Teologia dei Padri |
Notate ancora, a questo punto, come Gesù convalidi la legge antica, facendo un paragone tra questa e quella nuova: egli dimostra che sono della stessa discendenza, che hanno la stessa origine; esse, più o meno, sono dello stesso genere.
Egli, perciò, non rigetta l'antica legge, ma vuole svilupparla.
Se la vecchia legge fosse stata cattiva, Cristo non si sarebbe preoccupato di realizzarla e neppure di perfezionarla, ma l'avrebbe del tutto rigettata.
A questo punto potreste domandarmi perché la legge antica, se buona in se stessa, non conduce più gli uomini al « regno ».
Vi rispondo che, evidentemente, essa non salva più gli uomini che vivono dopo l'avvento di Gesù Cristo, perché essi ora, avendo ricevuto una grazia ben più grande di prima, debbono di conseguenza sostenere battaglie più dure.
Ma tutti coloro che sono vissuti prima di Cristo e sono stati fedeli seguaci della vecchia legge, si sono salvati.
Gesù stesso dice nel Vangelo: Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli ( Mt 8,11 ).
E noi vediamo del resto che Lazzaro, mentre gode di grandi beni celesti, riposa nel seno di Abramo ( Lc 16 ).
Insomma, tutti coloro che brillarono di vivissima luce nell'antica legge, splendettero proprio per aver tradotto in vita i suoi precetti.
Se questa legge fosse stata malvagia, oppure avesse avuto un autore diverso da Dio, Cristo, alla sua venuta, non l'avrebbe realizzata.
Se egli avesse accondisceso a compierla soltanto per attirare i giudei e non per mostrare l'identica origine e l'affinità tra l'antica e la nuova legge, perché allora non avrebbe cercato anche di perfezionare le leggi e i costumi dei gentili, per attrarli nello stesso modo?
Così è del tutto evidente che, se la legge antica ha cessato di salvare gli uomini, non è perché essa sia stata malvagia, ma perché è venuto il tempo in cui i precetti debbono essere più elevati.
Se l'antica è meno perfetta della nuova, ciò non significa che essa sia malvagia: se così fosse, nella sua condanna ricadrebbe ugualmente anche la seconda.
E, infatti, se si paragona la conoscenza che noi ora abbiamo della legge nuova con la conoscenza che possederemo nella vita futura, quella attuale risulta parziale e imperfetta e certamente scomparirà quando sopravverrà quella del cielo.
Quando sarà venuto ciò che è perfetto - dice Paolo - sarà abolito ciò che è imperfetto ( 1 Cor 13,10 ): questo accadde alla legge antica, quando giunse la nuova.
Per lo stesso motivo, non dovremo disprezzare la legge nuova, per il fatto, cioè, che essa deve cessare quando saremo nel cielo e « ciò che è imperfetto sarà abolito ».
Noi diciamo che essa è grande e sublime; infatti, le ricompense promesse da questa legge sono ben più grandi di quelle promesse dall'antica e in essa la grazia dello Spirito Santo è ben più abbondante.
Dio, perciò, giustamente esige da noi frutti e doni maggiori.
Egli, ora, non ci promette più una terra in cui scorre latte e miele, né una lunga vecchiaia, o un gran numero di figli o l'abbondanza del pane e del vino, o grandi greggi di pecore e di buoi, ma ci promette il cielo stesso e i beni celesti, la dignità di essere figli adottivi del Padre, fratelli del Figlio unigenito, suoi eredi, partecipi della sua gloria e del regno, e un'infinità di altre ricompense.
Paolo ci fa chiaramente intendere che noi abbiamo fruito di un aiuto ben più grande, quando dice: Non c'è più condanna per coloro che sono in Cristo Gesù e che vivono, non secondo la carne, ma secondo lo spirito; poiché la legge dello spirito di vita mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte ( Rm 8,1-2 )
Gesù, dopo aver minacciato i trasgressori della legge e aver promesso grandi ricompense a coloro che si comportano rettamente, dimostrando che è giusto esigere più di quanto si esigeva dagli antichi, comincia a stabilire questa nuova legge, paragonandola tuttavia con l'antica.
Sviluppa questo paragone volendo mostrare due cose: dapprima, cioè, che egli stabilisce la nuova legge non per impugnare quella antica, ma concordando assolutamente con essa; in secondo luogo che, a buon diritto e in un momento del tutto opportuno, egli aggiunge la nuova all'antica legge.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 16,4-5
Coloro, poi, che prendono in esame l'antica legge che dice: « occhio per occhio, dente per dente », subito si ribellano a queste parole e si chiedono come può essere buono colui che questo ordina.
