La Trinità |
Per spiegare ora queste stesse cose in maniera più rigorosa e chiara, occorre un'attenzione più penetrante.
Anzitutto, poiché nessuno può amare una cosa del tutto sconosciuta, bisogna esaminare con cura di quale natura sia l'amore di coloro che si dedicano allo studio, cioè di coloro che non sanno ancora, ma desiderano conoscere una scienza, qualunque essa sia.
Se si tratta di cose a proposito di cui non si suole usare la parola studio, il nostro amore per esse scaturisce ordinariamente da ciò che ne abbiamo sentito dire; così l'anima si accende del desiderio di vedere e di godere una cosa per la fama della sua bellezza, perché essa possiede una conoscenza generale della bellezza corporea, per il fatto che ha visto molti bei corpi e nel suo interno vi è una norma per cui approva il corpo esteriore che desidera conoscere.
Quando questo accade, non si risveglia l'amore di una cosa totalmente sconosciuta perché lo spirito ne conosce altre dello stesso genere.
Quando poi amiamo un uomo brutto, del quale non abbiamo visto la fisionomia, lo amiamo per la conoscenza delle sue virtù, che conosciamo nella stessa verità.
Se si tratta della conoscenza di nuove scienze, il più delle volte accende in noi il desiderio l'autorità di coloro che le lodano e le celebrano e, tuttavia, se non avessimo impressa nello spirito, come in abbozzo, la nozione di ciascuna scienza, non arderemmo dal desiderio di apprenderla.
Chi infatti, per esempio, dedicherebbe la minima cura e fatica allo studio della retorica, se non sapesse in antecedenza che essa è la scienza del ben parlare?
A volte anche ammiriamo, per sentito dire, o per esperienza, i fini cui mirano le stesse scienze e di conseguenza ardiamo dal desiderio di acquisire la capacità, attraverso lo studio, di poter giungere ad essi.
È come se ad un illetterato si dicesse che c'è una scienza, alla portata di tutti, con cui si può trasmettere a qualcuno, sia pure molto lontano, delle parole tracciate con la mano in silenzio, e raccolte dal destinatario non con le orecchie, ma con gli occhi, ed egli sia testimone di questo fatto; non sarà egli, nel desiderio di sapere come possa fare altrettanto, mosso dall'ardente ricerca di un fine, di cui già possiede la conoscenza?
Così si accende il gusto per lo studio in coloro che desiderano apprendere, perché è assolutamente impossibile amare ciò che si ignora totalmente.
E così pure se qualcuno ode un segno che gli è sconosciuto, per esempio il suono di una parola, di cui ignora il significato, desidera conoscerlo, cioè desidera sapere quale idea evoca questo suono; se, per esempio, ode pronunciare la parola temetum, poiché ignora tale parola, ne cerca il senso.
Ma è necessario che sappia già che è un segno, cioè che quella parola non è un suono vuoto, ma un suono che significa qualcosa, altrimenti questo trisillabo è già conosciuto e per mezzo del senso dell'udito è stato impresso nell'anima il modo di articolarlo; che altro ci sarebbe da cercare in esso per meglio conoscerlo, dato che tutte le sue lettere e la quantità di ciascuna sillaba sono note, se lo spirito non sapesse nello stesso tempo con tutta evidenza che è un segno e se non si mettesse in esso in movimento il desiderio di conoscere che cosa questa parola significhi?
Quanto più dunque la parola è nota, ma senza esserlo pienamente, tanto più l'anima desidera conoscere ciò che le resta da sapere.
Se infatti conoscesse solo l'esistenza di questa parola e non sapesse che essa significa qualcosa, non cercherebbe più nulla una volta percepito, con la sensazione, per quanto le era possibile, il suono sensibile.
Ma poiché sa già che questa parola non è solo un suono, ma anche un segno, vuole averne la conoscenza perfetta.
Ora non si conosce perfettamente alcun segno se non si sa di che cosa sia segno.
Colui dunque che si dedica con ardente diligenza a quella ricerca e infiammato dallo zelo persevera nel suo sforzo, si può dire che sia senza amore?
