Radicalità dei Consigli Evangelici nel quotidiano |
di Maria Canepa
Consigli evangelici professati e vissuti nel mondo: un'utopia? una scelta impossibile? una forma di alienazione?
L'esperienza vissuta dai membri degli Istituti secolari sembra smentire queste valutazioni e affermare, al contrario, la possibilità di realizzare una radicale sequela di Cristo, in questa forma, nelle normali condizioni di vita.
Quello che per secoli era stato privilegio di coloro che seguivano la chiamata a separarsi dal mondo, oggi appartiene a pieno titolo - come sappiamo - anche a coloro che per vocazione hanno scelto di restare nel mondo, seguendo le orme di Cristo che ha voluto incarnarsi nella storia dell'uomo.
Si tratta di una scelta certo non facile, che rischia - se non è autentica - di essere scambiata, da coloro che la osservano dal di fuori, per una soluzione di comodo.
Essa, invece, proprio perché dettata dallo Spirito, si propone di offrire, per la trasparenza delle motivazioni e per la totalità del dono di sé, una testimonianza profetica dell'assoluto attraverso le quotidiane manifestazioni di una vita comune a tutti.
Ma è un cammino tutto in salita.
Paolo VI, con finissima intuizione, così lo descrisse in un passaggio - divenuto celebre - di uno dei suoi messaggi ai membri degli Istituti secolari: « Voi camminate sul fianco di un piano inclinato, che tenta il passo alla facilità della discesa e che lo stimola alla fatica dell'ascesa. È un cammino difficile, da alpinisti dello spirito ».
Dalle testimonianze raccolte nelle pagine che seguono emerge un vissuto ricco di luci e di ombre, in una trama di gioiose certezze e di umana trepidazione, di slanci generosi e di umile consapevolezza del limite, ma pur sempre nella ricerca quotidiana di una amorosa fedeltà al disegno di Dio sulla propria vita.
Le riflessioni ed esperienze che ci vengono offerte sono presentate in relazione ai tre consigli evangelici visti separatamente, secondo lo schema classico, anche se essi non sono che tre aspetti di un unico mistero di carità, come ci indica l'insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II.
La selezione dei contributi ha certamente dei limiti, tuttavia può essere ugualmente ricca di stimoli e di provocazioni.
Per vivere con autenticità la scelta della castità consacrata è necessario prendere coscienza del dono ricevuto e cercare di coglierne il significato profondo.
I contributi che seguono ci presentano due piste interessanti: l'una di verifica sul filo di domande esigenti da porre a se stessi e l'altra di riflessione per una non superficiale ricerca attorno al proprio essere e al proprio vivere.
Una mia amica, consacrata, ha deciso di lasciare la consacrazione e di sposarsi.
Questo mi ha fatto molto pensare su di me.
Posso dire che la mia fedeltà alla chiamata sia stata « anche » costruita da me? che il mio cammino a fianco del mio Signore sia stato costruito da una continua ricerca di unità, di intimità, di comprensione di Lui, di donazione a Lui, soprattutto?
Posso dire di essermi preparata a resistere alle tante occasioni che mi possono spingere, mio malgrado, a non vedere più il Signore come il « mio Signore »?
Posso dire di aver davvero visto la mia situazione di celibato, di castità, come il dono di Lui che mi dava la sua Vita, il suo Spirito, il suo Corpo, in cambio della mia vita, del mio spirito, del mio corpo, che non sono messi da parte, ma portati a pienezza?
Posso dire di aver cercato di crescere sempre più come persona, facendo unità tra il mio corpo ed il mio spirito, senza negare, inibire o accontentare il mio corpo, ma piuttosto facendolo collaborare con la vita dello spirito, per realizzare il mio « essere » di persona globale?
Queste e tante altre domande mi si affacciano alla mente.
Mi domando se la mia è una « vera » fedeltà, cioè una ricerca del Signore per conoscerlo, amarlo e servirlo, cioè per realizzare la pienezza della mia vita, nascosta in lui, finché la mia vita sarà per sempre in Lui Trinità.
Mi domando se la mia vita non sia forse un'abitudine a questo tipo di scelta che ormai mi trovo a vivere, « abbastanza contenta » di essere stata chiamata a vivere così, ma non « entusiasta » di questo dono di me a Lui e di Lui a me.
Devo cercare di rispondere a queste domande, non tanto teoricamente ( perché conosco bene tutte le risposte « teoriche » ), quanto nel « guardarmi vivere » per mettere davvero tutte le mie potenzialità a servizio di questa fedeltà.
