavia scriveva: Colui che viene istruito nella parola renda partecipe il catechista di tutti i suoi beni. ( Gal 6,6 )
E in molti altri testi ancora mostra che ciò veniva fatto fruttuosamente da coloro ai quali annunziava la parola, sebbene dica: Io di questa facoltà non mi sono mai avvalso. ( 1 Cor 9,12 )
Il signore dunque, dicendo quelle parole, diede un permesso, non obbligò con un comando.
Conclusione: Quando nelle parole non riusciamo a capirne il senso, dall'operato dei santi ricaviamo come bisogna intenderle, mentre se non fossimo trattenuti dai loro esempi, saremmo facilmente portati ad interpretazioni diverse.
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