Esortazione ai martiri
Traduzione a cura di Gino Mazzoni ( 1929 )1 - O creature benedette, che siete state chiamate alla gloria del martirio, a voi la Chiesa, madre e signora, dalle sue viscere stesse dà il nutrimento dell'amore suo infinito, che vi tiene ancora in vita; ma anche i fratelli vostri sono pronti a somministrarvi, ciascuno dalle proprie risorse, quanto può esservi sufficiente a sostentare il povero corpo vostro; e da noi pure ricevete qualcosa che serva a sollevarvi e a nutrire l'anima.
A che poi prosperare il corpo, quando l'animo giaccia in un languore mortale?
Se noi usiamo fervore di cura per ciò che, come il corpo, ha natura inferma, è a buona ragione che non dobbiamo trascurare ciò che presenta carattere di ancor maggiore debolezza.
Ma forse io non sono da tanto da poter rivolgere a voi la parola; ma noto che anche ai gladiatori, che pur sono abilissimi, perfetti anzi nell'esercizio dell'arte loro, non soltanto i maestri e chi alle loro esercitazioni presiede, ma anche gente qualunque e chi non ha conoscenza alcuna di ciò che essi stanno facendo, rivolgono a costoro esortazioni e consigli; e le parole stesse che escono così alla buona dalla bocca del popolo, talvolta non sono dette invano.
Per prima cosa io vi dirò, o spiriti eletti: non vogliate contristare lo Spirito Santo, che con voi è entrato in questa vostra prigione.
Oggi non sareste costì, se lo Spirito non vi avesse seguito e non fosse con voi; cercate in ogni modo che Egli resti costà, così che dopo, da codesto luogo, vi conduca su fino al Signore.
La casa del diavolo è la carcere, e in questa egli raduna chi è familiare a lui, che è lo spirito del male.
Ma voi è proprio a questo scopo che siete giunti ad esser rinchiusi nell'oscura prigione: perché in casa del diavolo, nel suo pieno dominio, voi ne abbiate a schiacciare la malvagia natura.
Già ne avevate avuto ragione fuori di costì; il diavolo non dovrà dire, dunque: eccoli in mano mia, io li metterò alla prova in ogni modo, usando di ogni insidia, di ogni adescamento, di ogni mezzo di dissensione e di discordia.
Lo spirito del male non ardisca resistere al cospetto vostro; vada ad inabissarsi nei suoi regni bui e, come un serpe sul quale siano stati fatti incantesimi e magie o che abbia avuto intorpiditi i sensi per essersi trovato avvolto dal fumo, costui se ne stia come un ebete, irrigidito.
E non abbia nel suo stesso regno, su di voi, vanto alcuno, per riuscire a trascinarvi alla lotta e alla discordia, ma vi trovi uniti, concordi, pronti ad una ben salda difesa, perché sono proprio la pace e la serenità vostra che rappresentano guerra per lui,
Ed è questa serena pace che alcuni non trovano nel seno della comunità, e vengono allora a chiederla ai Martiri nelle tenebre delle loro prigioni; per questa ragione appunto voi dovete custodirla intimamente questa pace serena e alimentarla col fuoco della vostra fede e mantenerne la fiamma gelosamente, perché ne possiate far dono ad altri, che a voi ricorrono per ottenerla.
2 - E fino alla soglia della vostra prigione vi avranno, ed è del resto naturale, accompagnato i pensieri, le preoccupazioni inerenti alla vita, come anche fino a questo punto vi hanno seguito i parenti vostri.
Voi siete stati segregati, allontanati dal mondo; ma se pensiamo che il mondo è un'immensa prigione, noi comprendiamo bene come dovremmo dire che siete usciti dal carcere, piuttosto che entrati.
Maggiori di quelle che non circondino voi costì, sono le tenebre in cui è avvolto il mondo, e gli animi degli uomini ne sono turbati e sconvolti; più strette catene delle vostre vincolano e tormentano il mondo, e le anime degli uomini ne sono dolorosamente oppresse; non è da codesto vostro carcere, ma è dal mondo che si sollevano i miasmi più pestilenziali, che sono appunto le sfrenate passioni umane.
