Abbandono alla divina Provvidenza |
Sacrificate sacricium justitiæ et sperate in Domino : offrite, ha detto il profeta, un sacrificio di giustizia e sperate nel Signore.
Il grande e solido fondamento della vita spirituale è dunque nel darsi a Dio per essere l'oggetto del suo beneplacito in ogni cosa, all'interno e all'esterno, e nel dimenticare se stessi così perfettamente da considerarsi come una cosa venduta e consegnata, alla quale non si ha più nessun diritto.
In tal modo tutto verrà dal beneplacito di Dio ed egli costituirà tutta la nostra gioia, e la sua felicità e la sua gloria e il suo essere saranno il nostro unico bene.
Posto questo fondamento, l'anima non ha che da trascorrere tutta la sua vita a rallegrarsi del fatto che Dio è Dio, sottoponendo tutta se stessa al suo beneplacito in modo tale da essere ugualmente contenta di fare questo o quello o il contrario, a seconda di quel che disporrà il divino beneplacito, non facendo nessuna riflessione sull'uso che tale beneplacito stabilisce.
Il beneplacito di Dio usa del nostro essere in due modi: o lo spinge a fare certe cose, o opera spontaneamente in lui.
La prima via esige da noi una fedele applicazione al beneplacito manifestato o ispirato; la seconda una semplice e passiva sottomissione agli impulsi del beneplacito di Dio.
L'abbandono racchiude tutto ciò, non essendo altro che una perfetta sottomissione all'ordine di Dio secondo le esigenze del momento presente.
Poco importa all'anima di sapere in qual modo essa viene indotta ad abbandonarsi e quali sono le esigenze del momento presente; le importa soltanto essere abbandonata senza riserva.
L'abbandono del cuore racchiude tutte le maniere possibili, perché essendo il proprio essere affidato al beneplacito di Dio, questa disposizione realizzata dal puro amore vale per tutta l'estensione delle operazioni di questo beneplacito.
Così l'anima esercita a ogni momento un abbandono all'infinito tutte le qualità e tutte le manifestazioni possibili sono racchiuse nella sua virtù.
Non è all'anima, quindi, che spetta determinare l'oggetto della sottomissione dovuta a Dio, ma la sua sola occupazione è di essere sottomessa in ogni cosa e pronta a tutto.
L'essenza dell'abbandono sta qui, questo è ciò che Dio esige dall'anima, questo il libero dono del cuore che egli domanda, cioè l'abnegazione, l'obbedienza, l'amore: il resto riguarda Dio.
E sia che l'anima agisca con sollecitudine per adempiere il dovere al quale il suo stato e i suoi impegni la obbligano, sia che segua con dolcezza un'ispirazione o che si sottometta in pace agli impulsi della grazia per il corpo e per l'anima, in tutto ciò essa esercita nell'intimo del suo cuore uno stesso atto universale, generale di abbandono, che non è affatto limitato dal fine e dall'effetto speciale che si manifesta in quel momento, ma che ha tutto il merito e l'efficacia che la buona e sincera volontà ha ogniqualvolta l'effetto non dipende da essa.
Quel che essa ha voluto fare è considerato come fatto davanti a Dio.
Se il beneplacito di Dio mette dei limiti all'esercizio delle facoltà particolari, non ne mette affatto a quello della volontà.
Il beneplacito di Dio, l'essere e l'essenza di Dio costituiscono l'oggetto della volontà e attraverso l'esercizio dell'amore Dio si unisce ad essa senza limiti, senza determinazioni, senza misura.
Se quest'amore arriva nelle facoltà solo in questo o quel caso particolare, è per che la volontà stessa di Dio arriva, si limita, per così dire, e si abbrevia nella limitatezza del momento presente e passa così nelle facoltà e, di là, nel cuore perché‚ esso è puro, senza limiti e senza riserve, e si comunica ad esso a motivo della sua disponibilità infinita operata dalla purezza dell'amore che, avendolo svuotato di tutte le cose, l'ha reso capace di Dio.