Devo cercare di rispondere a queste domande dialogando con Lui, perché Lui faccia luce, perché Lui mi dia forza e gioia per amarlo al di sopra di tutto, perché Lui prenda possesso di me, rispondendo alla profondità del mio essere, al di là della povertà del mio io, al di là della mia povertà di ogni giorno, perché il mio « essere », spirito e corpo, è consacrato a Lui.
A di M.
È importante trovare in sé la realtà che si muove.
Ciò presuppone un guardarsi attento, una introspezione educativa.
Domandarsi il perché di una cosa è imparare ad andare a fondo, a giustificare le scelte.
Per me, conoscere ha costituito sempre una grossa attrattiva, accompagnata però anche da una non ben chiara paura.
Oggi le mie paure non sono le stesse di ieri, ma anche nel vivere presente io sento emergere ancora tante difese, allergie, reticenze.
Certo non presumo di potermi conoscere fino in fondo.
Eppure so che c'è chi conosce la mia identità e me la può rivelare.
Il Signore che mi ha donato la vita, mi da anche la possibilità di conoscermi per entrare in relazione con Lui con tutta me stessa.
E il suo amore continua a sollecitarmi, ad aprirmi …
Qui si innesta il mistero della mia vocazione, la coscienza di ciò che in me si sviluppa nel tempo, il mio andare verso gli altri ricevendo da loro, accogliendo insieme il seme e il frutto della Parola di verità.
Pensare, serbare in cuore, ascoltarmi, vivere, credo sia stato e sia tuttora per me il cammino più naturale, laborioso ma illuminante, dove la mia coscienza affiora, si cimenta nell'esperienza del vivere, nella relazione col Signore e con gli altri.
Quando queste tensioni non si compenetrano, qualcosa diventa opaco, viene meno il senso cristiano della mia vita, della mia consacrazione.
Direi che è cresciuta in me una più cosciente libertà di vedermi, sentirmi, continuare a conoscermi nella manifestazione dei miei sentimenti, come delle inibizioni, insicurezze, fragilità, o anche possibilità, ma senza farmi violenza, accogliendomi.
E questo mi dà un senso di gioia e mi apre alla comprensione degli altri.
Forse oggi non sono più preparata di ieri, la mia formazione la sento sempre all'inizio, però mi pare di poter guardare dentro di me, e parlare di me, disponibile ad accogliere una confidenza con animo aperto, mentre continuo a cercare la Verità.
G.O. - Verona
Tuttavia questa presa di coscienza non è scevra da ostacoli, a partire da quelli culturali.
Uno dei più comuni riguarda una falsa concezione del valore del corpo, dell'affettività, della sessualità, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano dell'equilibrio psicologico e della vita spirituale.
È dunque un'esigenza primaria cercare di superare eventuali « tabù », per poter parlare con libertà dei problemi che toccano la sfera più intima della persona.
Mi sono fermata a riflettere sulla castità consacrata.
Secondo me è uno degli argomenti più difficoltosi da trattare: lo è per me, e penso lo sia per molte di noi.
Difficile da trattare perché legato all'argomento sessualità di cui non parliamo con facilità o disinvoltura.
Siamo abituate per vari motivi a considerarlo un argomento tabù.
Difficile perché si ha l'impressione che la sessualità, e per conseguenza la castità, sia un fatto assolutamente personale, tutt'al più un fatto tra noi e Dio, su cui bisogna essere molto ma molto discreti: insomma che non va messo in comune.
Per giunta la sessualità è considerata un mistero della persona umana, e i misteri, si sa, siamo portati a liquidarli piuttosto in fretta perché non è facile parlarne, non si capiscono.
Gli anni mi hanno fatto almeno intuire che è tutto abbastanza sbagliato.
Sappiamo che la sessualità è parte così integrante della persona umana che si può dire che essa ha la stessa importanza della vita dello spirito e della coscienza, della vita fisica e psichica: tutte componenti della persona messe in noi da Dio.
Non so spiegare bene come, ma capisco che la sessualità, cioè l'essere fisicamente, psichicamente, affettivamente uomo o donna, col profondo e innato istinto verso la persona di sesso opposto, influenza profondamente il nostro pensare e agire, il nostro porci di fronte agli altri: imposta cioè fin dalla nascita tutta la nostra vita di relazione.
E non mi pare davvero cosa da poco.