Che cosa risponderemo, se non che questa affermazione ha un elevatissimo contenuto di benevolenza?
Il legislatore non spingeva, infatti, a strapparsi a vicenda gli occhi, ma mirava a impedire di compiere azioni simili nei confronti altrui, nel timore di subire dagli altri l'identico danno.
Quando minacciò ai niniviti la catastrofica distruzione della loro città, non fu perché volesse eliminarli ( se avesse deciso di rovinarli, avrebbe dovuto tacere ).
Egli voleva soltanto spaventarli per spingerli a rendersi migliori e, in tal modo, placare la sua collera verso di essi.
Nello stesso senso, qui, minacciando lo stesso supplizio a coloro che temerariamente recano danno agli occhi del prossimo, vuole frenare, col timore di questa minaccia, quelli che non vogliono, con un buon proposito personale, astenersi da simili atti di crudeltà.
Bisogna davvero aver perduto ogni coscienza ed essere in preda a una estrema follia, per sostenere che è crudele impedire l'omicidio e l'adulterio.
Quanto a me, sono così lontano dal trovare crudeltà in questa legge, che sarei portato a considerare ingiusti, secondo lo stesso giudizio umano, i precetti che fossero contrari a questo.
Tu dici che Dio è crudele perché ha ordinato di strappare occhio per occhio, e io ribatto che, se Dio non avesse formulato questo precetto, molti affermerebbero quanto tu sostieni.
Supponiamo, infatti, che tutta l'antica legge sia abrogata e che nessuno abbia più da temere le pene e le condanne previste da essa, ma che sia lecito a tutti i malvagi, omicidi, adulteri, ladri, spergiuri e parricidi soddisfare le loro passioni e comportarsi come vogliono, sciolti completamente da ogni legame: non è forse vero che ogni cosa sarebbe sottosopra e cadrebbe nel più grave caos, che tutte le città, le piazze, le case, la terra, il mare e tutto il mondo sarebbero pieni d'innumerevoli delitti e di ogni sorta di stragi?
É chiaro a tutti. Se a stento si trattengono gli uomini di cattiva volontà, quando le leggi sono in vigore e spaventano, minacciando le loro pene, che cosa potrebbe impedire al male di dilagare, se anche questa garanzia venisse eliminata?
Quale pestilenziale violenza si scatenerebbe allora contro la vita umana.
E non soltanto sarebbe crudele permettere ai malvagi di compiere ciò che vogliono: altrettanto crudele sarebbe trascurare, lasciandoli senza aiuto, chi, senza aver commesso alcuna colpa, fosse stato ingiustamente offeso.
Ditemi, se qualcuno riunisse quanti più uomini scellerati possibile e, fornendoli di armi, ordinasse loro di circondare tutta la città e di uccidere quanti incontreranno, potrebbe forse attuare qualcosa di più barbaro al paragone?
E se un altro, invece, arrestasse questi assassini che quel folle ha armato e con veemenza li gettasse in carcere, dopo aver strappato dalle mani di questi senza legge i disgraziati che stavano per essere uccisi, quest'uomo potrebbe forse compiere qualcosa di più benefico per l'umanità?
Trasferite questi esempi e applicate questi ragionamenti alla legge.
Colui che comanda di strappare occhio per occhio, trattiene la violenza dei malvagi con la forte catena del timore ed è pertanto simile a quell'uomo che arresta la furia degli assassini armati di spade; mentre colui che non stabilisce alcuna pena, con tale licenza, pone terribili armi in mano agli scellerati e imita colui che arma di spade i criminali e li manda in giro per tutta la città.
Riconoscete, dunque, come non di crudeltà, ma di grande benevolenza siano pieni i precetti dell'antica legge.
Se voi, perciò, dite che il legislatore è duro e severo, ebbene, io vi chiedo che cosa è più duro e difficile: il non uccidere, o il non adirarsi?
Chi è più severo, colui che punisce l'omicidio o colui che vendica anche la più piccola offesa che noi possiamo fare adirandoci?
Chi è più severo, colui che condanna l'adulterio solo dopo che è stato commesso, oppure colui che condanna anche il desiderio cattivo e lo punisce con il supplizio eterno?
Vedete dunque che il ragionamento di costoro va a cadere in quello opposto.
E il Dio dell'antica legge, ch'essi dicono crudele, apparirà dolce e moderato; mentre il Dio della nuova legge, che essi definiscono buono, finirà coll'apparire alla loro stoltezza severo e insopportabile.