O santo distacco, sei tu che fai posto a Dio!
O purezza, o sottomissione senza riserva, sei tu che attiri Dio nel profondo dei cuori!
Le facoltà se ne vadano pure dietro a tutto quel che piacerà loro: tu, o Signore, sei il mio unico bene.
Fa' tutto ciò che vuoi di questo piccolo essere; che egli agisca, che sia ispirato, che sia l'oggetto dei tuoi interventi; tutto è uno in tutto, e il tuo tutto appartiene a te, è da te e per te.
Io non ho più niente a che vedere né‚ a che fare; nemmeno un solo momento della mia vita è a mia disposizione, tutto appartiene a te.
Io non ho nulla da aggiungere, né da diminuire, né da cercare, né da riflettere; spetta a te amministrare tutto: la santità, la perfezione, la salvezza, la direzione, la mortificazione sono cose tue.
Il mio compito è di esser contento di te e di non appropriarmi di alcuna azione, né passione, ma di lasciar tutto al tuo beneplacito.
La dottrina del puro amore non si attua che per l'azione di Dio e non per lo sforzo dello spirito.
Dio istruisce il cuore non con idee, ma con le pene e le avversità.
Questa scienza è una conoscenza pratica con la quale si gusta Dio come l'unico bene.
Per possedere questa scienza bisogna essere distaccati da tutti i beni personali; per arrivare a questa mèta, bisogna sapersene privare.
E dunque solo attraverso una continua avversità e una lunga serie di mortificazioni di ogni genere, di inclinazioni e affetti particolari che si viene stabiliti nel puro amore.
Bisogna arrivare al punto che tutto il creato sia niente e che Dio sia tutto.
Per questo bisogna che Dio si opponga a tutte le preferenze particolari dell'anima, di modo che, quando essa si rivolge a qualche metodo speciale, a qualche mezzo di perfezione o di devozione, con l'intento di seguire le vie che vi conducono; oppure è indotta a legarsi a qualche persona che ve la possa introdurre o, infine, a qualunque altra cosa, Dio sconcerta i disegni e permette che invece degli effetti sperati si trovi in tutto solo confusione, turbamento, vuoto, follia.
Appena [ l'anima ] ha detto: " É di qui che bisogna andare, è a questa persona [ che bisogna rivolgersi ], è così che bisogna agire ", subito Dio stabilisce il contrario e ritira la sua virtù dai mezzi prescelti dall'anima.
Così, non trovando che semplice realtà creata e per conseguenza puro e semplice nulla, l'anima è costretta a ricorrere a Dio e a contentarsi di lui solo.
L' anima che sa appropriarsi del bene e della felicità di Dio, non si affida più alle cose create per diletto, ma solo per fiducia; non le accetta che per dovere, per ordine di Dio e per precisa disposizione della sua volontà.
Vive al di sopra di ogni abbondanza e di ogni indigenza, nella pienezza di Dio che è il suo bene incrollabile.
Dio trova quest'anima totalmente vuota delle proprie inclinazioni, dei propri movimenti, delle proprie scelte; è un soggetto morto e offerto in un'indifferenza universale.
Il tutto dell'essere divino, facendo così la sua comparsa nell'intimo del cuore, diffonde sulla superficie degli esseri creati uno strato di nullità che assorbe tutte le loro distinzioni e tutte le loro varietà.
Così il creato si rivela privo di virtù e di efficacia e il cuore non prova più brame o inclinazioni verso di esso, perché la maestà di Dio ne colma tutte le facoltà.
Il cuore, vivendo dunque di Dio, è morto a tutto il resto e tutto è morto per lui.
Spetta a Dio, che dà vita a tutte le cose, vivificare l'anima nei riguardi del creato e il creato nei riguardi dell'anima.
Questa vita è l'ordine di Dio.
Il cuore è portato verso la creatura da quest'ordine e, da questo stesso ordine, la creatura è portata verso l'anima e vi trova accoglienza.