Fa parte di noi, della nostra vita.
Certo, non tutto va liscio nel viverla, come non va liscio nella capacità di essere sempre onesti, sempre giusti, sempre disponibili, sempre in buone relazioni con Dio …
Con una differenza, forse: rispetto agli altri peccati, mancanze, difetti, quelli legati alla castità ci sembrano enormi, ci scombussolano.
Non sono forse tutti egualmente peccati davanti a Dio?
Possiamo forse dire che non aver amato il prossimo è meno grave che non aver amato nel modo giusto noi stessi?
Eppure parliamo ( anche con la nostra responsabile ) più facilmente delle difficoltà a pregare, ad essere giuste, oneste, povere, disponibili, che delle difficoltà relative alla sessualità, all'impegno di castità …
Forse bisogna fare un esame un po' più approfondito di questa problematica e trarre alcune convinzioni di fondo che pian piano portino a rimuovere i tabù che eventualmente ci portiamo dentro; a modificare qualche opinione, magari ereditata, a impostare in modo più corretto e completo i rapporti con noi stesse, con Dio e con la responsabile.
Con la scelta che abbiamo fatto, e quindi con la consacrazione, noi abbiamo rinunciato all'apertura verso un altro, ma solo perché abbiamo scelto la possibilità di un'apertura più ampia verso gli altri, verso tutti.
Noi abbiamo rinunciato ad amare ed essere amate da uno per poter avere - con l'indispensabile aiuto della grazia, legata alla vocazione - un animo particolarmente affinato e capace di amare molti, e - coltivando nella preghiera il rapporto con Dio - anche la certezza di essere amate da Uno.
E fin qui tutto è chiaro e ben accettabile.
Quello che accetto meno facilmente, e mi disturba, è il fatto che tutto questo non avviene come per incanto, magari nel momento del « sì » al Signore, e che dopo la consacrazione mi ritrovo come ero, con la mia sessualità e tutte le sue tendenze naturali … quelle tendenze che possono crearci quei 'fastidi' ( come forse li definiamo ) di cui non parliamo volentieri …
E, per giunta, non spariscono con gli anni; anzi, ad una certa età diventano più vivaci, legati come sono anche a fenomeni fisiologici.
Penso che molte difficoltà potrebbero essere evitate se avessimo sempre una visione chiara e serena del problema, se vedessimo le cose nella loro giusta dimensione.
L'importante dunque è vederle e farsi aiutare a vederle così.
M. E. - Catanzaro
Uno degli accorgimenti più importanti per un aiuto concreto a superare i tabù e a vivere serenamente, malgrado gli inevitabili rischi e conflitti interiori, l'impegno della castità consacrata è la comunicazione fraterna, condotta in un clima di naturalezza e di fiducia reciproca.
Ma come superare le difficoltà che normalmente si incontrano nella comunicazione su questo argomento?
Le seguenti riflessioni sembrano fermarsi alla constatazione di tali difficoltà, senza offrire indicazioni utili a risolverle.
Tuttavia il fatto che esse sollevino il problema ponendo l'accento sul « dover essere » in un campo così importante e delicato a livello di scambio fraterno è già un segno positivo e una prospettiva liberante.
Per la mia esperienza personale mi pare che la formazione alla castità sia andata sempre più sul piano spirituale, perciò alla base c'è sempre stata la parola di Dio e le costituzioni.
Questo non ha messo a tacere anche tutta la dimensione umana di relazione, di crescita, di valorizzazione dell'affettività, di tutti gli aspetti che fanno della persona una donna.
Però ho sentito, anche nella relazione con le altre, che questa dimensione spirituale non sempre le ha aiutate a calare poi nella realtà, nella comprensione del proprio essere donna in tutte le dimensioni.
E quindi è rimasto un aspetto, questo, in cui ciascuna si è trovata un po' da sola a camminare.
Mi sono chiesta che cosa può aiutarci a essere più libere, più spontanee a parlare anche fra noi.
Qui le costituzioni dicono: « può esserci d'aiuto anche la trasparenza con la responsabilità e la fraternità nell'Istituto », fraternità non solo come già ora la viviamo, ma anche parlare con semplicità delle difficoltà e dei mezzi di cui abbiamo bisogno per crescere nella castità consacrata.
A questa domanda « che cosa fare per … » non sono riuscita a dare una risposta né a livello personale e neanche a livello comunitario perché sento ancora molte riserve, molte remore a parlarci con molta semplicità.
