La natura del bene |
Ma perché si possa comprendere quel che diciamo e si possano soddisfare i più lenti, o perché almeno siano costretti a confessare il vero gli ostinati, capaci di resistere alla verità più lampante, si chieda loro se la corruzione possa nuocere al corpo di una scimmia.
Se la cosa è possibile, in modo che esso diventi ancor più ripugnante, che cosa diminuisce, se non il bene della bellezza?
Quindi qualcosa resterà fin quando sussiste una natura corporea.
Perciò, se con il consumarsi del bene si consuma una natura, allora la natura è buona.
Così diciamo che lento è contrario a veloce, anche se quel che non si muove in assoluto non può nemmeno essere detto lento.
Così diciamo che un suono grave è contrario ad uno acuto, o anche uno stridente ad uno melodico: ma se cancelli del tutto ogni forma sonora, c'è il silenzio come assoluta assenza di suono; esso però, in quanto assenza di suono, è normalmente contrapposto alla voce come suo contrario.
Così si parla di luminoso ed oscuro come di due contrari: eppure anche ciò che è oscuro ha una qualche luce; se ne è del tutto sprovvisto, allora ci sono le tenebre in quanto assenza di luce, come il silenzio è assenza di suono.
Eppure anche queste privazioni delle cose rientrano a tal punto nel generale ordine della natura, da occupare un proprio posto non sconveniente nella considerazione dei sapienti.
Dio infatti, non illuminando determinati luoghi e tempi, ha fatto le tenebre in modo conveniente come i giorni.
Del resto, se noi, trattenendo il suono, intercaliamo nel discorso un silenzio conveniente, quanto più egli, come artefice perfetto di tutte le cose, produrrà in modo conveniente delle privazioni in alcune di esse?
Per questo nel cantico dei tre giovani anche la luce e le tenebre lodano il Signore; ( Dn 3, 51.72 ) fanno sorgere cioè la sua lode nei cuori di quanti sanno ponderare rettamente.
Dunque non è cattiva nessuna natura, in quanto natura; per ogni natura invece il male non è altro che diminuzione di bene.
Se poi la diminuzione ne comportasse la eliminazione, come non resterebbe nessun bene, così non resterebbe nessuna natura: non solo quella introdotta dai manichei, in cui si trovano tanti beni, da far risultare sorprendente la loro eccessiva cecità, ma quella che può essere introdotta da chiunque.
Non si può chiamare male nemmeno quella materia, che gli antichi chiamarono hyle.
Non mi riferisco a quella che forma i corpi, da Mani denominata hyle con la più dissennata superficialità, senza sapere quel che dice, equivalente, come è stato affermato giustamente, all'introduzione di un altro dio; del resto solo Dio può formare e creare corpi e questi vengono creati solo in quanto sono loro immanenti misura, forma e ordine, che sono dei beni e possono essere solo a partire da Dio, come almeno anch'essi, credo, riconoscono.
Con hyle mi riferisco invece ad una materia del tutto informe e priva di qualità, a partire dalla quale sono formate le qualità sensibili, come fu detto anticamente.
Da qui anche legname equivale al greco ϋλε, poiché si presta a quanti lo lavorano, in modo che se ne ricavi qualcosa, senza che esso lo produca direttamente.
Non si deve dunque chiamare male questa hyle, che non può essere percepita in virtù di una qualche forma, ma può essere appena pensata in virtù di una riduzione generalizzata della forma.
Anch'essa, in effetti, è idonea alle conformazioni: se infatti non potesse accogliere una conformazione imposta da un artefice, non si potrebbe sicuramente chiamare materia.
Se quindi una conformazione è un bene, donde sono chiamati formosi quanti ne traggono motivo di superiorità, così come speciosi deriva da species, senza dubbio è un qualche bene anche l'idoneità alla conformazione.
Ugualmente nessuno dubita che, essendo la sapienza un bene, sia un bene l'idoneità alla sapienza.
E poiché ogni bene proviene da Dio, nessuno deve legittimamente dubitare che anche questa materia, in quanto è, è solo a partire da Dio.