Senza la virtù del divino beneplacito, il creato non è accolto dall'anima e l'anima non si rivolge a esso.
Questa riduzione di tutto il creato prima al nulla e poi alla virtù dell'ordine di Dio, fa sì che a ogni momento Dio sia per l'anima ad un tempo Dio e tutte le cose.
Perché‚ ogni momento è un appagarsi di Dio solo in fondo al cuore e un abbandono senza riserve a tutto il creato possibile, o piuttosto al creato e al creabile nell'ordine di Dio.
Ogni istante, dunque, racchiude tutto.
La pratica di una teologia tanto mirabile consiste in una cosa così semplice, così facile, così a portata di mano che non c'è che da volerla per ottenerla.
Questo distacco, questo amore così puro, così universale, consiste in un'attività e in una passività, in quel che l'anima deve operare con la grazia e che la grazia deve operare in essa senza esigere altro che abbandono e consenso passivo.
Cioè tutto quello che Dio vuol fare da se stesso ed è quanto la teologia mistica spiega con un'infinità di sottili distinzioni che spesso è meglio per l'anima non conoscere affatto, poiché‚ la pratica non esige che puro oblio e abbandono.
Quindi all'anima basta sapere ciò che deve fare, ed è la cosa più facile del mondo: amare Dio come il grande e unico tutto, essere contenta di ciò che egli è e adempiere il proprio dovere con somma cura e prudenza.
Un'anima semplice, mediante questo solo esercizio, lungo questa via così diritta, così illuminata e sicura, cammina protetta e con sicurezza e tutte le cose meravigliose spiegate dalla teologia mistica, consistenti in croci e favori interiori, sono operate in lei a sua insaputa dalla volontà di Dio.
E mentre l'anima non pensa che ad amare e a obbedire, facit mirabilia magna solus, Dio fa tutto e lo fa con mezzi tali che, più l'anima si abbandona, si astrae e si separa da ciò che avviene in essa, più questa opera si perfeziona.
E tutte le sue riflessioni, le sue ricerche, i suoi sforzi non potrebbero che opporsi al modo di agire di Dio, in cui sta tutto il suo bene, perché è lui che la santifica, la purifica, la dirige, l'illumina, la eleva, la dilata, la rende utile agli altri, la rende apostolica con modi e con mezzi nei quali la riflessione esteriore non farebbe vedere che il contrario.
Nel momento presente tutto è di tal natura da attirare l'anima fuori dal suo sentiero d'amore e di assoluta obbedienza.
Sono necessari un abbandono e un coraggio eroici per mantenersi stabili nella totale fedeltà attiva e cantare la propria parte con sicurezza, mentre la grazia canta la sua su arie e toni che non fanno altro che lasciar credere all'anima di essersi ingannata e perduta.
Essa sente solo questo canto nelle sue orecchie, ma se ha il coraggio di lasciar scatenare il tuono e i lampi, le tempeste e i fulmini, e di camminare con piede fermo sul sentiero del l'amore e dell'obbedienza al dovere e agli impegni del presente, si può dire che è simile all'anima di Gesù e che porta l'immagine della sua Passione, durante la quale il divin Salvatore camminava con passo costante nell'amore del Padre e nella sottomissione alla sua volontà, lasciandogli fare le cose in apparenza più contrarie alla dignità di un'anima santa come la sua.
I cuori di Gesù e di Maria, [ sfidando ] il fragore di quella notte oscura, lasciano che si abbatta il temporale; un diluvio di cose, in apparenza tutte opposte ai disegni di Dio e ai suoi ordini, travolgono le facoltà di Gesù e di Maria, ma con la punta del cuore essi camminano senza vacillare sul sentiero dell'amore e dell'obbedienza.
Fissano con fermezza gli occhi su quel che devono fare e lasciando che sia Dio a operare quanto li riguarda, portano tutta la pesantezza di quest'azione divina.