Vedo che negli incontri si approfondiscono tanti aspetti e viene tanto aiuto, non solo nelle adunanze ma anche negli incontri personali, ma mi sono accorta però ( le volte in cui è stato possibile avere un dialogo più aperto ), di quante difficoltà invece ciascuna porta dentro e si trova da sola spesso a superare.
Per esempio come incanalare bene la propria affettività, il problema che emerge spesso dalla solitudine, come valorizzare e vivere armonicamente la propria affettività, il problema dell'amicizia con tutti, amicizia libera e profonda, autentica e sincera.
Questo essere capaci di comunione con tutti, di amicizia vera, libera, profonda come ci chiedono le costituzioni, è frutto di allenamento continuo, di crescita continua.
Invece sento il rischio di buttarsi a capofitto nelle relazioni con gli altri, nella realtà che ci circonda e di rimanervi schiavi, anche a rischio della crescita della vita consacrata.
A.C. - Corata
Non so se parlare di « castità consacrata » o di « sessualità consacrata » dal momento che nella nostra vita, per una determinata scelta, si crea l'esigenza di parlare di un certo modo di vivere la sessualità che è la castità consacrata.
Personalmente avverto che tra noi siamo disposte a parlare dei frutti che dovrebbero emergere da una persona che vive questa vocazione, e questo è importante perché ci è di aiuto a tener vivi i motivi per cui tendiamo a vivere così.
Fin qui mi pare che siamo disponibili ad aiutarci offrendoci dei mezzi, sostenendoci, stimolandoci a guardare la meta.
Mi pare che la nostra difficoltà in questo campo sia quella di darci l'attenzione, la disponibilità a cogliere ciò che in realtà vive la persona che si avvia o che percorre la strada del celibato consacrato.
Su questo noi facciamo silenzio.
Non osiamo parlarne, non osiamo guardarci dentro.
Nell'Istituto mi sono sempre sentita dire che la vergine è più feconda della donna sposata ( io dico « dovrebbe essere come la donna sposata » ) e questo lo dice anche la Bibbia.
Io però ho fatto l'esperienza di sentirmi inferiore alla donna che fa crescere un figlio dentro il suo utero.
Perciò un conto è capire a livello di logica, di testa, un altro è sentirsi in armonia con i sentimenti che abbiamo dentro.
Per me è importante educarci all'accoglienza del nostro corpo ( conoscerlo anche ) e del nostro « sentire » che ci interpella dentro, di ciò che accade man mano che viviamo.
È diventare consapevoli delle nostre esperienze.
A volte ho colto che arrivando all'Istituto si sente il dovere di chiudere in un sacco le proprie esigenze ( di piacere agli altri, di valutazione positiva del proprio corpo, di attrattiva verso l'uomo ) e si impiegano delle energie ( talvolta molte energie ) per tenere ben chiuso questo sacco … e questo può portare a una regressione, piuttosto che aprire al dono di noi stesse.
Forse sentiamo che vivere ( non tenere sotto vetro ) la nostra sessualità, permettendoci così di espandere tutte le nostre potenzialità, può essere rischioso; lo sentiamo come una minaccia per cui le nostre energie sono impiegate più a equilibrare, misurare, proteggerci, che a espanderci, e così ci sottraiamo parte del gusto del vivere.
È vero che l'affettività, il lasciare spazio ai sentimenti può portare a … travolgere, ma se noi guardiamo in faccia anche questa realtà e favoriamo il cammino di maturazione anche attraverso questi momenti di « fuoco », non ne usciremo bruciate ( come temiamo ) ma diventeremo coscienti di quale importanza hanno per noi l'affettività, la sessualità, il rapporto con l'altro.
Capiremo meglio le spinte che giocano in certi rapporti a volte esaltandoli, o inibendoli, strumentalizzando le persone, e riusciremo gradatamente a comprendere cosa vuol dire avere un rapporto soddisfacente che diventi aiuto scambievole.
Ma perché riusciamo a vivere questa parte fondamentale di noi stessi con vivezza abbiamo bisogno di essere aiutate, di darci aiuto.
Cioè abbiamo bisogno di portare maggiormente alla luce quello che la nostra persona reclama per cercare insieme alla responsabile come viverlo nella nostra situazione concreta, nella nostra scelta.
A.F. - Roma
L'impegno della castità consacrata è un valore da far crescere progressivamente come risposta sempre nuova alla chiamata, anche in vista di una piena realizzazione della propria maturità umana nel rapporto con Dio e con i fratelli.
