La dignità dello stato vedovile |
Agostino Vescovo, servo di Cristo e dei servi di Cristo, a Giuliana, anima consacra a Dio.
Salute nel Signore dei signori!
Nei limiti che mi consentono le urgentissime occupazioni del momento, mi accingo a scriverti qualcosa in merito allo stato di vedovanza consacrata che tu professi.
Ciò, per non essere più a lungo debitore di quanto promisi alle tue richieste e alla benevolenza che mi porti in Cristo.
Trovandoci insieme infatti, una volta, a forza d'insistere mi convincesti ad accettare questo impegno, né io ebbi il coraggio di rifiutartelo.
In seguito, poi, spesse volte con lettere sei venuta a ricordarmi la promessa.
In quest'opera troverai cose che non riguardano né te personalmente né le persone che fan parte della tua comunità in Cristo: cose non strettamente necessarie a disciplinare la vostra vita.
Non per questo, tuttavia, dovrai ritenerle superflue.
La presente lettera infatti, benché indirizzata a te, non è scritta solamente per te; anzi, dopo di te, essa dovrà essere utile anche ad altre persone: elemento, questo, che non abbiamo voluto sottovalutare.
Potrai, dunque, trovare in queste pagine argomenti che non sono stati mai necessari né a te né alle tue compagne, o che attualmente non lo sono più.
Se però capisci che possono giovare a qualcuno, non ti dispiaccia riceverli né darli a leggere agli interessati.
In tal modo la tua carità si renderà utile al prossimo.
In ogni trattato di morale è necessaria non solo la parte dottrinale ma anche quella parenetica: la prima perché si sappia come dobbiamo comportarci, l'altra perché non si resti inattivi nel tradurre in pratica quel che abbiamo conosciuto.
Orbene, cosa potrò io insegnarti meglio di quanto leggiamo nell'Apostolo?
È infatti la sacra Scrittura che stabilisce la norma del nostro insegnamento, per cui non ci è lecito sapere più di quanto occorra sapere.
La nostra sapienza, al contrario, dev'essere - sempre secondo le parole dell'Apostolo - congiunta a moderazione, ciascuno secondo la misura della fede che Dio gli ha dispensato. ( Rm 12,3 )
Pertanto il mio insegnamento si limiterà a una esposizione delle parole del Dottore delle genti, che commenterò secondo quanto il Signore mi vorrà concedere.
L'Apostolo, dottore delle genti e vaso di elezione, ( 1 Tm 2,7; At 9,15 ) scrive: A chi non è sposato, e alle vedove in particolare, io dico: È bene per loro se rimangono così come sono io. ( 1 Cor 7,8 )
Comprendiamo bene queste parole, e non pensiamo che il termine non sposato escluda le vedove per il fatto che queste un tempo sono state unite in matrimonio.
Di per sé, infatti, il termine non sposato indica soltanto una persona che attualmente non è vincolata dal matrimonio, non interessa se in passato lo sia stata o no.
Appare meglio nel passo dove san Paolo afferma: Diversa è la situazione della donna non sposata e della vergine. ( 1 Cor 7,33 )
Aggiungendo la parola vergine, cosa vorrà indicare con l'espressione donna non sposata, se non la vedova?
Non diversamente, un po' più avanti, con l'unica espressione non sposata comprende l'uno e l'altro stato di vita.
Dice infatti: La donna non sposata si occupa delle cose del Signore e di come piacergli.
Al contrario, colei che è sposata si occupa delle cose del mondo e di come piacere al marito. ( 1 Cor 7,34 )
Col termine non sposata non vuol intendere solamente colei che mai ha preso marito ma anche colei che ha cessato d'essere sposata, perché, divenuta vedova, è sciolta dai legami del matrimonio.
Il termine sposata, invece, lo usa solo per indicare una donna che attualmente ha marito, e non per chi l'ha avuto ma ora non l'ha più.
Quindi, ogni vedova è una non sposata.
