Della risurrezione dei morti |
Ma ingiusta non é, né rispetto agli esseri diversi dall'uomo, siano essi intelligenti o no, né rispetto all'uomo che ha da risorgere, sia guardando al corpo sia guardando all'anima di lui.
Né é cosa indegna di Dio risuscitare all'incorruzione quel corpo ch'egli ha creato corruttibile.
1. Infatti, quel che Dio non vuole, non lo vuole o perché è cosa ingiusta o perché è cosa indegna di lui.
L'ingiustizia poi potrebbe ravvisarsi o riguardo a colui stesso che ha da risorgere o riguardo a qualcun altro fuori di lui.
Ora, che nessuna delle cose esteriori all'uomo, quante se ne annoverano fra gli esseri, ne soffra ingiustizia, è evidente.
2. La risurrezione degli uomini non può far torto né alle nature intelligenti, poiché essa non è per nulla d'impedimento alla loro esistenza, né di danno, né d'ingiuria; e neppure alle nature degli esseri privi di ragione e di anima, poiché essi non esisteranno più dopo la risurrezione; e a quello che non esiste non si fa ingiustizia.
3. Ma, supposto pure che dovessero esistere per sempre, le creature non riceverebbero alcun torto dal rinnovarsi dei corpi umani.
Se infatti ora, mentre servono alla natura dell'uomo e alle sue necessità, avendone egli bisogno, e vanno curve sotto il giogo e sotto ogni forma di servitù, non ne ricevono torto, a più forte ragione, una volta divenuti gli uomini incorruttibili ed esenti da necessità, in modo da non aver più bisogno dei loro servigi, esse, liberate da ogni servitù, non ne riceveranno alcun torto.
4. E neppure, se avessero la parola, accuserebbero il Creatore d'averle ingiustamente messe al di sotto degli uomini, per non aver parte con loro alla medesima risurrezione.
Infatti, agli esseri che non hanno natura uguale colui che è giusto non assegna un fine uguale.
A parte ciò, chi non ha alcun discernimento del giusto non può neanche biasimare l'ingiustizia.
5. Nemmeno si può dire che si ravvisi una qualche ingiustizia verso l'uomo che ha da risorgere.
Egli è composto d'anima e di corpo: ora con la risurrezione non gli si fa torto né nell'anima né nel corpo.
Che si faccia torto all'anima non dirà chiunque abbia senno, perché in tal caso verrebbe ad escludere, senza accorgersi, insieme con la risurrezione anche la vita presente.
Poiché se ora, dimorando in un corpo passibile e corruttibile, non ne riceve alcun torto, molto meno ne riceverà unita a un corpo incorruttibile e impassibile.
Ma nemmeno al corpo si fa ingiustizia: poiché se ora, corruttibile congiunto con un'anima incorruttibile, non patisce ingiustizia, non la patirà quando, incorruttibile, sarà congiunto con un'anima incorruttibile.
6. E neppure si potrà dire che sia cosa indegna di Dio risuscitare e ricomporre il corpo andato in sfacelo.
Infatti, se non è indegno il peggio, fare cioè il corpo corruttibile e passibile, a più forte ragione non sarà indegno il meglio, ossia farlo incorruttibile e impassibile.
Ora, con richiamo al duplice procedimento indicato da principio, si rileva che la dimostrazione positiva della verità primeggia, per natura, per ordine, per utilità, sulla confutazione dell'errore, con la quale é intimamente connessa, mirando a un unico scopo; tuttavia quest'ultima ha spesso praticamente maggior importanza.
Si passerà ora alla dimostrazione, considerando il fine dell'uomo, la sua natura, il suo giudizio.
1. Ora, se dai primi principi naturali e dalle loro conseguenze sono stati dimostrati i singoli punti della nostra indagine, risulta evidente che la risurrezione dei corpi disfatti è opera possibile al Creatore, voluta da lui, degna di lui: quanto fu detto ha dimostrato come sia falsa l'opinione contraria e l'assurdo ragionamento degl'increduli.
2. È forse necessario rilevare che tali argomenti sono fra loro convertibili e intimamente connessi l'uno con l'altro?
Se pure si può parlare di connessione, come se fossero separati da qualche differenza e non si dovesse dire piuttosto che quanto è possibile si può volere e che quanto Iddio può volere gli è senz'altro possibile e degno di chi lo vuole.
3. Precedentemente si è parlato a sufficienza della duplice trattazione, l'una intorno alla verità, l'altra per la verità, dicendo anche qual differenza vi sia fra le due e quando e con chi convenga adoperarle.
