La dignità dello stato vedovile |
Quanto a te, tu hai prole, e ti trovi a vivere nell'ultima era del mondo, quando non è più il caso di spargere pietre ma di raccoglierle, non più stringersi in amplessi ma astenersene. ( Qo 3,5 )
Nel tempo, di cui grida l'Apostolo: Questo vi dico, fratelli: il tempo è breve; non resta altro se non che gli ammogliati vivano come se non avessero moglie. ( 1 Cor 7,29 )
Se, pertanto, ti fosse venuta la voglia di risposarti, non sarebbe stato certo per un senso di rispetto alla profezia o alla legge; non sarebbe stato nemmeno per un desiderio naturale di aver prole.
Sarebbe stato solamente un segno della tua incontinenza.
Ti saresti comportata proprio secondo le parole di Paolo, il quale, dopo aver detto: È bene che chi non è sposato rimanga come sono io, ( 1 Cor 7,8 ) subito proseguiva: Se però non riescono a contenersi, si sposino.
Preferisco infatti che si sposino anziché brucino. ( 1 Cor 7,9 )
Diceva così per impedire che il vizio dell'incontinenza restasse senza freno: sperando, anzi, che, contenuto entro i limiti di un onesto matrimonio, non avesse a precipitare in disordini abominevoli.
Ma … ringraziamo il Signore che ti fu dato generare ciò che tu non volesti essere: di modo che la verginità di tua figlia è stata un compenso per la perdita della tua verginità.
Un approfondimento della dottrina cristiana, infatti, porterebbe - ai nostri giorni - a sminuire il pregio anche delle prime nozze: sempre supposto che non ci sia pericolo d'incontinenza.
Difatti colui che ha detto: Se non riescono ad essere casti, si sposino, ( 1 Cor 7,9 ) avrebbe potuto anche affermare: "Se non hanno figli, si sposino", se davvero dopo la resurrezione di Cristo e la predicazione del Vangelo - quando in tutte le nazioni il numero dei figli rigenerati spiritualmente è così elevato! - il dovere di procreare figli secondo la carne fosse ancora della stessa urgenza come nei tempi antichi.
Ma c'è l'altro testo, in cui san Paolo vuole che le vedove più giovani si maritino, mettano al mondo dei figli e divengano madri di famiglia. ( 1 Tm 5,14 )
Con moderazione pari all'autorità apostolica inculca la bontà delle nozze; però a coloro che sanno valutare adeguatamente l'eccellenza della continenza egli non impone, come una legge inesorabile, il dovere di aver figli.
E ne spiega anche il motivo là dove dice: Non bisogna dare all'avversario alcun appiglio di sparlare di noi, mentre certune sono tornate indietro e si sono poste al seguito di satana. ( 1 Tm 5,15 )
A intendere nel loro giusto senso queste parole, bisognerà ritenere che quelle stesse persone cui consiglia di sposarsi, Paolo le avrebbe preferite nella continenza anziché nella vita coniugale.
Se preferisce che si maritino, è perché non si mettano al seguito del demonio, cioè non si volgano indietro né decadano da quel meraviglioso proposito che è la castità verginale, o vedovile, e vadano in perdizione.
Quelle persone, quindi, che non ce la fanno a contenersi, si sposino pure; ma prima che abbiano promesso e consacrato a Dio la loro continenza.
Poiché, se, fatte le promesse, poi non le mantenessero, sarebbero giustamente condannate.
Di gente simile scrive Paolo, quando afferma: Prima vivono fra le delizie in Cristo; poi vogliono andare a nozze.
Ma, facendo così, incorrono nella dannazione, in quanto rendono nullo l'impegno precedente: ( 1 Tm 5,11-12 ) distolgono cioè la volontà dall'ideale di continenza che si erano proposte e passano a nozze.
Non adempiendo con perseveranza quel che avevano promesso con voto, vengono meno alla fedeltà e all'impegno.
In conclusione: le nozze sono sempre un bene.
Però, mentre anticamente nel popolo di Dio del V. T. erano un atto d'ossequio alla legge, ora sono soltanto un rimedio alla debolezza umana e, per alcuni, anche una consolazione d'ordine naturale.