È il mondo proprio che ha in sé il maggior numero di colpevoli; il genere umano, nel suo complesso, è degno di biasimo, e non è il giudizio del Proconsole che il mondo deve temere, ma il giudizio che scenderà direttamente da Dio.
E voi, o eletti, pensate pure d'essere ormai passati da un carcere a un luogo di ritiro sereno e tranquillo, e se pure la tenebra vi opprime, voi stessi rappresentate la luce; se vincoli dolorosi vi stringono, voi ve ne dovete sentire sciolti per opera e per volere di Dio; se da codesto luogo giungono ai vostri sensi esalazioni non buone, sappiate che siete voi stessi il profumo d'ogni soavità; voi ora attendete che taluno vi giudichi, ma sorgerà giorno in cui voi darete il vostro giudizio su coloro che ora sono i giudici vostri.
In codesto carcere provi tristezza ed intimo rincrescimento chi aspira ancora, chi agogna ai beni del mondo: ma il Cristiano, anche fuori del carcere, ha ormai rinunziato al mondo.
Entrando in prigione, poi, avete sfuggito in certo modo prigionia più dura, che è appunto il mondo stesso.
Non importa nulla affatto in quali condizioni o dove voi vi troviate nel mondo: voi siete fuori del mondo, ormai!
Ammettiamo che veniate a perdere qualche godimento della vita: ma è sempre un buon affare perdere qualcosa per guadagnare ciò che è di gran lunga superiore: e intendiamoci che non voglio qui alludere al premio al quale Iddio chiama i Martiri Suoi.
Intanto però stabiliamo un paragone fra la vita che si conduce nel mondo e quella che si trascorre in carcere, e vediamo se non ne sia maggiore il vantaggio che ne viene ad avere il nostro spirito dall'esistenza che viene trascorsa in prigione, che il danno che ne possa risentire il nostro corpo.
Anzi, io potrei dire, se volessi parlare seguendo norma di giustizia, che il corpo non viene a subirne danno alcuno.
È la Chiesa, nella Sua infinita carità, che vi pensa, sono i fratelli di fede che, nella pietà loro affettuosa, somministrano quanto a lui è necessario: ma lo spirito invece v'acquista quanto è utile per rafforzare, per rinsaldare fermezza e saldezza di fede.
Non avete contatto o relazione alcuna con quelle che sono le divinità false e bugiarde; non ti succede mai d'incappare nelle immagini loro; ecco che non ti trovi nella circostanza di partecipare alle feste che si celebrano in loro onore, se non altro per trovarti mescolato al popolo festante.
Non siete colpiti da qualche cosa che vi offende o vi nausea; non andate soggetti a manifestazioni inconsulte di stolto giubilo negli spettacoli che presentano atrocità d'ogni genere e ogni pazza bestialità o scompostezze o libertà colpose; e gli occhi vostri infine non sono costretti a fermarsi sulla sentina pubblica di ogni più turpe e vergognoso vizio.
Lontani così siete da ogni fonte di scandalo, da ogni tentazione, da ogni ricordo vergognoso ed osceno, e anche, oramai, da ogni persecuzione.
È tutto questo complesso di vantaggi che il carcere offre a chi è Cristiano, come perfettamente accadde ai Profeti nel deserto.
E il Signor nostro, per poter rivolgere con maggior libertà e serenità la voce della preghiera a Dio, non cercava frequentemente i luoghi dove potesse godere di un senso grande di solitudine?
In questa Egli si sarebbe meglio allontanato, diviso dal mondo; e il fulgore della Sua gloria fu proprio in solitudine, ove il Signore lo rese manifesto ai Discepoli Suoi, Non chiamiamo dunque carcere, il vostro; non usiamo un tal nome; diciamolo piuttosto ritiro.
Il corpo, si, vi si trova chiuso, e la carne nostra è stretta in esso carcere da vincoli dolorosi; ma lo spirito vi è libero, dovunque esso può spaziare.
Può dunque l'animo nostro in tutta libertà andar vagando, non certo per viali riparati, freschi e ombrosi e per lunghi portici, ma per quella strada che conduce fino al Signore.