Quanto a noi proclamiamo fermamente che unico e uguale è l'autore del Vecchio e del Nuovo Testamento, il quale ha formulato le leggi secondo le necessità e il vantaggio degli uomini e ha adattato alla diversità dei tempi le norme delle due leggi.
I precetti dell'antica legge non hanno niente di crudele, né quelli della nuova hanno niente di troppo severo o di insopportabile, ma tutti provengono da una sola e identica provvidenza.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 16,6-7
Nessuno inveisca contro la legge, per le pene che presenta, come se non fosse buona e onesta.
Chi allontana la malattia dal corpo sarà considerato un benefattore, mentre invece chi si sforza di liberarci l'anima dall'ingiustizia non si riconoscerà forse tanto più di noi sollecito, quanto l'anima è più preziosa del corpo?
Per la salute del corpo, ci assoggettiamo alle amputazioni, al cauterio, alle medicine; e chi compie ciò viene chiamato salvatore e medico: egli non per odio o per sdegno verso l'ammalato, ma, come la scienza della sua arte richiede, taglia una parte del corpo perché le parti sane non periscano con essa, e nessuno accuserà di crudeltà l'arte medica.
E per l'anima non ci assoggetteremo forse all'esilio, alle pene, alle catene, purché uno sia guadagnato, dall'ingiustizia, alla giustizia?
La legge infatti, piena di cure per quelli che le obbediscono, ammaestra alla pietà, insegna i propri doveri, allontana da ogni peccato, imponendone, anche per i più piccoli, la pena.
Se poi vede qualcuno in tale stato da essere incurabile, perché giunto all'ingiustizia suprema, allora si prende cura degli altri affinché non vengano da quello rovinati, quasi amputando un membro dal corpo intero, uccide quel tale per la salute degli altri.
Giudicati dal Signore - dice l'Apostolo - veniamo castigati, per non essere condannati con questo mondo ( 1 Cor 11,32 ).
Già da prima infatti aveva detto il profeta: Il Signore mi ha castigato duramente, ma non mi ha abbandonato alla morte ( Sal 18,18 ).
Per insegnarti la sua giustizia ti ha castigato - è detto - e ti ha tentato, ti ha fatto patire la fame e la sete nel deserto, perché in cuor tuo conoscessi tutti i suoi diritti e giudizi, quelli che io ora ti impongo; e conoscessi in cuor tuo che come un uomo educa il suo figlio, così il Signore Dio nostro educa te ( Dt 8,2-5 ).
E per mostrare che l'esempio corregge, dice subito: L'uomo accorto vedendo punito il malvagio, ne è vivamente corretto poiché origine della saggezza è il timor di Dio ( Pr 22,3-4 ).
Il bene più grande e più perfetto è quando uno riesce a far passar qualcuno dalle azioni malvagie alla virtù, all'agire retto; e questo fa la legge.
Quando qualcuno dunque, dominato dalla malvagità e dall'egoismo, cade in una specie di male incurabile, la morte è per lui un beneficio.
Infatti la legge è benefica, perché riesce a rendere giusti gli ingiusti, purché solo vogliano ascoltarla; libera gli altri dai mali presenti e promette di rendere immortali quelli che hanno scelto di vivere nella saggezza e nella giustizia.
La conoscenza della legge è caratteristica di un animo buono ( Pr 9,10 ); e in un altro passo: Gli uomini cattivi non comprendono la legge; quelli invece che cercano il Signore, intendono tutto ciò che è bene ( Pr 28,5 ).
É certamente necessario che la provvidenza, la quale tutto regge, sia dominatrice e sia buona; distribuisce la salvezza, infatti, agendo in un doppio modo: corregge con i castighi, perché dominatrice; indulge con i benefici, perché, appunto, benefica.
É possibile per tutti, non essere « figlio di incredulità », ma « passare dalle tenebre alla vita », tendendo le orecchie alla sapienza, mostrandosi anzitutto schiavo legittimo di Dio, diventando poi suo servo fedele, che teme il Signore Iddio.
Se qualcuno poi sale ancora, può essere annoverato tra i figli [ di Dio ].
E quando la carità ha coperto la moltitudine dei peccati ( 1 Pt 4,8 ), portando a termine la beata speranza può essere accolto, cresciuto nell'amore, e introdotto nello stato eletto di adozione, detta amica di Dio; e può cantare l'inno di preghiera e dire: « Il Signore sia per me Dio ».