Gemono sotto il peso, ma non vacillano e non si fermano un solo istante.
Sanno che tutto andrà bene, purché‚ il cuore si abbandoni a Dio e si tenga sulla sua via.
Quando l'anima va bene, tutto va bene, perché quel che è di Dio, cioè la sua presenza e la sua azione, è per così dire il centro e il contraccolpo della fedeltà dell'anima; essa sospinge l'anima e l'anima ritorna di nuovo verso di essa.
E il diritto dell'opera che si esegue a poco a poco come le meravigliose tappezzerie che si eseguono punto per punto e al rovescio.
L'operaio che vi lavora non vede che il suo punto e il suo ago, mentre tutti quei punti eseguiti successivamente vanno formando figure magnifiche che compariranno soltanto quando, terminate tutte le parti, si espone il diritto alla luce.
Ma durante il lavoro tutta la parte bella e meravigliosa sta nella oscurità.
Accade lo stesso dell'anima abbandonata, la quale non vede che Dio e il suo dovere.
Il compimento di questo dovere non è, a ogni istante, che un punto impercettibile aggiunto al lavoro, e tuttavia è con questi punti che Dio opera tali meraviglie di cui si hanno a volte dei presentimenti nel tempo, ma che non saranno disvelate appieno che nel gran giorno dell'eternità.
Quanta bontà e sapienza nel modo con cui Dio conduce!
Egli ha voluto riservare alla sua sola grazia e alla sua sola azione tutto quel che c'è di sublime e di elevato, di grande, di ammirevole nella perfezione e nella santità; e ha lasciato alle nostre anime, aiutate dal soccorso della grazia, quello che è piccolo, semplice, facile, tanto che non vi è al mondo nessuno cui non sia agevole arrivare alla perfezione più eminente.
Tutto quel che riguarda lo stato, il dovere e la vita del corpo è alla portata di ogni cristiano.
Eccezion fatta per il peccato, ecco tutto quello che Dio gli domanda per esercitare la sua fedeltà attiva.
Egli non attende da noi che il compimento della sua volontà assegnataci dal dovere se condo le nostre forze fisiche e spirituali, e la fedeltà ai nostri obblighi secondo le nostre possibilità.
C'è dunque qualcosa di più facile e di più ragionevole?. Che scusa allegare?
Tuttavia è questo il contributo grande che Dio esige dall'anima nel lavoro della sua santificazione.
Lo esige dai grandi e dai piccoli, dai forti e dai deboli, in una parola da tutti, in ogni tempo e in ogni luogo.
É dunque vero che egli non richiede da parte nostra se non ciò che è agevole e facile, poiché basta possedere quest'unico capitale per arrivare a un'eminente santità.
Ma che cos'è dunque questo dovere che, da parte nostra, costituisce tutta l'essenza della nostra perfezione?
Ce ne sono di due tipi: un dovere generale che Dio impone a tutti gli uomini e dei doveri particolari che egli prescrive a ognuno, con i quali impegna ogni uomo nelle diverse condizioni di vita e per conseguenza nell'adempimento dei doveri prescritti dai comandamenti di Dio che ci chiede di amarlo, oltre che proporci dei consigli che possono divenire l'oggetto delle attrattive della sua grazia.
Quel che Dio chiede a ognuno è sempre conforme alle capacità ricevute, il che prova la sua equità.
O voi tutti che tendete alla perfezione e siete tentati di scoraggiarvi di fronte a quello che si legge nelle vite dei santi, o a quanto prescrivono i libri di pietà; o voi che vi lasciate abbattere dalle idee complicate che vi fate della perfezione, è per vostra consolazione che Dio vuole che io scriva queste cose.
Imparate dunque quello che sembrate ignorare.
Il nostro Dio di bontà ha reso facile tutto ciò che è necessario e comune nell'ordine naturale come l'aria, l'acqua e la terra.
Niente di più necessario della respirazione, del sonno, del nutrimento, ma anche niente di più normale.