Ma siccome non ogni non sposata è anche vedova ( infatti ci sono anche le vergini ), per questo motivo nel passo citato Paolo menziona espressamente le due categorie: Dico dunque alle non sposate e alle vedove. ( 1 Cor 7,8 )
Quasi volesse dire: Ciò che dico alle donne non sposate, non lo dico soltanto alle vergini ma anche alle vedove: È bene per esse rimanere così come sono io. ( 1 Cor 7,8 )
Ecco! Il bene che tu possiedi è paragonato al bene che l'Apostolo chiama "suo", se c'è la fede o, meglio, perché c'è la fede.
È un capo di dottrina che si racchiude in poche parole, ma non per questo merita poca attenzione; anzi, lo si deve ritenere con una stima tanto maggiore quanto maggiore è la facilità nell'apprenderlo, poiché nella sua brevità non è certo insignificante.
Non è un bene qualunque quello che l'Apostolo elogia in questo passo, se lo preferisce senza esitazioni alla fedeltà delle persone sposate.
E quanto grande sia il pregio della fedeltà coniugale, cioè delle persone unite da matrimonio cristiano e religioso, lo si può comprendere dal fatto che, quando comanda di fuggire la fornicazione ( e qui si rivolgeva certamente anche agli sposati ), dice così: Non sapete che il vostro corpo è membro di Cristo? ( 1 Cor 6,15 )
Grande, quindi, è la dignità del matrimonio cristiano, e quanti lo contraggono sono membra di Cristo.
Quanto poi alla continenza vedovile, se la sua dignità è superiore a quella del matrimonio, non ne viene di conseguenza che la vedova cattolica che ne fa professione sia qualcosa di più che un membro di Cristo.
Solo che, fra le membra di Cristo, le vedove occupano un posto più eminente rispetto alle coniugate.
Dice infatti lo stesso Apostolo: Come in un sol corpo abbiamo molte membra e tutte queste membra non hanno identiche funzioni, così anche noi, che siamo molti, formiamo in Cristo un sol corpo e, singolarmente, siamo membra gli uni degli altri, avendo doni diversi secondo la grazia che ci è stata data. ( Rm 12,4-6 )
L'Apostolo inculca agli sposi di rendersi vicendevolmente il debito coniugale.
Lo fa per timore che l'uno o l'altro dei coniugi, privato del suo diritto, venga tentato da satana a motivo della difficoltà nel contenersi e cada nella fornicazione.
Si esprime così: Dico questo a modo di concessione, non di comando.
Desidererei, anzi, che tutti gli uomini fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il suo dono particolare: l'uno in questo modo e l'altro in quell'altro. ( 1 Cor 7,6-7 )
Nota a questo punto come tanto la castità coniugale quanto la fedeltà cristiana al proprio consorte sono un dono di Dio.
È per questo che, quando nell'uso del matrimonio la concupiscenza della carne porta a eccedere in qualche maniera i limiti del necessario per la procreazione della prole, tali comportamenti non rendono cattive le nozze ma, proprio per la bontà delle nozze, diventano essi stessi scusabili.
Quando infatti l'Apostolo afferma: Dico questo a modo di concessione, non di comando, ( 1 Cor 7,39 ) non intende riferirsi al matrimonio contratto per la procreazione della prole né alla fedeltà o castità coniugale né all'indissolubilità del sacramento quando vivono ambedue i coniugi: le quali cose sono tutte dei beni.
Si riferisce piuttosto all'uso smodato della sensualità, che egli suppone capitare agli sposi, data la loro fragilità, e che scusa in vista di quel bene che è il matrimonio.
Lo stesso quando dice: La moglie rimane legata a suo marito finché egli vive.
Se il marito muore, è libera di sposarsi con chi vuole. Lo faccia, però, nel Signore.
Tuttavia, secondo me, sarebbe più felice se restasse come si trova. ( 1 Cor 7,40 )
Fa vedere abbastanza chiaramente che è beata anche la donna cristiana che, dopo la morte del marito, si risposa nel Signore; tuttavia è più felice nello stesso Signore colei che rimane vedova.
Cioè - per non prendere dalla Scrittura soltanto le parole ma anche gli esempi -, se Rut è felice, Anna lo è ancora di più. ( Rt 4,13-15; Lc 2,36-38 )
Occorre quindi che tu in primo luogo ti persuada di questo, che, cioè, la dignità del genere di vita da te prescelto non include condanna per le seconde nozze: solo che queste sono un bene minore.
