Questioni sull'Ettateuco |
Ed essi hanno dato a me [ gli oggetti d'oro ] e io li ho gettati nel fuoco e ne è uscito questo vitello.
Aronne fa un riassunto del fatto, senza dire che era stato lui ad organizzare che venisse fatto il vitello fuso.
O forse Aronne mentì per scusarsi, mosso dalla paura, dando ad intendere che era stato lui a gettare nel fuoco l'oro destinato ad essere distrutto ma, senza che egli facesse nulla era venuta fuori la forma di un vitello?
Non è da credere che egli disse ciò nella sua mente, poiché non sarebbe potuto rimanere nascosto a Mosè, con il quale parlava Dio, che cosa ci fosse in un uomo e non rimproverò di menzogna il fratello.
E Mosè, avendo visto che il popolo s'era sbandato, poiché a farli sbandare era stato Aronne, cosicché erano divenuti oggetto di gioia maligna per i loro avversari …
È da osservare come tutto il male che aveva commesso il popolo, è attribuito ad Aronne per il fatto che aveva consentito loro di compiere ciò che avevano chiesto per loro danno.
Si spiega infatti che a farli sbandare era stato Aronne, che permise loro di sbandarsi per aver commesso un male tanto grande.
Mosè dice al Signore: Te ne prego, Signore, questo popolo ha commesso un grave peccato e si sono fatti degli idoli d'oro.
E ora, se tu in verità perdoni il loro peccato, perdonalo; se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto.
Ciò - per la verità - lo dice con tanta sicurezza che l'argomentazione si conclude con ciò che segue, che cioè, siccome Dio non avrebbe cancellato Mosè dal suo libro, avrebbe perdonato al popolo quel peccato.
Si deve tuttavia porre in risalto quanto gran male aveva chiaramente riconosciuto Mosè in quel peccato, avendo pensato che sarebbe dovuto essere espiato con una strage così grande; poiché egli tanto amava i suoi fino al punto d'intercedere per loro presso Dio con quelle espressioni.
Siccome più sopra è detto che Aronne fece sbandare il popolo, possiamo chiederci con ragione perché non si inflisse alcun castigo nei suoi confronti, né quando Mosè fece uccidere chiunque si fosse imbattuto nei Leviti armati che passavano e tornavano da una porta all'altra [ dell'accampamento ], ( Es 32,26-28 ) né quando successe poi quel che narra la Scrittura: E il Signore colpì il popolo a causa della fabbricazione del vitello che era stata fatta da Aronne; soprattutto perché anche qui è menzionato il medesimo episodio ripetendo la stessa affermazione.
Infatti non si dice: E il Signore colpì il suo popolo per la fabbricazione del vitello che essi avevano fatto, ma che aveva fatto Aronne.
E tuttavia non solo Aronne non fu colpito, anzi fu eseguito l'ordine che aveva dato Dio riguardo al sacerdozio di lui prima che egli commettesse quel peccato.
Dio dunque diede ordine di far lavare con l'acqua non solo lui ma anche i suoi figli, ( Es 40,12 ) e in tal modo ricevettero l'ordinazione sacerdotale.
Dio conosce quindi chi è colui al quale egli deve perdonare finché si cambi in meglio, e chi deve risparmiare per qualche tempo sebbene preveda che non si cambierà in meglio più tardi; chi non deve risparmiare affinché diventi migliore e chi non deve perdonare di modo che non aspetta neppure che diventi migliore.
Tutto questo modo di agire [ di Dio ] si riduce all'espressione di lode che erompe dal cuore dell'Apostolo: Quanto sono insondabili le sue decisioni e imperscrutabili le sue vie! ( Rm 11,33 )
Va', sali di qui tu e il tuo popolo, che hai fatto uscire dal paese di Egitto.
Sembra che Dio dica: Tu e il tuo popolo che hai fatto uscire essendo adirato, altrimenti avrebbe detto: " Tu e il popolo mio, che ho fatto uscire dal paese d'Egitto ".
Quelli però, quando reclamarono l'idolo, dicendo: Poiché questo Mosè, quest'uomo che ci ha condotti fuori dall'Egitto, non sappiamo che cosa gli sia successo, ( Es 32,1.23 ) avevano mancato riponendo la speranza della loro liberazione in un uomo.
Ciò adesso si ritorce sdegnosamente contro di loro quando si dice: Tu e il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto; questo fatto torna a biasimo di essi, non di Mosè.
Poiché Mosè non voleva altro se non che ponessero la loro speranza non in lui ma nel Signore e, con il rendergli grazie, comprendessero di essere stati liberati da quella schiavitù dalla misericordia del Signore.
Tuttavia il merito di Mosè, in quanto fedelissimo servo di Dio, era tanto grande presso Dio per la grazia di Dio, che Dio gli disse: Lasciami fare; preso da una viva collera li annienterò. ( Es 32,10 )
Quanto all'espressione: lasciami fare, è irragionevole pensare che sia tanto quella di uno che comanda, quanto quella di uno che supplica.
Se infatti Dio avesse comandato, il servo non gli avrebbe dato retta e avrebbe disubbidito, e non sarebbe stato confacente che Dio chiedesse ciò al suo servo, come per favore, soprattutto perché avrebbe potuto annientarli anche se il servo non lo avesse voluto.
È quindi chiaro come il sole il senso di questa frase, che cioè con queste parole Dio fece capire che presso di lui giovava moltissimo al popolo il fatto che erano tanto amati da quel personaggio, a sua volta tanto amato dal Signore, affinché in quel modo fossimo avvertiti che, quando i nostri peccati ci opprimono al punto di non essere amati da Dio, possiamo essere risollevati presso di Lui dai meriti di coloro che egli ama.
Quando infatti l'Onnipotente dice a un uomo: Lasciami fare e li annienterò, che cos'altro dice se non: " Li distruggerei, se non fossero amati da te "?