E tu, non ti sentirai mica nel carcere, sai, quando tu volgerai a quella strada, coll'animo tuo, liberamente i tuoi passi.
Il piede potrà benissimo essere stretto dalla catena, ma nulla avvertirai, quando l'animo è in Cielo.
È l'animo che trasporta seco l'uomo, interamente: dove esso vuole, lo rapisce.
È stato scritto: il tuo cuore sia proprio colà dove sarà il tuo tesoro; e quindi il nostro cuore voli colà, dove vogliamo che sia riposto il nostro tesoro.
3 - Ma, o voi benedetti, ammettiamo che anche pei Cristiani il carcere sia ragione di dolore.
Ma noi siamo pure chiamati alla milizia, del Dio vivente, già allora quando abbiamo risposto con fede ai principi fondamentali dei Sacramenti.
Non v'è soldato che corra in guerra, dopo essersi elegantemente e femminilmente preparato; non si avanza in mezzo alle schiere, dopo essersi alzati da comodo letto, ma dopo essere stati sotto tende scomode, mal fatte, nelle quali avevano quasi preso dimora ogni asprezza, ogni difficoltà di vita e ogni dolorosa sofferenza.
Anche in tempo di pace, dalle fatiche, dalle difficoltà, i soldati imparano a sopportare le asprezze del tempo di guerra.
Eccolo a far lunghe marce sotto il peso delle armi, e a correr qua e là per il campo; eccolo a scavar trincee, e a preparare quanto è necessario per la formazione della testuggine.
E tutto richiede fatica e sudore; e questo, s'intende, perché il corpo non s'indebolisca, né l'energia dello spirito s'affievolisca.
Eccolo passare dall'ombra al sole, dal sole affrontare stagione inclemente; ecco che si riveste della corazza, deponendo così, semplicemente, la veste indossata poco prima; eccolo pronto a passate dal silenzio al clamore guerresco, dalla quiete e dalla serenità al tumulto delle armi tempestoso e violento.
E a voi, anime elette, si, lo credo, può essere aspra e dolorosa la prova; ma stimate pure che essa è scuola di virtù per il corpo e per l'anima vostra.
Voi state per prepararvi all'agone supremo e magnifico; e l'ordinatore di questo è Iddio vivente e chi l'assiste è lo Spirito Santo: corona di vittoria è l'eternità; come premio, il Regno dei Geli: la gloria durerà poi eterna nei secoli.
E Gesù Cristo, che è vostro maestro e guida suprema, che del Suo Spirito vi segnò ed ha trovato a voi il luogo della vostra prova, volle, prima del giorno del supremo cimento, allontanarvi da quella che sia libertà di vita, per sottoporvi ad un regime più aspro e più rigido assai.
Così le forze si sarebbero in voi rinvigorite e accresciute.
Lo stesso succede agli atleti: essi sono tenuti ben lontani da tutto ciò che possa affievolire le loro forze.
È una disciplina severa di vita che si usa con loro, perché possano accrescere la loro resistenza fisica: e a loro viene impedito l'abbandonarsi, s'intende, ad ogni sfrenatezza di passione, ad ogni incontinenza nel bere o nel prender cibo.
Sopportano anche sofferenze, tormenti, fatiche d'ogni specie: ed è naturale che quanto più costoro sono abituati a tal genere di vita, tanto maggiore è la speranza dì vittoria che si può concepire su di loro.
E tutte queste sofferenze l'affrontano, dice l'Apostolo, per conquistare corona di gloria terrena, e corruttibile quindi.
E noi, che faremo dunque noi, che siamo per ottenere fulgore di gloria imperitura?
4 - Accettiamo e riconosciamo il carcere, che ci viene inflitto, come nobile palestra per noi, perché possiamo, ormai bene abituati ad ogni sorta di patimenti, scendere nello stadio, che per noi è il tribunale.
E cosa che ben si sa, ormai, che la virtù trova sua forza e sua luce in una vita di dolore e di sofferenze, ma si affievolisce e viene meno in chi conduce vita inerte ed effemminata.
Dal divino precetto sappiamo che lo spirito è pronto, desideroso, ma che la carne è debole e inferma.
