Della risurrezione dei morti |
1. In ogni opinione e dottrina, accanto a quella verità ch'essa contiene, si vede nascere qualche parte di falso; la quale nasce non già sorgendo per legge di natura da un qualche principio obiettivo o dalla causa costitutiva e propria di ciascun essere, ma per opera di coloro che, preferendo la semente spuria nell'intento di soffocare la verità, deliberatamente coltivano l'errore.
2. Questo fatto si può riscontrare anzitutto in coloro che nel passato si occuparono di queste ricerche e nelle loro discrepanze sia coi precedenti sia coi contemporanei, ma anche, e non meno, nella stessa confusione di discordanti opinioni a cui noi assistiamo.
Non c'è infatti verità a cui questi tali abbiano risparmiato i loro ingiusti attacchi: non l'essenza di Dio, non la sua scienza, non la sua attività, non le conseguenze che logicamente derivano da tali nozioni e costituiscono la norma della nostra vita religiosa.
Alcuni disperano senz'altro di poter mai raggiungere la verità su questi argomenti; altri li travolgono secondo le loro opinioni soggettive; altri mettono deliberatamente in dubbio anche ciò che è evidente.
3. Perciò io penso che chi vuole occuparsi di tali materie debba proporsi una duplice trattazione: l'una per la verità, l'altra intorno alla verità.
Quella per la verità gli è necessaria nel rivolgersi agli increduli e ai dubbiosi; quella intorno alla verità, con chi ha animo retto ed è ben disposto ad accogliere la verità.
Per tal ragione conviene che chi vuole esaminare questi problemi osservi volta per volta la necessità che si presenta e ad essa commisuri i suoi ragionamenti, adattando al bisogno l'ordine della trattazione; e non deve, per far vedere che si attiene costantemente al metodo con cui ha incominciato, trascurare quel che conviene e il luogo appropriato a ciascun argomento.
4. Ora, se si guarda all'esigenza della dimostrazione e del concatenamento logico, sempre i ragionamenti intorno alla verità precedono quelli per la verità; ma tenendo conto della maggior convenienza, questi ultimi, viceversa, precedono i primi.
Un agricoltore non potrebbe utilmente affidare al suolo i semi senza aver prima dissodato il terreno incolto, togliendo tutto ciò che possa nuocere alla semente buona; né un medico potrebbe somministrare a un organismo bisognoso di cura un farmaco salutare senza prima averlo purgato dal male che vi allignava o senza aver arrestato quello che lo minacciava.
Così chi voglia insegnare la verità non potrebbe, parlando della verità, persuadere alcuno finché nella mente degli uditori rimanga latente qualche erronea opinione che si opponga ai suoi ragionamenti.
5. Perciò anche noi, avendo di mira quel che è più utile, premettiamo talvolta la trattazione per la verità a quella intorno alla verità: e appunto ora, nel discorrere della risurrezione, non sembra fuor di posto fare a questo modo, chi guardi alla necessità che si presenta.
Poiché anche su questo punto troviamo chi è affatto incredulo, altri che dubita, e anche fra quelli che ammettono le verità fondamentali alcuni sono incerti al pari dì coloro che ne dubitano; e, ciò che costituisce il colmo d'ogni assurdità, sono in questa disposizione d'animo senza avere dalla cosa in sé alcun motivo d'incredulità, né sanno allegare una ragione plausibile perché sono increduli o incerti.
Se non può, é perché non ne ha o la conoscenza o la forza necessaria.
Ma certo Iddio, che prima di creare l'uomo conosceva gli elementi del suo corpo, conosce la natura dei corpi che hanno da risorgere.
1. Ragioniamo a questo modo.
L'incredulità non deve mai ingenerarsi nell'animo temerariamente e per un'opinione inconsiderata, ma solo per un motivo forte e con sicurezza di essere nel vero; essa è ragionevole solo quando la cosa a cui non si crede appare incredibile; il non credere a ciò che non è incredibile è da uomini che non giudicano con sano criterio della verità.