È detto dunque: lasciami fare, come se fosse detto: " Non amarli ", e li annienterò, poiché il tuo amore per essi m'impedisce di farlo.
Si sarebbe però dovuto ubbidire al Signore che avesse detto: " Non amarli " se l'avesse detto comandandolo e non piuttosto dando un avvertimento e facendo capire chiaramente che cosa lo distoglieva dal castigarli con l'estremo supplizio.
Ma tuttavia, pur essendosi interposto Mosè, Dio non lasciò il popolo senza infliggergli la pena del castigo.
Poiché non so in qual modo Dio, il quale così chiaramente li atterriva con la sua voce, pure li amava in modo misterioso perché Mosè li amasse in quella maniera.
Quando Dio dice a Mosè: Va', sali di qui tu e il tuo popolo che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto, verso il paese a proposito del quale ho fatto giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: Lo darò ai vostri discendenti, immediatamente dopo, come se parlasse ancora a Mosè, con un occulto rivolgimento che in greco è detto άποστροφή, si rivolge allo stesso popolo dicendo: E invierò anche il mio angelo davanti a te, e scaccerà il Cananeo e l'Amorreo, il Ketteo, il Ferezeo, il Gergeseo, l'Eveo e il Gebuseo e ti farà entrare nel paese che produce in abbondanza latte e miele.
Poiché io non salirò con te, giacché sei un popolo dalla dura cervice, per paura di sterminarti durante il viaggio.
È un mistero insondabile e meraviglioso pensare che potesse avere una misericordia più grande di quella del Signore un angelo il quale avrebbe perdonato un popolo dalla dura cervice mentre, se fosse stato con loro, Dio non li avrebbe perdonati.
Tuttavia Dio, pur essendo in certo modo lontano da loro, lui che in nessun luogo può essere assente, afferma di compiere, anche mediante il suo angelo, ciò che aveva giurato ai loro padri, mostrando, a quanto pare, anche in questo caso di agire così poiché lo aveva promesso a quei santi Patriarchi e non perché ne fossero degni costoro.
Che cosa dunque volle Dio far capire se non forse che egli non è con essi perché sono di dura cervice, poiché non lo rende propizio e salvatore se non l'umiltà e l'amore?
Quando poi si dice che Dio è con persone di dura cervice, non vuol dire altro che è presente per correggerle e per punirle; quando perciò Dio non è presente ai cattivi a quel modo, lo fa perdonandoli.
È conforme a ciò l'espressione [ del salmista ]: Distogli lo sguardo dai miei peccati, ( Sal 51,11 ) poiché se lo distoglie li distrugge, come infatti fonde la cera di fronte al fuoco, così periscano i peccatori di fronte a Dio. ( Sal 68,3 )
E Mosè disse al Signore: Ecco, tu mi dici: Guida questo popolo, ma tu non mi hai indicato chi manderai con me.
Tu però mi hai detto: Io ti conosco più di tutti e possiedi grazia presso di me.
Se dunque ho trovato grazia davanti a te, móstrati a me; che io ti veda in modo chiaro per essere nella condizione d'aver trovato grazia davanti a te e per sapere che questa nazione è il tuo popolo.
L'avverbio γνωστώς che ha il testo greco alcuni autori latini l'hanno tradotto manifeste [ chiaramente ], sebbene la Scrittura non dica φανερώς [ manifestamente, chiaramente ].
Si sarebbe potuto dunque tradurre forse più precisamente: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrati a me di persona, che io ti veda in modo da poterti conoscere.
Con queste parole Mosè mostra assai chiaramente che pur nella gran familiarità con cui vedeva Dio faccia a faccia non lo vedeva come desiderava vederlo, poiché tutte le visioni ch'erano concesse allo sguardo dei mortali e dalle quali si formava un suono da cui era percosso l'udito mortale, si presentavano nella figura che Dio assumeva a suo volere, di modo che in esse, mediante alcun senso del corpo, non si percepiva la natura propria di Dio, ch'è intera ma invisibile dappertutto e non è contenuta in alcun luogo.
E poiché da due precetti, cioè dall'amore verso Dio e verso il prossimo, dipende tutta la legge, ( Mt 7,12 ) perciò Mosè mostrava il suo desiderio con l'uno e con l'altro, cioè con l'amore verso Dio quando diceva: Se ho trovato grazia presso di te móstrati a me nella natura tua propria, che io ti veda chiaramente, affinché io sia nella condizione d'aver trovato grazia ai tuoi occhi, e con l'amore verso il prossimo quando diceva: e affinché io sappia che questa nazione è il tuo popolo.
Che cosa significa ciò che dice Dio a Mosè: Perché ti conosco più di tutti?
Conosce forse Dio alcune cose di più e altre di meno?
Oppure il senso è conforme a quello della frase del Vangelo rivolta ad alcuni: Io non vi conosco? ( Mt 25,12 )
Dio dunque conosceva Mosè, più di tutti, poiché Mosè piaceva a Dio più di tutti, conforme alla conoscenza per la quale si dice che Dio conosce le cose che gli piacciono e non conosce quelle che gli dispiacciono, non perché le ignori, ma perché non le approva, come si dice che l'arte non conosce i difetti, sebbene li faccia vedere.
Deve forse mettersi in rilievo il fatto che era stato proprio Mosè a dire prima a Dio: Tu mi hai detto: Ti conosco più di tutti?
Così si legge che gli disse Dio dopo che Mosè aveva detto così a Dio, ma prima non si legge affinché comprendiamo che non tutto ciò di cui Dio parlò con lui è stato scritto.
Ma si deve indagare con maggior diligenza nei passi precedenti della Scrittura, se realmente la cosa sta così.