In modo divinamente splendido il nostro Dio ha quindi detto al suo servitore: Io sono colui che sono; e tu dirai ai figli di Israele: Colui che è mi ha mandato a voi. ( Es 3,14 )
Egli è in senso vero, poiché è immutabile.
Ogni mutamento fa non essere più ciò che era.
Quindi colui che è immutabile è in senso vero.
Tutte le altre cose, che sono opera sua, hanno ricevuto l'essere da lui secondo la propria misura.
Dunque a colui che è in modo sommo può essere contrario solo ciò che non è.
Di conseguenza, come proviene da Dio tutto ciò che è buono, così proviene da lui tutto ciò che è secondo natura, poiché tutto ciò che è secondo natura è buono.
Pertanto ogni natura è buona e ogni bene è da Dio: dunque ogni natura è da Dio.
Quanto al dolore, poi, che alcuni ritengono il male per eccellenza, sia nell'anima che nel corpo, esso può esserci solo nelle nature buone.
Il fatto stesso della resistenza al dolore equivale in un certo senso al rifiuto di non essere più ciò che si era, poiché si era un qualche bene.
Se poi induce verso il meglio, il dolore è utile, mentre se induce verso il peggio, è inutile.
Nell'anima, quindi, è motivo di dolore la volontà che resiste ad un potere più grande; nel corpo lo è la sensibilità che resiste ad un corpo più forte.
Ci sono però dei mali peggiori senza dolore: godere dell'iniquità è peggio che dolersi della corruzione.
È vero che anche tale gioia può scaturire soltanto dal conseguimento di beni inferiori, ma l'iniquità è pur sempre l'abbandono di beni superiori.
Così, a livello fisico una ferita dolente è meglio di una putrefazione senza dolore, che si dice in senso specifico corruzione: non la conobbe, cioè non ne patì, la carne del Signore dopo la morte, come era stato annunciato nella profezia: Non lascerai che il tuo santo veda la corruzione. ( Sal 16,10; At 2,31 )
Chi nega che egli sia stato ferito con i fori dei chiodi e trafitto dalla lancia? ( Gv 19,34; Gv 20,25 )
Ma anche quella che viene chiamata dagli uomini propriamente corruzione fisica, cioè la putrefazione vera e propria, aumenta con la diminuzione del bene, finché ha qualcosa da consumare fino in fondo.
Quando la eliminazione sarà completa, non resterà nulla, quindi nessuna natura; non ci sarà più quindi una corruzione in grado di corrompere.
Non ci sarà perciò la stessa putrefazione, poiché non ci sarà più nulla in assoluto dove essa possa essere.
Del resto nel modo ormai corrente d'esprimersi le cose piccole ed esigue sono dette modiche, poiché resiste in esse una qualche misura ( modus ), senza la quale non sono più modiche, ma non sono in assoluto.
Invece quelle che per uno sviluppo esagerato sono dette smodate, sono accusate di esagerazione.
Anch'esse, tuttavia, debbono necessariamente essere contenute secondo una certa misura, essendo al di sotto di Dio, che tutto ha disposto con misura, numero e peso. ( Sap 11,21 )
Non si deve invece attribuire a Dio una misura, perché non si pensi di attribuirgli una fine.
Ciò non vuol dire però che sia smodato colui dal quale è attribuita a tutte le cose la misura, che rende possibile il loro modo di essere.
Non è del resto opportuno parlare di Dio come un essere misurato, quasi che abbia ricevuto una misura dall'esterno.
Se invece diciamo che è la misura somma, probabilmente diciamo qualcosa, purché però, dicendo misura somma, intendiamo sommo bene.
Ogni misura, infatti, in quanto tale, è buona.
Quindi tutte le cose non possono essere dette misurate, moderate, regolate senza con ciò approvarle.
In un'altra accezione comunque usiamo misura al posto di fine, parlando di assenza di misura come assenza di una fine; talora lo si dice approvandolo, come nelle parole: Il suo regno non avrà fine. ( Lc 1,33 )
Avrebbe potuto anche dire: sarà smisurato, lasciando intendere misura come sinonimo di fine; infatti chi regna senza alcuna misura, certamente non regna.