« La castità è la relazione personale e diretta con il Signore ».
Secondo la mia esperienza personale la relazione con il Signore deve essere, o meglio dovrebbe essere, profondamente umana e divina.
Ciò avviene quando si verifica l'incontro tra la persona umana, con tutto quello che è, e il Tu del Signore come Lui è.
Ossia un incontro tra due persone: Gesù uomo-Dio e me, donna, con tutta la realtà che sono.
Però perché possa avvenire il « tu per tu » con il Signore deve avvenire nello stesso tempo un « tu per tu » con me stessa; l'incontro tra me e il Signore, nel senso di vivere il dialogo con Lui è possibile solo se accetto d'incontrarmi con me stessa, con l'« io » che sono.
Aprirmi al Signore nell'incontro con la sua umanità, porta con sé la necessità che io mi apra alla mia umanità, a ciò che sono realmente, a guardarmi senza « veli » ( che sono la paura di avere delusioni su me stessa, un certo impegno a mantenere dei punti fermi, la difficoltà ad accettare di conoscermi, di guardarmi nella verità ).
Così mi pare che incontrandomi in questo modo con il Signore imparo a incontrarmi con gli uomini e dall'incontro con questi ultimi posso verificare di che tipo è la mia comunicazione con Lui.
L'apertura verso un cammino di verità con gli uomini, che è di comunicazione sincera di ciò che uno vive e tenta di vivere, è anche via per l'incontro col Signore.
Un'altra cosa che sento è che oggi incominciamo a capire che la castità non è uno stato raggiunto per sempre dalla persona, ma è un bene cui tendere, offerto a ogni uomo nella propria realtà di vita.
Così come è necessario fare la strada per conoscere i sentimenti, le difficoltà, i bisogni che emergono dentro di noi in modo da raggiungere gradatamente una certa consapevolezza circa la nostra sessualità affinché sia sempre meno un enigma da cui difendersi e più un bene da vivere e di cui gioire.
Forse possiamo dire che castità vuol dire la possibilità di amare in un certo modo che va gradatamente espandendosi a partire dalle persone che più ci sono care: è un modo di essere in relazione con Dio e con gli uomini.
Il difficile è fare la strada della relazione d'amore.
Tutti noi dobbiamo riconoscere che viviamo magari degli aspetti della relazione ( spesso con una persona viviamo un aspetto, con un'altra ne viviamo un altro ), difficilmente siamo capaci d'incontro profondo, un incontro dove da ambo le parti si accetti di comunicare nella verità e autenticità.
A.F. - Roma
La scelta della castità per il Regno è certamente fondata sulla fede e non su motivazioni umane.
Essa esprime in modo radicale quel mistero di carità che orienta tutta la vita della persona consacrata verso Dio e verso i fratelli.
Quest'ultimo aspetto comporta esigenze forti, legate al nostro impegno di persone che vivono nel cuore del mondo, a contatto con tutte le miserie umane, anche le più aberranti.
Forse anche sul celibato dobbiamo rivedere un po' le idee tramandateci con un linguaggio che, grazie a Dio, va scomparendo e che ci dava della castità soprattutto un'idea in negativo: stare attenti a … non fare, non pensare, non dire, ecc.
Oggi, come ai tempi del Signore, questo stato di vita non è compreso.
Spesso è oggetto di dubbi, derisioni, ironie.
In sostanza, troppa gente pare non credere neppure alla possibilità che una persona possa vivere in continenza volontaria.
Ma forse mancano le idee chiare sul significato di fede che è implicito in essa.
Ci sono infatti persone che scelgono il celibato come stile di vita: per motivi professionali, per vivere liberi e indipendenti, ecc.
Una scelta, è chiaro, che non ha un significato cristiano.
E non capisco perché si accetta il celibato per motivi così umani e discutibili e si resta dubbiosi o scettici quando esso è scelto in vista del Regno, per un migliore servizio ai fratelli, per una maggiore disponibilità nell'apostolato.
Mi pare di dover sottolineare qui, ancora una volta, che il celibato consacrato è principalmente per un motivo di fede: « in vista del Regno », e che il miglior servizio ai fratelli è, secondo me, un motivo secondario, un motivo sociale.
Ad ogni modo, il celibato consacrato è lo stato di vita di chi continuamente cerca il modo di realizzare gradualmente l'incontro con l'Altro per arrivare a un migliore incontro con gli altri.