L'azione benefica della legge è stata chiarita dall'Apostolo nel passo rivolto ai giudei, in cui dice così: Tu che porti il nome di giudeo e ti riposi nella legge e ti glori di Dio, e conosci la sua volontà e, istruito nella legge, distingui quel che più giova e ritieni di essere guida ai ciechi, luce a quelli che sono nelle tenebre, dottore degli ignoranti, maestro dei fanciulli, perché hai nella legge la regola della scienza e della verità … ( Rm 2,17-20 ).
Che questo possa la legge, tutti lo ammettono; anche quelli che non si comportano secondo la legge si gloriano di vivere nella legge.
Beato l'uomo che ha trovato la sapienza, il mortale che conosce la prudenza.
Dalla sua bocca ( ossia dalla sapienza ) procede la giustizia, porta sulla sua lingua la legge e la misericordia ( Pr 3,13.16 ).
L'azione dell'unico Signore, il quale è potenza e sapienza di Dio ( 1 Cor 1,24 ), è la legge e il Vangelo; e lo stesso timore prodotto dalla legge è anche misericordioso, perché conduce alla salvezza …
Ora noi ben sappiamo che la legge è buona, se uno se ne serve legittimamente ( 1 Tm 1,8 ).
Ora quelli che hanno la pretensione di essere dottori in legge - dice l'Apostolo - non comprendono né quel che dicono né quel che danno a intendere.
Ora il fine del precetto è la carità procedente da cuore puro, da buona coscienza e da fede sincera ( 1 Tm 1,5 ).
Clemente Alessandrino, Stromata, 1,171-175
Abbiamo in parte già detto precedentemente quanto fosse augusta ed esimia la vita civile dei giudei, quando durava ancora tra di loro il simbolo della città di Dio, del suo tempio e del culto sacerdotale in esso svolto e sull'altare.
Se qualcuno vuole applicarsi a riflettere sull'intenzione del Legislatore, esaminando in rapporto ad essa la vita dei giudei e confrontandola con la condotta odierna degli altri popoli, nessun altro ammirerà più di loro.
Essi rifiutavano, in quanto umanamente possibile, ciò che è inutile al genere umano e accettavano ciò che è di grande frutto; non vi erano perciò presso loro né gare di lotta o spettacoli teatrali o corse di cocchi, né donne che vendessero la loro bellezza a chiunque volesse spargere il seme invano, usando così violenza all'ordine naturale dell'umana propagazione.
Che grande cosa che, tra di loro, fin dalla tenera infanzia si fosse ammaestrati ad elevarsi al di sopra di tutta la natura sensibile, a ritenere che Dio non è in essa incluso, a cercarlo invece al di sopra di ciò che è corporeo!
E che gran cosa parimenti che, quasi insieme con la nascita e la formazione della mente, fosse loro insegnato che l'anima è immortale, che c'è un tribunale ultraterreno e un premio per chi ha vissuto bene!
Certo, queste verità, finché erano fanciulli e ragionavano infantilmente, venivano loro enunciate in modo leggendario; ma a chi ne cercava il senso e voleva approfondirlo, queste leggende, per chiamarle così, si tramutavano nella verità che in sé celavano.
Ritengo che fossero degni del loro titolo « eredità di Dio », perché disprezzavano ogni divinazione, quale inganno per gli uomini dovuto piuttosto ai demoni malvagi che a una natura superiore, e perché cercavano la conoscenza del futuro solo in quelle anime che per la loro eccelsa purezza avevano ricevuto lo spirito di Dio, che regna su tutti.
C'è bisogno di dire qualcosa per dimostrare quanto fosse ragionevole che nessuno della loro stessa religione potesse restare in schiavitù più di sei anni, e quanto ciò non fosse ingiusto né per il padrone né per lo schiavo?
Non per gli stessi motivi che valgono per gli altri popoli, dunque, i giudei dovevano mantenersi fedeli alla loro legge; sarebbe stato biasimo per loro e motivo di condanna se non ne avessero notato l'eccellenza e avessero ritenuto che la loro legge fosse stata scritta per loro come per gli altri popoli.
Anche se Celso non lo vuole, i giudei possiedono una sapienza superiore non solo a quella della massa, ma anche a quella di coloro che vengono ritenuti filosofi; costoro infatti, pur con le loro splendide disquisizioni, cadono poi nel culto degli idoli e dei demoni.
Invece anche l'ultimo dei giudei fissa il suo occhio solo in Dio onnipotente.
Giustamente perciò, almeno sotto questo aspetto, vanno alteri e rifiutano l'unione con altri, perché empi e irreligiosi.
Non avessero mai peccato contro la legge, non avessero prima ucciso i profeti e macchinato poi trame contro Gesù!
Avremmo in loro l'esempio della città celeste.