In virtù del comandamento che Dio ne ha fatto, l'amore e la fedeltà non sono meno necessari nell'ordine soprannaturale; bisogna dunque che le difficoltà non siano così grandi come ce le rappresentiamo.
Ora, Dio vuole accontentarsi di queste cose, anche se di poca importanza, nella parte che l'anima deve avere nel lavoro della propria perfezione.
Lo dice egli stesso assai chiaramente perché se ne possa dubitare: Deum lime et mandata ejus observa: hoc est enim omnis homo: ecco tutto quello che l'uomo deve fare da parte sua, ecco in che cosa consiste la sua fedeltà attiva.
Faccia dunque la sua parte, Dio farà il resto.
Poiché‚ la grazia le riserva a se stessa, le meraviglie che opererà superano ogni intelligenza umana.
Infatti né orecchio ha inteso, né occhio ha visto, né il cuore ha provato quel che Dio concepisce nella sua mente, decide nella sua volontà ed esegue con la sua potenza nelle anime che presentano questo semplice sfondo, questa tela così compatta, questo strato di colore così facile da applicare, queste linee così chiare, precise e rifinite, queste figure così mirabili che solo le mani della divina Sapienza sanno eseguire.
Egli lavora sul fondo di questa semplice tela d'amore e d'obbedienza che l'anima tiene tesa senza pensare, senza indagare, senza riflettere per sapere quello che Dio vi traccia, perché si fida di lui, si abbandona, e tutta occupata nel suo dovere non pensa né a sé né a quello che le è necessario, né ai mezzi per procurarselo.
Più l'anima si applica al suo piccolo impegno, per quanto semplice, nascosto, segreto e spregevole appaia all'esterno, più Dio lo trasforma, lo abbellisce, lo arricchisce con gli ornamenti e i colori che vi applica: Mirificavit Dominus sanctum suum.
É vero che una tela totalmente abbandonata all'opera del pennello non sente, in ogni momento, che il semplice tocco del pennello; come ogni colpo di scalpello non può far sentire alla pietra che una punta crudele che la distrugge, e non certo la figura che l'artefice esegue in essa.
Una misera pietra, per esempio, che si vuol trasformare in un crocifisso, in una statua, e non lo sa, a chi le chiedesse: " Che cosa avviene in te? ", potrebbe rispondere: " Non domandatelo perché‚ quanto a me non so altro e non posso fare altro che restare ferma sotto la mano del mio padrone, e amarlo, e subire la sua azione per il fine a cui sono destinata.
Spetta a lui conoscere il modo di eseguirlo.
Io ignoro quello che fa e quello che io divengo attraverso la sua opera, so soltanto che quanto egli fa è la cosa migliore e più perfetta, e ricevo ogni colpo di scalpello come se fosse la cosa più eccellente per me, benché, a dire il vero, ogni colpo non rechi nel mio sentimento che l'idea di una rovina, di una distruzione, di uno sfiguramento.
Ma io non mi preoccupo di tutto questo e, contenta del momento presente, non penso che al mio dovere, e accolgo l'intervento di quest'abile maestro senza conoscerlo e senza preoccuparmene ".
Sì, care anime semplici, lasciate a Dio quello che spetta a lui e filate in pace e tranquillamente la vostra conocchia.
Pensate che quel che accade sia interiormente che esteriormente, è la cosa migliore per voi.
Lasciate fare a Dio e abbandonatevi a lui.
Lasciate agire la punta dello scalpello e dell'ago.
Accogliete la gran varietà delle cose come una semplice applicazione di coloro che vengono a imbrattare la vostra tela; corrispondete alle operazioni divine nel modo totalmente uniforme e semplice dell'assoluta remissività, della dimenticanza di sé e dell'applicazione al vostro dovere.
Camminate per la vostra strada senza conoscere la carta del paese, le terre circostanti, i nomi, le caratteristiche, i luoghi; camminate alla cieca su questa via e tutto ciò vi sarà attribuito passivamente.