Che ama dunque? Certamente non è possibile amare una cosa se non è conosciuta.
Né ama queste tre sillabe, perché già le conosce.
Si dirà che ciò che ama in esse è il sapere che esse significano qualche cosa?
Ma ora non si tratta di questo, non è questo che cerca di sapere, bensì in ciò che si sforza di conoscere, chiediamoci ciò che ama e che certamente non sa ancora; e precisamente ci stupisce il suo amore, perché sappiamo senza il minimo dubbio che non si può amare se non ciò che è conosciuto.
Che ama egli dunque? Egli conosce ed intuisce nelle ragioni delle cose la bellezza di una scienza che racchiude la conoscenza di tutti i segni e l'utilità di un'arte che permette agli uomini uniti in società di comunicarsi tra loro i propri pensieri, perché la vita in società non sia peggiore di qualunque solitudine, come accadrebbe se gli uomini non si comunicassero vicendevolmente i loro pensieri per mezzo del linguaggio.
È dunque la bellezza e l'utilità di questo ideale che l'anima vede, conosce ed ama; è essa che cerca di realizzare pienamente in sé, per quanto è possibile, chiunque cerca il significato delle parole che ignora.
Infatti una cosa è vedere questo ideale nella luce della verità, altra cosa è il desiderio di realizzarlo in sé.
Vede nella luce della verità quale cosa grande e buona sia comprendere e parlare tutte le lingue di tutti i popoli e il non udirne nessuna come straniera e il non essere udito come straniero.
Il suo pensiero vede la bellezza di questo sapere e, avendone conoscenza, lo ama.
E questa conoscenza è tale ed infiamma talmente l'ardore di coloro che si dedicano allo studio che è verso di essa che si muovono, ad essa aspirano in tutte le loro fatiche spese per rendersi capaci di giungere, alla fine, ad abbracciare nella pratica ciò che preconoscono con la ragione.
E così chiunque, per il quale si avvicina la speranza di poter parlare queste lingue, arde di un amore più fervente.
Infatti si dedica più ardentemente allo studio di quelle scienze, chi non dispera di acquisirle.
Perché chi non ha speranza di conseguire una cosa, sebbene ne veda il valore, o la ama tiepidamente, o non la ama affatto.
Così, poiché la maggior parte degli uomini dispera di giungere alla conoscenza di tutte le lingue, per questo ognuno si dedica, per conoscerla, soprattutto allo studio di quella della propria nazione; e, sebbene ci sia qualcuno che si sente incapace di acquisirne una perfetta conoscenza, nessuno tuttavia è così incurante di tale sapere da non volere, quando abbia udita una parola sconosciuta, conoscerne il senso e, se gli è possibile, non si informi e la apprenda.
Durante questa ricerca è evidentemente dominato dal desiderio di apprendere e sembra amare una cosa sconosciuta, ma non è così.
Infatti tocca la sua anima quell'ideale, che egli conosce e pensa, nel quale risplende la bellezza di una intesa tra le anime, per mezzo della comprensione di parole udite e pronunciate.
È essa che infiamma con l'ardore colui che cerca, certo, ciò che ignora, ma che intuisce ed ama l'ideale verso il quale tende il suo sforzo.
Supponiamo, per riprendere il mio primo esempio, che si dica a colui che cerca il senso della parola temetum: "Che te ne importa?".
Risponderà: "Per non correre il rischio di udire qualcuno pronunciare tale parola e non comprenderlo o di leggerla in qualche parte e ignorare il pensiero dello scrittore".
Chi, infine, potrà dirgli: "Rinuncia a comprendere ciò che odi, rinuncia a conoscere ciò che leggi"?
Quasi tutte le anime razionali vedono manifestamente la bellezza di un'arte che permette agli uomini di comunicarsi vicendevolmente i loro pensieri, per mezzo dell'enunciazione di parole dotate di significato.
A causa di questa bellezza conosciuta ed a causa di essa, amata perché conosciuta, si cerca con ardore il significato di quella parola sconosciuta.