Dunque una cattiva misura, una cattiva forma, un ordine cattivo sono chiamati così o perché inferiori a quel che dovrebbero essere, o perché inadeguati a quelle realtà alle quali debbono adeguarsi.
Sono perciò detti cattivi in quanto estranei e inadatti: è come dire che qualcuno non ha operato secondo una buona misura, perché ha operato in modo inferiore al dovuto o perché non ha operato nel modo dovuto in tale occasione, o anche più del necessario, o in modo sconveniente.
Così l'oggetto stesso del rimprovero, vale a dire l'atto compiuto secondo una cattiva misura, è motivo di giusto rimprovero unicamente perché non è stata rispettata la misura.
Parimenti una forma si dice cattiva in rapporto ad un'altra meglio conformata e più bella, essendo l'una minore e l'altra maggiore, non in rapporto all'entità, ma alla dignità; oppure perché non s'addice alla cosa alla quale è stata assegnata, sembrando estranea e sconveniente: sarebbe come se si vedesse passeggiare nel foro un uomo nudo, cosa invece non offensiva se si vede in un bagno.
Allo stesso modo allora si dice cattivo anche l'ordine, quand'esso viene rispettato di meno: ad esser cattivo in tal caso non è l'ordine, ma il disordine, essendosi instaurato un ordine inferiore o non conforme al dovuto.
Tuttavia, laddove c'è una misura, una forma, un ordine, c'è un qualche bene e una qualche natura, mentre dove non c'è nessuna misura, nessuna forma, nessun ordine, non c'è nessun bene e nessuna natura.
Questi, che sono i dati della nostra fede, in qualche maniera analizzati dalla ragione, devono essere corroborati dalle testimonianze delle divine Scritture, in modo che quanti non sono in grado di raggiungerli per una ridotta capacità di comprensione, credano all'autorità divina e per questo possano meritare di comprenderli.
Quanti invece li comprendono, ma sono meno preparati sui testi della Chiesa, non pensino che ciò sia frutto della nostra comprensione, piuttosto che essere presente in quei libri.
Della immutabilità di Dio si parla nei Salmi in questi termini: Tu muterai le cose ed esse muteranno, ma tu resti lo stesso. ( Sal 102,27-28 )
E nel libro della Sapienza si dice proprio della Sapienza: Pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova. ( Sap 7,27 )
Quindi anche l'apostolo Paolo: All'unico Dio invisibile e incorruttibile. ( 1 Tm 1,17 )
E l'apostolo Giacomo: Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c'è variazione né ombra di cambiamento. ( Gc 1,17 )
Parimenti, poiché quel che Dio ha generato come parte di sé coincide con se stesso, il Figlio stesso dice sinteticamente: Io e il Padre siamo una cosa sola. ( Gv 10,30 )
Poiché quindi il Figlio non è stato fatto, mentre certamente per mezzo suo sono state fatte tutte le cose, così è stato scritto: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui non è stato fatto nulla: ( Gv 1,1-3 ) cioè senza di lui non è stato fatto alcunché.
Non si deve quindi prestare ascolto alle stravaganze di uomini, i quali ritengono che in quel passo nulla debba essere inteso nel senso di qualcosa e che si possa essere vincolati ad una simile fandonia per il fatto che quello stesso termine nulla è stato posto alla fine della frase.
Dunque, sostengono, esso è stato fatto, e poiché è stato fatto, questo stesso nulla è qualcosa.
In effetti hanno perduto la capacità d'intendere per lo zelo del contestare, non comprendendo che è del tutto irrilevante dire: Senza di lui non è stato fatto nulla, o: Senza di lui nulla è stato fatto; anche se si dicesse in quest'ordine: Senza di lui nulla è stato fatto, possono nondimeno asserire che lo stesso nulla è qualcosa, poiché è stato fatto.