Comunque, non bisogna disapprovare nell'uomo l'inclinazione che lo spinge alla procreazione dei figli, non sfruttando indiscriminatamente più donne, come fanno i cani con le cagne, ma nell'ambito di un onesto ordine coniugale.
Lode maggiore, tuttavia, merita il cristiano che, avendo l'anima colma di pensieri di cielo, trascende e supera anche questa inclinazione. ( 1 Cor 7,33-34 )
Diceva il Signore: Non tutti comprendono queste parole. ( Mt 19,11 )
Pertanto colei che può comprendere, comprenda; ( Mt 19,12 ) colei che non riesce a contenersi, si sposi. ( 1 Cor 7,9 )
Una che non ha ancora cominciato, si decida; chi invece ha cominciato, perseveri.
Non si offra all'avversario alcuna occasione; ( 1 Tm 5,14 ) non si vada a togliere a Cristo l'offerta presentatagli.
Non bisogna aver timore di condanna per essersi uniti in matrimonio, purché se ne osservi la castità.
Certamente, però, è più grande e più sublime il premio che attende la continenza vedovile e verginale.
Una volta che, dopo diligente valutazione, si sia scelto l'uno o l'altro di questi stati e lo si sia offerto a Dio con voto, sarebbe riprovevole non solo contrarre matrimonio ma anche semplicemente coltivarne il desiderio, sia pure senza attuarlo.
Ne sono una prova le parole dell'Apostolo, il quale non dice: Dopo essere vissute in mezzo alle delizie in Cristo, si sposano, ma: Vogliono sposarsi.
E specifica: Esse incorrono nella condanna perché hanno reso nullo l'impegno precedente. ( 1 Tm 5,11-12 )
Questo, non perché effettivamente si sposano, ma perché ne nutrono il desiderio.
Non che lo sposarsi, anche per queste categorie di persone, sia di per sé riprovevole.
Quel che si disapprova è l'abbandono del proposito, la mancata fedeltà al voto.
Non si condanna l'essersi lasciati conquistare da un bene inferiore, ma l'essere decaduti da un bene superiore.
Insomma, tali persone vengono biasimate non per il vincolo matrimoniale che hanno contratto poi, ma per essere venute meno alla promessa di continenza fatta antecedentemente.
Per esprimere in poche parole questa idea, l'Apostolo non disse meritevoli di condanna le donne che, dopo essersi votate ad una santità più completa, si sposano ( non perché costoro non meritino biasimo, ma per non dare l'impressione che, in esse, condannava lo stesso matrimonio ).
Egli dice: Vogliono sposarsi, aggiungendo subito: Esse incorrono nella condanna; e, come a precisarne il motivo, prosegue: perché hanno reso nullo l'impegno precedente. ( 1 Tm 5,11-12 )
È, quindi, condannata la volontà che non ha mantenuto il voto, seguano o non seguano le nozze.
Certuni asseriscono che il matrimonio delle persone consacrate non è un matrimonio, ma piuttosto un adulterio.
Costoro mi danno l'impressione di mancare di perspicacia e di senno, e certamente si ingannano scambiando le apparenze con la realtà.
Mi riferisco a quei tali che, prendendo lo spunto da quel che si dice ( e cioè che chi non si sposa, per un ideale di santità cristiana, sceglie le [ mistiche ] nozze con Cristo ), ragionano così: Una donna che sposa un altro uomo, quando suo marito è ancora in vita, è adultera, come afferma solennemente il Signore nel Vangelo. ( Mt 19,9 )
Allo stesso modo, una persona che, scelte le nozze col Cristo, vada poi a sposare un uomo, è adultera.
Cristo infatti è ancora in vita, anzi su di lui la morte non avrà mai più alcun dominio. ( Rm 6,9 )
Coloro che parlano così, argomentano sulla base di ragioni sottili, ma non badano come si dovrebbe alle assurde conseguenze del loro ragionamento.