Ma nulla vieta, io penso, che, per procedere insieme con maggior sicurezza e tenendo conto della connessione delle cose dette con quelle che restano a dire, ci rifacciamo da capo a quei medesimi principi e alle conseguenze che ne derivano.
Ora, di questi due metodi, all'uno spetta per sua natura il primato, all'altro tocca servire al primo, preparargli la strada, e rimuovere qualsiasi impedimento od ostacolo.
4. Infatti la trattazione intorno alla verità, essendo necessaria a tutti gli uomini per la sicurezza e la salute, primeggia e per natura e per ordine e per utilità.
Per natura, in quanto procura la conoscenza delle cose quali sono; per ordine, in quanto s'accompagna con gli argomenti che espone e vi si addentra; per utilità, in quanto con la conoscenza procaccia sicurezza e salute.
5. La trattazione per la verità, invece, è inferiore sia per natura che per efficacia, essendo minor cosa confutare il falso che dimostrare il vero; anche per ordine viene dopo, perché esplica la sua forza contro chi é nel falso; ora la falsa opinione é germoglio d'una semenza sovrapposta e corrotta.
Ma, pure stando così le cose, spesse volte quest'ultima via di dimostrazione passa al primo posto e diviene talora più utile, come quella che toglie di mezzo la difficoltà che certuni hanno a credere e sgombra in chi é appena ai primi passi il dubbio e l'errore.
6. L'una e l'altra si riferiscono a un unico scopo, ché tanto chi confuta il falso quanto chi dimostra il vero ha in mira la vera pietà; tuttavia non fanno senz'altro una cosa sola, essendo l'una necessaria, come ho detto, a tutti quelli che credono e hanno a cuore la sicurezza e salute propria, l'altra, invece, più utile a certuni e contro certuni.
7. Questo sia detto per sommi capi, a mo' di proemio, per ricordare le cose già esposte.
Ora occorre venire al nostro assunto e dimostrare la verità della dottrina sulla risurrezione, sia considerando quella causa secondo cui e per cui fu fatto il primo uomo e quelli che vennero dopo ( sebbene non siano stati fatti nella medesima maniera ), sia riflettendo alla comune natura di tutti gli uomini, in quanto uomini, e infine ancora al giudizio che il Creatore farà di essi per tutto il tempo della vita di ciascuno secondo la condotta da lui tenuta; giudizio della cui giustizia nessuno vorrà dubitare.
Così Iddio non poté creare l'uomo senza uno scopo, né per l'utilità propria, né per il vantaggio di altri esseri, siano immateriali siano irragionevoli.
Dunque lo fece avendo in mira l'essere dell'uomo stesso, composto d'anima e di corpo; e poiché il suo essere, fine della sua creazione, non potrebbe durare senza la risurrezione, l'uomo dovrà risorgere.
1. L'argomento desunto dalla causa consiste nel considerare se l'uomo sia venuto al mondo a caso e senza uno scopo, oppure per qualche scopo; e, in questo caso, se per vivere, una volta creato, e sussistere secondo la natura in cui fu creato, o se per l'utilità di qualcun altro.
Se in vista di tale utilità, o s'intende quella del Creatore stesso o di qualche altro essere a lui vicino e che gli sta a cuore più dell'uomo.
2. Certo, considerando anche più in generale la cosa, troviamo che chiunque abbia senno e s'accinga a un'azione con ragionevole discernimento, nulla di ciò che opera per deliberato consiglio fa senza uno scopo: egli agisce o in vista dell'utile proprio, o per vantaggio di qualcun altro che gli sta a cuore, o per l'essere stesso che viene fatto, mosso a produrlo da una naturale inclinazione ed affetto.
Così, per usare un'immagine che renda chiaro il nostro concetto, l'uomo costruisce una casa per l'utilità propria; costruisce pure per i buoi e i cammelli e gli altri animali di cui ha bisogno un ricovero adatto per ciascuno; e ciò, all'apparenza, non per l'utilità propria; ma, se si guarda al fine, proprio per questo, e se si guarda all'oggetto immediato, per la cura delle cose che gli stanno a cuore.
Egli procrea anche dei figli, non per l'utilità propria né di qualche altra cosa che lo riguardi, ma perché quelli ch'egli genera esistano e perdurino quanto più lungamente è possibile, per consolarsi con la successione dei figli e dei nipoti della sua morte e pensando con essa di rendere immortale quel ch'è mortale.