Come realizzare gradualmente l'incontro con l'Altro?
Sicuramente nella preghiera, nella meditazione: nella Scrittura, impariamo il significato dell'amore e dell'amore gratuito: dare, dare, dare senza mai attendersi di essere ricambiati o che il nostro amore venga riconosciuto.
Impariamo il significato della fedeltà, dalla fedeltà di Dio, così che a poco a poco il nostro amore umano diventi verginale, cioè un amore ancora umano, perché siamo umani, ma liberi dalle attrazioni sessuali .
Come arrivare a questo? Solamente Dio può insegnarci come; solo Lui può « sedurre, condurre nel deserto e parlare al cuore » ( Os 2,16 ).
Ma è soprattutto nella preghiera, nella fedeltà ad essa che affondano le radici della nostra castità consacrata.
È nel contatto con Dio che l'amore umano si affina, si concretizza nella carità e impara anche a scoprire tutte le contraffazioni dell'amore nelle molteplici situazioni in cui viene a trovarsi nel contatto con i fratelli ( divorzio, amore libero, aborto, pornografia, pubblicità a base di sesso, 'affettuose amicizie' ecc. ecc. ).
Se il celibato non è per noi una fuga da tutte queste negazioni, allora queste realtà bisogna conoscerle per poterci rendere capaci di farvi fronte in modo responsabile.
Non possiamo chiudere gli occhi sui problemi dei fratelli perché sono negativi.
Ovviamente non possiamo neppure aprirli per curiosità, ma per cercare nella preghiera e nel dialogo con le sorelle d'Istituto le soluzioni cristiane e il coraggio di agire di conseguenza.
Dobbiamo stare attenti che il nostro « amore ai fratelli » non sia, non diventi una frase fatta, un amore generico e ideale, ma sia realmente, concretamente un amore alla realtà d'ogni giorno, nella « loro » realtà.
Un'ultima cosa mi pare di poter dire con certezza; se vivessi la castità in questi termini, sicuramente non sentirei mai la solitudine, la mancanza di amicizia, il vuoto d'una famiglia mia; non temerei la vecchiaia; non avrei tempo di sentirmi una nullità; non coltiverei, con insistenza degna di migliore causa, l'idea d'una vita all'insegna del fallimento, ma vivrei nella gioia.
M. E. - Catanzaro
L'esperienza del dono di sé nella castità consacrata è una realtà dinamica che si sviluppa e si arricchisce nelle successive stagioni della vita.
I due contributi che seguono ci offrono una lettura, in retrospettiva, di una lunga esperienza vissuta, evitando talune acquisizioni maturate via via, come l'accettazione del corpo, il valore di complementarità della castità consacrata rispetto al matrimonio, l'aspetto di povertà insito nella castità stessa.
In quest'ultimo anno ho riflettuto su questa tema.
Per capire meglio cos'è stata e che cos'è attualmente per me la castità, ho cercato luce, ho cercato di approfondire le mie conoscenze in materia.
Ora vado confrontando quello che apprendo con la mia vita per scoprire da dove sono partita, come l'ho vissuta negli anni, come la vivo attualmente e che cosa devo cambiare.
Sono risalita ai miei 17-18 anni, epoca della mia scelta di vita.
È stato in quel periodo che mi sono innamorata di Cristo, che ho capito che volevo vivere un rapporto intimo, esclusivo con Lui.
Questo mi sembra fosse chiaro anche allora.
Sentivo però la mia debolezza, avevo paura che le sollecitazioni del mondo mi portassero lontana da Lui, di essere sola nel cammino.
L'incontro con l'Istituto mi ha aiutata a chiarificare con me stessa la mia vocazione, ciò che volevo fare della mia vita.
Ora il cammino percorso mi sembra più chiaro ma è stato nebuloso e tentennante mentre lo vivevo.
Così non ricordo se all'inizio sono stata consapevole che la mia è stata la risposta ad una chiamata e che nel cammino di fedeltà intrapreso eravamo impegnati in due: Gesù e io.
Durante gli anni questo si è fatto più chiaro ed ora posso constatare con stupore, gioia e riconoscenza che Lui si è impegnato con me, che ha preso sul serio il suo impegno.
Lui è stato fedele anche quando io non lo ero e continuamente con il suo amore e con la sua fedeltà stimolava il mio amore e la mia fedeltà.