2. Quindi coloro che negano fede alla risurrezione o ne dubitano non devono esprimere il loro giudizio su di essa secondo che pare a loro di primo acchito o secondo che aggrada al capriccio altrui; ma bisogna che o non riconoscano alcuna causa dell'origine dell'uomo ( ciò che si può confutare con tutta facilità ), oppure, se riferiscono a Dio la causa degli esseri, che, prendendo questo dogma particolare come soggetto di discussione, partendo da esso dimostrino non esservi della risurrezione alcun argomento valido.
3. E ciò faranno se potranno dimostrare che Dio o non può o non vuole di nuovo riunire e mettere insieme, in modo da costituire i medesimi uomini, i corpi morti o anche già andati in completo sfacelo.
Che se a ciò non riescono, cessino da codesta empia incredulità, desistano dal bestemmiare ciò che non è lecito bestemmiare.
E che non dicano il vero affermando che ciò Dio non possa o non voglia, apparirà manifesto da quello che sto per dire.
4. Quanto all'essere impossibile, una cosa si presenta tale veramente, o perché non si conosce ciò che sarebbe da fare, o perché, pur conoscendolo, non si ha forza abbastanza per farlo a dovere.
Poiché chi non conosce una cosa che è da fare non potrà assolutamente né tentare né eseguire ciò che non conosce; chi poi conosce bene ciò che è da fare, e con quale mezzo, e in qual modo si può fare, ma non ha punto forza per fare quello che conosce, o non l'ha sufficiente, costui, se ha fior di senno e se pone mente alle sue forze, non si accingerà all'opera; e se vi si fosse accinto avventatamente, non potrà portare a compimento il suo proposito.
5. Ora non è possibile che Dio ignori né la natura dei corpi che hanno da risorgere sia quanto alle membra intere sia quanto alle loro parti, né dove vada ciascun corpo quando si discioglie e qual parte degli elementi accolga il corpo che s'è disciolto per raggiungere quello che gli è affine, anche se una sostanza, riunita di nuovo col tutto secondo la tendenza della sua natura, sembra agli uomini affatto indistinta.
Colui infatti al quale, prima che ciascun essere fosse in sé costituito, non era ignota né la natura degli elementi futuri da cui risultano i corpi degli uomini, né le parti degli elementi stessi da cui avrebbe preso a suo beneplacito ciò che doveva costituire il corpo umano, è ben chiaro che anche dopo il dissolvimento del corpo intero non ignorerà dove sono andate le singole parti ch'egli ha prese per costituire completamente ciascun corpo.
6. Giacché, nell'ordine delle cose che si osserva fra noi uomini e per quanto si può giudicare dal resto, è cosa di maggior rilievo prevedere ciò che non è ancor avvenuto; ma per quanto riguarda la maestà e la sapienza di Dio, entrambe le cose sono a lui connaturali, e gli è ugualmente facile conoscere una cosa andata in dissoluzione come prevedere ciò che ancor non è avvenuto.
1. Quanto alla potenza, che essa basti per la risurrezione dei corpi lo dimostra l'origine dei medesimi.
Infatti se nel primo atto creativo Dio fece dal nulla i corpi degli uomini coi loro principi costitutivi, una volta disciolti, non importa in qual modo, li risusciterà con pari facilità; ché anche questo gli è ugualmente possibile.
2. E questo ragionamento non riceve alcun pregiudizio, sia che i primi principi si riconoscano dalla materia, sia che i corpi degli uomini si facciano derivare dagli elementi, come primi, o da semi.
Quella potenza che è in grado di dare una forma alla materia, come quelli pensano, informe, disporla in molte, differenti e ornate figure quand'era senza figura e senza ornamento, radunare insieme le parti degli elementi, moltiplicare e distinguere quel seme che era uno e semplice, sviluppare un organismo da un'incomposta congerie, dar la vita all'essere non vivente, quella medesima potenza sarà in grado anche di riunire ciò ch'era disciolto, rialzare ciò che giaceva, vivificare di nuovo ciò ch'era morto e ciò ch'era corrotto rendere incorruttibile.