3. Così fanno gli uomini.
Quanto poi a Dio, egli non creò gli uomini senza uno scopo, perché è sapiente, e nessuna opera di sapienza è vana; né per l'utilità propria, perché egli non ha bisogno di nulla, e a uno che di nulla assolutamente abbisogna nessuna delle cose da lui fatte potrà giovare alla propria utilità.
Ma neppure creò l'uomo in vista di qualcuna delle opere da lui prodotte.
Infatti nessuna fra le creature dotate di ragione e di discernimento, siano maggiori siano inferiori, non fu né è fatta per l'utilità d'altri esseri, ma per la vita e la perpetuità propria di essa creatura.
4. La ragione invero non trova alcuna utilità che possa esser causa dell'origine dell'uomo: se si guarda agli esseri immortali, sono esenti da necessità e per la loro esistenza non abbisognano assolutamente di alcun apporto da parte degli uomini; se agli esseri irragionevoli, sono per loro natura soggetti e contribuiscono ciascuno secondo la sua naturale destinazione all'utilità degli uomini, non già che essi debbano servirsi degli uomini.
Poiché non poteva e non può essere giusto far servire l'essere che comanda e presiede all'utilità degli esseri inferiori né sottomettere l'essere ragionevole agli irragionevoli, i quali sono incapaci di comandare.
5. Pertanto, se l'uomo non fu fatto senza causa e senza scopo ( ché nessuna delle cose fatte da Dio è senza scopo, almeno secondo l'intenzione del Creatore ), né per l'utilità del Creatore stesso o di qualche altra creatura di Dio, è evidente che, guardando alla ragione prima e più generale, Dio fece l'uomo per se stesso, per quella bontà e sapienza che si ravvisa in tutta la creazione; guardando poi più da vicino alle creature, per la vita degli stessi uomini creati, e non perché s'accendesse per breve tempo, destinata poi a spegnersi del tutto.
6. Tale é, io penso, la vita assegnata da Dio ai rettili, ai volatili, ai pesci, e, per parlar più generalmente, a tutti gli esseri irragionevoli; ma quelli che portano in se stessi l'immagine del Creatore, che sono dotati d'intelligenza e godono del giudizio di ragione colui che li creò li destinò a durare per sempre, affinché, conoscendo il loro Creatore e la sua potenza e sapienza, seguendo la legge e la giustizia, conservino in eterno, esenti da ogni travaglio, quei doni con cui seppero dominare la vita antecedente, pur essendo in corpi corruttibili e terreni.
7. Tutti gli esseri che furono fatti in grazia di qualche altro, ove cessino di esistere quelli per cui furono fatti, anch'essi cesseranno di esistere, e non dureranno invano ( ché nulla d'inutile trova posto fra le cose fatte da Dio ); ma quanto a quelli che furono fatti precisamente per esistere e per condurre la vita loro connaturale, essendo la loro causa collegata con la loro stessa natura e ravvisandosi essa precisamente nella sola esistenza, non vi sarà mai alcuna causa che possa distruggere completamente la loro esistenza.
8. E poiché la loro causa tutta si esaurisce nel loro esistere, necessariamente l'animale creato deve durare agendo e patendo quanto conviene alla sua natura; e ciascuna delle due parti di cui risulta deve contribuire per ciò che le spetta: l'anima esisterà e durerà sempre uguale nella natura in cui fu fatta e compirà l'ufficio a lei connaturale, che consiste nel governare gl'impulsi del corpo e giudicare e misurare, con giudizio e misura conveniente, quanto le capita; il corpo si muoverà secondo natura verso ciò che lo riguarda e sarà suscettibile dei cambiamenti a cui è destinato, cioè, fra gli altri, relativi all'età, all'aspetto, alla statura, anche della risurrezione.
9. La risurrezione è appunto una specie di cambiamento, l'ultimo di tutti: il cambiamento in meglio di tutto ciò che in quel tempo rimarrà ancora.
1. Fiduciosi e certi di questi eventi futuri non meno che di quelli già accaduti, e considerando la nostra natura noi amiamo la vita soggetta al bisogno e alla corruzione, come conveniente all'esistenza presente, e fermamente speriamo quella che durerà nell'incorruzione.
Non è una fisima che abbiamo appresa dagli uomini, pascendoci di speranze fallaci; noi prestiamo fede a un mallevadore infallibile, cioè al disegno del Creatore.