Credo di aver vissuto per molto tempo la castità come una cosa diversa da questo rapporto personale con Lui, cioè da una parte c'era il rapporto con Lui che doveva crescere, diventare sempre più personale ed intimo, dall'altra la castità che era custodia della purezza della mente, del cuore, del corpo in vista della fedeltà a Lui.
Era come se fossero due cose diverse.
Ora capisco che più cresce quest'amore per Lui, più diventa intimo il rapporto con Lui, più delicata, più viva, più vissuta è la castità.
Questo rapporto con Cristo però non è un rapporto fine a se stesso, chiuso; è in vista del Regno che deve crescere in me e nei fratelli.
È castità vera se questo rapporto con Lui mi rende capace di fare comunione, capace di amare ogni fratello così com'è, e tra i fratelli chi è più povero, solo, malato, nella prova.
Ora l'impegno più grosso è in questa ricerca di comunione con Lui e con i fratelli.
Credo di essermi creata molte difficoltà nel vivere la castità perché non volevo accettare di avere un corpo con determinate esigenze, di avere un cuore con altrettante esigenze, quindi ho speso molte energie cercando di reprimere, invece di capire ed accettare come sono fatta.
Ora cerco di non lasciarmi spaventare dalla tentazione, anche se non voglio con questo assecondarla, ma cerco di capire quale esigenza esprime, cerco di capire questa esigenza, accettarla ed offrirla.
Convivo meglio con il mio corpo, lo amo di più.
C. M.
Ognuna di noi ha la sua esperienza di castità, vissuta con le caratteristiche del suo temperamento, della formazione ricevuta, dell'ambiente in cui ha maturato la sua scelta di vita.
La castità è una strada che si snoda lungo tutto il percorso della vita, con caratteristiche e percorsi che mutano con le stagioni della vita stessa: agli inizi è ampia, pianeggiante e assolata; più tardi si fa ripida e scoscesa; quasi in ombra nell'età adulta, prima di aprirsi, con gli anni della maturità ( almeno anagrafica ) su sentimenti riposanti, già noti, arricchita di un'esperienza che, se pur non definitiva, conosce i ritmi dell'andare con passo sereno e calibrato.
La castità consacrata nel celibato per il Regno è un dono di Dio assolutamente gratuito, che chiede di essere custodito e pure continuamente ri-donato nella vita, con tutta la gratuità e la generosità di cui siamo capaci.
È questo dono, accolto dentro, che potenzia la nostra capacità di amare, rendendola genuina e concreta, per un amore fecondo, personale e universale insieme.
Quando batte alle porte del cuore, nella prima giovinezza, sembra di avere le ali e non si è pienamente consapevoli del dono che si riceve e della sua forza: lo viviamo con entusiasmo, ma forse anche con superficialità e incoscienza.
È certamente un segno molto preciso, importante per noi: una freccia nitida e scintillante che indica la via della « Sequela Christi », cui il Signore ci chiama; lo slancio e l'immediatezza caratterizzano la risposta e ci trascinano nell'avventura meravigliosa di seguire il Cristo più da vicino.
Ma il dono ha bisogno di mettere radici in noi, di crescere, fino a diventare espressione di amore oblativo, amore da persone adulte.
Probabilmente solo dopo anni di vita e dalla vita stessa emerge la portata del dono, la responsabilità che l'impegno di castità comporta, anche nei confronti degli altri, nella vita di tutti i giorni.
Allora ci accorgiamo che le radici si sono ramificate in ogni fibra del nostro essere, fino a creare convinzioni, abitudini, comportamenti che costituiscono uno stile di vita e di servizio.
E necessaria una verifica, un vaglio nelle diverse età della vita, perché il sì sia rinnovato, ogni volta più esigente nell'amore ricevuto-donato.
Io ho scoperto a una certa età che la castità, come le altre virtù, è suscettibile di crescita; prima pensavo che fosse un dono fatto a Dio e ai fratelli, una volta per sempre, non una realtà chiamata in causa dalla vita di ogni giorno e da vivere progressivamente con esigenze e aspetti sempre nuovi.
Penso che debbano andare in crisi molte sicurezze per cominciare a vivere la castità nella libertà, in modo più equilibrato, più umano, più vicino ai problemi degli altri.
La nostra castità consacrata, infatti, se assume il suo significato e valore da Gesù Cristo e in vista di Lui, ha però nella Chiesa e nella società un valore di complementarità, rispetto ad altri doni e carismi, in particolare rispetto al Sacramento del Matrimonio.