3. Sarà opera del medesimo Iddio e della medesima potenza e sapienza anche il separare quello che è stato dilaniato e diviso fra una moltitudine di animali d'ogni specie, quanti sono soliti a gettarsi su questi corpi e saziarsene, e il riunirli di nuovo alle proprie membra e parti, anche se quel corpo umano fosse andato a finire in uno di quegli animali, anche se in molti, anche se dai primi in altri, anche se insieme con essi disfatto fosse ritornato ai primi principi dissolvendosi naturalmente in essi.
E questa appunto parve essere la causa di maggior turbamento per alcuni, anche fra quelli ammirati per sapienza, i quali, non so come, giudicarono forti i dubbi diffusi fra il volgo.
La difficoltà si fa più grave quando questi animali diventano a loro volta nutrimento degli uomini; lo stesso avviene nei casi di antropofagia.
1. Dicono dunque costoro: Molti uomini sono periti miseramente nei naufragi e nei fiumi e il loro corpo è divenuto cibo dei pesci; altri molti sono caduti in battaglia o per qualche altra causa violenta o per calamità di vario genere, rimanendo privi di sepoltura, esposti a essere divorati dalla prima bestia che capita.
2. Ora, quando un cadavere viene così distrutto e le membra e le parti di cui risultava sono dilaniate e disperse da una gran moltitudine di animali e per via della nutrizione vengono a costituire una cosa sola coi corpi che se ne nutrono, allora anzitutto diventa impossibile separarli; c'è poi un'altra difficoltà, secondo loro, ancor più insormontabile.
3 Vi sono molti ammali che servono di nutrimento agli uomini.
Ora quando essi si sono cibati di corpi umani, questi passano per lo stomaco dell'uomo e fanno una cosa sola col corpo di chi li mangia; in tal caso tutte quelle membra degli uomini che furono già nutrimento degli animali che le mangiarono, necessariamente debbono trasmigrare in altri corpi di uomini, poiché gli animali che frattanto se ne sono nutriti trasferiscono quel nutrimento che hanno ricevuto in quegli uomini di cui san divenuti nutrimento.
4. Di più portano sulla scena i tragici casi di figli che i genitori osarono divorare per fame o per pazzia, e di altri figli che furono mangiati dai genitori per insidia di nemici, e quella famosa tavola dei Medi e le tragiche cene di Tieste e vi aggiungono tutta una serie di simili fatti sciagurati e strani perpetrati fra i Greci e fra i barbari.
Con questo apparato essi pensano di dimostrare l'impossibilità della risurrezione, in quanto non potrebbero le medesime membra risuscitare con corpi diversi; ma o non potrebbero più sussistere i corpi dei primi, per essere migrate in altri individui le membra che li costituivano, oppure, posto che queste membra vengano restituite ai primi possessori, i corpi degli ultimi ne resterebbero mutili e incompleti.
E non tutti i cibi che un animale ingerisce diventano suo nutrimento assimilandosi a lui.
1. Or sembra a me che chi ragiona in tal guisa prima di tutto ignori la potenza e la sapienza di Colui che ha creato e governa questo universo.
Per ciascun animale egli, ha disposto il nutrimento confacente e proporzionato alla sua natura e alla sua specie, e non è suo disegno che un organismo di qualsiasi specie debba unirsi e mischiarsi con qualsiasi altro corpo; né egli si trova in difficoltà per separare gli elementi coadunati; ma piuttosto alla natura di ciascun essere creato egli permette di fare e patire ciò che ad essa è conforme, impedendole ciò che non è tale, e le concede tutto quello che vuole e per il fine che vuole, o ne la distoglie e rivolge altrove.
Mi pare, inoltre, che costoro non abbiano considerato il potere e la natura di ognuno degli esseri che nutriscono o si nutriscono.