Perciò quando quest'uomo udrà e saprà che gli antichi chiamavano temetum1 il vino, ma che questa parola è ora, nella lingua corrente, caduta in disuso, penserà che è necessario conoscerne il senso per leggere, se ne sia il caso, alcuni scritti antichi.
Ma se li giudica inutili, forse penserà che non vale la pena di conservare tale parola nella memoria, perché vede che non risponde affatto a quell'ideale di conoscenza che è per il suo spirito oggetto di intuizione e di amore.
Perciò ogni amore dell'anima che si dà allo studio, cioè che vuole sapere ciò che ignora, non è amore di cosa che ignora, ma di cosa che conosce e per la quale desidera sapere ciò che ignora.2
O, se è così curiosa che, non qualche causa conosciuta, ma solo l'amore di conoscere ciò che è sconosciuto la trascini, questa curiosità bisogna certo distinguerla dal vero desiderio di sapere.
Ma nemmeno questa curiosità è amore di ciò che è sconosciuto, anzi si dirà più giustamente che è odio di ciò che è sconosciuto, di cui non vuole assolutamente che vi sia nulla, perché desidera conoscere tutto.
Ma perché nessuno ci ponga una questione più difficile dicendo che è altrettanto impossibile che alcuno odii ciò che ignora, non mi oppongo alla verità, ma faccio notare che bisogna aver ben chiaro che non è la stessa cosa dire: "Ama sapere ciò che ignora", e: "Ama ciò che ignora".
È infatti possibile che vi sia chi ama conoscere ciò che ignora, ma amare ciò che ignora gli è impossibile.
La parola "sapere" non è, nella precedente espressione, superflua, perché chi ama sapere ciò che ignora, non ama ciò che ignora, ma lo stesso sapere.
E se non sapesse che cosa significa sapere, non potrebbe dire con tutta sicurezza né che sa qualcosa, né che non lo sa.
Non soltanto colui che dice: "So", e dice il vero, sa necessariamente che cosa sia sapere, ma anche colui che dice: "Non so", e lo dice con piena sicurezza e dice il vero, sa perfettamente che cosa sia sapere, perché anch'egli distingue colui che sa da colui che non sa, quando prendendo coscienza di se stesso secondo verità afferma: "Non so".
E, se sa di dire il vero, come lo saprebbe se non sapesse che cosa sia sapere?
Dunque nessun uomo che si dedica allo studio, nessun uomo animato dalla curiosità ama ciò che è sconosciuto, anche quando si sforza di conoscere con insistenza e con molto ardore ciò che non conosce.3
Perché vi può essere un primo caso in cui lo spirito ha una conoscenza generica di ciò che ama ed intende averne anche una conoscenza particolareggiata in qualche singola cosa, o nelle cose singole che non conosce ancora, ma che forse ha sentito esaltare e se ne fa una rappresentazione immaginaria che eccita il suo amore.
Ma come se ne fa una rappresentazione, se non a partire dalle cose che già conosceva?
Ma se troverà la cosa reale, che ha sentito esaltare, non corrispondente alla forma ideale che se ne era fatta nella sua anima e che è molto familiare al suo pensiero, forse non proverà per essa alcun amore.
Ma se la amerà, incomincerà ad amarla a partire dal momento in cui l'ha conosciuta.
Perché, poco prima, amava un'altra cosa, l'idea che la sua anima si era formata.
Se troverà la cosa, che egli aveva sentito esaltare, simile a questa idea tanto da poter dirle in tutta verità: "già ti amavo", nemmeno in questo caso amava una cosa sconosciuta, ma una cosa che conosceva in quella somiglianza.
Oppure vediamo ed amiamo qualcosa nell'esemplare ideale che ci presenta l'eterna ragione - realtà che quando si trova espressa in qualche realtà temporale che ne è l'immagine e che ci elogiano coloro che la conoscono per esperienza, noi li crediamo e l'amiamo -, non amiamo qualcosa di sconosciuto, come abbiamo sufficientemente spiegato prima.