Non siamo dei « separati », il nostro celibato consacrato vissuto nella condizione secolare, ci pone gomito a gomito con i nostri fratelli, e non soltanto dal punto di vista, per così dire, sociologico; la condivisione delle realtà e delle difficoltà riguarda anche la nostra castità: siamo segno ( e la castità è il segno più visibile della nostra Consacrazione ), ma non dall'alto, o ritenendoci dei privilegiati, lo siamo piuttosto quando viviamo la fatica del dono, come gli sposati vivono le difficoltà della loro castità matrimoniale.
Esiste l'aspetto di povertà della castità, quello che forse tocca maggiormente alle radici la nostra natura femminile, quello per cui avvertiamo che ci manca « qualcuno »: è la solitudine del cuore o, più semplicemente, la solitudine reale.
Inizialmente ho fatto fatica ad ammettere e ad accogliere questa situazione, quando si è presentata, ma patire questa povertà fa parte del dono, così come prenderla dentro di noi, viverla serenamente, lasciandoci purificare.
L.F. - Roma
Infine, per chiudere con una bella sintesi questa carrellata di esperienze-riflessioni sul tema della castità consacrata, ecco ciò che scrive una di noi prendendo spunto dall'immagine evangelica della « perla di gran valore »; C'è una poesia che mi piace molto e che sento molto vicina al mio cammino: « La perla di gran valore »: « La perla di gran valore / è nascosta profondamente.
/ Come un pescatore di perle, / o anima mia, tuffati / tuffati nel profondo /tuffati ancora più giù e cercai …
/Quelli che non sanno il segreto /si burleranno di te /e tu ne sarai rattristato /Ma non perdere coraggio …
/ La perla di gran valore / è proprio là nascosta …
/Tuffati nel profondo / tuffati ancora più giù / come un pescatore di perle, /o anima mia.
/E cerca, cerca, senza stancarti ».
Sì, la ricerca è stata una caratteristica che ha scandito alcune tappe fondamentali nella mia crescita, è diventata spesso la condizione di partenza per avviare alcuni piccoli cambiamenti.
Il primo obiettivo da raggiungere era scoprire la mia identità, conoscere ciò che sono, le mie realtà più profonde e più vere.
C'è stata e c'è la ricerca della Verità, quella Verità maiuscola che conduce nel luogo più nascosto di se stessi, dove c'è solitudine ma dove si trova pure l'« essere » senza finzioni, senza maschere.
È qui che ho sentito nascere il desiderio di entrare in relazione profonda con me stessa, con gli altri, con Dio, perché sperimentavo che attraverso le relazioni si cresce, ci si rivela a se stessi, si diventa persone.
Questo mi ha aiutato ad accettare la mia storia, la mia originalità, mi ha spinto a scegliere di poter prendere il mio posto in questa umanità.
Così è arrivato il momento della concretezza, quasi un passaggio obbligato per scoprire una realtà nuova della vita, per capire che essere fedeli a Dio, alla sua chiamata, è soprattutto essere fedeli a se stessi e a ciò che il Padre ha scritto nei nostri cuori.
E nel rispondere a questo ho trovato il senso di ogni giorno, la voglia di guardarmi con autenticità, scoprendo sempre aspetti nuovi di me e imparando a cogliere negli altri l'essenziale, il vero, il buono.
Ho provato la gioia di vivere dentro un grande mistero d'Amore e di comunione che mi spinge sempre di più a cercare unità e a rendere vera, gioiosa, dinamica la mia vita.
In questo contesto, la mia castità diventa una pienezza di vita … non una frustrazione, diventa un segno dell'Amore di Dio per l'umanità.
Un amore universale non esclusivo, aperto a tutti, che fa essere un poco come il grembo di Maria che porta in sé tutta l'umanità.
Così, un po' alla volta, sto imparando che esiste un modo nuovo di rapportarsi a qualunque realtà, e c'è un atteggiamento di ascolto, di accoglienza, di fraternità che m'invita ad aprire il cuore ad ogni uomo e ad uscire dal mio quieto vivere per camminare con fedeltà nel quotidiano.
È bello sentire che si sta costruendo un amore nuovo, ricco e fecondo, che mi porta a maturare come persona e a crescere nel rispetto dell'altro, diventando sorella, amica, madre.
La perla di gran valore … forse è proprio qui, nascosta nel cuore di ogni uomo, e, scoprendola, la nostra vita si riempie di fiducia, di speranza, di novità.
G.M.
Indice |