Avendo Mosè detto al Signore: Mostrami la tua gloria, il Signore gli rispose: Io passerò davanti a te con la mia gloria e proclamerò il mio nome di Signore davanti a te.
E avrò pietà di chi l'avrò e userò misericordia con chi la userò, sebbene poco prima avesse detto: Io stesso andrò davanti a te e ti farò riposare.
Pare che Mosè intendesse l'affermazione nel senso che Dio non sarebbe stato presente presso di lui e del popolo e perciò disse: Se non verrai tu stesso con noi, non mi far salire di qui, ecc.
Dio però non gli rifiutò neppure questo dicendo: Anche questa cosa che mi hai chiesta ti farò.
Come mai dunque, avendogli Mosè detto: Mostrami la tua gloria, si legge di nuovo che Dio manifesta la sua volontà di precederlo ma nello stesso tempo di non essere con loro: Io passerò davanti a te, se non perché significa un'altra cosa?
Senza dubbio si comprende in senso mistico che qui parla e dice: Passerò davanti a te colui del quale il Vangelo dice: Essendo giunto il momento in cui Gesù sarebbe passato da questo mondo al Padre; ( Gv 13,1 ) un tale passaggio suole essere interpretato anche come la " pasqua ".
Si tratta dunque di una profezia assolutamente grande.
Poiché il Cristo passò da questo mondo al Padre prima di tutti i fedeli servi di Dio per preparare loro il posto nel Regno dei cieli, posto che darà loro alla risurrezione dei morti, poiché egli, che sarebbe passato davanti a tutti, divenne il primo risuscitato dai morti. ( Col 1,18 )
154.2. Dio invece pone in gran rilievo la sua grazia per il fatto stesso che dice: E chiamerò con il nome di Signore davanti a te, come se lo facesse davanti al popolo d'Israele, del quale, ascoltando ciò, Mosè era la figura.
Cristo infatti è chiamato Signore tra tutti i popoli davanti a quello stesso popolo disperso in ogni luogo.
L'agiografo poi dice: Chiamerò e non sarò chiamato, usando la forma attiva invece di quella passiva del verbo con un'espressione di genere insolito, nella quale è nascosto senza dubbio un importante significato.
Egli volle forse indicare che è lui in persona a fare ciò, vale a dire che avviene per sua grazia che il Signore sia chiamato così tra tutti i popoli.
154.3. Riguardo invece a ciò che Dio soggiunge: Avrò pietà di chi vorrò e userò misericordia verso chi l'userò, Dio mostra sicuramente più chiaramente che la chiamata con cui Dio ci chiama al suo Regno e alla sua gloria non è dovuta ai nostri meriti ma alla sua misericordia.
Poiché Dio prometteva d'introdurre i pagani [ nel suo Regno ] dicendo: Chiamerò nel nome del Signore al tuo cospetto c'insegnò che agisce così mosso da misericordia, come afferma l'Apostolo: Sì, dico che Cristo si è fatto ministro dei circoncisi per [ dimostrare ] la fedeltà di Dio, per compiere le promesse [ fatte ] ai Patriarchi e perché i pagani glorifichino Dio per la sua misericordia. ( Rm 15,8-9 )
Questo infatti era stato predetto: Avrò pietà di chi avrò pietà e userò misericordia con chi la userò.
Con queste parole impedì all'uomo di vantarsi dei suoi meriti come di virtù sue proprie affinché chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 2 Cor 10,17 )
Il Signore infatti non dice: Avrò pietà di quelli o quelli, ma: di chi avrò pietà per mostrare che nessuno ha meritato la misericordia d'una sì grande chiamata con le proprie buone opere antecedenti.
Cristo, infatti, è morto per gli empi. ( Rm 5,6 )
154.4. Ma non so se Dio volle ripetere la medesima cosa quando soggiunse: Avrò misericordia di chi avrò misericordia - oppure, come hanno tradotto altri, di chi avrò pietà - o ci sia una differenza.
Poiché ciò che nella lingua greca è espresso con due verbi, cioè έλεήσω [ avrò pietà ] e οίκτειρήσω [ compiangerò; avrò compassione ] - che pare significhino un'identica cosa - il traduttore latino non poté esprimerlo con due verbi distinti e perciò ripeté il medesimo concetto di misericordia in due maniere diverse.
Se invece fosse stato detto: " Avrò pietà di chi ho pietà e avrò pietà di chi ho pietà " o "avrò pietà di chi avrò avuto pietà " non sembrerebbe detto molto bene.
Tuttavia è più attendibile che in quella ripetizione il senso sia lo stesso poiché con questa ripetizione o Dio ha voluto mostrare la fermezza della stessa sua misericordia - come quando si dice: Amen, amen o Fiat, fiat, o come il duplice sogno del Faraone e come tante altre cose simili - o Dio in questo modo predisse che avrebbe usato misericordia per entrambi i popoli, cioè per i pagani e per gli Ebrei.
L'Apostolo così parla di ciò: Poiché allo stesso modo che voi nel passato non avete creduto a Dio ma ora avete ottenuto misericordia a causa della loro incredulità, così anch'essi non hanno creduto neppure adesso, tenendo conto della misericordia usata con voi, affinché ottengano anch'essi misericordia.
Dio infatti ha rinchiuso tutti gli uomini nell'incredulità per aver misericordia di tutti. ( Rm 11,30-32 )
154.5. In seguito, dopo aver messo in rilievo la sua misericordia, Dio risponde alla richiesta che gli era stata fatta: Mostrami la tua gloria, o a ciò che gli aveva chiesto Mosè dicendo: Móstrati in persona a me; possa io vederti chiaramente. ( Es 33,13 )
Tu non potrai vedere il mio volto - gli risponde - poiché nessuno potrà vedere il mio volto e vivere, facendo capire che a questa vita, che si vive mediante i sensi mortali della carne corruttibile, Dio non può mostrarsi come è, vale a dire che può essere visto come è [ solo ] nella vita, per vivere nella quale si deve morire a quella di quaggiù.