2. In tal caso avrebbero certo compreso come non tutto quello che uno ingerisce cedendo alla necessità esteriore diventa nutrimento confacente all'animale: alcuni cibi, appena entrati nei meandri della cavità addominale, debbono corrompersi, venendo eliminati o per vomito o per escrezione o in altra guisa; sicché, lungi dall'assimilarsi col corpo che si nutre, non resistono nemmeno per breve tempo alla prima naturale digestione.
3 Così pure non tutti gli alimenti che sono stati digeriti e hanno subìto la prima trasformazione si assimilano senz'altro con le parti che si nutrono; poiché alcuni vengono a perdere la forza nutritiva quando sono nello stomaco, altri vengono secreti in forza della seconda trasformazione che ha luogo nel fegato e si tramutano in qualche altro elemento già spoglio della forza nutritiva.
Infine, quella stessa trasformazione che avviene nel fegato non finisce tutta in nutrimento dell'uomo, ma qualche parte della sostanza così trasformata si elimina naturalmente negli umori superflui; e quello stesso nutrimento che ancor rimane, giunto alle membra e alle parti da nutrire, subisce talvolta qualche altra trasformazione, a cagione del prevalere di quell'elemento ridondante o predominante che suole corrompere e convertire in sé quello con cui viene a contatto.
1. Pertanto, essendovi una grande varietà di natura fra tutti gli animali, e trasformandosi il medesimo nutrimento naturale secondo le varie specie di animali e il corpo che se ne nutre; distinguendosi poi nella nutrizione di ciascun animale un triplice processo di purificazione e di secrezione, ne consegue necessariamente che qualsiasi cibo non appropriato alla nutrizione di un dato animale, non potendo essere da questo assimilato, si corrompe e se ne va per la sua via naturale o si trasforma in qualche altro elemento.
Quindi anche ci dev'essere una corrispondenza naturale fra il valore d'alimento del corpo che nutre e le facoltà dell'animale che viene nutrito, cosicché il primo, passando per suoi filtri appropriati e sottoposto a quel rigoroso processo naturale di purificazione, possa apportare alla sostanza dell'animale un accrescimento perfettamente omogeneo.
2. E questa sola chi voglia dare alle cose il loro vero nome chiamerà nutrizione, in quanto elimina tutto ciò che è estraneo e nocivo alla costituzione dell'animale da nutrire e lo libera di quel gran peso di cui fu caricato solo per rimpinzare lo stomaco e soddisfare l'appetito.
3. Questo alimento nessuno dubita che si assimili al corpo nutrito, conglutinandosi e impastandosi con tutte le sue membra e parti; al contrario, quello che si comporta diversamente e contro la natura, si corrompe ben presto, se s'incontra con una forza più robusta; e quella cui riesce a vincere facilmente corrompe, convertendosi in succhi maligni e in qualità velenose, perché non porta al corpo da nutrire alcun elemento affine o amico.
4. Una prova decisiva di quest'affermazione è nel fatto che in molti animali, quando, nel nutrirsi, cedendo a una fame violenta, ingoiano qualche sostanza velenosa e contraria alla loro natura, ne consegue spasimò o pericolo o anche la morte; ciò appunto non può non essere rovinoso per l'organismo che si nutre, se è vero che esso vien nutrito dai cibi che gli sono propri e conformi a natura e rovinato da quelli contrari.
5. Adunque il nutrimento naturale si distingue secondo la differenza degli animali per natura differenti; di più, anche nell'ambito dei cibi naturali, non ogni sostanza che l'animale ha ingerito si assimila, o in tutto o in qualsiasi sua parte, al corpo da nutrire, ma solo ciò che è stato filtrato attraverso tutto il processo della digestione e trasformato e liberato da ogni scoria così da potersi assimilare con quel dato corpo, ed è in armonia con le membra che, deve nutrire.
Di qui è chiaro come nessun cibo di natura diversa si assimilerà mai con quegli organismi per i quali non è nutrimento conveniente e proporzionato; ma o senza essere digerito viene espulso alterato dall'intestino, prima di produrre un qualche altro succo, oppure, se vi si ferma più a lungo, provoca sofferenza o infermità di difficile guarigione, corrompendo insieme anche il nutrimento confacente alla natura, o persino la stessa carne che di nutrimento abbisogna.