È infatti lodevole che una donna, vivente ancora suo marito, se costui vi consente, consacri a Cristo la propria continenza. ( 1 Cor 7,5 )
Ammesso invece il ragionamento di costoro, a nessuna donna sarebbe lecito far questo, poiché renderebbe adultero il Cristo ( conseguenza assurda e sacrilega! ), in quanto lo sposa mentre è ancora vivo il marito.
Inoltre, essendo le prime nozze di maggiore dignità che non le seconde, le vedove consacrate al Signore potrebbero pensare ( Dio non voglia! ) che il Cristo sia per loro una specie di secondo marito.
Mentre invece egli era loro sposo - in un ordine non carnale ma spirituale - anche prima, quando servivano con fedeltà e sottomissione il proprio marito. ( 1 Pt 3,5-6 )
Sposa di Cristo è la Chiesa, di cui le vedove sono membra: quella Chiesa che, per l'integrità della fede, speranza e carità, è tutta intera vergine, e non soltanto nella persona delle vergini propriamente dette, ma in tutte le persone fedeli, vedove e coniugate.
A tutta la Chiesa infatti - di cui le persone sopra citate sono membra - si riferisce l'Apostolo quando dice: Vi ho fidanzato ad un unico sposo, per presentarvi a Cristo quale vergine casta. ( 2 Cor 11,2 )
E costui, che sua madre poté generare anche nella carne senza subire oltraggio alla propria integrità, sa rendere feconda senza corromperla questa sua sposa vergine.
Un altro disordine non indifferente comporta la sentenza sconsiderata secondo cui il matrimonio di una donna consacrata, che receda dal suo santo proposito di continenza e si sposi, non sarebbe un vero matrimonio.
Tali mogli, praticamente, dovrebbero separarsi dal marito, in quanto risulterebbero adultere e non vere spose.
Ma allora, mentre le si fa separare dal marito per restituirle alla professione di continenza, si rendono veramente adulteri i loro mariti, qualora, vive queste loro mogli, si uniscano ad altre donne.
Per me, non è esatto affermare che, quando una donna abbandona uno stato più perfetto e si sposa, commette adulterio e non contrae un vero matrimonio.
Tuttavia, io non esito a dire che il cadere, anzi il precipitare, da uno stato di castità più perfetta ( in quanto consacrata a Dio ) è peggiore dello stesso adulterio.
Se infatti - e qui non c'è dubbio - offende il Signore l'infedeltà al marito da parte di una donna che è membro di Cristo, quanto più grave non sarà l'offesa se si manca di fedeltà a Cristo in persona, e in una cosa che egli non esigeva gli venisse offerta ma che certo reclama una volta che l'offerta gli è stata fatta?
Se infatti una persona non mantiene ciò che ha promesso spinta non da un precetto ma da un semplice consiglio, la sua malizia nella defezione dal voto è tanto più grande quanto minore fu la necessità di pronunziare quel voto stesso.
Mi dilungo in queste considerazioni affinché tu non pensi che le seconde nozze siano una colpa o che qualunque genere di nozze, appunto perché nozze, siano un male.
Non permetterti dunque di condannarle; sappile soltanto valutare per quel poco che valgono.
L'ideale della continenza vedovile risulterà circondato da maggiore dignità se, per farne voto e professarlo, le donne si privano d'un altro ideale che, oltre ad essere attraente, era anche legittimo.
Quando però si è emesso il voto, occorre essere perseveranti nel reprimere e domare l'attrattiva del piacere, perché ormai non sarebbe più lecito.
Alcuni sollevano questioni per il caso di donne che contraggono successivamente tre, quattro o anche più matrimoni.
Rispondo brevemente: non condanno alcun matrimonio ma non voglio escludere una certa sconvenienza determinata dal loro numero.
Questa mia risposta, così breve, potrebbe forse non incontrare il gradimento di tutti, e quindi eccomi pronto ad ascoltare quei critici che amano discutere più ampiamente.
Vorranno infatti portarmi dei motivi per cui si debbano condannare le terze nozze, se non si condannano le seconde.