O ancora amiamo qualcosa di conosciuto e questo ci spinge a cercare qualcosa di sconosciuto; in tal caso non è l'amore della cosa sconosciuta che è in noi, ma quello della cosa conosciuta, la cui conoscenza ci condurrà a quella di ciò che, ancora sconosciuto, cerchiamo.
È il caso della parola sconosciuta di cui ho parlato poco fa.
O, infine, è lo stesso conoscere che si ama, ciò che a nessuno che desideri conoscere qualcosa può essere sconosciuto.
È per queste ragioni che sembrano amare ciò che è sconosciuto coloro che vogliono sapere qualcosa che ignorano e che pongono troppo ardore nella ricerca perché si possa dire che sono senza amore.
Ma credo di aver persuaso coloro che si preoccupano di vedere con diligenza la verità, che le cose stanno in modo del tutto diverso e che non si ama mai una cosa sconosciuta.
Ma, poiché gli esempi addotti si riferiscono solo a coloro che desiderano conoscere cose diverse da loro stessi, occorre vedere se, per caso, si manifesti un altro genere di conoscenza, quando lo spirito desidera conoscere se stesso.4
Che cosa ama dunque lo spirito quando, ignorando se stesso, cerca con ardore di conoscersi?
Ecco infatti che lo spirito cerca di conoscersi e si infiamma in questa ricerca.5
Ama dunque: ma che cosa ama? Se ama se stesso come può farlo, non conoscendosi ancora e non potendo nessuno amare ciò che non conosce?
È forse per sentito dire che acquisisce una conoscenza di sé, come accade nelle cose assenti che siamo soliti conoscere per averne sentito parlare?
Può darsi allora che non ami se stesso, ma l'idea che si fa di se stesso, forse molto differente da ciò che esso è.
Ma supponendo che si faccia di sé una rappresentazione simile a sé, quando esso ama questa rappresentazione si ama prima di conoscersi, perché intuisce qualcosa che è simile a sé; esso conosce dunque altri spiriti, a partire dai quali si fa un'idea di sé e si conosce per mezzo dell'idea generica di spirito.
Ma perché allora, conoscendo gli altri spiriti, non conosce se stesso poiché nulla può essergli più presente di se stesso?
E se gli accade come agli occhi del corpo che conoscono meglio gli altri che se stessi, allora cessi di cercarsi, perché non si troverà mai.6
Mai infatti gli occhi si vedranno, se non in uno specchio: ma non si deve ritenere che anche nelle cose spirituali si faccia uso di tali mezzi, cosicché lo spirito si possa conoscere in una specie di specchio.7
Sarà forse nella ragione della verità eterna che lo spirito vede quanto è bello conoscersi, ama ciò che vede e si sforza di realizzarlo in sé in quanto, sebbene non conosca se stesso, conosce almeno quanto è bello che si conosca?
Ma è certamente ben strano che esso non si conosca ancora e conosca quanto sia bello che si conosca.
Vede forse un fine eccelso, cioè la sua salvezza e beatitudine, grazie ad una segreta memoria, che non l'ha abbandonato nel suo lontano esilio ed è persuaso di non poter giungere a questo fine, senza conoscersi?8
Così, mentre ama quello, cerca questo.
Amando quello che conosce, cerca quello che ignora.
Ma perché ha potuto sussistere il ricordo della sua beatitudine e non ha potuto nello stesso tempo perdurare il ricordo di se stesso, in modo che conosca se stesso che vuole raggiungere il fine altrettanto bene che il fine che vuole raggiungere?
O forse, quando ama conoscersi,9 non ama se stesso che non conosce ancora, ma ama lo stesso conoscere, e sopporterebbe a malincuore di sfuggire alla propria conoscenza, con la quale vuole conoscere tutto?
Esso sa che cosa sia conoscere e, amando di conoscere, desidera conoscere anche se stesso.
Ma dove conosce esso la sua conoscenza, se non si conosce?10
Sa di conoscere altre cose,11 ma non conoscerebbe se stesso?
Ma è in sé che conosce che cosa sia conoscere.
In che modo dunque si conoscerebbe come conoscente qualcosa, esso che ignora se stesso?
Infatti non è un altro spirito che conosce come conoscente, ma se stesso.