154.6. Parimenti, dopo un inciso interposto nel racconto della Scrittura, cioè: E il Signore disse, Dio continua e dice [ a Mosè ]: Ecco un luogo vicino a me.
Ma quale luogo non è vicino a Dio il quale non è assente da nessun posto?
Dicendo: Ecco un luogo vicino a me, Dio raffigura dunque la Chiesa, proclamandola in un certo senso come suo tempio; e starai - disse - sulla roccia ( poiché su questa roccia, dice il Signore, edificherò la mia Chiesa ( Mt 16,18 ) ) appena passerà la mia gloria, cioè: "Appena passerà la mia gloria starai sulla roccia ", poiché dopo il passaggio di Cristo, cioè dopo la passione e risurrezione di Cristo il popolo fedele stette sulla roccia.
E io ti metterò - soggiunse - in una caverna della roccia: questa espressione significa un riparo assai saldo.
Altri hanno invece tradotto: nella vedetta della roccia, ma il testo greco ha όπήν, che più esattamente si traduce " fenditura " o " caverna ".
154.7. E io ti proteggerò con la mano su di te finché io non sia passato.
E io ritirerò la mia mano e allora tu vedrai il mio dorso, ma il mio volto non sarà visto da te.
Dato che Dio aveva già detto: Starai sulla roccia appena sarà passata la mia gloria - affermazione da intendere nel senso che Dio promise la stabilità sulla roccia dopo il proprio passaggio - in che senso deve intendersi l'asserzione che suona: Ti metterò in una caverna della roccia e ti proteggerò con la mia mano posta su di te, finché io non passi; poi ritirerò la mia mano e allora vedrai il mio dorso?
Significa forse che Dio protegge Mosè con la sua mano su di lui una volta stabilito sulla roccia, non potendo stare in piedi sulla roccia se non dopo il suo passaggio?
Qui però deve intendersi come una ricapitolazione di un particolare omesso, di cui la Scrittura suole servirsi in molti passi.
In realtà essa riferisce dopo ciò che precede nella successione del tempo.
Questa successione disposta con ordine è la seguente: Ti proteggerò con la mia mano su di te finché io non sia passato, e allora tu vedrai il mio dorso, poiché da te non sarà visto il mio volto; e starai sulla roccia appena passerà la mia gloria e ti metterò in una caverna della roccia.
Ciò infatti avvenne a proposito di coloro ch'erano rappresentati da Mosè, cioè degli Israeliti, i quali - come raccontano gli Atti degli Apostoli - credettero in seguito, cioè appena era passata la sua gloria. ( At 2 )
Infatti dopo che il Signore risuscitò dai morti e ascese in cielo, poiché gli Apostoli parlavano nelle lingue di tutti i popoli per un dono dello Spirito Santo inviato dal cielo, molti di coloro, che avevano crocifisso Cristo, si sentirono come trafiggere il cuore.
Siccome non lo avevano riconosciuto e avevano crocifisso il Signore della gloria, avvenne un accecamento d'una parte d'Israele, ( Rm 11,25 ) come era stato detto: Ti coprirò con la mia mano su di te, finché io non sia passato.
A proposito di ciò un Salmo dice: Poiché giorno e notte ha pesato su di me la tua mano, ( Sal 32,4 ) denotando con " giorno " il tempo in cui Cristo compiva miracoli divini, con " notte " il momento in cui Cristo moriva come uomo, allorché rimasero titubanti coloro che durante il " giorno " avevano creduto.
Questo dunque è il significato dell'espressione: Quando sarò passato, allora vedrai il mio dorso.
Quando sarò passato da questo mondo al Padre, in seguito crederanno in me coloro dei quali tu sei la prefigurazione.
Allora dunque come trafitti nel cuore dissero: Che cosa dovremo fare?
Gli Apostoli allora li esortarono a cambiare mentalità e a farsi battezzare nel nome di Gesù Cristo, affinché fossero loro rimessi i loro peccati. ( At 2,37-38 )
Nel Salmo succitato, dopo le parole: giorno e notte ha pesato su di me la tua mano - cioè: Poiché non mi conoscevano; se infatti lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso mai il Signore della gloria ( 1 Cor 2,8 ) - continua e soggiunge: sono caduto in una travagliosa tristezza mentre mi si conficcava una spina, ( Sal 32,4 ) cioè: essendo compunto nel cuore.
Di poi aggiunge: Ho riconosciuto il mio peccato e non ho tenuto nascosto il mio delitto; ( Sal 32,5 ) dopo che ebbero visto con quanto grave peccato avevano crocifisso il Cristo.
E poiché avevano accolto il consiglio [ degli Apostoli ] di cambiare la loro mentalità e di ricevere la remissione dei peccati mediante il battesimo, confesserò - dice - al Signore contro di me il mio peccato, e tu hai perdonato l'empietà del mio cuore ( Sal 32,5 ).
154.8. Inoltre il fatto stesso mostra bene che ciò di cui il Signore parlava con Mosè era una profezia, dal momento che non si legge che, dopo ciò, succedesse alcun fatto che fosse in relazione con la roccia, con la caverna sita nella roccia, o con l'imposizione della mano di Dio, o con la visione del suo dorso.
La Scrittura infatti, subito dopo aver introdotto un inciso, aggiunge: e il Signore disse a Mosè, sebbene il Signore in persona parlasse certamente anche delle cose precedenti.
E in seguito espone che cosa dice poi il Signore: Tàgliati due tavole di pietra come le prime, ( Es 34,1 ) ecc..
Che cosa vuol dire l'espressione che a proposito di Dio afferma: Non purificherà il colpevole, se non: " Non lo dichiarerà innocente "?