Come infatti il merito della santa verginità, scelta da tua figlia, non costituisce condanna per chi, come te, s'è sposata una volta sola, così la tua vedovanza non è una condanna per le seconde nozze e per chi le contragga.
Di questa dottrina si fecero grandi specialmente le eresie dei montanisti e dei novaziani, gonfiate da Tertulliano con parole più reboanti che sensate.1
Egli con dente avvelenato tentò di sbranare le seconde nozze, quasi che fossero illecite, mentre l'Apostolo molto assennatamente le ritiene assolutamente legittime. ( 1 Cor 7,39 )
Non lasciarti fuorviare dalla sana dottrina da nessuna argomentazione, dotta o indotta che sia.
Non esagerare i meriti della tua vedovanza tanto da condannare negli altri, come male, ciò che male non è.
Godi piuttosto del tuo bene; e questo, tanto più intensamente in quanto ti accorgi che con esso non soltanto hai evitato dei mali ma hai oltrepassato beni minori.
Mali infatti, nel nostro caso, sarebbero l'adulterio e la fornicazione.
Ben lontana da questi abusi è, senza dubbio, una persona che liberamente si è legata con voto e, non per un'imposizione della legge ma per una esigenza di amore, ha voluto che le diventasse illecito anche ciò che le sarebbe stato lecito.
La castità coniugale è, dunque, cosa buona, ma la continenza vedovile è migliore.
E tale stato, già di per sé migliore, cresce in dignità per il fatto che chi gli rimane indietro è pur esso un bene; né suona affatto condanna per questo secondo bene la lode che si tributa a chi gli è superiore.
L'Apostolo mette in risalto i vantaggi del celibato e della rinunzia alle nozze, dicendo che quanti vivono così si interessano delle cose del Signore e cercano di piacere a Dio. ( 1 Cor 7,33 )
Subito dopo però afferma: Questo lo dico per il vostro bene, non per tendervi un laccio ( cioè, non per costringervi ), ma in ordine a ciò che è onesto. ( 1 Cor 7,35 )
Dal fatto che egli definisce onesto lo stato di chi non si sposa, non dobbiamo concludere che il vincolo coniugale sia un qualcosa di cattivo.
Altrimenti dovremmo condannare come riprovevoli anche le prime nozze: cosa che né i montanisti né i novaziani e nemmeno quel loro eloquentissimo patrocinatore che fu Tertulliano si sono azzardati d'affermare.2
Per entrare, dunque, nel senso delle parole di Paolo, eccone delle altre simili: Dico alle non sposate e alle vedove: È bene per loro se rimangono nello stato in cui si trovano. ( 1 Cor 7,8 )
Dice bene nel senso di meglio: infatti, quando di una cosa si dice che è migliore rispetto a un'altra con cui la si confronta, naturalmente anche di questa seconda si dice che è buona.
Cosa vuol dire, infatti, migliore se non più buono?
Se, dunque, dice: È bene che le vedove rimangano come sono, non dobbiamo concludere che egli ritenesse un male lo sposarsi.
E, analogamente, se afferma: Io però voglio proporvi un ideale onesto, ( 1 Cor 7,35 ) non intende presentare il matrimonio come cosa disonesta.
Vuol soltanto servirsi di un termine generico, e con onesto indica anche ciò che è più onesto del semplice onesto.
Cosa infatti significa più onesto, se non onesto al grado comparativo?
E, senza dubbio, una cosa più onesta è anch'essa onesta!
C'è un testo in cui l'Apostolo esplicitamente dichiara che il celibato è migliore del matrimonio, che pure è un bene.
È là dove dice: Colui che fa maritare [ la sua vergine ] fa bene; chi però non la marita fa meglio. ( 1 Cor 7,38 )
Altrove afferma che il non sposarsi porta maggiore felicità che non lo sposarsi: cosa, questa, che ha anch'essa la sua felicità.
Dice: Ella però sarà più beata se rimarrà così. ( 1 Cor 7,40 )
Il rapporto, dunque, che c'è fra bene e meglio, fra beato e più beato, c'è fra onesto e più onesto; e questo più onesto san Paolo lo chiama semplicemente onesto.