Egli fece l'uomo composto d'anima immortale e di corpo, lo dotò d'intelligenza, gli scolpi nel cuore una legge perché fossero custoditi e salvi i suoi doni, convenienti a un'esistenza saggia e a una vita ragionevole.
Ora noi ben sappiamo che Dio non avrebbe formato l'uomo qual è né l'avrebbe fornito di tutte le doti ordinate a un'esistenza perenne, se non avesse voluto la perpetuità della sua creatura.
2. Se pertanto il Creatore di quest'universo fece l'uomo perché fosse partecipe d'una vita ragionevole e, divenuto contemplatore della magnificenza di lui e della sua sapienza, che in ogni cosa risplende, ne facesse oggetto d'una contemplazione senza fine, secondo il consiglio di lui, in conformità alla natura che ebbe in sorte, ne viene che la causa del nascere è argomento della perpetua durata, e la durata della risurrezione, senza la quale non potrebbe l'uomo durare.
Da quanto s'è detto è evidente come dalla causa della nostra origine e dal disegno del Creatore si dimostra chiaramente la risurrezione.
3. Ora, se tale è la causa per cui l'uomo è venuto in questo mondo, segue che consideriamo ora quegli argomenti che di loro natura o per nesso logico succedono a quelli esposti.
In questa indagine, studiata la causa dell'origine degli uomini, è da ricercare la loro natura; dopo la natura, il giusto giudizio che il Creatore pronuncerà sugli uomini da lui formati; e, dopo tutti questi argomenti, il termine della vita.
E poiché abbiamo studiato le questioni precedenti, dobbiamo considerare, procedendo con ordine, la natura degli uomini.
Prima il fine dell'uomo, poi, in intima connessione, la sua natura, infine la provvidenza di Dio quale si manifesta nel giudizio dell'uomo; errano dunque coloro che si fondano sul solo giudizio per dimostrare la risurrezione.
1. Per giungere a una dimostrazione dei dogmi della verità o di qualsiasi argomento proposto alla nostra investigazione, che provi con indubbia certezza ciò che si dice, bisogna partire non da princìpi estranei alla materia, che si tratta né dalle opinioni che taluno ha o ebbe, ma dai dati del senso comune e naturale o dalla concatenazione di quel che segue con quel che precede.
2. Infatti, o si tratta dei primi principi, e allora basta un richiamo che metta in esercizio la naturale capacità di pensare; o delle conseguenze derivanti naturalmente dai primi principi e della loro naturale successione, e allora bisogna seguire l'ordine proprio di questi argomenti, facendo vedere quali sono le conseguenze che scaturiscono obiettivamente dai primi princìpi o dalle premesse stabilite, al fine di non trascurare la verità e la sua sicura dimostrazione, né confondere gli argomenti che per natura sono ordinati e distinti, né spezzare la naturale concatenazione.
3. Perciò, io penso, chi si applichi a studiare con giusto metodo la questione proposta e voglia giudicare da uomo prudente se vi sia o no la risurrezione dei corpi umani, deve anzitutto rendersi ben conto della forza degli argomenti che concorrono alla dimostrazione di questo asserto e qual posto spetti a ciascuno, quale di essi sia il primo, il secondo, il terzo, quale infine l'ultimo.
4. Nello stabilire quest'ordine bisogna mettere al primo posto la causa dell'origine dell'uomo, cioè il disegno secondo cui il Creatore fece l'uomo, per collegarvi in stretta relazione la natura dell'uomo fatto.
Non che quest'argomento venga, secondo nell'ordine, ma per l'impossibilità di esaminarli tutt'e due insieme, sebbene in realtà essi siano intimamente connessi fra loro ed entrambi di uguale importanza per il nostro assunto.
5. Una volta dimostrata la risurrezione con questi argomenti, che sono i primi e ripetono il loro principio dall'opera creatrice, tale verità si può non meno validamente confermare con ragioni che si riferiscono alla provvidenza di Dio: voglio dire argomentando sul premio o sulla pena che spetta a ciascun uomo secondo il giusto giudizio e sul fine proprio della vita umana.
6. Molti, veramente, prendendo a trattare della risurrezione, si appoggiano solo sul terzo argomento come sulla causa totale, pensando che la risurrezione avvenga solo in grazia del giudizio.
Ora questo si dimostra manifestamente falso da ciò, che tutti gli uomini che muoiono risorgono, ma non tutti quelli che risorgono sono giudicati.
Infatti, se solamente la giustizia da esercitarsi nel giudizio fosse causa della risurrezione, evidentemente coloro che non hanno fatto alcun male né alcun bene, come i teneri infanti, non dovrebbero risorgere.