Cercate soltanto il regno di Dio e la sua giustizia nell'amore e nell'obbedienza e tutto vi sarà dato.
Si vede un gran numero di anime che si preoccupano e si domandano: " Chi mi darà la santità e la perfezione, la mortificazione, la direzione? ".
Lasciatele dire, lasciatele cercare sui libri i termini, le caratteristiche di questa opera meravigliosa, la sua natura e le sue parti.
Quanto a voi, restate in pace, unite a Dio mediante il vostro amore e camminate alla cieca sul sentiero tracciato e diritto dei vostri doveri.
Gli angeli stanno ai lati di questa notte e le loro mani servono da transenne.
Se Dio vorrà di più da voi, la sua ispirazione ve lo farà sapere.
La disposizione di Dio dà a tutte le cose un valore soprannaturale e divino; tutto quel che tocca, tutto quel che accoglie e tutti gli oggetti sui quali si diffonde divengono santità e perfezione, perché la sua virtù non ha limiti.
Per divinizzare così tutte le cose e non deviare a destra o a sinistra, bisogna considerare se l'ispirazione che l'anima è persuasa di aver ricevuta da Dio, non l'allontani dai doveri del suo stato.
In questo caso l'ordine di Dio dev'essere preferito.
Non c'è niente da temere, da escludere, da distinguere.
É per l'anima il momento più prezioso e più salutare, perché può esser sicura di compiere ciò che piace al suo Dio.
Ogni santo è tale per [ il compimento ] di quei doveri ai quali la volontà divina lo chiama; non è dalle cose in se stesse, dalla loro natura e particolarità che bisogna misurare la santità, essendo solo il compimento di questo ordine che indica la santità dell'anima e la produce in essa, illuminandola, purificandola e mortificandola.
Tutta la virtù di ciò che si dice santo sta dunque in quest'ordine di Dio; così non bisogna cercare niente, respingere niente, ma prendere tutto dalle mani sue e niente se non da lui.
I libri, i consigli dei dotti, le preghiere vocali, gli affetti interiori quando sono predisposti da Dio, istruiscono, dirigono, uniscono.
Ingiustamente il quietismo rifiuta tutti [ questi ] mezzi e tutto ciò che è sensibile, perché‚ vi sono anime che Dio vuol fare camminare per questa via e il loro stato e le loro tendenze lo indicano in modo molto evidente.
Invano si immaginano dei modi di abbandono nei quali sia eliminata ogni attività propria e si sperimenti [ un'assoluta quiete ], perché‚ se Dio vuole che ci si procuri certe cose da se stessi, l'abbandono consiste nel farlo.
É inutile dare prescrizioni; la cosa più perfetta è la sottomissione all'ordine di Dio.
Quest'ordine, per gli uni si limita ai doveri del loro stato e alle cose di provvidenza, senza nessuna attività: ecco la cosa più perfetta per loro; per gli altri, oltre alle cose di provvidenza senza attività, quest'ordine indica parecchi doveri particolari, parecchie azioni che si estendono al di là del proprio stato.
L'attrattiva e l'ispirazione sono allora il segno della volontà di Dio e la perfezione per queste anime consisterà nell' aggiungere alle azioni comandate tutte queste cose ispirate, ma con le precauzioni che l'ispirazione esige, [ per non mancare ] ai doveri di stato e alle cose di pura provvidenza.
E pensare che queste anime siano più o meno perfette, precisamente a causa delle cose diverse alle quali si applicano, significa porre la perfezione non nella sottomissione all'ordine di Dio ma nelle cose.
Dio si forma i santi come gli piace; è il suo ordine che li conduce e tutti sono ad esso soggetti.
Questa sottomissione è il vero abbandono, è la cosa più perfetta.
I doveri dello stato e le cose di provvidenza sono comuni a tutti i santi; questo Dio lo indica a tutti in generale.
