La natura e la grazia |
Ho letto di corsa, ma non con scarsa attenzione, e da cima a fondo, il libro che mi avete mandato, carissimi figli Timasio e Giacomo!, mettendo da parte per un poco le altre occupazioni che avevo tra mano.
Ho visto nel libro un uomo acceso di zelo ardentissimo contro coloro che, invece d'accusare nei propri peccati la volontà umana, cercano piuttosto di scusarla, accusando la natura umana.
Se la prende troppo costui contro questa peste, che anche autori di letteratura secolare hanno gravemente ripresa esclamando: A torto si lagnano gli uomini della loro natura!1
Questo giudizio è stato rincalzato dall'autore del libro con tutte le risorse dell'ingegno a sua disposizione.
Temo però che favorisca piuttosto coloro che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza; poiché ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,2-3 )
Quale sia poi la giustizia di Dio di cui l'Apostolo parla qui lo spiega immediatamente aggiungendo: Il termine della legge è il Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede. ( Rm 10,4 )
Chi pertanto arriva a capire che la giustizia di Dio non risiede nel precetto della legge che intimorisce, ma nell'aiuto della grazia del Cristo, e la grazia è l'unico termine a cui guida utilmente come pedagogo il timore della legge, ( Gal 3,24 ) costui capisce perché è cristiano.
Infatti se la giustificazione viene dalla legge, il Cristo è morto invano! ( Gal 2,21 )
Se invece non è morto invano, in lui soltanto viene giustificato il peccatore, al quale, perché crede in colui che giustifica l'empio, la fede viene accreditata come giustizia. ( Rm 4,5 )
Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente mediante il suo sangue. ( Rm 3,23-24 )
Al contrario quanti non si credono inclusi tra coloro che hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, certamente non hanno nessuna necessità di diventare cristiani, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.
Ed egli perciò non è venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori. ( Mt 9,12-13 )
Quindi se la natura umana, propagata dalla carne di quell'unico prevaricatore, può bastare a se stessa per osservare la legge e raggiungere la perfezione della giustizia, stia sicura essa del premio, cioè della vita eterna, "anche se in qualche popolo o in qualche tempo passato le rimase nascosta la fede nel sangue del Cristo.
Dio infatti non è così ingiusto da privare i giusti del giusto premio, se ad essi non è stato annunziato il sacramento della divinità e umanità del Cristo, cioè il mistero d'essersi manifestato nella carne. ( 1 Tm 3,16 )
Come avrebbero potuto credere in quello di cui non avevano sentito parlare?
E come ne avrebbero sentito parlare senza uno che lo annunziasse? ( Rm 10,14 )
Infatti è scritto: La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola del Cristo.
Ma ora mi domando, dice [ l'Apostolo ]: Non hanno forse udito?
Tutt'altro: per tutta la terra è corsa la loro voce e fino ai confini del mondo le loro parole. ( Rm 10,17-18; Sal 19,5 )
Ma prima dell'avvenimento di questi fatti, prima che la stessa predicazione possa giungere fino ai confini di tutta la terra - poiché non mancano popoli lontani, sebbene se ne indichino pochissimi, ai quali non si è ancora predicato! -, come la natura umana può raggiungere la sua salvezza o come la raggiunse senza la notizia di questi avvenimenti futuri o senza aver conosciuto ancora questi avvenimenti passati?
Non la raggiunge forse con la fede in colui che ha fatto il cielo e la terra ( At 4,24 ) e di cui, per intuito naturale, si sente anche lei creatura e con la vita retta in ossequio alla divina volontà, senza aver ricevuto in nessun modo la fede nella passione e risurrezione del Cristo?".
Se ciò poté avvenire o può avvenire, allora dico anch'io quello che l'Apostolo ha detto della legge: Il Cristo è morto invano. ( Gal 2,21 )
Se infatti egli dice questo della legge che ricevé la sola nazione giudaica, quanto più giustamente si dirà della legge naturale data a tutto il genere umano: "Se la giustificazione viene dalla natura, il Cristo è morto invano"!
Ma se il Cristo non è morto invano, allora la natura umana non potrà mai in nessun modo essere giustificata e riscattata dalla giustissima ira di Dio, cioè dalla sua punizione, se non mediante la fede e il sacramento del sangue del Cristo.