Ma poiché essi pure ammettono che tutti risorgeranno, anche quelli che morirono nella prima età come tutti gli altri, la risurrezione non avviene in vista del giudizio come prima ragione, ma per il disegno del Creatore e la natura degli esseri creati.
L'uomo infatti é un vivente unico, composto di anima e di corpo cospiranti in perfetta armonia; e non potrebbe sussistere nella sua reale identità se le sue parti, separate dalla morte, non si riunissero nuovamente.
Anche le facoltà spirituali hanno per soggetto non l'anima separata, ma il composto.
1. Basterebbe considerare anche solo la causa che presiede alla generazione dell'uomo per dimostrare, con rigore logico, che allo sfacelo del corpo tiene dietro la risurrezione; tuttavia é giusto, io penso, che non si trascuri alcuno degli argomenti proposti e che, in conformità a quanto fu detto, si faccia vedere a chi non può rendersene conto da sé qual sia il valore di ciascuna delle ragioni che seguono; e, prima di tutto, si studi la natura degli uomini creati, che conduce alla medesima considerazione e conferma la risurrezione in modo altrettanto efficace.
2. Infatti, se la natura umana universalmente considerata é in tutti costituita da un'anima immortale e da un corpo che fu congiunto a lei nell'origine, se Iddio stabili tale origine e la vita e tutto il corso dell'esistenza non per la natura dell'anima da sé sola né per la natura del corpo separato, ma per gli uomini quali risultano dall'uno e dall'altra, affinché essi, trascorsa la loro vita con quegli elementi da cui hanno origine e vivono, pervengano a un fine unico e comune; ne consegue necessariamente che, unico essendo il vivente composto delle due parti che é soggetto di tutte le passioni dell'anima.
E di tutte quelle del corpo, che opera e compie tutte le azioni che sono dovute al giudizio così dei sensi come della ragione, tutta la concatenazione di questi fenomeni si riferisce a un fine unico: così tutto in tutto cospira ad un unico e armonico consenso: l'origine dell'uomo, la natura dell'uomo, la vita dell'uomo, le azioni e le passioni, le vicende dell'esistenza e il fine proporzionato alla natura.
3. Che se nell'intero vivente domina un tale armonico consenso e di ciò che proviene dall'anima e di ciò che si compie mediante il corpo, unico dev'essere anche il fine a cui tutti questi elementi cospirano; e il fine sarà unico veramente, se il vivente, di cui questo fine é proprio, rimarrà il medesimo nella sua propria costituzione; e il vivente sarà veramente il medesimo se tutti gli elementi di cui il vivente consta, come di parti, saranno i medesimi; e questi saranno i medesimi secondo l'unione loro propria, se le parti che sono state separate di nuovo si riuniranno a costituire il vivente.
4. Ebbene, questo ricostituirsi dei medesimi uomini dimostra come necessariamente debba seguire la risurrezione dei corpi caduti nello sfacelo della morte; senza di essa, infatti, non si riunirebbero fra loro le membra secondo natura né si ricostituirebbe la natura dei medesimi uomini.
5. Ancora: se all'uomo fu data la mente e la ragione per poter discernere le cose intelligibili, non le sostanze solamente, ma anche la bontà, la sapienza e la giustizia del Datore, necessariamente, perdurando gli oggetti per i quali fu dato il discernimento della ragione, dovrà perdurare anche quello stesso potere di discernimento che fu dato in vista dei medesimi.
Or questo non potrebbe perdurare se non perdurasse quella natura che ricevette tale potere e quelle facoltà in cui esso risiede.
6. Orbene, chi ha ricevuto la mente e la ragione é l'uomo, non l'anima per sé stante.
Bisogna dunque che l'uomo composto di entrambi gli elementi duri per sempre.
7. Ma è impossibile ch'egli duri se non risorge: ché, non avvenendo la risurrezione, non durerebbe la natura dell'uomo in quanto uomo; e se la natura dell'uomo non dura, inutilmente l'anima è associata all'indigenza e ai patimenti del corpo; inutilmente il corpo, imbrigliato e tenuto a freno dall'anima, smania per non poter soddisfare i suoi istinti; inutile è la mente, inutile la prudenza, l'osservanza della giustizia e di qualsiasi virtù, inutile stabilire un corpo di leggi; in una parola, tutto ciò che vi ha di bello fra gli uomini e per gli uomini, anzi la stessa creazione e natura degli uomini, non ha più uno scopo.