Essi vivono nascosti nell'oscurità, perché il mondo è così scellerato che essi ne evitano gli ostacoli, ma non pensano per questo di essere santi; solo in quanto sono soggetti a quest'ordine di Dio, tanto più si santificano.
Ma non bisogna credere che coloro in cui Dio fa risplendere le virtù con azioni singolari e straordinarie, con attrattive ed ispirazioni autentiche del volere divino, il quale diventa un dovere, non camminino per questo nella via dell'abbandono.
Se essi si contentassero dei doveri del loro stato e delle cose di pura provvidenza, non sarebbero abbandonati a Dio e alla sua volontà, ed essa non sarebbe padrona di tutti i loro momenti, e tutti i loro momenti non sarebbero volontà di Dio.
Bisogna che essi si dilatino e si misurino secondo l'estensione dei disegni di Dio in questa via imposta loro dall'attrattiva, e che l'ispirazione sia per loro un dovere e che vi siano fedeli.
E come vi sono anime il cui dovere è tutto segnato da una legge esterna e si limitano ad esso perché l'ordine di Dio ve le lega, bisogna che gli altri, oltre al dovere esterno, siano anche fedeli alla legge interiore che lo Spirito Sapto imprime loro nel cuore.
Ma quali sono i più santi? É pura e vana curiosità chiederselo.
Ognuno deve seguire la via che gli è tracciata.
La santità consiste nel sottomettersi all'ordine di Dio e a quel che vi è in esso di più perfetto; sapere il resto non ci giova niente, perché‚ non è nella quantità o qualità delle cose compiute che bisogna cercare la santità.
Se il principio che li fa agire è l'amor proprio, se non lo si rettifica quando ci si accorge delle sue pressioni, si sarà sempre poveri in un'abbondanza che l'ordine di Dio non riempie.
Tuttavia, per risolvere in qualche punto la questione, penso che la santità corrisponda all'amore che si ha per il beneplacito di Dio, e quanto più quest'ordine e questa volontà sono amati, di qualunque natura sia l'azione materiale che essi ordinano, tanto maggiore è la santità.
E questo lo vediamo in Gesù, Maria, Giuseppe, perché nella loro vita privata c'è stata più grandezza e forma che materia, e non si trova scritto che queste persone così sante abbiano cercato la santità delle cose, ma solamente la santità nelle cose.
Bisogna dunque concludere che non ci sono vie particolari e singolari da ritenere più perfette, ma che la cosa più perfetta in generale è la sottomissione all'ordine di Dio, per ciascuno [ secondo ] il proprio stato e la propria condizione.
Il primo dovere sta nel necessario a cui ci si deve anche costringere; il secondo è il dovere dell'abbandono e della pura passività; il terzo richiede molta semplicità, dolce e soave cordialità, mobilità dell'animo al soffio della grazia che fa fare tutto, perché non si tratta che di lasciar si andare e obbedire semplicemente e liberamente alle proprie suggestioni.
E perché queste non traggano in inganno, Dio non cessa di dare alle anime guide sagge che indicano la libertà o la cautela che si deve avere nel fare uso di queste ispirazioni.
É questo terzo dovere che propriamente supera ogni legge, ogni forma e ogni schema determinato; esso esegue nelle anime il disegno singolare e straordinario, regola le loro preghiere vocali, le loro parole interiori, il sentimento delle loro facoltà e tutto quanto c'è di grande nella loro vita: le austerità, lo zelo, la donazione generosa di se stessi al prossimo.
E poiché‚ queste cose provengono dalla legge interiore dello Spirito Santo, nessuno deve offrirvisi e prescriversele, né‚ desiderarle, né gemere perché non ha queste grazie che fanno intraprendere ogni genere di virtù non comuni, perché esse non devono compiersi che per ordine di Dio.
Senza di ciò, come abbiamo detto, ci sarebbe da temere che il nostro spirito cada nell'illusione.