È vero: la natura dell'uomo fu creata in origine senza colpa e senza nessun vizio; viceversa la natura attuale dell'uomo, per la quale ciascuno nasce da Adamo, ha ormai bisogno del Medico,2 perché non è sana.
Certo, tutti i beni che ha nella sua struttura, nella vita, nei sensi e nella mente, li riceve dal sommo Dio, suo creatore e artefice.
Il vizio invece che oscura e indebolisce questi beni naturali!, così da rendere la natura umana bisognosa d'illuminazione e di cura, non l'ha tratto dal suo irreprensibile artefice, ma dal peccato originale che fu commesso con il libero arbitrio.
Perciò lo stato di pena in cui è la natura dipende da una giustissima punizione.
Se è vero infatti che adesso siamo una creatura nuova nel Cristo, ( 2 Cor 5,17 ) è vero tuttavia che eravamo per natura meritevoli d'ira come gli altri.
Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati ci ha fatti rivivere con il Cristo, per la cui grazia siamo stati salvati. ( Ef 2,3-5 )
Questa grazia del Cristo, senza la quale né i bambini né i grandi possono salvarsi, non si dà per meriti, ma gratis, ed è per questo che si chiama grazia.
Dice l'Apostolo: Sono giustificati gratuitamente mediante il suo sangue. ( Rm 3,24 )
Quelli dunque che non sono liberati per mezzo di questa grazia, sia perché non hanno potuto ancora ascoltare, ( Rm 10,14 ) sia perché non hanno voluto obbedire, sia anche perché in età di non poter ascoltare non hanno ricevuto il lavacro della rigenerazione ( Tt 3,5 ) che potevano ricevere e che li avrebbe salvati, tutti costoro sono, sì, giustamente condannati, perché non sono senza un qualche peccato: o quello che hanno contratto originalmente o anche quello sopraggiunto a causa della loro cattiva condotta.
Tutti hanno peccato infatti, sia in Adamo e sia in se stessi, e sono privi della gloria di Dio. ( Rm 3,23 )
Tutta la massa umana deve dunque scontare le sue pene e, se a tutti si rendesse il dovuto castigo della condanna, non si renderebbe certo ingiustamente.
Perciò coloro che vengono liberati dalla condanna per grazia, non si chiamano vasi pieni di meriti propri, bensì vasi di misericordia. ( Rm 9,23 )
Misericordia di chi se non di colui che mandò il Cristo Gesù in questo mondo a salvare i peccatori, ( Tt 1,15 ) che da sempre ha conosciuti, predestinati, chiamati, giustificati e glorificati? ( Rm 8,29-30 )
Chi dunque vuol essere tanto pazzo da non rendere ineffabili grazie alla misericordia divina liberatrice di quelli che vuole, se in nessun modo avrebbe il diritto d'incolpare la giustizia divina anche se fosse condannatrice di tutti senza eccezione?
Se questo nostro modo di sentire è conforme alle Scritture, non saremmo costretti a discutere contro la grazia cristiana, né a tentar di dimostrare con parole che la natura umana nei bambini non ha bisogno del Medico perché è sana e nei grandi può, se vuole, bastare da se stessa alla giustizia.
Sono queste delle affermazioni che sembrano fatte con acume, ma sono fatte con un discorso sapiente che rende vana la croce del Cristo. ( 1 Cor 1,17 )
Non è questa la sapienza che viene dall'alto. ( Gc 3,15 )
Non voglio citare quello che segue, perché non ci si rimproveri d'offendere i nostri amici, che desideriamo veder correre, con i loro ingegni fortissimi e prontissimi non sulla strada sbagliata, ma sulla strada giusta!
Quanto dunque è lo zelo dell'autore del libro da voi mandatomi contro quelli che cercano di difendere i propri peccati con la debolezza della natura umana, altrettanto e ancora più ardente dev'essere il nostro zelo perché non sia resa vana la croce del Cristo. ( 1 Cor 1,17 )
Ma è resa vana, se si ammette la possibilità di giungere in qualche modo alla giustificazione e alla vita eterna senza il sacramento del Cristo.
Ciò si difende appunto in cotesto libro.
Non voglio dire consapevolmente, perché allora a mio giudizio l'autore non meriterebbe nemmeno il nome di cristiano!
Ma piuttosto credo inconsapevolmente, però con grandi forze, che invece vorrei sane, non come quelle che sono soliti avere gli agitati.