Quanto a me, io, come dicevo all'inizio del presente trattato, non pretendo di sapere più di quanto occorra sapere. ( Rm 12,3 )
Chi sono infatti io, da stimarmi in grado di definire una questione che nemmeno l'Apostolo ha definito?
La donna - egli dice - è vincolata finché vive il marito; ( 1 Cor 7,39 ) né specifica se il primo, il secondo, il terzo o il quarto.
Dice semplicemente: La donna è vincolata finché vive il marito.
Quando il marito muore, lei è libera: sposi pure chi vuole, purché nel Signore.
Peraltro, sarà più felice se rimane com'è. ( 1 Cor 7,40 )
Non so cosa si possa aggiungere o togliere a questo insegnamento, per quanto concerne la nostra questione.
Mi metto poi in ascolto del Maestro e Signore degli Apostoli e nostro.
Egli sta rispondendo ai sadducei che gli avevano proposto il caso di una donna sposata non una volta soltanto o al massimo due, ma addirittura sette volte, e volevano sapere a quale dei sette mariti sarebbe appartenuta nella resurrezione.
Gesù, rimproverandoli, dice: Voi siete in errore, non comprendendo né le Scritture né la potenza di Dio.
Nella resurrezione infatti non ci si marita né ammoglia, poiché non s'incomincerà a morire ma si sarà come gli angeli di Dio. ( Mt 22,29-30 )
Evidentemente tratta della resurrezione dei buoni, non di quella dei cattivi: di coloro che risorgeranno alla vita, non alla pena. ( Gv 5,29 )
Avrebbe, quindi, potuto dire: Errate, non comprendendo né la Scrittura né la potenza di Dio, poiché in tale resurrezione non potranno trovarcisi di queste persone che ebbero più mariti; e quindi soggiungere: Nella resurrezione nessuna donna andrà a marito. ( Mt 22,29-30 )
Vediamo invece che egli ( qualunque significato si possa dare alla sua risposta ) in nessuna maniera condanna quella donna dai molti mariti.
Concludendo: per non pormi in contrasto col senso di pudore insito nell'uomo, non me la sento di suggerire a una donna che, una volta mortole il marito, si sposi tutte le volte che vorrà.
Tuttavia non mi azzardo, basandomi esclusivamente sulle mie convinzioni, senza l'autorità della Scrittura, a condannare le nozze, anche se ripetute parecchie volte.
Certamente però - e quanto dico delle vedove di un solo marito vale per tutte le altre - sarai più felice se rimarrai così [ come ti trovi ]. ( 1 Cor 7,40 )
Si suole proporre - e per motivi non futili - anche un'altra questione: stabilire cioè - se qualcuno ci riesce! - una certa graduatoria di meriti fra le diverse categorie di vedove.
C'è infatti colei che ha avuto un solo marito, con cui è vissuta a lungo mettendo al mondo ed educando dei figli, finché, rimasta vedova, ha fatto professione di continenza.
C'è anche [ nell'ipotesi ] colei che, perduti nello spazio di due anni due mariti, mancando inoltre della consolazione dei figli, ha votato a Dio la sua continenza in un'età ancor giovanile, invecchiando poi nel suo stato con una perseveranza e santità eroiche.
Vi potranno intavolare ampie discussioni - supposto che ne siano all'altezza e, in questo caso, riferendone qualcosa anche a noi - coloro che valutano il merito delle vedove dal numero dei mariti e non dallo sforzo compiuto per osservare la continenza.
Se sostengono che chi ha sposato un solo uomo è da preferirsi a colei che ha avuto due mariti, indubbiamente ( a meno che non portino qualche ragione particolare o qualche argomento di autorità ) costoro mostrano che, nella loro valutazione, a una virtù dell'animo non preferiscono una maggiore virtù dell'animo, ma una maggiore soddisfazione della carne.
Rientrano infatti nell'ambito del piacere carnale tanto il vivere a lungo col marito quanto il procreare figli.
Che se poi non la preferiscono per il motivo dei figli, senz'altro la preferiranno per la lunga convivenza col marito.
Ma questo, cosa è stato se non un piacere carnale?