8. Ma se in tutte le opere di Dio e in tutti i doni da lui concessi non può esservi mai nulla d'inutile, bisogna assolutamente che alla perennità dell'anima corrisponda anche il perdurare per sempre del corpo secondo la propria natura.
1. Nessuno faccia le meraviglie se quella vita che viene interrotta dalla morte e dalla corruzione noi chiamiamo un perdurare; si rifletta che non è uno solo il significato di questo termine, non uno solo è il modo della durata, perché anche la natura delle cose che perdurano non è una sola.
2. Infatti, se ognuno degli esseri che perdurano ha il suo perdurare secondo la propria natura, non si troverà il medesimo perdurare negli esseri pienamente incorruttibili e immortali, perché non si possono mettere sullo stesso piano le sostanze superiori e quelle che ne differiscono per l'inferiorità; né sarà giusto ricercare presso gli uomini quel perdurare sempre uguale e immutabile.
Quelle furono fatte fin da principio immortali per la sola volontà del Creatore e destinate a durare senza fine; gli uomini, invece, quanto all'anima hanno fin dall'origine una durata immutabile, ma quanto al corpo conseguono l'immortalità attraverso la mutazione.
3. Questo appunto è il concetto della risurrezione: alla quale mirando, noi ci aspettiamo la dissoluzione del corpo come quella che segue alla vita soggetta all'indigenza e alla corruzione; e, dopo questa, speriamo in una perennità esente da corruzione.
Cosi non facciamo la nostra fine uguale a quella degli esseri irragionevoli, né il perdurare degli uomini uguale a quello degli esseri immortali, per non cadere nell'errore di porre la natura e la vita degli uomini allo stesso livello con esseri ben diversi.
4. Non è adunque il caso di adombrarsi se nel perdurare degli uomini si scorga qualche disuguaglianza; né per il fatto che la separazione dell'anima dal corpo e la dissoluzione delle membra e parti del medesimo inter rompe la continuità della vita è da negate la risurrezione.
5. Nella vita sensitiva, sopravvengono naturalmente nel sonno delle sospensioni dei sensi e delle facoltà naturali, perché gli uomini dormono per certi regolari intervalli di tempo e poi ritornano in certo modo a vivere: eppure quella non ricusiamo di chiamarla vita.
Per questo motivo, io penso, c'è chi chiama il sonno fratello della morte, non per farli proprio discendere dai medesimi antenati e genitori, ma perché e i morti e i dormienti vengono a trovarsi in condizioni simili, quanto alla tranquillità e al non avvertire nulla di ciò che avviene intorno, fino anzi a non accorgersi del proprio essere e della propria vita.
6. Pertanto, se la vita dell'uomo, soggetta a tanti sbalzi dalla nascita fino alla dissoluzione e interrotta in tutti i modi che abbiamo detto, non ricusiamo di chiamarla vita, neppure dobbiamo rifiutare di ammettere la vita che succederà alla dissoluzione, vita che conduce con sé la risurrezione, anche se venga per qualche tempo interrotta per la separazione dell'anima dal corpo.
1. Infatti la stessa natura dell'uomo, avendo sortita fin da principio e per volontà del Creatore l'ineguaglianza, ha ineguale la vita e la durata, per le interruzioni causate ora dal sonno, ora dalla morte, come anche per le mutazioni corrispondenti a ciascuna età; cosicché nella condizione presente non si manifesta chiaro ciò che sopravverrà più tardi.
2. Chi mai, non edotto dall'esperienza, crederebbe che in uno sperma omogeneo e informe fosse riposto il principio di facoltà così numerose e importanti, o tanta varietà di masse che poi si riuniscono e si saldano, voglio dire di ossa, di nervi e di cartilagini, e ancora di muscoli, di carni, di visceri e delle altre parti del corpo?
Certo nulla di tutto ciò si può scorgere nell'umido sperma, come non appaiono nei bambini le proprietà che sopravverranno nei giovani maturi né in questa età quelle degli adulti né in questi le qualità dei vecchi.
3. Eppure, per quanto nei fenomeni di cui s'è detto la naturale successione degli eventi e le trasformazioni che sopravvengono alla natura dell'uomo non appaiano affatto o soltanto in confuso, tuttavia quanti non sono ciechi, per cattiva volontà o per indolenza, nel giudicar di queste cose, sanno che prima deve avvenire l'immissione dello sperma, poi, articolandosi questo nelle varie membra e parti e uscendo alla luce il feto, sopravviene la crescita propria della prima età, crescendo si perviene all'età adulta, e dopo l'età adulta si ha il declino delle facoltà naturali fino alla vecchiaia, e in fine lo sfacelo del corpo ormai logoro.