Dio, sul monte ove si accingeva a scrivere di nuovo le due tavole della legge, dice tra l'altro a Mosè: Davanti a tutto il tuo popolo farò azioni gloriose.
Ancora non si degna di dire: " Davanti a tutto il mio popolo ".
O dice forse al tuo popolo come se lo dicesse a qualunque persona del medesimo popolo, cioè " al popolo al quale tu appartieni ", così come diciamo " alla tua città ", non " alla città di cui hai il dominio e che tu hai fondato, ma di cui sei cittadino "?
Così infatti dice anche poco dopo: Tutto il popolo tra cui ti trovi.
In altri termini, che vuol dire quell'espressione se non " il tuo popolo "?
Quanto al fatto che [ in detta espressione ] non è detto " nel quale ti trovi ", si tratta di una locuzione abituale.
Che cosa significa ciò che è detto a Mosè: Bada bene che non stabilisca mai un'alleanza con coloro che sono insediati nel paese?
Poiché il testo greco non ha " non stabilire mai ", ma che non stabilisca mai.
Voleva forse Dio parlargli del popolo, del quale Mosè era il capo?
Non fu però lui a condurre il popolo nel paese in cui Dio proibisce di stabilire un'alleanza con coloro che lo abitavano.
Si tratta pertanto di uno strano modo di parlare che ancora non si è presentato ai nostri occhi o al quale non abbiamo fatto attenzione, se pure è un modo di dire e non un'espressione di significato speciale.
Allorché Dio, parlando a Mosè, ordinava che, una volta concesso il paese in possesso, fosse distrutta ogni forma d'idolatria e non fossero adorati gli dèi stranieri, disse: Poiché il Signore Dio ha per nome " Geloso ", è un Dio geloso, cioè: il nome stesso con cui si denota il Signore Dio è " Geloso ", ha una cura gelosa, poiché Dio è geloso.
Non per il turbamento del difetto umano agisce così Dio, sempre e assolutamente immutabile e tranquillo, ma con questa espressione mostra che non lascia impunita l'infedeltà del suo popolo qualora adorasse gli dèi stranieri.
L'espressione è presa infatti nel senso tropologico metaforico della gelosia del marito con cui sorveglia la castità della moglie, cosa che giova a noi, non a Dio.
Chi mai in realtà potrebbe recar danno a Dio con una tale specie di adulterio?
Reca invece un danno gravissimo a colui stesso [ che lo compie ] portandolo alla perdizione.
Dio proibisce, incutendo un gravissimo terrore, una tale infedeltà chiamandosi " Geloso "; a lui viene detto nel Salmo: Tu farai perire ogni fornicatore lontano da te; per me invece è un bene essere vicino a Dio. ( Sal 73,27-28 )
Infine il testo prosegue dicendo: Non stabilire per caso alleanza con quelli che sono insediati nel paese, perché non si prostituiscano al seguito dei loro dèi.
Che vuol dire: Non ti presenterai davanti a me a mani vuote?
Come mostrano le cose del contesto, delle quali Dio parla, disse davanti a lui il presentarsi nella sua tenda-santuario.
Non presentarti davanti a lui a mani vuote, significa infatti: non entrerai mai senza alcuna offerta.
Ciò inteso in senso mistico è un gran mistero. Ma queste cose erano dette sotto le ombre dell'allegoria.
Avendo dato il comandamento del riposo nel sabato, che cosa vuol dire l'espressione aggiunta subito dopo e cioè: Durante la semina e la mietitura riposerai?
Pare che significhi: al tempo della semina e della mietitura.
O forse Dio comandò l'osservanza del riposo sabbatico in modo che non ne siano scusate nemmeno le stagioni in cui ai contadini è assai necessario lavorare per il vitto e per la vita?
Fu comandato dunque di riposarsi il sabato anche al tempo della semina e della mietitura quando il bisogno di lavorare è molto impellente.
E così con il riferimento a tali tempi che esigono un lavoro assai intenso è indicato che il riposo del sabato è doveroso in ogni stagione.
L'espressione: Nessuno bramerà la tua terra quando salirai per presentarti davanti al Signore Dio tuo, in tre momenti dell'anno, vuol dire che chiunque sarebbe potuto salire senza essere preoccupato riguardo alla propria terra per il fatto che Dio prometteva di sorvegliare affinché nessuno bramasse qualcosa di essa, per [ assicurare ] colui che saliva [ al tempio ] di non temere di allontanarsi dalla sua terra.
E qui si mostra assai chiaramente che cosa volesse dire prima: Non ti presenterai davanti al Signore tuo Dio a mani vuote, ( Es 34,20 ) poiché quest'ordine si riferiva al luogo ove Dio avrebbe avuto la sua tenda o il suo tempio.
Che cosa vuol dire la frase: Non immolerai sopra il pane fermentato il sangue delle mie vittime sacrificali?
Chiama forse in questo passo " sue vittime sacrificali " quelle che vengono immolate a Pasqua e prescrive che allora in casa non ci sia pane fermentato poiché sono i giorni degli azzimi?
Che cosa vuol dire la frase: E l'immolazione della solennità della Pasqua non dormirà fino al mattino [ seguente ], se non ciò che più sopra aveva prescritto chiaramente, cioè che nulla delle carni dell'agnello immolato rimanesse fino al mattino seguente.
Ma l'oscurità della frase deriva dall'espressione idiomatica [ dell'ebraico ], poiché il testo dice: dormirà per " resterà ".
Non farai cuocere un capretto nel latte della sua madre.
Ecco, torna a dire un'altra volta ciò che non so in che senso possa intendersi.
Tuttavia si tratta di un'importante profezia relativa a Cristo tanto nel caso che potesse realizzarsi effettivamente quanto soprattutto nel caso che non potesse avverarsi.
