Profeti una missione a rischio |
di Mina Poma
L'uomo è ricco di potenzialità, relative alle sue facoltà e al suo dinamismo interiore, ma spesso alcune si accentuano rispetto alle altre e la persona può risultare in modo prevalente, non certo esclusivo: razionale o emotiva, portata allo studio o all'attività concreta, artista o scienziato, propensa alla solitudine o aperta alla società.
Nello stesso modo ogni epoca storica è caratterizzata da alcune connotazioni, che scaturiscono da una molteplicità di fattori, di cui non sempre è possibile distinguere cause ed effetti: sono interessi predominanti, orientamenti di pensiero e di vita, modi diversi di studiare la realtà, di valorizzare l'uomo, di aprirsi verso Dio o di escluderlo dal proprio orizzonte.
Nell'antica Grecia, ad esempio, prevalente era l'interesse per la filosofia, considerata la scienza delle scienze, perché affrontava non solo settori specifici di ricerca, ma il problema dell'uomo o del cosmo nella loro globalità fino ad arrivare alle soglie della trascendenza; mentre nel mondo romano era predominante l'impegno politico nella sua impostazione giuridica e nel suo realizzarsi concreto.
Il Medio Evo, a sua volta, sperimentò la forza del cristianesimo e concretizzò un rapporto diretto fra la Chiesa-istituzione e la società politica.
Seguì l'epoca umanistico-rinascimentale con l'accentuazione dell'interesse artistico, che portò alle grandi opere d'arte, che ancora oggi ammiriamo.
Nel settecento e noll'ottocento si arrivò poi al predominio della ricerca scientifica, considerata la più sicura via del sapere perché fondata sulla ragione e sull'esperienza.
E alla scienza si ricollegò la tecnica, che ne rappresenta l'applicazione in campo concreto con risultati sempre più vistosi, che affascinano l'uomo e gli offrono vantaggi nei vari campi di utilizzazione.
È in questa atmosfera che vede l'uomo padrone dell'universo nella sua autosufficienza, che si fa strada il secolarismo con il rifiuto di Dio e trovano alimento il pragmatismo e l'efficientismo.
È un'esperienza di vita che pone in primo piano ciò che produce risultati concreti, ma ha alla base un'ideologia dalle varie sfaccettature.
Così « pragmatica » è la dottrina di Marx, che considera l'economia come fondamento di tutte le altre manifestazioni della vita umana e del corso della storia; nello stesso tempo « pragmatismo » si definisce una teoria americana che giudica tutto non in ordine a una verità oggettiva, ma in base alle conseguenze pratiche, all'utile che ne può derivare.
C'è del positivo in questi orientamenti, che valorizzano aspetti prima trascurati, come la grande incidenza del fattore economico nelle vicende storiche e l'importanza dei frutti per giudicare la fecondità dell'albero.
Ma essi nascondono il grosso rischio delle realizzazioni concrete portate avanti sia nei paesi comunisti, sia nelle società capitalistiche.
Secondo la Centesimus annus « se da una parte è vero che questo modello sociale mostra il fallimento del marxismo nel costruire una società nuova e migliore, dall'altra, se nega autonoma esistenza e valore alla morale, al diritto, alla cultura e alla religione, converge con esso nel ridurre totalmente l'uomo alla sfera dell'economico e del soddisfacimento dei bisogni materiali » ( n. 19 ).
La nostra stessa esperienza quotidiana ci fa toccare con mano quanto l'esigenza dell'utile immediato, il bisogno continuo di denaro, il calcolo dei risultati, attutiscano i valori profondi dello spirito e rendano sterili le esigenze più vere della persona umana.
I contrasti tra individui, talvolta della stessa famiglia, le lotte tra le varie classi sociali, le guerre tra i popoli, solitamente hanno come radice un conflitto di interessi, il bisogno di cercare il proprio utile, piuttosto che la giustizia, l'incapacità a superare l'egoismo per aprirsi alla solidarietà.
È la conseguenza del pragmatismo.
Se ciò che conta è l'utile, vale la pena impegnare tutte le energie per raggiungere la meta; ne viene di conseguenza che il tempo dedicato al lavoro produttivo occupa quasi totalmente la propria giornata e lascia pochi spazi alle altre attività che potrebbero alimentare la spiritualità, accrescere la cultura, essere strumenti di solidarietà.
Tutti siamo testimoni della vita frenetica di oggi, soprattutto se si vive in città, dove le corse al muoversi e al fare si moltiplicano a dismisura, dato il maggior numero delle persone.
E il bisogno dell'efficienza non si limita neppure alla sfera del lavoro, ma si estende al modo di valorizzare il tempo libero, che spinge ad altre fatiche per raggiungere località a loro volta « efficienti » nell'offrire servizi adeguati al benessere proprio e della famiglia.