Come, infatti, si oserà chiamare disonesto ciò che l'apostolo Pietro enuncia in termini come questi: Voi, mariti, onorate la vostra moglie, come vaso più fragile e a voi soggetto, ma, alla pari con voi, erede della grazia? ( 1 Pt 3,7 )
E parlando alle mogli, le esorta ad essere sottomesse al proprio marito, sull'esempio di Sara.
Con tali ornamenti - dice - si abbellivano un tempo le sante donne che speravano in Dio, umilmente rispettose del proprio consorte.
Sara, ad esempio, obbediva ad Abramo che chiamava suo signore.
E di costei voi siete figlie, a patto che operiate il bene, al di là di ogni timore e turbamento. ( 1 Pt 3,5-6 )
Quanto l'apostolo Paolo asserisce della donna non sposata, che, cioè, deve essere santa di corpo e di spirito, ( 1 Cor 7,34 ) non bisogna intenderlo nel senso che la donna sposata non sia santa nel corpo ma solo nello spirito: evidentemente, se è fedele e casta e, secondo l'espressione biblica, docile al marito.
Non è infatti possibile che sia santo lo spirito, se non lo è anche il corpo, di cui lo spirito, divenuto santo, si serve.
A questo riguardo, non vorremmo dare ad alcuno l'impressione che argomentiamo [ del nostro ], e non, piuttosto, che le nostre prove si basino sulla parola del Signore.
È vero pertanto che Pietro, parlando di Sara, si limita a nominare certe sante donne, senza specificare sante nel corpo. ( 1 Pt 3,5 )
C'è però un testo di Paolo che noi dobbiamo considerare attentamente: quello in cui proibisce la fornicazione.
Non sapete - dice - che i vostri corpi sono membra di Cristo?
Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò le membra di una prostituta? No certamente! ( 1 Cor 6,15 )
Dopo una tale affermazione, ci sarà chi osi concludere che le membra di Cristo non sono sante o si rifiuti di considerare come membro di Cristo il corpo delle spose cristiane?
Ma l'Apostolo un po' più avanti sentenzia: Il vostro corpo è, in voi, il tempio dello Spirito Santo, che avete ricevuto da Dio.
Voi non appartenete più a voi stessi, dal momento che siete stati acquistati a caro prezzo. ( 1 Cor 6,19-20 )
Il corpo dei fedeli è chiamato membro di Cristo e tempio dello Spirito Santo: e l'espressione vale, ovviamente, per i fedeli dell'uno e dell'altro sesso.
Vale per le sposate, vale per le non sposate.
Non si escludono, però, distinzioni di merito; che anzi si presentano esplicitamente membra con dignità maggiore di altre.
Nessuno di queste membra, tuttavia, è separato dal corpo.
Quando, dunque, a proposito della donna non sposata, Paolo dice che ha da essere santa di corpo e di spirito, ( 1 Cor 7,34 ) vuol significare che la santità del corpo e dello spirito di chi non è sposato ha da essere più eminente; ma non dice affatto che il corpo di chi è sposato sia privo di santità.
Apprezza dunque il bene che hai, o, meglio, tieni in mente quanto già conosci.
Il tuo stato guadagna in prestigio proprio perché c'è un altro stato del quale il tuo è più onorifico.
Se quest'altro stato fosse cattivo o non esistesse affatto, il tuo non risulterebbe altrettanto eccellente.
Gli occhi occupano nel corpo un posto singolarmente stimato; tuttavia la loro preziosità non apparirebbe così marcatamente se fossero soli e non ci fossero altri organi di minore importanza.
Lo stesso fra gli astri del cielo: il sole supera in splendore la luna, ma non per questo la mortifica.
Ogni stella differisce dalle altre in luminosità, ( 1 Cor 15,41 ) ma non è in discordia [ con le altre ] per motivi di prestigio.
Dio - dice - creò tutte le cose, e queste erano molto buone. ( Gen 1,31 )
Non semplicemente buone, ma molto buone; e questo non per altro se non perché erano tutte.
Quando si parlava delle singole opere, si diceva: Dio vide che erano buone. ( Gen 1,4 )
Ma quando si viene a parlare delle opere nel loro insieme, si aggiunge molto.