Nelle parole di Dio infatti non tutto si deve ricondurre all'essere proprio delle cose, come è il caso della roccia, della sua caverna e delle mani [ di Dio ] poste [ su Mosè ]. ( Es 33,22 )
Ma dalla fedeltà del narratore si deve sicuramente esigere che quanto dice essere avvenuto sia accaduto realmente e le cose che dice essere state dette siano state dette veramente.
Ciò si esige anche dagli autori dei Vangeli; in realtà, sebbene essi narrino che Cristo disse alcune cose esprimendosi in parabole, tuttavia il fatto che Cristo disse quelle cose non è una parabola, ma è un racconto storico.
E Mosè rimase lì, davanti al Signore, quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua.
Ciò che l'agiografo aveva detto anche prima, quando Mosè ricevette le tavole [ della legge ] che poi spezzò, lo ripete anche adesso non ricapitolando ciò che era avvenuto, ma menzionando un fatto che era successo un'altra volta.
Abbiamo già detto che cosa significhi la ripetizione della legge.7
Quanto poi all'espressione: non mangiò pane e non bevve acqua significa " digiunò ", poiché la Scrittura indica la parte per il tutto, cioè con il vocabolo " pane " indica ogni specie di cibo e con quello di " acqua " ogni specie di bevanda.
E [ Mosè ] scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole.
A proposito di Mosè, al quale Dio poco prima aveva detto: Scrivi per te queste parole, è detto che le scrisse lui stesso.
Al contrario, la prima volta che ricevette la legge, le tavole della quale gettò via e infranse, l'agiografo non disse né che fu lui a tagliare le tavole di pietra, come ora è detto: Taglia per te due tavole di pietra, né gli fu detto che scrivesse, come gli viene detto adesso, né si narra che le scrivesse come ora narra la Scrittura e dice: Scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole.
Allora invece l'agiografo disse: E, appena cessò di parlare con lui sul monte Sinai, diede a Mosè le due tavole dell'alleanza scritte mediante il dito di Dio; ( Es 31,18 ) e poco dopo dice: E Mosè tornò indietro e discese dalla montagna con in mano le due tavole dell'alleanza, le tavole di pietra scritte sui due lati, scritte da una parte e dall'altra, le tavole inoltre erano l'opera di Dio e la scrittura incisa sulle tavole era scrittura di Dio. ( Es 32,15-16 )
Sorge quindi un difficile problema: sapere cioè in che senso si dice che le [ prime ] tavole che - come Dio sapeva di certo in precedenza - Mosè aveva spezzato, sono opera non di un uomo bensì di Dio, e non furono scritte da un uomo bensì da Dio con il dito di Dio; in che senso al contrario è detto che le tavole successive, pur destinate a durare tanto tempo e, per ordine di Dio, destinate a restare tanto tempo nel tabernacolo e nel tempio di Dio, tuttavia furono tagliate da un uomo e scritte anche da un uomo.
Nelle prime era forse prefigurata la grazia di Dio, non l'opera di un uomo, grazia della quale si resero indegni [ gli Ebrei ] per il fatto che ebbero nostalgia dell'Egitto e si fabbricarono l'idolo - per la qual cosa si trovarono privi di quel beneficio e Mosè quindi infranse le tavole - mentre, al contrario, nelle tavole successive erano simboleggiati coloro che si vantavano delle opere proprie - per la qual cosa l'Apostolo afferma: Ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire quella propria, non si sono sottoposti alla giustizia di Dio ( Rm 10,3 ) - e perciò furono date tavole tagliate e scritte per opera dell'uomo, che rimanessero con gli uomini per prefigurare coloro che si sarebbero vantati delle proprie opere e non del dito di Dio, cioè dello Spirito di Dio?
166.2. La reiterazione della legge dunque prefigura senza dubbio la nuova alleanza - l'antica alleanza era rappresentata dalla prima legge, le cui tavole furono perciò infrante e la legge fu abolita - soprattutto poiché quando la legge è data la seconda volta, viene data senza alcun terrore come invece lo fu la prima volta in mezzo a un sì gran fragore di lampi, di nubi e di trombe; atterrito da quei fenomeni il popolo disse: Non ci parli Dio, per non morire. ( Es 20,19 )
Per conseguenza qui viene indicato che nell'antica alleanza c'è il timore, nella nuova l'amore.
In qual modo dunque si risolve il problema seguente, vale a dire: perché le prime tavole erano opera di Dio, le successive invece opera d'un uomo, quelle scritte con il dito di Dio, queste invece scritte da un uomo?
È forse perché nelle prime tavole era figurata soprattutto l'antica alleanza per il fatto che Dio in esse aveva scritto i comandamenti ma l'uomo non li osservò?
Nell'antica alleanza infatti fu stabilita la legge per convincere i trasgressori; essa subentrò perché si moltiplicassero i peccati. ( Rm 5,2 )
In realtà la legge non poteva essere adempiuta con il timore perché può essere adempiuta solo con l'amore.
Si chiama quindi opera di Dio poiché a stabilirla fu Dio, a scriverla fu Dio, non fu opera dell'uomo, poiché l'uomo non ubbidì a Dio e così la legge lo rese piuttosto uno schiavo.
Quando invece si tratta delle seconde tavole è l'uomo a farle e a scriverle con l'aiuto di Dio, poiché è l'amore soprannaturale che adempie la legge.
Ecco perché il Signore dice: Non sono venuto ad abolire la legge, ma a compierla, ( Mt 5,17 ) e l'Apostolo afferma: Pienezza della legge è la carità ( Rm 13,10 ) e: La fede che agisce per mezzo dell'amore. ( Gal 5,6 )
E così ciò che nell'antica alleanza era difficile fu reso facile nella nuova alleanza all'uomo che ha la fede, che agisce mediante l'amore con l'aiuto del dito di Dio, cioè nello Spirito di Dio che la scrive nell'interno, nel cuore, non fuori nella pietra.