« Essere efficiente » è proprio un ideale per l'uomo del nostro tempo più preoccupato di elevare il tenore della vita dal punto di vista economico che di curarne la « qualità », più proteso ad arricchire i figli, che a cercare spazi per stare vicino a essi, donando attenzione e amore.
E poiché anche la donna cerca giustamente di realizzarsi nel lavoro extradomestico, quando si accentua la frenesia del guadagno o l'ambizione del successo, viene meno l'equilibrio tra le necessità della famiglia e il proprio impegno personale.
Le conseguenze possono essere gravi, come dimostrano le crisi familiari, le difficoltà dei giovani, che non trovano modelli adeguati di comportamento, in quanto le esortazioni che ricevono spesso non sono accompagnate a esempi concreti.
Non tutto è negativo in questo bisogno di fare, nell'assillo del lavoro, nella ricerca del guadagno.
La vita richiede pure questo e ognuno è responsabile di ciò che riesce a produrre anche verso la società.
Ma il rischio sta nel sovvertimento dei valori, nel mettere in primo piano, in modo esclusivo, ciò che dovrebbe conciliarsi con altre esigenze, che pure hanno il diritto di trovare spazio per la loro realizzazione.
Il rischio sta nel puntare sulla quantità dell'utile, su un'efficienza che resta a livello effimero e non coinvolge tutta la persona.
Forse noi ci consideriamo esenti da questo rischio perché i valori in cui crediamo, la fede che professiamo, gli ideali che ci siamo proposti superano di molto la sfera dell'utile.
Ma come non possiamo sottrarci allo « smog » delle nostre città, così non possiamo considerarci immuni dalle tendenze prevalenti della società, in cui viviamo: è un'aria che respiriamo quotidianamente, è un inserimento quasi inavvertito, è un'atmosfera che ci coinvolge, anche a nostra insaputa.
Il rischio forse non è per noi la priorità dell'utile su tutto il resto o dell'efficienza per un guadagno più sicuro, ma la ricerca affannosa di risultati concreti, un voler essere produttivi a ogni costo anche nel campo della missione.
È vero che oggi l'urgenza della solidarietà ci chiama ad agire con prontezza per andare incontro alle necessità dei fratelli, è vero che il « Vangelo della carità » ci chiede la disponibilità totale, con senso di gratuità, nella scelta preferenziale per i poveri, esige concretezza nell'« assumere un'attiva responsabilità nei confronti del mondo in tutti i suoi aspetti » ( CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 23 ).
Ma non possiamo dimenticare che la carità è Dio e il nostro amore per i fratelli è frutto del dono che riceviamo; che la grazia per noi e per gli altri è anzitutto da accogliere e da cercare con la preghiera; che la verità del Vangelo è da contemplare nel silenzio, prima di essere testimoniata davanti agli uomini.
« La carità che è la vita di Dio viene riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo ( Rm 5,5 ).
Essa diventa, nei credenti, la partecipazione al dialogo di amore fra il Padre e il Figlio nella gioia dello Spirito » ( ib., n. 15 ).
E la carità di Maria, che ci viene offerta come modello, quando va dalla cugina Elisabetta o si accorge che a Cana non hanno più vino, è scaturita dalla preghiera, dal silenzio, dall'adesione alla volontà di Dio, nell'accettazione del suo mistero di amore.
Spesso noi, nella ricerca immediata del fare, non teniamo conto a sufficienza di questa preparazione spirituale che s'irradia nell'incontro con l'altro e si manifesta nell'attenzione, nella comprensione e nel dialogo, nel sorriso che suscita speranza prima ancora o contemporaneamente all'agire concreto, che è efficace, ma talvolta risulta impersonale.
È difficile per noi impegnarci a gettare dei semi di bene, senza tendere a raccogliere frutti, che invece solo il Signore può far maturare; è difficile credere che l'efficacia del nostro operare è solo relativamente legata all'intensità dell'agire, all'affannoso correre da un impegno all'altro, senza le necessarie soste.
Eppure l'episodio di Marta e Maria è sempre lì a ricordarci che l'impegno concreto è sì necessario, ma, quando è accompagnato dall'ansia del fare, può nascondere la ricerca di soddisfazioni nostre e di risultati gratificanti più che la gloria di Dio e il bene dei fratelli.
Per questo vale l'espressione di Gesù, che, pur valorizzando i preparativi di Marta, ha dichiarato che Maria aveva scelto la parte migliore.
La preparazione spirituale all'agire deve essere accompagnata da uno sforzo intellettuale, relativo alle nostre possibilità, per capire i problemi, per individuarne le soluzioni, per essere in grado di confrontarci con gli altri.