Origene, Contro Celso, 5,42-43
Tutti gli apostoli hanno insegnato che vi sono state due alleanze per due diversi popoli, ma che unico e identico è Dio, il quale le ha sancite tutt'e due per il bene degli uomini; questi infatti hanno creduto in Dio nella misura loro concessa dall'alleanza …
L'alleanza antica non è stata stipulata inutilmente, senza motivo o per caso.
Essa infatti piegava sotto il servizio di Dio coloro cui era stata donata; e per il loro bene, perché Dio non ha bisogno del servizio degli uomini.
Inoltre presentava la figura delle realtà celesti, perché l'uomo non poteva ancora vedere con i propri occhi le cose di Dio; offriva anche un'immagine anticipata delle realtà della Chiesa, per confermare la nostra fede e per annunciare profeticamente il futuro, insegnando così all'uomo che Dio conosce tutto.
Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 32,2
Se è certo che siamo di ieri, se il nome di cristiani, veramente nuovo, è noto da poco a tutte le genti, non così la nostra vita, i nostri costumi ispirati a princìpi religiosi: non sono una novità dovuta alla nostra fantasia, ma li troviamo, dirò così, già nel primo apparire dell'umanità istintivamente adottati dagli uomini pii.
Lo dimostriamo. Il popolo ebreo non è nuovo, ma stimato da tutti gli uomini per la sua antichità e a tutti ben noto.
I suoi libri e i suoi scritti riguardano uomini antichi, certamente pochi di numero, ma segnalati per la pietà, la giustizia e tutte le altre virtù; alcuni prima del diluvio, altri dopo, derivanti dai figli e dai discendenti di Noè; e poi Abramo, che i figli degli ebrei vantano quale fondatore e padre della loro stirpe.
Se qualcuno dicesse che tutti costoro, celebrati per la loro giustizia, da Abramo stesso fino al primo uomo, erano cristiani di fatto, se non di nome, non andrebbe lontano dalla verità.
Infatti, se il nome di cristiano vuole significare che un uomo, per la conoscenza che ha del Cristo e della sua dottrina, si distingue per purezza e giustizia, per dominio di sé e virtù virile, per la pia confessione di un solo sommo Iddio, tutto questo essi attuarono non meno di noi.
Come noi, essi non curavano di circoncidersi nel corpo, non osservavano il sabato, non si astenevano da particolari cibi, non osservavano le altre prescrizioni di valore simbolico che Mosè per primo introdusse e tramandò ai posteri; facevano appunto come oggi noi cristiani.
Avevano una buona conoscenza del Cristo di Dio che, come abbiamo mostrato sopra, era apparso ad Abramo, aveva dato responsi a Isacco, aveva parlato con Israele ( Gen 18,1; Gen 26,2; Gen 35,1 ), si era intrattenuto con Mosè e i profeti posteriori.
Per questo motivo troverai che tali amici di Dio vengono onorati col nome di Cristo nel detto scritturistico che li riguarda: Non toccate i miei cristi e non peccate contro i miei profeti! ( Sal 105,15 ).
Da ciò appare chiaro che la forma di religione più antica, anteriore a tutte le altre, è quella praticata da uomini pii ai tempi di Abramo, e ora annunciata a tutte le genti dagli insegnamenti del Cristo.
Se mi si dice che in seguito Abramo ebbe pure il precetto della circoncisione, si rifletta che la sua giustificazione per la fede ebbe luogo prima, come testimonia la parola di Dio che dice: Credette Abramo, e Dio glielo contò a giustizia ( Gen 15,6 ).
Essendo già giustificato prima della circoncisione, gli fu da Dio - cioè dal Cristo, Verbo di Dio - preannunciato un oracolo riguardante coloro che nel seguito del tempo avrebbero come lui ricevuto la giustificazione, con queste parole: In te saranno benedette tutte le nazioni della terra ( Gen 12,3 ); e: Diverrai un popolo grande e numeroso e in te saranno benedette tutte le genti della terra ( Gen 18,18 ).
É facile vedere che tutte queste parole si sono avverate in noi.
Abramo fu giustificato per la sua fede nel Cristo, Verbo di Dio, che gli era apparso; abbandonate perciò le superstizioni degli avi e gli errori della vita precedente lo riconobbe come unico, sommo Iddio e l'onorò con le opere virtuose, non con le cerimonie della legge mosaica, a lui posteriore: tale era colui al quale fu detto che tutte le genti della terra, tutte le nazioni in lui sarebbero state benedette.
Al giorno d'oggi questa religiosità di Abramo, esplicata nelle opere più efficaci delle parole, si riscontra solo tra i cristiani, diffusi su tutta la terra.