Conosce dunque se stesso.
Quando poi cerca di conoscersi, esso si conosce già nell'atto di cercare.
Esso si conosce già, dunque.
Perciò non può affatto ignorare se stesso lo spirito che, anche quando si conosce come non conoscente se stesso, per questo stesso fatto si conosce.
Se ignorerà che si ignora, non si cercherà per conoscersi.
Per questo il fatto stesso che esso si cerca è la prova che esso è a se stesso più noto che sconosciuto.
Infatti si conosce come cercante e non conoscente se stesso, quando cerca di conoscersi.
Che diremo, dunque?12 Che in parte si conosce, e in parte si ignora? ( 1 Cor 13,9-12 )
Ma è assurdo affermare che non è tutto lo spirito a conoscere ciò che sa.
Non dico: "conosce tutto", ma "ciò che sa è tutto lo spirito a saperlo".
Quando dunque conosce qualcosa di sé, poiché non può che essere tutto intero soggetto della sua conoscenza, è tutto intero a conoscere se stesso.
Ora esso si conosce come conoscente qualcosa e ciò non è possibile a meno che non sia tutto lo spirito a conoscere.
Viene dunque da sé conosciuto tutto intero.
Inoltre che cosa vi è di esso che gli sia tanto noto, come il sapere che esso vive?
Non è possibile che lo spirito esista e non viva, quando esso ha inoltre anche la capacità di comprendere; le anime delle bestie vivono anch'esse, ma non hanno l'intelligenza.
Dunque, allo stesso modo che tutto lo spirito è spirito, così tutto lo spirito vive.
Ora esso conosce di vivere. Dunque si conosce tutto intero.
Infine quando lo spirito cerca di conoscersi,13 sa già che è spirito, altrimenti ignorerebbe se cerca se stesso e cercherebbe forse una cosa in luogo di un'altra.
Potrebbe darsi che esso non sia spirito ed allora, quando cercasse di conoscere lo spirito, non cercherebbe se stesso.
Perciò, dato che lo spirito, quando cerca che cosa è lo spirito, sa che cerca se stesso, sa di certo che esso è spirito.
Inoltre, se esso conosce intuitivamente che è spirito e che è tutto intero spirito, si conosce tutto intero.
Ma supponiamo che non sappia di essere spirito e quando si cerca sappia solo che si cerca.
Corre ancora il rischio di cercare una cosa per un'altra, se ignora che è spirito; per non cercare una cosa per un'altra ha senza dubbio da conoscere ciò che cerca.
Ma se conosce ciò che cerca e cerca se stesso, conosce di certo se stesso.
Perché dunque cerca ancora? Se in parte si conosce ed in parte si ignora, ( 1 Cor 13,9-12 ) non cerca allora se stesso, ma una parte di sé.
Perché quando si parla dello spirito, si parla di tutto lo spirito.
D'altra parte se lo spirito sa di non essersi trovato tutto intero, conosce qual è la sua totalità.
E così cerca ciò che manca alla sua conoscenza, come siamo soliti fare ritornare nello spirito ciò che è caduto in dimenticanza, ma non del tutto, perché si può riconoscere, quando ce se ne ricorda, che era proprio quello che si cercava.
Ma come può venire lo spirito nello spirito, come se potesse non essere nello spirito?
Aggiungiamo a questo che se, trovatosi parzialmente, non si cerca tutto intero, tuttavia è tutto intero a cercare se stesso.
Esso è dunque tutto intero presente a se stesso e non c'è altro che si debba cercare; manca infatti ciò che viene cercato, non esso che cerca.
Quando dunque è tutto intero a cercare se stesso, niente di sé gli manca.
O se non è tutto intero a cercarsi, ma è la parte di esso, che si è trovata, che cerca la parte che non si è ancora trovata, allora lo spirito non cerca se stesso, perché nessuna parte di esso e oggetto della sua propria ricerca.
Infatti la parte che è stata trovata non si cerca e la parte che non si è ancora trovata nemmeno essa si cerca, perché è cercata dalla parte che è stata trovata.