Infatti siamo in un'epoca di specializzazione, che richiede competenze specifiche.
E questo non solo nel campo professionale, ma anche in quello apostolico.
Com'è possibile, ad esempio, dedicarsi agli handicappati senza conoscere la natura dei loro limiti e i modi migliori per aiutarli nelle loro particolari condizioni?
Il fenomeno droga, a sua volta, esige conoscenze relative non solo ai prodotti del mercato e alla tecnica dello spaccio, ma ancora di più ai bisogni profondi e generalmente indistinti, alle esigenze psicologiche e al disagio manifesto o soffocato che spingono tanti giovani a un processo irriversibile di autodistruzione, di fuga a qualunque costo dall'anonimato, dalla monotonia quotidiana e, soprattutto, dalla solitudine.
E così i problemi degli anziani, che sembrano facilmente constatabili, in realtà sono complessi.
Per questo richiedono interventi adeguati, altrimenti si può recare danno invece che aiuto, come quando si favorisce in loro uno stato infantile, bisognoso di tutto o non ci si rende conto delle reali difficoltà che devono superare per rimanere attivi.
La missione può portarci anche a contatto con le famiglie, che vivono un'esperienza difficile, da comprendere nei suoi molteplici aspetti, prima di affrontarla dall'esterno.
E anche le singole persone, bambini, giovani e adulti, devono essere accostati non con la presunzione di poter dettare norme, ma cercando di capire le loro difficoltà esistenziali e l'incidenza che la società esercita su di essi.
Come la promozione umana richiede una conoscenza psico-sociologica come premessa all'azione efficace, così la « nuova evangelizzazione » deve fare i conti con il fenomeno del secolarismo e deve essere « nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione » ( Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 25 ).
Per testimoniare la fede, occorre anzitutto conoscerla nei suoi fondamenti dottrinali e nell'intensità del suo mistero, non decifrabile, ma da accostare con la sapienza, che viene da Dio.
E per dialogare con gli uomini del nostro tempo, è necessario conoscerne le difficoltà, sostenere con motivazioni valide il pensiero cristiano sull'uomo, sulla storia e su Dio, rendere ragione della speranza che è in noi.
I gradi di una preparazione dottrinale sono di vario livello, ma nessuno può esimersi dall'ascolto della Parola di Dio, interpretata dal magistero e approfondita dagli studi esegetici e teologici.
Anche la scelta di campo richiede di non avventurarsi in imprese superiori alle proprie possibilità.
E non per mancanza di generosità, ma per la consapevolezza che i nostri interventi devono essere mirati e non ridursi a un fare sconclusionato.
Non si può ritenere valida l'accettazione di un impegno politico da parte di chi non è in grado di assolverlo, com'è rischioso l'inserimento in un campo professionale, senza la dovuta competenza.
Lo stesso vale per i settori del volontariato, per i campi di missione, da scegliere sì in base alle urgenze, ma anche secondo le proprie possibilità.
E mentre si cerca di conoscere se stessi in ordine alle scelte di campo, è importante prestare attenzione alle espressioni della volontà di Dio, che non sempre vengono incontro alle nostre esigenze.
Ci sono lavori gratificanti che in alcuni periodi di vita possono richiedere una sospensione per altri impegni, come l'assistenza a una persona di famiglia ammalata, che può costare molto di più e gratificare molto di meno.
Ritorna sempre il motivo di fondo: non è la quantità o la qualità delle cose da fare che conta, ma la disponibilità all'amore, che ci rende attenti alla volontà di Dio e alle necessità dei fratelli.
Il rischio dunque del pragmatismo e dell'efficientismo esiste anche per noi, ma è possibile ridurne gli aspetti negativi se non ci lasciamo travolgere dall'atmosfera in cui viviamo, ma teniamo presente:
- la necessità di coltivare interessi, al di là del semplice fare, come l'amore al bello, il gusto del leggere, la scelta oculata degli spettacoli, non condizionata dall'eccesso di produzione dei mezzi di comunicazione sociale;
- l'importanza della preghiera non solo in determinati spazi della giornata, ma anche intervallandola prima e dopo l'azione, in modo da introdurre una piccola sosta che ci porti a riflettere su quello che stiamo facendo;
- l'utilità del discernimento, come premessa all'azione da valutare possibilmente nei suoi vari aspetti e nelle conseguenze che ne possono derivare: discernimento, che è manifestazione di sapienza, che viene dall'alto, di competenza umana, di confronto in una ricerca condivisa con gli altri.
Poste queste premesse, l'agire diventa necessario e solitamente risulta efficace, perché non è più un correre frenetico, ma un muoversi conoscendo la meta e i mezzi più idonei per raggiungerla.
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