Costui infatti prima distingue così: "Altro è cercare se una cosa sia possibile, e ciò riguarda la sua possibilità soltanto, altro se esista".
Nessuno mette in dubbio la legittimità di questa distinzione: è logico infatti che quello che adesso esiste fosse prima possibile, non è invece logico che esista di fatto quello che può esistere.
Poiché il Signore risuscitò Lazzaro, ( Gv 11,43-44 ) certamente ne ebbe prima la possibilità; ma perché non risuscitò Giuda, si deve forse dire: "Non ne aveva la possibilità"? Certamente lo poteva, ma non volle.
Se l'avesse voluto, avrebbe fatto pure questo con lo stesso potere, perché anche il Figlio dà la vita a chi vuole. ( Gv 5,21 )
Ma notate dove miri e cosa si proponga con questa distinzione legittima ed evidente.
Dice: "Noi trattiamo solo della possibilità, perché, se non raggiungiamo la certezza nei suoi riguardi, stimiamo cosa gravissima ed illogica passare ad altro".
Rigira la cosa in molti modi e con lunghi discorsi, perché nessuno creda tratti d'altro che della possibilità di non peccare.
Tra i molti ragionamenti con i quali la spiega c'è anche questo: "Lo ripeto ancora: Io dico che l'uomo può essere senza peccato.
Tu che dici? Che l'uomo non può essere senza peccato? Né io dico che esiste un uomo senza peccato, né tu dici che non esiste un uomo senza peccato: noi discutiamo della possibilità e dell'impossibilità, non dell'esistenza e dell'inesistenza".
Poi ricorda che alcuni testi tra quelli che ordinariamente vengono portati contro di loro citandoli dalle Scritture non sono pertinenti al quesito se l'uomo possa o non possa essere senza peccato.
Dice che i testi: "Nessun uomo è puro da immondezza, ( Gb 14,4 ) Non c'è uomo che non pecchi, ( 1 Re 8,46 ) Non c'è un giusto sulla terra, ( Qo 7,21 ) Non c'è alcuno che faccia il bene ( Sal 14,1.3 ) e altri simili, servono a dimostrare l'inesistenza e non l'impossibilità.
Con questi esempi si prova quali fossero alcuni uomini di un tempo, non che non potessero essere diversi, e proprio per questo si trovano giustamente colpevoli.
Se infatti sono stati tali perché non hanno potuto essere diversi, sono senza colpa".
Ecco quello che ha detto costui.
Ora io pongo il caso di un bambino nato in un luogo dove non poté essere soccorso mediante il battesimo del Cristo ed è deceduto.
In questo caso egli è stato tale, ossia è deceduto senza il lavacro della rigenerazione, ( Tt 3,5 ) perché non poté essere diverso.
Lo assolva dunque costui e gli apra il regno dei cieli contro la dichiarazione del Signore. ( Gv 3,5 )
Ma non l'assolve l'Apostolo che dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui. ( Rm 5,12 )
Giustamente dunque non viene ammesso nel regno dei cieli per quella condanna che corre attraverso tutta la massa umana e questo succede per il bambino che non solo non è stato cristiano, ma non ha avuto nemmeno la possibilità d'esserlo.
Ma dicono: "Non viene condannato, perché dall'Apostolo è stato detto che tutti hanno peccato in Adamo ( Rm 5,12 ) non per un peccato contratto con l'origine del nascere, ma per imitazione"!
Se dunque in tanto si dice che Adamo è il padre di tutti i peccati successivi in quanto tra gli uomini fu il primo peccatore, perché non si mette a capo di tutti i giusti Abele invece del Cristo, essendo stato Abele il primo giusto tra gli uomini?
Ma non parlo di un bambino.
Un giovane o un vecchio è morto in una regione dove non poté udire il nome del Cristo: ha potuto costui diventare giusto mediante la sua natura e il suo libero arbitrio o non ha potuto?
Se dicono che ha potuto, ecco la vanificazione della croce del Cristo: ( Tt 3,5 ) "sostenere che senza di essa uno può essere giustificato mediante la legge naturale e l'arbitrio della volontà".
È doveroso dire anche in questo caso: Il Cristo è morto invano. ( Gal 2,21 )
Tutti infatti potrebbero raggiungere la giustificazione, anche se il Cristo non fosse morto, e se restano ingiusti ci restano perché lo vogliono, non perché non possono essere giusti.