Vide Dio tutte le opere che aveva fatte, ed ecco erano molto buone. ( Gen 1,31 )
Prendendo infatti le cose ad una ad una, si può dire che l'una è più buona dell'altra; ma se le si considera tutte in blocco, l'insieme è superiore a ciascuna cosa presa isolatamente.
L'insegnamento di Cristo, inteso rettamente, faccia di te un membro sano del suo corpo [ mistico ].
In tal modo, attraverso l'azione della grazia, quel che tu hai, nel corpo e nello spirito, di più prezioso che non altri, mentre giova a consolidare il dominio che il tuo spirito esercita sul corpo, impedisca al medesimo spirito d'innalzarsi con arroganza e di fare delle discriminazioni insulse.
Ho detto che, se Rut può chiamarsi beata, Anna lo fu a maggior ragione.
La prima infatti passò a seconde nozze, mentre l'altra, rimasta molto per tempo vedova dell'unico marito, visse a lungo nello stato vedovile.
Tu, comunque, non ritenerti migliore nemmeno di Rut
7. Ben diverso infatti era il compito delle sante donne al tempo delle preparazioni profetiche.
Esse erano spinte al matrimonio da obbedienza, non da concupiscenza; e il fine era l'incremento del popolo di Dio, in seno al quale sarebbero sorti i profeti del Cristo.
Anzi, lo stesso popolo, in quanto ciò che gli capitava aveva valore di simbolo, ( 1 Cor 10,11 ) era, consapevolmente in certuni, inconsapevolmente in certi altri, un autentico profeta del Cristo.
Questo, fino a che non fosse nata, parimenti in seno a quel popolo, la carne del Cristo.
Perché dunque il popolo d'Israele si propagasse, la legge dichiarava maledetto colui che in Israele non avesse voluto suscitare discendenti a un consanguineo. ( Dt 25,5-10 )
Ne seguiva che anche le sante donne ardessero dal desiderio d'aver figli, e questo più per motivo religioso che non per voglia di piaceri carnali.
Si crede, anzi, e molto giustamente, che esse non avrebbero cercato l'unione sessuale, se avessero potuto ottenere la prole in altra maniera.
Agli uomini, poi, si concedevano più mogli contemporaneamente: sempre per provvedere alla propagazione del popolo, non per soddisfare la loro bramosia di piacere.
Considerazione, questa, che risulta dal fatto che, se agli uomini erano permesse più mogli contemporaneamente, alle donne non era lecito avere più d'un marito.
Sarebbero state, anzi, tanto più riprovevoli quanto più si fossero abbandonate a un desiderio che non le avrebbe rese più feconde.
È, quindi, santa Rut, la quale, non avendo figli ( cosa allora necessaria in Israele ), dopo la morte del marito se ne procurò un altro al fine di procrearli.
A lei però, che ebbe due mariti, fu superiore Anna, la quale, dopo la morte dell'unico marito, rimase nella vedovanza e meritò di essere profetessa del Cristo. ( Rt 4,13-15; Lc 2,36-38 )
Costei, forse, non ebbe figli ( l'incertezza trae origine dal fatto che la sacra Scrittura non ne parla ); ma si deve ritenere che possedette lo Spirito Santo, mediante il quale previde l'imminente nascita verginale del Cristo, come anche per sua opera seppe riconoscerlo fanciullo.
Fu, quindi, logico che, sebbene priva di figli ( se davvero non ne ebbe ), non passasse a seconde nozze: aveva infatti riconosciuto che si era ormai nel tempo in cui, per servire più perfettamente il Signore, ci si doveva applicare alla continenza, rinunciando al dovere della maternità; che sarebbe stato meglio praticare la castità nello stato vedovile anziché aspirare alla prolificità di un fecondo matrimonio.
E se Rut avesse saputo che attraverso la sua carne si sarebbe propagato il seme da cui si sarebbe incarnato il Cristo?
In questo caso, se cioè lei sapeva la cosa e sposandosi intese contribuire alla sua realizzazione, non me la sentirei più di sentenziare che la vedovanza di Anna fu più eccellente della fecondità di Rut.
Indice |
1 | Tert., De exhort. cast. 5ss |
2 | Tert., Ad uxorem 2 |