Dunque, poiché non è né lo spirito tutto intero che cerca se stesso, né alcuna parte di esso che cerca se stessa, ne consegue che lo spirito non si cerca affatto.
Perché allora gli è stato comandato di conoscere sé?
È, ritengo, affinché pensi a sé e viva secondo la sua natura, cioè desideri di essere ordinato secondo la sua natura, ossia al di sotto di colui al quale deve sottomettersi, al di sopra di quelle cose sulle quali deve dominare; al di sotto di colui dal quale deve essere governato, al di sopra di quelle cose sulle quali deve governare.
Infatti molte volte esso, come dimentico di sé, agisce sotto l'impulso di desideri cattivi.
Vede alcune cose intrinsecamente belle, in una natura più nobile, in Dio.
E, mentre dovrebbe fermarsi nella fruizione di quei beni, pretende di attribuirli a se stesso, rifiutando di essere simile a Dio per opera di Dio, ma volendo per se stesso essere ciò che è Dio, così si allontana da lui, si lascia trascinare e cade di male in peggio, mentre crede di passare di bene in meglio, perché esso non basta più a se stesso, né gli basta più alcun bene, quando si allontana da Colui che solo basta.14
Perciò la sua povertà e difficoltà lo rendono troppo attento alle sue azioni e ai piaceri pieni d'inquietudine che ne raccoglie.
E così per desiderio di acquisire conoscenze delle cose esterne - cose che ama grazie alla conoscenza generica che ne ha, e sente che gli possono sfuggire, se non le trattiene a forza di un grande impegno - perde la sicurezza e pensa tanto meno a se stesso quanto è più sicuro di non poter perdere se stesso.
Così, essendo due cose diverse non conoscersi e non pensarsi ( di un uomo che conosce molte scienze non diciamo che ignora la grammatica quando non vi pensa, perché in quel momento il suo pensiero è occupato dalla medicina ); poiché, ripeto, sono due cose diverse non conoscersi e non pensarsi, la forza dell'amore è tale che quelle cose alle quali lo spirito ha pensato a lungo, compiacendosene, ed alle quali si è legato con il glutine della sollecitudine, esso le trasporta con sé anche quando rientra in sé, in qualche modo, per pensarsi.
E poiché quelle cose che per mezzo dei sensi della carne ha amato all'esterno sono corpi, e si è mescolato ad essi per una specie di lunga familiarità, né può portare i corpi con sé nel suo interno, in ciò che è come la regione della natura spirituale, esso rigira in sé le loro immagini e trascina queste immagini fatte in se stesso di se stesso.
Esso infatti dà ad esse nel formarle qualcosa della sua propria sostanza, però conserva la facoltà di giudicare liberamente tali immagini; questa facoltà è propriamente lo spirito, cioè l'intelligenza razionale, che resta come principio di giudizio.
Infatti quelle parti dell'anima che sono informate dalle immagini dei corpi, sentiamo che ci sono comuni con gli animali.
6.8 Lo spirito però erra quando si unisce a queste immagini con un amore così grande da credersi della loro stessa natura.
Esso infatti si assimila a queste immagini non con il suo essere, ma con il pensiero; non perché si ritenga un'immagine, ma perché ritiene di essere proprio ciò di cui ha l'immagine in sé.
Perché in esso sussiste la facoltà di giudicare con cui discerne il corpo, che ha lasciato all'esterno, dall'immagine che ne porta con sé; a meno che queste immagini, quando vengono espresse, non vengano sentite come un qualcosa che esiste all'esterno, invece di essere considerate rappresentazioni interiori, come suole accadere nel sonno, nella follia, o in qualche estasi.
Quando dunque si identifica con tali oggetti, esso ritiene di essere un corpo.
E, poiché è pienamente conscio della sua signoria con cui regge il corpo, è accaduto, di conseguenza, che alcuni abbiano cercato15 che cosa nel corpo ha più valore, ed abbiano pensato che ciò fosse lo spirito o addirittura l'anima tutta intera.16
Per gli uni fu il sangue, per alcuni il cervello, per altri il cuore.