Ma non ci culliamo su questo punto, pensando che il Signore ha riconosciuto la debolezza della carne.
Egli ha detto che lo spirito è pronto, desideroso, attivo, per indicare chiaramente quale dei due elementi debba esser soggetto e a chi: e disse proprio così, che la carne debba servire allo spirito; il più debole al più forte, perché da questo appunto acquisti forza ciò che è per natura più fragile e caduco.
Intorno alla comune salvezza, vengano un po' a colloquio spirito e carne, non facendo alcuna considerazione sugli incomodi che possono venire dal carcere; ma avendo soltanto di mira la lotta e la battaglia che intraprendono.
La carne, ecco, che temerà forse dell'asprezza dei colpi delle spade e il supplizio della croce.
Vi saranno poi per essa e il furore delle fiere, il terribile strazio delle fiamme, ogni più raffinata crudeltà dei carnefici nell'applicar le torture; ma lo spirito sorga incontro alla carne e a se stesso dica: Si: queste prove sono aspre e dolorose, ma tuttavia già molti ci furono che con animo sereno e tranquillo le sopportarono; anzi anche da taluni, desiderate, volute spontaneamente, e questo per amor di fama e di gloria.
E non furono solamente uomini che così si comportarono, ma donne, anche!
Così lo spirito parli, perché anche voi donne, o benedette, vi sappiate mantenere degne del sesso cui appartenete.
Troppo per le lunghe io anderei se dovessi ricordare, uno per uno, coloro che si sono dati spontaneamente la morte.
Fra le donne mi viene subito al pensiero Lucrezia, che, dopo aver sopportato offesa di violenza, sotto gli occhi dei parenti, si colpì coraggiosamente per avvolgere l'aureola della gloria intorno alla castità sua violata.
Muzio Scevola dette alla fiamma la sua destra per acquistarsi fulgore di fama.
E i filosofi fecero sovente qualcosa che può stare a confronto: Eraclito, che si lasciò bruciare dopo essersi coperto di sterco di bue; Empedocle, che si precipitò negli ignei abissi del M. Etna; Peregrino, che non una volta sola ascese le fiamme del rogo; e donne pure vi furono che ebbero disprezzo per gli strazi della fiamma.
Didone, ad esempio, per non esser costretta a nuovo vincolo di nozze dopo la morte del primo marito, da lei fatto oggetto di sincerissimo amore; e così pure possiamo ricordare la moglie di Asdrubale, che, vedendo ormai Cartagine in preda alle fiamme fatali e scorgendo il marito in atteggiamento di supplice davanti a Scipione vincitore, insieme ai figli si precipitò nelle fiamme, che distruggevano la patria sua.
E che dire di Regolo? Questi, fatto prigioniero dai Cartaginesi, non avendo voluto cambiare la sua vita con quella di molti nemici della patria sua, preferì restituirsi a chi gli era ostile, e là, chiuso in una specie di botte, trafitto in tutto il suo corpo da chiodi, soffrì tutto l'inaudito tormento.
Ed è ancora una donna che andò incontro, così, spontaneamente alle fiere: dico, precisamente, aspidi, serpenti, che sono più terribili assai dei tori e degli orsi.
Fu costei Cleopatra, che da se, colle sue mani, li trattò e li fece strisciare sul suo corpo, piuttosto che cadere nelle mani del nemico.
Ma il timore della morte non è poi tanto grande come il timore dei tormenti.
Ebbene: ricordiamo quella famosa femmina ateniese, che, pur conoscendo esattamente i fili della congiura ed essendo perciò, appunto, sottoposta ai tormenti dal tiranno, non pronunziò mai i nomi di coloro che facevano parte della congiura stessa; ma in ultimo ella, staccatasi con un morso la lingua, la sputa in faccia al tiranno, perché si sapesse, così, che i tormenti non avrebbero potuto nulla su di lei, anche se fossero continuati più a lungo.
E non è sconosciuto neppure quello, che, presso gli Spartani, è considerato un rito di grandissima importanza: la flagellazione.