Infatti, da quando qualcosa effettivamente esiste, che importanza ha dire: " Senza di lui è stata fatta una casa ", oppure: " Senza di lui una casa è stata fatta ", se si comprende che qualcosa, che poi è una casa, è stato fatto senza di lui?
Così, dal momento che è stato detto: Senza di lui non è stato fatto nulla, e poiché sicuramente nulla non è qualcosa, se viene detto in senso vero e proprio, nulla importa che si dica: Senza di lui non è stato fatto nulla, oppure: Senza di lui nulla è stato fatto, o ancora: Nulla è stato fatto.
Chi mai accetterebbe un dialogo con persone che dalle mie parole: " Nulla importa ", possono concludere: "Dunque qualcosa importa ", proprio perché nulla è qualcosa?
È invece di una evidenza lampante, per quanti hanno un cervello sano, che la parole: " Nulla importa " debbono essere intese come equivalenti a: " Non importa nulla ".
Se poi costoro dicessero a qualcuno: "Che cosa hai fatto? " e quello rispondesse di non aver fatto nulla, di conseguenza dovrebbe accusarlo falsamente, dicendo: " Dunque hai fatto qualcosa, poiché non hai fatto nulla "; questo nulla è infatti qualcosa.
Ma trovano che anche il Signore stesso ha posto questa parola alla fine di una frase: Di nascosto non ho detto nulla. ( Gv 18,20 )
Che leggano, dunque, e tacciano.
Il fatto quindi che Dio non ha generato tutte le cose come parte di sé, ma le ha fatte in virtù del suo Verbo, e non con cose preesistenti, ma assolutamente inesistenti, cioè le ha fatte dal nulla, l'Apostolo lo dice così: Egli chiama le cose che non sono come se fossero. ( Rm 4,17 )
In modo più esplicito, poi, sta scritto nel libro dei Maccabei: Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che il Signore Dio li ha fatti non da cose preesistenti. ( 2 Mac 7,28 )
E nel Salmo sta scritto: Egli disse e le cose furono fatte. ( Sal 148,5 )
È evidente che egli non ha generato tutto questo come parte di sé, ma lo ha fatto nella parola e nel comandamento.
Non però come parte di sé, ma sicuramente dal nulla; nulla di altro c'era infatti da cui trarlo, come nel modo più esplicito dice l'Apostolo: Poiché da lui, per lui e in lui sono tutte le cose7. ( Rm 11,36 )
Da lui però non significa di lui.
Quel che infatti è di lui, può dirsi anche da lui, mentre non tutto ciò che è da lui può dirsi correttamente di lui.
Il cielo e la terra sono infatti da lui, poiché egli li ha fatti, ma non di lui, poiché non sono parte della sua sostanza.
È come per un tale che abbia generato un figlio e fatto una casa: da lui provengono il figlio e la casa, ma il figlio è parte di lui, mentre la casa è parte della terra e del legno.
Questo tuttavia in quanto è un uomo, che non può fare anche qualcosa dal nulla; Dio invece, dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose, non aveva bisogno per la sua onnipotenza del sussidio di una qualche materia preesistente.
Ma dal momento che ascoltiamo le parole: Tutto è da lui, per lui e in lui, ( Rm 11,36 ) dobbiamo evidentemente intendere tutte le nature che sono secondo natura.
Infatti non sono da lui i peccati, che non assecondano la natura, ma la corrompono.
La santa Scrittura attesta in molti modi il fatto che tali peccati dipendono dalla volontà dei peccatori, specialmente in quel passo in cui l'Apostolo dice: Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio?
O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua pazienza e della sua longanimità, senza riconoscere che la pazienza di Dio ti spinge alla penitenza?
Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno della collera e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Rm 2,3-6 )
Tuttavia, pur essendo in Dio l'intero universo da lui costituito, ( Col 1,16; Rm 11,36 ) chi pecca non contamina colui che possiede una sapienza così descritta: Per la sua purezza si diffonde in ogni cosa e nulla di contaminato in essa s'infiltra. ( Sap 7,4-25 )
Come infatti crediamo che Dio è incorruttibile e immutabile, così dobbiamo crederlo di conseguenza anche come incontaminabile.
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