Se poi senza la grazia del Cristo non ha potuto in nessun modo essere giustificato, allora costui assolva, se ne ha il coraggio, anche chi "è senza colpa" - secondo le sue parole - "se è stato tale perché non ha potuto essere diverso".
Obietta però a se stesso, come se l'obiezione venisse da un altro, dicendo: "Lo può essere, dirai, ma con la grazia di Dio"!
Poi con l'aria di rispondere soggiunge: "Rendo grazie alla tua umanità che non solo non ti contenti di non opporti alla mia affermazione da te finora osteggiata e non solo non ti contenti d'ammetterla, ma non ti rifiuti nemmeno d'approvarla.
Dire infatti che l'uomo ha tale possibilità, ma in dipendenza di questo o di quello, che altro è se non mostrare il come e la condizione per l'ammissione di questa possibilità?
Nessuno approva la possibilità d'una cosa più di chi ne pone anche la condizione, perché non può esserci la condizione senza la cosa".
Dopo di che passa a porsi un'altra obiezione: "Ma sembra, dirai, che qui tu neghi la grazia di Dio perché non la ricordi".
Risponde: "La nego io che affermando il fatto affermo necessariamente anche la causa che lo produce o tu che negando il fatto neghi senza dubbio anche ogni causa che lo produca?".
Si è già dimenticato che stava rispondendo ad uno che non nega la possibilità e da parte del quale poco innanzi aveva proposto questa obiezione: "Lo può essere, ma con la grazia di Dio".
In che modo dunque la possibilità per la quale costui tanto si affanna viene negata da uno che gli sta dicendo: "Lo può, ma con la grazia di Dio"?
Comunque, non ha per noi alcun interesse ora se costui, lasciato da parte chi ammette già la cosa, se la prende ancora contro coloro che negano la possibilità dell'uomo d'essere senza peccato.
Se la prenda con chi vuole, purché riconosca che senza la grazia di Dio l'uomo non può essere senza peccato.
E negar ciò è prova di scelleratissima empietà.
Dice in proposito: "Chi ammette il fatto stesso che l'uomo è senza peccato, ammette che lo è o per grazia o per aiuto o per atto di misericordia o per qualsiasi altro mezzo che renda possibile all'uomo d'essere senza peccato".
Confesso alla vostra Dilezione che a leggere queste espressioni fui inondato dalla gioia che costui non negasse la grazia di Dio come unico mezzo che può giustificare l'uomo, perché è proprio questo l'errore che detesto e aborrisco maggiormente nelle discussioni di tali individui.
Ma continuando a leggere tutto il seguito cominciai ad avere dei sospetti, prima di tutto per le similitudini che usava.
Scrive infatti: "Se ora dico che l'uomo può disputare, l'uccello volare, la lepre correre, senza dire con quali mezzi lo possono, cioè con la lingua, le ali, i piedi, nego forse le condizioni delle funzioni mentre ammetto le funzioni stesse?".
È chiaro ch'egli ricorda delle funzioni basate sulla natura, essendo state create per tali nature quelle membra: lingua, ali, piedi.
Non fa un solo esempio che sia tale e quale lo vogliamo noi perché si possa applicare alla grazia, senza la quale l'uomo non viene giustificato.
Nel caso della grazia si tratta di nature da guarire e non di nature da costituire.
Già dunque allarmato da questo, cominciai a leggere il resto e trovai che non mi ero insospettito invano.
Prima che io arrivi a questo punto, vedete che cosa abbia detto costui.
Trattando la questione della differenza dei peccati e obiettando a sé quello che dicono alcuni: "Non potersi evitare tutti i peccati veniali per la stessa moltitudine con la quale ci assaliscono", afferma che "non devono essere rimproverati nemmeno un poco, se non si possono in nessun modo evitare".
Non fa evidentemente attenzione alle Scritture del Nuovo Testamento, le quali insegnano3 che l'intento della legge intimidatrice è che per i peccati veniali ci si rifugi nella grazia misericordiosa del Signore: vale a dire che la funzione della legge di fare da pedagogo si conclude nella medesima fede che è stata più tardi rivelata ( Gal 3,23-24 ) e nella quale si ha sia il perdono dei peccati commessi, sia l'aiuto della medesima grazia per non commetterli.
Propria infatti di coloro che progrediscono è la via, benché coloro che sono bravi nel progredire si dicano già perfetti viatori.