4. In questi fatti adunque, sebbene non si possa leggere nello sperma la figura o la forma dell'uomo, né nella vita il dissolvimento e il ritorno ai primi principi, pure la concatenazione naturale degli eventi fa fede di ciò che non si potrebbe argomentare da quanto appare; molto più la ragione, investigando la verità col naturale procedimento logico, conferma la risurrezione, avendo la ragione maggior sicurezza ed efficacia nel provare la, verità che non l'esperienza.
Il giudizio deve portarsi sull'uomo tutto intero, anima e corpo, cooperando le due parti a tutte le sue azioni.
Poiché ciò non avviene in questa vita, né può avvenire nello stato di separazione dell'anima dal corpo, questo dovrà ricongiungersi a quella nella risurrezione.
1. Le ragioni fin qui proposte al nostro esame per provare la risurrezione sono tutte del medesimo genere e provenienti dal medesimo principio ( e il principio da cui derivano è l'origine dei primi uomini per creazione ); ma alcune di tali ragioni desumono la loro forza dallo stesso primo principio da cui derivano; altre, seguendo da vicino la natura e la vita dell'uomo, prendono valore probativo dalla provvidenza di Dio verso di noi.
Infatti l'argomento della causa secondo cui e per cui furono fatti tutti gli uomini, connesso con la natura degli uomini, ha la sua forza dalla creazione; mentre l'argomento della giustizia, che cioè Dio giudica gli uomini che hanno vissuto bene o male, desume l'efficacia dal fine dell'uomo.
Tali ragioni hanno di là la loro origine, ma dipendono soprattutto dalla provvidenza.
2. Ora che abbiamo messo in evidenza, come ci fu possibile, le prime ragioni, sarà opportuno che anche dalle rimanenti dimostriamo il nostro assunto: voglio dire dal premio o dal castigo, che spetta secondo giusto giudizio a ciascun uomo, e dal fine proprio della vita umana; e fra queste considerazioni dobbiamo mandare innanzi quella che per sua natura primeggia, e studiare anzitutto l'argomento che si riferisce al giudizio.
Un'osservazione soltanto desidero premettere, per chiarire il punto di partenza e l'ordine conveniente alla materia che si tratta.
Chi ammette Dio come creatore di questo universo deve, se vuol esser coerente ai suoi propri principi, attribuire alla sua sapienza e giustizia la custodia e la provvidenza di tutte quante le creature; e, in questa retta persuasione, deve ritenere che nulla né sulla terra né nel cielo sfugge a tale governo e provvidenza, e riconoscere che a tutte le cose, le occulte così come le palesi, le piccole come le grandi, arriva la cura del Creatore.
3. Infatti tutte le creature hanno bisogno della cura del Creatore e ciascuna a suo modo secondo la propria natura e il proprio fine.
Ma credo sarebbe inutile pedanteria distinguere ora le varie specie o elencare quel che conviene a ciascuna natura.
4. Per quanto riguarda l'uomo, del quale ora s'ha a parlare, egli, come bisognoso, abbisogna di nutrimento; come mortale, di successione; come ragionevole, di giudizio.
Che se ciascuna delle cose dette è per l'uomo conforme a natura, ed egli abbisogna del nutrimento per la vita, abbisogna della successione per il durare della stirpe, abbisogna di giudizio per la legge che deve regolare il nutrimento e la successione, evidentemente è necessario che, riferendosi il nutrimento e la successione a tutto il composto, a questo si riferisca anche il giudizio ( intendo per composto l'uomo fatto d'anima e di corpo ); e che l'uomo cosi inteso renda conto di tutte le sue azioni e ne riceva il premio o il castigo.
5. Per il composto adunque il giusto giudizio stabilisce la ricompensa delle azioni, e la mercede delle azioni compiute insieme col corpo non spetta né all'anima sola ( ché essa per sé non sente l'attrattiva per i peccati che si commettono coi piaceri, i cibi e le cure usate al corpo ), né al corpo solo ( ché questo per sé non ha discernimento di legge e di giustizia ), ma è l'uomo, composto di queste due parti, che subisce il giudizio per ciascuna delle sue azioni.