L'Apostolo perciò dice: Non su tavole di pietra ma sulle tavole carnali del cuore, ( 2 Cor 3,3 ) poiché la carità di Dio, mediante la quale davvero si adempie il precetto, è riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Si tratta dunque di questo: dapprima fu data la legge - in cui è figurata l'antica alleanza, che è opera solo di Dio e scritta dal dito di Dio - riguardo alla qual cosa l'Apostolo dice: E così la legge, a dire il vero, è santa, e santo, giusto e buono è il comandamento. ( Rm 7,12 )
La legge santa e buona è dunque opera di Dio, per la quale l'uomo non fa nulla, poiché non la osserva, ma a causa della colpa è piuttosto oppresso dalla legge che minaccia e condanna: Il peccato, infatti - dice l'Apostolo - per mostrarsi come peccato per mezzo di una cosa buona mi causò la morte. ( Rm 7,13 )
L'uomo però è felice, quando il comandamento santo, giusto e buono è anche opera sua, ma per grazia di Dio.
Dopo che Mosè discese dal monte con le altre tavole della legge, dopo essersi messo un velo sul volto a causa dello splendore che ne emanava, che i figli d'Israele non potevano guardare, disse: Queste sono le parole che il Signore ha detto di fare.
È espresso in modo ambiguo se a farle [ facere ea ] sia lo stesso Signore oppure quelli; è però chiaro che sono quelli, poiché fu Dio a ordinare quali cose erano da fare.
Ma forse la frase è espressa in modo che potesse essere intesa in un senso e nell'altro, poiché a fare è Dio quando aiuta coloro che le fanno, secondo quanto dice l'Apostolo: Con timore e trepidazione datevi da fare per la vostra salvezza, poiché è Dio che per la sua benevolenza vi fa capaci di volere e di agire. ( Fil 2,12-13 )
Chiunque portava offerte, presentava argento e rame come offerte al Signore.
È come se dicesse: " Chiunque portò, portò questo o quello, tra le altre cose riferite menzionando l'argento e il rame ".
Gli scrittori latini tradussero per vero demptionem [ offerta di prelievo ] il termine άφαίρεμα del testo greco.
Infatti [ l'offerta di prelievo ] è chiamata demptio per il fatto che uno toglie a se stesso qualcosa per offrirla a Dio.
Nel suo racconto Mosè, con le medesime e altrettante parole menziona ciò che Dio gli aveva detto a proposito di Beseleel, che cioè Dio lo aveva riempito di uno spirito divino di abilità, d'intelligenza e di scienza, per eseguire le opere della tenda-santuario che sono di competenza delle conoscenze tecniche degli artigiani.
Abbiamo già detto il nostro parere su questo particolare.8
Ma ho reputato opportuno ricordare adesso questo medesimo particolare, poiché non è stato ripetuto invano con le medesime precise parole con le quali prima era stato comunicato a Mosè dal Signore.
Ma qui è presentata in un modo affatto insolito come tecnica architettonica quella degli artigiani che lavorano l'oro e l'argento e qualunque altro metallo, mentre si suole chiamare " architettonica " quella relativa alla costruzione degli edifici.
[ Mosè chiamò ] anche tutti coloro che spontaneamente volessero andare a [ intraprendere ] i lavori per portarli a termine e presero da Mosè tutte le offerte.
Mosè aveva fatto conoscere quali opere il Signore aveva ordinato fossero compiute, cioè la tenda-santuario con tutte le cose che dovevano esserci dentro e le vesti sacerdotali. ( Es 35,10-19 )
Menzionò poi alcuni ai quali disse che era stato dato da Dio uno spirito mediante il quale avrebbero potuto eseguirle; e tuttavia si vede che a eseguire quelle opere andarono coloro ai quali non era stato dato alcun ordine né sono stati menzionati i loro nomi indicati dal Signore a Mosè.
Non ebbero dunque questo dono da Dio soltanto coloro che sono menzionati per nome, ma forse lo ebbero in modo particolare e più eccellente.
A proposito di questi si deve infatti lodare l'animo, non trascinato al lavoro come uno schiavo, ma offertosi da uomo libero e spontaneamente.
Si deve osservare che coloro i quali sono chiamati " saggi ", esecutori dei lavori [ del luogo ] santo, per i loro costumi erano anche talmente onesti che, siccome prendevano tutte le cose che il popolo offriva ritenendole necessarie per compiere tutti quei lavori e vedevano che veniva offerto più di quanto era necessario, lo dissero a Mosè, questi allora fece intimare dal banditore al popolo di non fare più alcuna offerta.
Quei saggi avrebbero potuto sottrarre molte cose se lo avessero voluto ma non lo fecero trattenuti dalla moderazione o impauriti da scrupoli religiosi.
Dopo che Mosè discese dal monte sono menzionati i lavori necessari per la costruzione della tenda-santuario e la confezione degli indumenti sacerdotali; ma prima di prescrivere alcunché riguardo al modo di eseguirli, Mosè parlò al popolo sull'osservanza del sabato.
A questo proposito non a torto si resta imbarazzati non comprendendo per quale motivo Mosè, dopo essere disceso dal monte, ricorda al popolo soltanto l'osservanza del sabato dopo aver ricevuto per la seconda volta le dieci parole della legge sulle tavole tagliate e scritte proprio da lui.
Se infatti era inutile che il popolo ascoltasse di nuovo i dieci comandamenti, per qual motivo non era inutile che sentisse parlare del sabato, dal momento che anche questo si legge nei medesimi dieci comandamenti?
Forse anche ciò è simile al velo con il quale egli copriva il suo volto poiché i figli di Israele non potevano sopportarne lo splendore? ( Es 34,34-35 )
Poiché dei dieci comandamenti ordinò al popolo d'osservare questo solo precetto che nelle tavole è prescritto in senso figurato.