In questa sacra cerimonia i giovani più nobili, dinanzi ad un altare, vengono flagellati sotto gli occhi dei genitori e dei parenti, i quali fanno opera di esortazione viva, perché essi sopportino il dolore.
E sarà maggior titolo di decoro e di gloria, se piuttosto il corpo perirà sotto le sofferenze, che il loro animo emetta grido alcuno di dolore.
Se dunque è pur lecito, in vista di luce di gloria terrena, richiedere tale prova di vigoria di animo e di sensi, così che essi possano mostrare la loro noncuranza per offese di armi, per strazio di fiamme, per tormenti di croce, per furore di belve, per raffinatezza di torture, e tutto questo, dico, solo col miraggio di umana lode, io posso ben dire allora che ben piccole sono le sofferenze vostre di fronte al fulgore di gloria divina e di ricompensa celeste.
Se tanto si stima il vetro, in quale maggior considerazione non dovremo tenere la perla?
E chi sarà mai che non voglia dare per la verità quanto altri offre volentieri per ciò che è menzogna?
5 - Tralascio di dire ora di colui che è causa di tanta gloria.
Queste medesime gare, in quel che sia tolleranza di tormenti, si è riscontrato come presso alcuni uomini siano state compiute o per un certo spirito di semplice ostentazione o per una data condizione morbosa e anormale del loro spirito.
Quanta gente vi è che, per un certo desiderio di far mostra di valore bellico, non compie proprio il mestiere delle armi e mette a prezzo la propria spada?
E per questa loro ambizione di comparire scendono a lottare colle fiere, e più grandi sono le ferite e maggiori sono gli scempi che ricevono dal loro furore, e più essi credono di crescere in bellezza.
Altri poi si riscontrano che si sono dedicati quasi a prove col fuoco, e intendono di percorrere uno spazio determinato avvolti in una tunica in fiamme; altri ancora, e bisogna che abbiano davvero le spalle ben resistenti, camminano fra chi li vuol colpire con nervi di bue.
O anime elette, non fu senza una ragione che il Signore permise che nel mondo tali cose avvenissero: perché noi traessimo da esse forza ed energia, perché esse parlassero a noi il linguaggio dell'esortazione più viva, e perché anche queste stesse cose servissero per confonderci quel giorno, nel quale noi temessimo di sopportare, per la verità e col miraggio della nostra salvezza, quello che altri pur s'affrettarono a patire, per ciò che era vano e bugiardo e per la loro perdizione.
6 - Ma noi non vogliamo considerare questi esempi di fermezza, che derivano da una certa tendenza all'ostentazione vana.
Volgiamo il pensiero nostro a quella che sia la condizione in cui ci troviamo qui sulla terra: e questo, perché noi impariamo ad affrontare con costanza e con serenità, se pur qualcosa noi dovremo sopportare, ciò che è stato sempre pur necessario soffrire anche a coloro che non l'hanno con tranquillità e con pazienza accettato.
Quanti non sono stati coloro, che le fiamme hanno divorato vivi?
Quanti non hanno visto la loro fine per furore di fiere o nelle selve, o anche in mezzo alle città, quando esse fuggivano talvolta dalle loro gabbie?
Quanti non perirono colpiti dalle armi di assassini, e quanti i nemici non posero al supplizio della croce?
E ciò dopo essere stati, magari, prima sottoposti ad ogni sorta di tormenti e coperti delle ingiurie e delle contumelie più vili?
Ma non vi può essere alcuno che soffra tutto questo per un uomo, ed esiti poi ad incontrare queste stesse sofferenze per un Dio!
Oh, dopo tutto, almeno questi tempi nostri ci servano di ammaestramento, e sappiamo trarre esempio da tanti che, forniti pure di autorità e dignità, sortirono una fine che mai si sarebbero potuti attendere, data la loro nobiltà di natali, le cariche e le dignità da loro ricoperte, dato il loro pieno vigore fisico, la freschezza e l'energia dell'età.
E ricordiamo che tutto questo essi lo soffrirono magari per un uomo, o per mano dì lui stesso, se qualche cosa avessero osato compiere ai suoi danni, oppure dagli avversari suoi, se avessero abbracciato le parti di lui.