Cosa ci può vietare, dunque, di affermare l'uguaglianza del tenore di vita e della religiosità dei seguaci di Cristo e di quegli antichi amici di Dio?
Ecco dimostrato così che la religione a noi tramandata per l'insegnamento del Cristo, non è nuova e straniera, ma se dobbiamo dire la verità, è la prima, l'unica, la vera.
Eusebio, Storia ecclesiastica, 1, 4,4-15
Chi sono i Maccabei? Oggi è infatti la loro festa.
Da molti non vengono onorati, perché la loro lotta non si svolse dopo Cristo; ma sono invece degni della venerazione di tutti, perché soffrirono per la legge dei padri.
Essi che subirono il martirio prima della passione di Cristo, che avrebbero mai fatto se fossero stati perseguitati dopo Cristo, imitando la sua morte per noi?
Essi che senza un tale esempio si mostrarono tanto grandi in virtù, non si sarebbero mostrati forse più generosi se, affrontando il pericolo, avessero potuto avere sott'occhi quell'esempio?
É misteriosa e arcana, ma fortemente persuasiva per me e per quelli che amano Iddio questa massima: nessuno di coloro che hanno raggiunto la perfezione prima della venuta di Cristo, l'ha raggiunta senza la fede in Cristo.
Il Logos [ Cristo ] fu apertamente annunciato in seguito, a suo tempo; ma anche prima fu conosciuto dalle anime pure, come è chiaro dai molti che prima di quello ne furono onorati.
Non dobbiamo dunque disprezzarli perché vissero prima della croce [ di Cristo ], ma dobbiamo lodarli perché vissero conformi alla croce; e dobbiamo ritenerli degni dell'onore di una predica.
Non perché io possa aggiungere qualcosa alla loro gloria - quale mai, che le loro imprese sono già degnamente glorificate? -, ma perché quelli che li venerano possano raggiungere la gloria e gli ascoltatori imitino la loro virtù, spinti, come da un pungolo, ad elevarsi per eguagliarli.
Gregorio di Nazianzo, Discorso in lode dei Maccabei, 15,1-2
Cinque periodi si erano compiuti [ alla venuta di Cristo ].
Il primo comincia con la creazione del genere umano, cioè con Adamo il primo uomo, e giunge fino a Noè, che nel diluvio costruì la sua arca.
Il secondo dura poi fino ad Abramo, che fu chiamato padre di tutti quei popoli, i quali lo avrebbero imitato nella fede.
Per quanto riguarda la generazione carnale, però, egli fu padre del futuro popolo dei giudei, il solo, prima che i popoli accogliessero la fede cristiana, che su tutto l'orbe terrestre adorasse il Dio vero, e da cui Cristo, il redentore, sarebbe derivato secondo la carne.
Queste due epoche sono tracciate con tutta chiarezza già nei libri dell'Antico Testamento.
Sui tre ultimi periodi, invece, si pronuncia anche il Vangelo, là ove ricorda la discendenza corporea del Signore Gesù Cristo ( Mt 1,17 ).
Il terzo periodo si estende da Abramo fino al re Davide; il quarto da Davide fino alla tremenda deportazione del popolo di Dio in Babilonia, il quinto, finalmente, da quella deportazione fino alla venuta di nostro Signore Gesù Cristo, dal qual momento decorre ora per noi il sesto periodo.
In questo periodo la grazia dello Spirito, che prima era nota solo a pochi patriarchi e profeti, deve rivelarsi a tutti i popoli.
Ora poi ognuno deve dedicarsi al servizio di Dio con assoluto disinteresse, non per ricompense terrene o per la felicità di questo mondo, ma unicamente e solo per desiderio della vita eterna, in cui Dio stesso sarà nostra ricompensa.
E in questa sesta età lo spirito umano deve venire riformato a immagine di Dio, proprio come a immagine di Dio l'uomo fu creato il sesto giorno.
Solo così si ha il perfetto adempimento della legge, quando la si osserva tutta, non per brama di beni terreni, ma per amore del legislatore.
E chi non vorrà rendere di cuore il suo amore a Dio, giustissimo e misericordiosissimo, che ha tanto amato l'uomo, nonostante la sua ingiustizia e la sua superbia, da mandare per lui il suo Figlio unigenito, per mezzo del quale ha tutto creato; il quale non mutando la sua natura, ma assumendo la natura umana, è diventato uomo e non solo per vivere tra gli uomini, ma anche per poter morire per il loro bene, e per loro opera?