Bisogna notare che ci sono anime che Dio vuol tenere nascoste, oscure e piccole ai loro occhi e a quelli degli altri e che il suo ordine, ben lontano dall'imporre loro cose appariscenti, chiede anzi il contrario.
E se sono bene istruite, [ sanno che ] si ingannerebbero se volessero andare per un'altra via: la loro via è la fedeltà nel proprio cammino, e trovano la pace nella loro bassezza.
Non vi è dunque differenza tra le due vie, se non quella che potrebbe nascere dall'amore e dalla sottomissione alla volontà di Dio.
E le anime che superassero [ in ciò ] coloro che sembrano lavorare più di esse negli impegni esterni, come non godrebbero di una santità più eminente?
Questo mostra che ogni anima deve contentarsi dei doveri del suo stato e degli ordini di pura provvidenza; questo, Dio lo esige da tutte le anime.
Per quel che riguarda l'attrattiva e le ispirazioni particolari nell'anima, non bisogna determinarvisi da se stessi, né alimentarne il desiderio interiore.
Lo sforzo naturale è direttamente opposto e contrario alla infusione; ciò deve venire nella pace.
La voce dello Sposo viene a svegliare la sposa [ che non deve ] camminare se non quando il soffio dello Spirito Santo la spinge.
Se esce di sua volontà non farà assolutamente niente.
Quando dunque non sente attrattiva e grazia per tante meraviglie che rendono ammirevoli i santi, bisogna che faccia giustizia a se stessa e dica: " Dio ha voluto questo dai santi e non lo vuole da me ".
Io credo che se le anime pie fossero istruite sulla giusta condotta da tenere, si risparmierebbero molta pena.
Dico questo per le persone del mondo e per le anime di elezione.
Le prime sappiano che la santità sta in quel che hanno tra le mani da fare in ogni momento, voglio dire i loro doveri quotidiani e le azioni del loro stato; le seconde sappiano che sta nelle cose di cui non fanno caso e che considerano inutili ed estranee alla santità, di cui si formano idee che le lasciano inquiete e che, per buone che siano, non mancano di nuocere loro perché le limitano a quello che esse immaginano di strepitoso e di meraviglioso.
Se tutte sapessero che la santità consiste in tutte le croci provvidenziali che il loro stato fornisce loro in ogni momento, e che non è uno stato straordinario quello che conduce alla più elevata perfezione, e che la pietra filosofale è la sottomissione agli ordini di Dio che trasforma in oro divino tutte le loro occupazioni, ecc … quanto sarebbero felici!
Come capirebbero che per esser santi non debbono fare più di quello che fanno e soffrire più di quello che soffrono!
Che ciò che lasciano perdere e non valutano affatto basterebbe per acquistare una santità eminente!
Come desidererei essere missionario della tua santa volontà, o Signore, e insegnare a tutti che non c'è niente di così facile, di così comune, né di così a portata di mano di tutti quanto la santità!
Allo stesso modo che il buono e il cattivo ladrone non avevano cose diverse da fare e da soffrire per essere santi, così due anime di cui una è mondana e l'altra tutta interiore e spirituale non hanno niente di più da fare e da soffrire.
E quella che si danna, si danna facendo per capriccio quello che l'altra che si salva fa per sottomissione alla tua volontà; e quella che si danna, si danna soffrendo con rimpianto e con mormorazione quello che l' altra [ sopporta ] con rassegnazione.
Dunque solo il cuore è diverso.
O care anime che leggete queste cose, anche a voi non costerà di più.
Fate quello che fate, soffrite quello che soffrite: cambiate soltanto il vostro cuore.
Il cuore è la volontà.
Questo cambiamento consiste dunque nel volere tutto quello che vi accade per ordine di Dio.
Sì, la santità del cuore è un semplice [ fiat ] , una semplice disposizione della volontà conformata a quella di Dio.
Che cosa c'è di più facile? Chi, infatti, può non amare una volontà così amabile e così buona?
E attraverso quest'unico amore tutto diventa divino.
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