Ma la perfezione assoluta alla quale non c'è più nulla da aggiungere si ha nel momento che si comincia a possedere ciò a cui si tendeva.
Quanto poi alla domanda che si rivolge a costui: "Tu stesso sei forse senza peccato?", essa veramente non tocca l'argomento su cui verte la questione!
Ma la risposta che dà: "Alla sua negligenza lo deve imputare chi non è senza peccato" è una buona risposta.
Prenda però motivo da questo per degnarsi di pregare Dio che tale sua cattiva negligenza non lo domini, come lo pregava colui che diceva: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e non prevalga su di me il male, ( Sal 119,133 ) per evitare che confidando nella propria diligenza, come se dipendesse dalla sua forza, non arrivi alla vera giustizia né qui né là dove la dobbiamo desiderare e sperare senza alcun dubbio perfetta.
Anche l'obiezione che alcuni gli fanno: "Non si trova mai scritto con queste precise parole che l'uomo può essere senza peccato", costui la respinge facilmente rispondendo che "la questione non è con quali parole venga fatta un'affermazione".
Forse non è tuttavia senza ragione che nelle Scritture, dove talvolta alcuni uomini vengono detti irreprensibili, di nessuno si dica che è senza peccato, all'infuori di colui ( Gb 1,8; Lc 1,6; Fil 3,6 ) del quale si dice esplicitamente che non aveva conosciuto il peccato ( 2 Cor 5,21 ) e del quale in un testo concernente i santi sacerdoti afferma che fu provato in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato, ( Eb 4,15 ) cioè in quella sua carne che era somigliante alla carne del peccato, ( Rm 8,3 ) sebbene non fosse la carne del peccato, e tuttavia non sarebbe somigliante, se tutta l'altra carne non fosse carne del peccato.
Come poi sia da interpretare il testo: Chiunque è nato da Dio non commette peccato e non può commettere peccato, perché un seme divino dimora in lui ( 1 Gv 3,9 ), mentre lo stesso apostolo Giovanni, quasi non fosse egli nato da Dio o parlasse a persone non ancora nate da Dio, scrive esplicitamente: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi, ( 1 Gv 1,8 ) ho cercato di spiegarlo come potei nei libri che su questo argomento scrissi a Marcellino!4
Che le parole: Non può commettere peccato ( 1 Gv 3,9 ) valgano come se si dicesse che "non deve peccare" mi sembra un'interpretazione da non disapprovare.
Quale pazzo direbbe che si deve peccare, se il peccato consiste proprio nel fare ciò che non si deve fare?
Certo, l'affermazione dell'apostolo Giacomo: Nessun uomo può domare la lingua ( Gc 3,8 ) non mi sembra che si possa intendere alla maniera in cui la spiega l'autore del libro: "È detto in tono di rimprovero, come se si chiedesse: Nessuno dunque può domare la sua lingua?
Sarebbe un rimbrotto di questa specie: Voi potete domare le fiere e non potete domare la lingua?
Quasi ritenesse più facile domare la lingua che le fiere".
Non credo che questo sia il senso del testo!
Se infatti avesse voluto convincere della facilità di domare la lingua, avrebbe dovuto sviluppare nel seguito il confronto con le bestie e invece afferma: [ La lingua è ] un male ribelle, è piena di veleno mortale, ( Gc 3,8 ) certo più dannoso di quello delle bestie e dei serpenti, perché l'uno uccide il corpo e l'altro l'anima: Una bocca menzognera uccide l'anima. ( Sap 1,11 )
S. Giacomo dunque non espresse né volle che s'intendesse quella sua sentenza nel senso che domare la lingua sia più facile d'ammansire le bestie, ma volle piuttosto mostrare quanto grande sia nell'uomo il male della lingua, tanto da non poter essere domato da nessun uomo, benché gli uomini dominino anche le bestie.
E non dice questo perché lasciamo per trascuratezza che questo male continui a tiranneggiare su di noi, ma affinché per domare la lingua noi chiediamo l'aiuto della grazia divina.
Non dice infatti: "Nessuno" può domare la lingua, ma: "Nessun uomo", perché quando viene domata riconosciamo tale risultato alla misericordia di Dio, all'aiuto di Dio, alla grazia di Dio.