Così dunque Cristo ci ha rivelato il Nuovo Testamento dell'eredità eterna, in cui l'uomo, nuovamente creato dalla grazia di Dio, deve condurre una vita nuova, cioè una vita di legge.
Ma così egli ci ha mostrato anche che l'Antico Testamento - in cui il popolo carnale, a eccezione di alcuni pochi patriarchi e profeti nominati e di alcuni santi nascosti, viveva nei desideri carnali dell'uomo vecchio, bramava dal Signore solo ricompense terrene, che gli venivano elargite come tipo dei futuri beni spirituali - era solo l'inizio.
Per questo Cristo il Signore, quando divenne uomo, disprezzò tutti i beni di questa terra, e per mostrare questo suo disprezzo sopportò tutti i dolori terreni e comandò di sopportarli; noi perciò non dobbiamo cercare la felicità nei beni della terra e non dobbiamo temere i dolori, come fossero infelicità.
Con la sua nascita da una madre che concepì senza contatto di uomo e rimase illibata in tutti i tempi - vergine al concepimento, vergine alla nascita, vergine fino alla morte - e che era fidanzata a un semplice falegname, egli annientò ogni orgoglio di nobiltà e di progenie illustre.
Nascendo poi a Betlemme, che fra tutte le città della Giudea era tanto piccola da venire segnata, ancora al giorno d'oggi, con un semplice puntino, volle insegnarci che nessuno deve vanagloriarsi per la grandezza della sua patria.
Povero fu egli, a cui tutto appartiene in proprietà e per mezzo di cui tutto è stato creato; e lo fu perché nessuno di coloro che vuole credere in lui pensi di innalzarsi superbo per le sue ricchezze terrene.
Tutta la creazione testimonia il suo regno eterno, tuttavia egli non permise agli uomini di farlo re, perché voleva insegnare a quei poveri uomini, che la superbia aveva da lui separati, la strada dell'umiltà.
Egli, che tutti nutre, ebbe fame.
Egli, che ha creato ogni bevanda e che è, spiritualmente, il pane degli affamati e la sorgente degli assetati, ebbe sete.
Egli, che si è fatto per noi strada verso il cielo, si affaticò camminando sulla terra.
Egli, che aveva donato la lingua ai muti e l'udito ai sordi, divenne come sordo e muto di fronte a coloro che lo bestemmiarono.
Egli, che aveva sciolto i legami delle malattie, si lasciò legare;
egli, che aveva tolto i ceppi di tutti i mali dal corpo degli uomini, si lasciò stringere dai ceppi.
Egli che ha posto fine a tutte le nostre croci, fu affisso in croce; e morì, lui che aveva risuscitato i morti.
Ma è anche risorto per non più morire, perché si imparasse da lui a disprezzare la morte, ma non in modo che dopo non si viva più.
Agostino, Come catechizzare i principianti, 2,39-40
L'incarnazione è un grande mistero, che racchiude la salvezza degli uomini, il culto di Dio sommo e ogni verità.
Infatti, non appena, per inganno dei demoni, i culti scellerati ed empi degli idoli invasero il mondo, il culto di Dio rimase vivo solo tra gli ebrei, che lo mantennero, non per qualche legge, ma tramandato per successione dagli anziani, fino al tempo in cui uscirono dall'Egitto sotto la guida di Mosè.
Fu questi il primo di tutti i profeti e per opera sua Dio impose la legge a coloro che poi furono detti giudei.
Essi dunque servirono Dio stretti dai vincoli della legge.
Ma essi stessi, declinando a poco a poco verso riti profani, accolsero dèi stranieri e, abbandonato il culto paterno, immolarono sacrifici ai simulacri privi di sensi.
Perciò Dio mandò loro profeti ripieni di spirito divino, che li rimproverassero dei loro peccati e li stimolassero a penitenza, che minacciassero la vendetta e annunziassero come in futuro, se quelli avessero persistito nei loro delitti, sarebbe stato mandato un nuovo legislatore, il popolo ingrato sarebbe stato privato dell'eredità e Dio avrebbe radunato per sé, dalle genti straniere, un popolo più fedele.
Quelli però, non solo persistettero nelle loro colpe, ma anzi uccisero i profeti loro inviati.
Perciò Dio li riprovò per tali delitti e non mandò più profeti al suo popolo ribelle; mandò invece il suo Figlio, perché convertisse tutte le genti alla grazia di Dio.
E non escluse i giudei, per quanto empi e ingrati, dalla speranza della salvezza, ma lo mandò soprattutto per loro, affinché non perdessero ciò che avevano ricevuto se gli avessero obbedito.