D'altra parte la ragione trova che ciò non avviene né in questa vita ( difatti nella vita presente non si avvera un trattamento corrispondente al merito, poiché molti empi, sempre intenti all'iniquità e al male, durano sino alla fine al riparo da ogni sventura, e, al contrario, coloro che menano una vita sotto ogni rispetto virtuosa ed esemplare vivono nei travagli, esposti a insulti, a calunnie, a tormenti e a calamità d'ogni sorta ), né dopo morte ( poiché non esiste più il composto, essendo l'anima separata dal corpo, e il corpo stesso disperso di nuovo in quegli elementi da cui era stato messo insieme, senza più nulla conservare della figura e forma primitiva, e tanto meno la memoria delle sue azioni ).
È evidente a ognuno la conseguenza: che, deve rivestirsi d'incorruttibilità affinché, vivificato per la risurrezione quel ch'era morto e riunite di nuovo le parti separate o anche del tutto disciolte, ciascuno riporti la giusta mercede di ciò che ha fatto mediante il corpo sia di bene sia di male
E se giudizio c'è, non avviene nella vita presente, dove non c'è corrispondenza fra virtù e premio, e dove i più scellerati non potrebbero pagare il fio adeguato dei loro delitti.
1. Tali i ragionamenti che si possono fare e molti altri ancora, chi voglia ampliare ciò che s'è detto in compendio e di corsa con coloro che riconoscono la provvidenza e ammettono i medesimi princìpi che noi, e poi ripudiano, non so come, i presupposti che hanno accolto.
2. Ma con quelli che discutono sui problemi fondamentali sarà forse bene stabilire un altro principio ancor anteriore a quelli.
Vogliamo cioè condividere i loro dubbi su ciò che forma oggetto delle loro opinioni e insieme con loro porre così la questione: Bisogna davvero ammettere che tutta la vita e l'esistenza degli uomini sia tenuta in nessun conto e che una densa caligine avvolga in certo modo tutta la terra, nascondendo nell'ignoranza e nel silenzio tanto gli uomini quanto le loro azioni? oppure non è molto più sicuro pensare che il Creatore presieda alle sue creature per sorvegliare tutte quante le cose che sono o divengono e giudicare così le opere come i pensieri?
3. Infatti, se non vi fosse giudizio di sorta per le azioni compiute dagli uomini, gli uomini non avrebbero nulla di più che gli esseri irragionevoli; anzi la loro condizione sarebbe ancor più misera, pur tenendo soggette le passioni e praticando pietà e giustizia e ogni altra virtù.
Allora la vita migliore sarebbe quella dei giumenti e delle belve, la virtù una pazzia, la minaccia del giudizio cosa affatto ridicola, supremo dei beni darsi in braccio a ogni piacere, e massima comune di tutti quanti costoro e unica legge diverrebbe quel detto caro alla gente licenziosa e senza freno: Mangiamo e ché domani si muore; poiché secondo alcuni il fine d'una vita siffatta non sarebbe neppure il piacere, ma l'assoluta insensibilità.
4. Se invece colui che ha creato gli uomini ha qualche pensiero delle proprie creature e in qualche luogo si avvera il giusto giudizio di chi visse bene e di chi visse male, ciò avviene o nella vita presente, mentre vivono tuttora coloro che seguirono la virtù o il vizio, oppure dopo morte, quando gli uomini sono in stato di separazione e dissoluzione.
5. Ma non è possibile trovare che si avveri il giusto giudizio né nell'un caso né nell'altro; ché né i buoni nella vita presente ricevono la ricompensa della virtù né i cattivi quella della malvagità.
6. Tralascio di dire che, mentre sussiste la natura in cui ora siamo, la natura mortale non è nemmeno in grado di subire il castigo corrispondente e proporzionato ai peccati più numerosi e più gravi.
7. L'assassino, il principe, il tiranno che ha ucciso ingiustamente migliaia e migliaia di persone, con una sola morte non ne sconterebbe la pena.
Così poniamo uno che non ha pensato di Dio secondo verità ma l'ha in ogni modo oltraggiato e bestemmiato, sprezzando le cose divine, calpestando le leggi, facendo violenza così a fanciulli come a donne, distruggendo città ingiustamente, bruciando case con gli abitatori, devastando regioni e insieme annientandone stirpi e popoli e anche tutta quanta una nazione: come potrà costui pagare il fio corrispondente a questi misfatti nel corpo corruttibile, la morte prevenendo questa espiazione meritata e non bastando la natura mortale nemmeno per uno di tali delitti?
Non appare dunque il giudizio corrispondente ai meriti né nella vita presente né dopo morte.
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