Non il cuore inteso nel senso in cui la Scrittura dice: Ti loderò, Signore, con tutto il mio cuore, ( Sal 9,2; Sal 111,1; Sal 138,1 ) e: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore. ( Dt 6,5; Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27 )
In questi passi è in senso derivato o metaforico che si applica all'anima una parola che si dice del corpo, ma questi filosofi affermarono trattarsi proprio di quella piccola parte del corpo che vediamo quando vengono messi a nudo i visceri.
Altri ritennero che essa fosse formata dal concorso e dalla coesione di corpuscoli infinitamente piccoli e distinti, che chiamano atomi.17
Altri hanno detto che la sostanza dello spirito era l'aria, altri il fuoco.
Altri hanno negato che fosse una sostanza, non potendo pensare che ci fosse sostanza se non corporea, e d'altra parte vedevano che essa non era corpo.
Essi ritennero che essa fosse l'equilibrio stesso del nostro corpo o l'unione degli elementi primordiali di cui il nostro corpo è in qualche modo l'unione.
E tutti costoro hanno pensato che essa fosse mortale perché, essendo corpo o un composto corporeo, è impossibile che rimanga immortale.18
Coloro che hanno pensato che la sostanza dell'anima era una vita senza nulla di corporeo, avendo scoperto che la vita anima e vivifica ogni corpo vivente, si sono sforzati conseguentemente di provare, ciascuno come ha potuto, che era immortale, perché la vita non può essere senza vita.19
Non credo che sia il caso di discutere qui a lungo sopra non so quale quinto elemento di cui alcuni, aggiungendolo ai quattro classici elementi di questo mondo, affermano che costituisce l'anima.20
Infatti o chiamano corpo ciò che noi chiamiamo corpo un oggetto esteso la parte del quale è minore del tutto, e allora debbono essere posti nel numero di coloro che ritennero lo spirito una cosa materiale; ovvero se chiamano corpo ogni sostanza od ogni sostanza mutevole, pur sapendo che non ogni sostanza è limitata nello spazio da una lunghezza, una larghezza ed una altezza, non è il caso di impegnarsi in una discussione su una questione di parole.
Indice |
1 | Plauto, Aulul. 355; Giovenale, Sat. 15, 25; Orazio, Ep. 2, 2; Cicerone, Rep. 4, fragm. 6, 6 |
2 | Girolamo, In Hiez. 13, 42; Epp. 53, 9, 2; 57, 12, 4; Cicerone, Acad. 2, 23, 74 |
3 | Ibid |
4 | Cicerone, De fin. bon. mal. 3, 22, 73; 5, 14, 44; Tuscul. 1, 22, 52; De leg. 1, 22, 58; 23, 61 |
5 | Ibid |
6 | Cicerone, Tuscul. 1, 27, 67 |
7 | Cicerone, Tuscul. 1, 30, 73; Gc 1,23; 1 Cor 13,9-12 |
8 | Platone, Phaido 72 |
9 | Pizio Apollo Delfico, gnwqi seauton; Cicerone, De fin. bon. mal. 3, 22, 73; 5, 14, 44; Tuscul. 1, 22, 52; De leg. 1, 22,58 - 23, 61 |
10 | Porfirio, Sent. 40, 5-6 |
11 | Plotino, Enn. 5, 3, 1 |
12 | Plotino, Enn. 5, 3, 5 |
13 | Pizio Apollo Delfico; Cicerone, De fin. bon. mal. 3, 22, 73; 5, 14, 44; Tuscul. 1, 22, 52; De leg. 1, 22, 58 - 23, 61 |
14 | Porfirio, Sent. 40, 5-6 |
15 | Cicerone, Tuscul. 1, 9, 18 - 11, 22 |
16 | Crisippo, Fragm. 15; Plutarco, Vit. 4, 21 |
17 | Aristotele, De anima 2, 1, 412 |
18 | Cicerone, Tuscul. 1, 9, 18 |
19 | Aristotele, De caelo 1, 2, 269a; Cicerone, Tuscul. 1, 16, 38 |
20 | Cicerone, Tuscul. 1, 27, 66 |