6. Ma se anche capita che venga scacciato per mezzo di medicamenti o d'una dieta migliore o sconfitto dalle risorse naturali dell'organismo, non se ne va senza notevole danno, giacché nulla esso porta di amichevole agli elementi conformi a natura, per la sua inettitudine ad amalgamarsi con la natura.
Poiché non costituirebbero delle parti vere e proprie del corpo; e quand'anche diventassero carne, questa potrebbe, come spesso avviene, abbandonare, a causa di varie alterazioni, l'organismo a cui s'è unita; tanto più quando questo si nutre di alimenti eterogenei.
1. E se anche si volesse ammettere che un nutrimento ( chiamiamolo pur così, come si usa ) di tal fatta, una volta ingerito, pur essendo contrario alla natura, venga digerito e si cambi in qualcuna delle varie sostanze umide o secche, calde o fredde, essi non avrebbero da tale concessione alcun vantaggio.
Difatti, i corpi che risorgeranno saranno nuovamente composti delle loro parti vere e proprie, mentre nessuna delle dette sostanze é parte del corpo, e non ha proprietà o funzione di parte; anzi neppure rimane sempre nelle parti del corpo che se ne nutrono, né risorgerà con quelle che risorgeranno; ché allora non recheranno più nessun contributo alla vita né il sangue né la bile né il fiato.
Allora i corpi non abbisogneranno più di ciò di cui abbisognavano una volta per nutrirsi, perché insieme col bisogno e con la corruzione degli organismi che nutrivano scomparirà anche l'utilità delle cose di cui si nutrivano.
2. Ancora: se pure si volesse ammettere che un tal nutrimento nel processo di trasformazione giungesse sino a divenire carne, nemmeno in tal caso avverrà necessariamente che la carne divenuta recentemente tale per la mutazione d'un nutrimento siffatto, quando venga in contatto col corpo d'un altro uomo, si faccia parte integrante del medesimo.
E ciò perché né la carne che si è assimilata altra carne conserva sempre quella che ha assimilata, né quella che le è stata unita ha tale stabilità da rimanere con quella a cui s'è congiunta.
Invece essa subisce profonde trasformazioni, e in due sensi: talvolta sono le fatiche e le preoccupazioni che la fanno deperire, tal'altra le afflizioni, gli strapazzi e le malattie la consumano; e ancora per il sopravvenire delle alterazioni causate da riscaldamento o da raffreddamento, quando quelle parti, che ricevono il nutrimento rimanendo quali sono, non si mutano insieme con la carne e con l'adipe.
3. Che se tali vicende subisce già ordinariamente la carne, si puó ben pensare che molto più ancora ci vada soggetta quando si nutre di alimenti eterogenei.
Ora impingua fino a scoppiare, convertendo in adipe tutto quello che mangia, ora invece in un modo o nell'altro se ne libera e quindi si assottiglia per una o più delle cause già dette prima; e solo quel cibo che è stato prescelto dalla natura e che si conglutina con quelle membra con cui conduce una vita conforme a natura sostenendone insieme i travagli, rimane congiunto a quelle parti, che è naturalmente destinato a collegare, proteggere e riscaldare.
4. Ma poiché non si può dimostrare, né dall'attento esame delle questioni ora studiate, né accettando in via di concessione le ragioni recate da coloro e, la verità del loro asserto, rimane assodato che i corpi degli uomini non vengono mai a confondersi con altri della medesima natura, quand'anche accada che o per ignoranza gustino d'un tal corpo, vittime d'un tranello teso da qualcun altro ai loro sensi, o che da sé, spinti da necessità o da pazzia, si contaminino toccando il corpo d'un loro simile: sebbene non ignoriamo che vi sono belve in figura d'uomini o con natura composta d'uomini e di belve, secondo la rappresentazione che ne sogliono fare i poeti più audaci.