Quanto agli altri nove comandamenti non dubitiamo affatto che siano da osservare anche nella nuova alleanza così come sono formulati e prescritti nelle tavole della legge.
Il solo comandamento del sabato era coperto da un velo agli occhi degli Israeliti a causa dell'osservanza del settimo giorno allegoricamente raffigurata e fu imposto per un significato simbolico, ed era raffigurato simbolicamente per una vera e propria disposizione salvifica di Dio fino al segno che oggi non è osservato da noi, ma ne vediamo solo il simbolismo.
Ora in quel riposo in cui è comandato che non abbiano luogo le opere servili c'è una grande profondità della grazia di Dio.
In effetti le opere buone si compiono col riposo quando la fede agisce mediante la carità, ( Gal 5,6 ) mentre al contrario la paura porta con sé una tormentosa sofferenza, ma nella sofferenza quale riposo può esserci?
Ecco perché nella carità non c'è la paura; ( 1 Gv 4,18 ) la carità poi è stata versata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Ecco perché il sabato è un riposo santo per il Signore; ciò vuol dire che esso è da attribuirsi alla grazia di Dio, non a noi come se provenisse da noi.
In caso contrario le nostre opere saranno da considerarsi solo umane oppure peccati, ovverosia compiute con la paura, non con l'amore, e perciò opere da schiavi senza riposo.
La pienezza del sabato invece si troverà nel riposo eterno.
Poiché non senza ragione è stato stabilito il "Sabato dei sabati ". ( Lv 25 )
Più sopra quando Dio parlò dell'unzione della tenda-santuario, disse che mediante la medesima unzione venivano santificate tutte quelle cose e diventavano Sancta sanctorum.9
Aveva detto poi che l'altare degli olocausti, santificato con la medesima unzione diventava il " Santo dei santi ". ( Es 29,37 )
E tutta la differenza sembrava consistere in ciò che la denominazione di " santo dei santi " si applicava a ciò che era separato dal " santo ", lo spazio separato solo dal tendaggio, quello cioè ove era l'arca dell'alleanza e l'altare dell'incenso.
Ora invece, ripetendo le medesime cose, a proposito della tenda-santuario consacrata con l'unzione e delle altre cose contenute in essa dice che venivano santificate con la medesima unzione e diventavano sante; riguardo invece all'altare degli olocausti, del quale aveva detto prima che diventava il " Santo del santo ", ora dice che con la medesima unzione diventa " Santo dei santi ".
Da ciò è lecito capire che tanto l'espressione " Santo del santo " quanto l'altra, cioè " Sancta sanctorum " hanno lo stesso significato e perciò anche tutte le cose santificate con l'unzione, ossia tutta la tenda-santuario e tutte le cose contenute in essa, che prima erano state chiamate Sancta sanctorum hanno il significato uguale a quello di " santo " con cui sono chiamate adesso e ciascuna di esse dopo quella unzione non è detta solo " Santo del santo " ma anche " Santo dei santi " come l'altare degli olocausti.
In tal modo, per quanto riguarda questa denotazione, non c'è alcuna differenza tra gli oggetti che si trovavano nell'interno oltre il tendaggio, cioè dove era l'arca dell'alleanza, e quegli altri ch'erano al di fuori, tranne il fatto che quelli all'interno si chiamavano Sancta sanctorum o Sanctum sanctorum come erano chiamati anche prima dell'unzione, mentre al contrario tutti gli altri venivano santificati mediante l'unzione affinché ricevessero quella denominazione.
È necessario discutere che cosa significano queste espressioni ma ciò richiede tempo.
Quando la Scrittura narra in qual modo Mosè costruì la tenda-santuario, stese - dice - delle cortine sopra il tabernacolo, naturalmente non sopra il tetto ma avvolgendone le colonne poiché aveva detto che aveva costruito la tenda-santuario sulle colonne.
Quando l'agiografo dice: E sopra il recinto attorno al tabernacolo e all'altare mostra chiaramente che l'altare degli olocausti era al di fuori presso la porta della tenda-santuario in modo che tutto era circondato dall'atrio e l'altare stava dentro il recinto tra la porta dell'atrio e l'ingresso della tenda-santuario.
Si deve considerare una circostanza assai singolare, che quando scendeva e riempiva la tenda-santuario la nube, che tuttavia è chiamata gloria del Signore, non poteva entrare nella tenda Mosè il quale sul monte Sinai, quando la prima volta ricevette la legge, entrò nella nube in cui era Dio. ( Es 19,20; Es 20,21 )
Senza dubbio dunque Mosè rappresentava allora una persona e un'altra adesso; cioè allora rappresentava coloro che diventarono partecipi dell'intima verità di Dio, ora invece i Giudei ai quali la gloria del Signore che sta nella tenda-santuario - che è la grazia di Cristo - si pone davanti agli occhi come una nube, poiché non la comprendono.
Ecco perché Mosè non entra nella tenda dell'alleanza.
Dobbiamo inoltre pensare che questo fatto successe una volta sola appena fu eretta la tenda-santuario, per simboleggiare ciò o qualche altra cosa.
Poiché non sempre la nube stava così sopra la tenda sicché Mosè non poteva entrarvi, dal momento che la nube non spariva se non quando era dato agli Israeliti questo segno di partire, cioè di levare il campo dal luogo ove si trovavano e andare dove li conduceva la nube durante il giorno e la fiamma durante la notte. ( Es 13,21; Es 40,36-38 )
E questi due elementi, la nube e il fuoco, rimanevano alternativamente sopra la tenda anche quando ponevano l'accampamento: la nube durante il giorno e il fuoco durante la notte.
Indice |
7 | q. 2,144 |
8 | q. 2,138 |
9 | Es 30,26-38; q. 2,135 |