Si applichi dunque l'anima a domare la lingua e nel suo sforzo chieda aiuto: preghi con la lingua che si domi la lingua, intervenendo il dono di colui che disse ai suoi: Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. ( Mt 10,20 )
Siamo dunque avvertiti dal precetto divino a comportarci così; poiché però non bastiamo ad osservarlo con la nostra forza e il nostro sforzo.
Dobbiamo invocare l'aiuto di Dio con la preghiera.
Perciò lo stesso S. Giacomo, dopo aver rilevato il male della lingua ( Gc 3,6 ) dicendo tra l'altro: Non dev'essere così, fratelli miei, ( Gc 3,10 ) nel porre fine all'argomento ricorda con quale aiuto non avverrebbe più quello di cui dice: Non dev'essere così.
Scrive: Chi è saggio e accorto tra voi?
Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza.
Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità.
Non è questa la sapienza che viene dall'alto: è terrena, carnale, diabolica; poiché dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni.
La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. ( Gc 3,13-17 )
Questa è la sapienza che doma la lingua, una sapienza che discende dall'alto, non che balza dal cuore umano.
Oserà qualcuno togliere anche questa alla grazia di Dio e porla con superbissima vanità in potere dell'uomo?
Perché dunque si prega di riceverla, se averla dipende dall'uomo?
Oppure ci si oppone anche a questa preghiera per non offendere il libero arbitrio che basta a se stesso con le sue possibilità naturali per osservare tutti i precetti della giustizia?
Ci si opponga dunque al medesimo apostolo Giacomo che esorta e dice: Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare e gli sarà data.
La domandi però con fede senza esitare. ( Gc 1,5-6 )
Questa è la fede alla quale sospingono i precetti, perché la legge imperi e la fede impetri.
Con la lingua che nessun uomo riesce a domare, ma ben ci riesce la sapienza che discende dall'alto, ( Gc 3,8.15 ) tutti manchiamo in molte cose. ( Gc 3,2 )
Anche a quest'affermazione l'apostolo Giacomo dà il medesimo senso che all'altra: Nessun uomo può domare la lingua. ( Gc 3,8 )
Similmente non si obiettino a costoro per sostenere l'impossibilità di non peccare le parole: La sapienza della carne è in rivolta contro Dio, perché non si sottomette alla sua legge e neanche lo potrebbe.
Quelli infatti che sono nella carne, non possono piacere a Dio. ( Rm 8,7-8 )
Dice la sapienza della carne, non la sapienza che discende dall'alto. ( Gc 3,15 )
Per quelli che sono nella carne non intende coloro che non sono ancora usciti dal corpo, ma coloro che vivono secondo la carne, ( Rm 8,12 ) com'è chiaro.
A questo testo è estranea la nostra questione.
Quello che aspetto d'udire da lui, se posso, è la risposta al seguente quesito: coloro che vivono secondo lo spirito e che quindi in qualche modo non sono più nella carne, benché vivano ancora qui, è per la grazia di Dio che vivono secondo spirito o per questo bastano a se stessi con la possibilità della natura già ricevuta da loro al momento della creazione e con la loro propria volontà?
Eppure è certo che pieno compimento della legge non è se non la carità ( Rm 13,10 ) e la carità di Dio non è diffusa nei nostri cuori da noi stessi, bensì dallo Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Tratta costui anche dei peccati d'ignoranza e dice che "l'uomo deve stare attentissimo a non ignorare e che l'ignoranza in tanto è colpevole in quanto l'uomo non sa per negligenza ciò che avrebbe dovuto conoscere usando la necessaria diligenza".
Costui mette tutto in discussione, pur di non pregare e dire: Fammi capire e imparerò i tuoi comandi. ( Sal 119,73 )
Altro è aver trascurato di sapere, e i peccati di negligenza sembra che si espiassero anche con certi sacrifici della legge, ( Lv 4,2-3 ) altro è voler capire senza riuscirvi e andare contro la legge perché non si capisce cosa voglia.
Ecco perché siamo esortati a chiedere la sapienza a Dio che dona a tutti abbondantemente, ( Gc 1,5 ) certo a tutti coloro che la chiedono così e tanto la chiedono come e quanto deve chiedersi un bene tanto grande.
Indice |
1 | Sallustio, Bellum Iugurthinum 1, 1 |
2 | Orosio, Excerpta 3-13 |
3 | Orosio, Excerpta 13-21 |
4 | Aug., De pecc. mer. et rem. 2, 7, 9 - 8, 10 |