Quindi non potrà assimilarsi con gli organismi umani che se ne cibassero; ma se anche vi si unisse temporaneamente, ne verrebbe poi separata dalla potenza e sapienza di Dio.
1. Ma occorre proprio dire che il corpo umano non è destinato a divenir nutrimento d'alcun animale e che la sua sorte é solamente d'essere seppellito nella terra a onore della natura, dal momento che neppure degli altri viventi nessuno il Creatore destinò a nutrimento dei suoi simili, sebbene il nutrirsi di altri animali di specie diversa sia cosa naturale?
2. Se dunque riescono a dimostrare che la carne umana é destinata ad esser pasto di uomini, niente impedirà che il divorarsi a vicenda sia cosa naturale, al pari delle altre cose da natura permesse; e chi osa affermare cose simili potrà mangiarsi come cibo prelibato e il più confacente per lui il corpo dei suoi più cari amici, o anche imbandirne ai suoi più intimi.
3. Ma se questa è un'empietà anche solo a enunciarla, se per l'uomo il toccare carne umana è atroce scelleratezza, più esecranda d'ogni cibo od azione criminale e contro natura; se ciò che è contro natura non si farà mai nutrimento per le membra e le parti che ne hanno bisogno; se ciò che non si fa nutrimento non si assimila alle parti che non può nutrire; nemmeno i corpi umani s'immedesimeranno coi corpi simili ai quali portano un nutrimento contro natura, anche se, per un'atroce sciagura, dovessero passare attraverso il loro stomaco.
4. In tal caso, queste carni, private della loro forza nutritiva e disperse di nuovo fra quegli elementi dai quali ebbero il primo loro essere, si uniscono a questi ciascuna per un tempo determinato, ma poi, nuovamente separate dalla sapienza e potenza di colui che ogni natura di animale collegò con i principi a lei convenienti, si uniscono l'una all'altra in maniera naturale, anche se incenerite dal fuoco o marcite nell'acqua o divorate dalle fiere o da qualsiasi animale, anche se una parte, staccata dal corpo intero, si fosse decomposta prima delle altre; e, una volta riunite fra loro, occupano il medesimo luogo; così si ha l'armonica composizione di quell'identico corpo, e quel corpo, ch'era morto o anche andato tutto in sfacelo, risorge e vive.
5. Ma dilungarci oltre su quest'argomento non sarebbe opportuno; ché su questo sono tutti d'accordo, quanti almeno non sono più bestie che uomini.
Obiezione ridicola, perché abbassa la potenza di Dio al livello dell'uomo.
È dunque dimostrato che la risurrezione non è impossibile a Dio.
1. Ora poi, dacché vi sono molti altri argomenti di maggior utilità per la nostra questione, non intendo occuparmi di coloro che ricorrono alle opere umane e agli uomini loro artefici, i quali, una volta che le loro opere sono andate in pezzi o sono logorate dal tempo o in altro modo rovinate, sono incapaci di rifarle nuove; poi tentano di dimostrare, sull'analogia dei vasai e degli altri artefici, che Iddio né vuole né, volendo, potrebbe risuscitare un corpo morto e già decomposto.
Essi non riflettono che con queste asserzioni fanno a Dio ingiuria gravissima, mettendo a pari la potenza di esseri infinitamente distanti, o, meglio, gli esseri stessi che la possiedono, e uguagliando i prodotti dell'arte a quelli della natura.
2. Il prendere sul serio tali obiezioni non andrebbe esente da biasimo, ché sarebbe vera stoltezza confutare delle affermazioni superficiali e sciocche.
È molto più sensata e corrisponde pienamente al vero quella spiegazione: Ciò che agli uomini è impossibile, è possibile a Dio.
Che se appunto da questi stessi argomenti, che hanno buon fondamento, e da tutta l'indagine fatta poco sopra la ragione dimostra che la cosa è possibile, evidentemente non è impossibile.
Ma neanche è aliena dalla volontà di Dio.
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