Per questo motivo viene soprattutto esaltato il merito di Anna.
La quale, avendo perduto molto presto il marito, seppe combattere a lungo, quanto durò la sua vita, contro la carne e ne uscì vittoriosa.
Così infatti sta scritto: C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuel, della tribù di Aser.
Era una donna molto avanzata in età, ma con suo marito era vissuta solo sette anni, dal tempo della sua verginità.
Poi era rimasta vedova fino all'età di ottantaquattro anni, e non lasciava mai il tempio, e serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. ( Lc 2,36-37 )
Nota come Anna venga elogiata come una vedova santa non solo perché ebbe un unico marito, ma anche perché visse con lui soltanto pochi anni, dopo quelli trascorsi nella sua verginità, e soprattutto perché tenne fede al proposito di continenza vedovile, perseverando in esso fino a tarda età e unendolo a profonda religiosità e devozione.
Poniamoci davanti agli occhi il caso di tre vedove, ciascuna delle quali possegga una delle prerogative che troviamo compendiate in Anna.
Una ha il merito d'essersi sposata una sola volta; non ha però trascorso molto tempo nella vedovanza, essendo vissuta a lungo col marito, e non possiede nemmeno una pietà ardente, non essendosi applicata, come Anna, nei digiuni e nelle preghiere.
Un'altra è vissuta per un tempo molto breve col primo e col secondo marito.
Rimasta priva dell'uno e dell'altro, ha trascorso lunghi anni nella vedovanza, ( Lc 2,36-37 ) senza però dedicarsi - neppure questa - alla pratica d'una intensa religiosità, fatta di digiuni e di preghiere.
Una terza, in fine, non solo ha avuto due mariti, ma con i due - successivamente - è vissuta molto tempo, ovvero con l'uno di più e con l'altro di meno, ma sempre per un periodo considerevole.
In seguito, rimasta vedova quando ancora era in età che, se avesse voluto sposarsi, avrebbe potuto anche avere dei figli, tuttavia ha scelto la continenza vedovile, e si è data a Dio con più generosità che non le altre.
S'è messa a compiere con zelo ciò che a lui tornava gradito servendolo notte e giorno, come Anna, nel digiuno e nella preghiera. ( Lc 2,37 )
A voler discutere quale di costoro preceda in meriti le altre, chi non s'accorge subito che, nella gara, il primo posto va dato a colei che s'è distinta per la sua pietà più grande e più intensa?
Così, se si considerano tre vedove che posseggono, ciascuna, due delle prerogative di Anna, ma siano prive della terza.
Non c'è dubbio che saranno migliori quelle che, fra le loro due doti, posseggono l'umiltà devota, cui consegue una profonda pietà.
Nessuno di questi sei modelli di vedova corrisponde alla tua condizione.
Tu infatti, se osserverai il tuo voto sino alla vecchiaia, puoi realizzare tutte e tre le doti che rendono segnalato il merito di Anna.
Hai avuto infatti un solo marito, col quale non vivesti a lungo in questa vita terrena.
Ti è dato, inoltre, di prestare obbedienza alle parole dell'Apostolo: Colei che è vedova sul serio, è sola al mondo: pone in Dio la sua speranza e persevera in preghiere giorno e notte. ( 1 Tm 5,5 )
Così pure, mediante le virtù della sobrietà e della vigilanza, sei in grado di sfuggire alla minaccia che egli rivolge alla vedova che s'abbandona ai piaceri e che, pur mentre vive, è morta. ( 1 Tm 5,6 )
In questa maniera avrai realizzato in te le tre prerogative che furono in Anna.
Inoltre, tu hai dei figli, mentre lei probabilmente non ne ebbe; e anche questo torna a tuo onore: non per il fatto d'averli avuti, ma per lo zelo che poni a crescerli ed educarli religiosamente.
L'averli generati, infatti, è solo segno di fecondità; il vederteli conservati in vita è un motivo di felicità; l'averli educati in quel modo è stato, invece, merito della tua volontà e iniziativa.