Ma se non avessero accolto il loro Dio, essi sarebbero stati diseredati mentre i pagani accolti in adozione.
Perciò il sommo Padre gli comandò di discendere in terra e di rivestire corpo umano, affinché, soggetto ai dolori della carne, insegnasse la pazienza e la virtù, non solo a parole, ma anche a fatti.
Rinacque dunque come uomo senza padre dalla vergine; e come nella prima nascita spirituale fu creato da Dio solo e divenne Spirito Santo, così nella seconda nascita carnale, generato dalla sola madre, divenne carne santa e per lui venne liberata dalla morte la carne che era stata assoggettata al peccato …
Perciò dunque, pur essendo Dio, prese carne per poter, quale mediatore tra Dio e l'uomo, condurre col suo insegnamento l'uomo a Dio, vincendo la morte …
Egli compì tra gli uomini opere grandi e mirabili; i giudei, vedendole, le ritenevano compiute per potenza magica, non ricordando come tutto ciò che da lui si compiva era stato predetto dai profeti.
Non con qualche rimedio terapeutico, ma con la potenza e la maestà della sua parola guariva immediatamente gli ammalati, gli afflitti da vari morbi; risanava i paralitici, rendeva capaci gli zoppi di camminare, restituiva la vista ai ciechi, dava la favella ai muti, l'udito ai sordi, mondava chi era macchiato di lebbra, ridava le sue facoltà a chi era invasato da ossessioni demoniache, richiamava alla vita e alla luce i morti, a volte addirittura già sepolti.
Così saziò cinquemila uomini con cinque pani e due pesci; così camminò sul mare; così nella tempesta comandò al vento di placarsi, e subito si fece una grande calma.
Tutti questi prodigi li troviamo predetti nei libri dei profeti e negli oracoli sibillini.
Per questi miracoli accorreva a lui una grande folla e tutti lo ritenevano, come era in realtà, Figlio di Dio, inviato da Dio.
Perciò i sacerdoti e i maggiorenti dei giudei, pieni di invidia e insieme mossi ad ira perché egli rimproverava i loro peccati e la loro ingiustizia, convennero di ucciderlo …
Incitarono il popolo contro Cristo, come fosse nemico di Dio, perché lo prendessero, lo conducessero a giudizio e con empie grida reclamassero la sua morte.
Gli rinfacciavano, come un delitto, il fatto che egli si era proclamato Figlio di Dio e che trascurava la legge curando gli uomini di sabato, mentre egli asseriva non di trascurarla ma di completarla.
Ponzio Pilato, che a quei tempi, come legato della Siria, aveva il potere giudiziario, considerando che quella causa non era di competenza del magistrato romano, lo mandò da Erode Tetrarca, e permise ai giudei che essi decidessero in base alla loro legge.
Quelli, ottenuto il potere di condannarlo, gli decretarono la croce, ma prima lo colpirono con schiaffi e flagelli, lo coronarono di spine, gli sputarono in faccia e gli diedero da bere e da mangiare fiele e aceto.
Tra tutti questi strazi non si udì mai la sua voce.
Allora i carnefici, tirata a sorte la sua tunica e il suo mantello, lo sospesero e lo inchiodarono al patibolo, intendendo l'indomani celebrare la pasqua, cioè la loro festa più grande.
Ma a quel delitto seguirono dei prodigi, per far comprendere loro l'iniquità compiuta.
Infatti nello stesso momento in cui egli rese lo spirito vi fu un grande terremoto e un tale ottenebramento del sole, che il giorno si tramutò in notte …
Parlando di quelle tenebre, così dice Amos: In quel giorno, dice il Signore, il sole tramonterà sul meriggio e si ottenebrerà la luce del giorno; e tramuterò i vostri giorni di festa in lutto, i vostri canti in lamenti ( Am 8,9 ).
E Geremia, parlando della città di Gerusalemme, in cui egli patì: Il sole tramontò per lei mentre era ancora mezzogiorno; è confusa, è maledetta: abbandonerò tutti gli altri alla spada ( Ger 15,9 ).
E ciò non fu detto inutilmente.
Infatti, dopo breve tempo, l'imperatore Vespasiano sconfisse i giudei, mise a ferro e fuoco le loro terre, prese per fame gli assediati, distrusse Gerusalemme, trascinò nel suo trionfo i prigionieri; i rimasti poi li esiliò dalla loro terra, non permettendo loro di tornare più sul suolo patrio.
Tutto ciò fu decretato da Dio a causa della croce di Cristo.
Lattanzio, Epitome delle Divine Istituzioni, 38-41
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