Ti si facciano, quindi, congratulazioni per la prole [ avuta e allevata ]; e ti si imiti nell'educarla.
Per una illuminazione profetica Anna riconobbe il Cristo nelle mani della Vergine madre; ( Lc 2,36-38 ) una grazia evangelica ha reso te madre di una vergine di Cristo.
Voi infatti avete offerto a Cristo quella sacra vergine che è tua figlia, acconsentendo al suo volere e alla sua richiesta.
Ora lei aggiunge qualcosa del suo merito di vergine ai meriti vedovili di sua nonna e di sua madre.
Avendo una tal figlia, non si può dire che a voi non ne derivi niente; anzi, in lei, voi siete ciò che in voi stesse non siete più.
Voi vi siete sposate e, sposandovi, avete perso la verginità; ma questo ha permesso che nascesse da voi una sacra vergine.
In un'opera come questa non avrei trattato certamente della diversità di meriti che intercorre fra le varie categorie di donne sposate o vedove, se il mio scritto fosse diretto a te sola.
Siccome però in questa materia ci sono questioni molto intricate, ho ritenuto opportuno ampliare il discorso più di quanto non interessi propriamente la tua persona.
Questo l'ho fatto, in primo luogo, a motivo di certi individui che non trovano altro sistema per comparire sapienti all'infuori di quello non dico di porre in discussione, giudicandoli, i lavori altrui, ma addirittura di lacerarli e farne scempio.
Inoltre mi vi ha spinto il desiderio che tu mantenga il voto pronunziato e progredisca verso il tuo ideale; non solo, ma abbia anche a conoscere con precisione e sicurezza maggiore che il tuo bene non si contrappone a un male, che sarebbe quello delle nozze, ma è superiore alle nozze, che pure sono un bene.
Non farti trarre in inganno da chi riprova il matrimonio delle vedove, anche se nella sua vita pratichi un'astinenza rigida e singolarmente fervorosa, privandosi di molte cose che tu, invece, usi.
Non devi lasciarti lusingare né condividere le loro opinioni, anche se in pratica non riuscissi a compiere quel che fanno loro.
Nessuno infatti desidererebbe essere pazzo anche se si avvede che le forze del pazzo sorpassano quelle di un uomo normale.
Fa', dunque, in modo che il tuo proposito di bene sia ornato e consolidato da vera dottrina.
È infatti proprio per questo che, da chi giudica secondo verità, vengono preferite le donne fedeli viventi in seno alla Chiesa cattolica, anche se sposate più volte, non solamente alle vedove degli eretici che si siano sposate una volta sola, ma persino alle loro vergini.
Su questi tre argomenti - matrimonio, vedovanza e verginità - ci sono molte questioni insidiose e molte incertezze.
Per poterle scrutare a fondo e risolverle in un trattato, occorrerebbe dedicarvisi con più agio e scriverne più diffusamente: se almeno si vogliono avere idee esatte in ognuno di questi argomenti o, se in qualche punto fossero discordanti, affinché Dio ce le riveli. ( Gv 5,29 )
Comunque - e questo pure lo suggerisce l'Apostolo non molto più avanti - qualunque sia il punto a cui siamo arrivati, seguitiamo a camminare in quella direzione. ( Fil 3,16 )
Per quanto riguarda la nostra questione, siamo giunti a stabilire che la continenza è superiore al matrimonio e che la verginità consacrata a Dio è superiore alla continenza vedovile.
Inoltre è stato assodato che non ci è lecito, per magnificare la dignità dello stato in cui ci si trova noi o qualcuno dei nostri, condannare alcuna sorta di matrimoni: supposto sempre che si tratti di veri matrimoni, e non di adultèri.
Abbiamo esposto molti altri capi di dottrina su questo argomento nei libri De bono coniugali e De sancta virginitate e anche nell'opera che con tutto l'impegno possibile abbiamo scritto Contro Fausto manicheo.
Costui infatti aveva diffuso degli scritti in cui rimproverava accanitamente le caste nozze dei patriarchi e dei profeti, ed era riuscito ad allontanare dalla retta fede l'animo di alcuni impreparati.
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