Il paradosso delle Beatitudini |
di Lia Pilleri
La sofferenza è realtà presente nell'esperienza di ogni essere vivente,1 ma nell'essere umano raggiunge il massimo della consapevolezza e della possibilità di essere comunicata e condivisa.
E tuttavia nella persona umana è preceduta e coesiste con una insopprimibile aspirazione, implicita od esplicita, alla felicità senza nubi e per sempre, espressione del connaturale bisogno di relazione - comunione con Dio, inscritto profondamente in ciascuno di noi.
Sono innumerevoli le sofferenze che possono colpirci e che viviamo individualmente e come umanità, come popolo di Dio, in modi e tempi diversi, per cause e motivazioni differenti.
Vi è nell'esistenza di ognuno il momento, il tempo della sofferenza sia essa biologica, fisica, corporea, somato - psicologica; e la sofferenza per condizioni psicologiche esistenziali, per cause morali, spirituali …
Sofferenza dunque nella malattia fisica o nel disagio psichico; nella perdita o nell'oscuramento del senso della vita « per me »; nella lontananza o nel distacco da persone significative ed amate …
Vi è la sofferenza sperimentata come partecipazione, risonanza, condivisione della sofferenza, del patire altrui: di fronte alla miseria, alle conseguenze della crudeltà umana.
La sofferenza di chi dispera di sé e degli altri; nella fiducia delusa dall'amore e dall'amicizia; lo sconforto dell'impotenza, della dipendenza e dell'insicurezza …
L'insignificanza come vissuto personale dell'esistenza, il timore e l'orrore della prospettiva della morte propria o di altri.
Sofferenza associata al peccato, oppure al vissuto della lontananza, del silenzio, dell'abbandono di Dio …; nell'oscurità dell'ateismo e in quello della fede, nel dubbio, nel timore …
Ma Gesù Signore Nostro e Nostro Fratello nella sofferenza ci propone la sconvolgente novità: beati voi che ora piangete, che siete afflitti, nella tristezza perché Dio vi consolerà, vi darà gioia e voi riderete ( Mt 5,4; Lc 6,21 ).
La beatitudine è una promessa paradossale di Gesù per noi che genera e sorregge la nostra speranza.
E la speranza è l'attesa fiduciosa della benedizione di Dio e della visione che ne avremo.
Con l'espressione della felicitazione Gesù ci assicura che le persone che, nella mentalità « mondana », sono considerate come sventurate o peggio anche maledette, sono, invece, chiamate a vivere la beatitudine della speranza e a ricevere il regno di Dio.
E Gesù si identifica con chi soffre, con chi è afflitto e nel pianto ( Mt 25,40; Mt 18,5 ), così che chi lo riceve accoglie Gesù stesso.
Gesù medesimo incarna e realizza in se stesso e per noi la nostra gioia poiché è la nostra speranza ( Tt 2,13 ).
Non è beatitudine la sofferenza in se stessa; anzi essa è un male che non apparteneva al primitivo disegno del Creatore.
Solo dopo il peccato il dolore si accompagna a tutti i giorni della vita umana ( Gen 3,17 ), in cui i patimenti si moltiplicano ( Gen 3,16 ).
È male in sé la sofferenza in quanto comporta il patire, l'angoscia, spesso come conseguenza il ripiegamento su di sé, insieme con il sentimento dell'impotenza, dei limiti, della finitezza umana.
E Gesù ha comandato ai suoi discepoli di non lesinare gli sforzi e l'impegno per alleviare o guarire le pene dei sofferenti ( Mt 15,30-32; Mt 14,14 ).
Guarire gli infermi, praticare il ministero della compassione ( Mt 10,8; Mc 6,13 ) è un suo mandato anche per noi, oggi.
Ce ne ha dato l'esempio, durante la sua vita terrena e ne ha fatto segno distintivo della sua missione ( Lc 7,21-22; Mt 11,2-6 ).
Peraltro la sofferenza può anche essere occasione di maturazione personale ed anziché motivo di ribellione a Dio essere, invece, opportunità di ricerca e di ritorno a Dio, in un cammino di conversione a Lui ( Lc 15,17-18 ).
In Cristo Gesù, nostro Salvatore, la sofferenza può e deve assumere un senso nuovo, configurandoci a Lui, unendoci al Suo mistero pasquale di passione, morte e risurrezione, completando, nel corpo mistico, ciò che manca ai patimenti di Cristo, con la nostra partecipazione a quel mistero di sofferenza, di morte e di vita.
Così tutte le sofferenze dell'umanità sono accolte dal Padre celeste al di là di ogni speranza ( Eb 5,7-9 ).
« Come non sentirsi intimamente straziati davanti a certe situazioni di indicibile pena …
Unico conforto … È la parola della fede, la quale assicura che la grazia di Dio trasforma queste sofferenze in occasioni di misteriosa unione con il sacrificio dell'Agnello innocente …» ( Giovanni Paolo II, 17.8.94 ).
Così la speranza cristiana si snoda nel realizzare l'annuncio delle beatitudini che elevano il nostro cammino verso il cielo, verso la nuova terra promessa, la celeste Gerusalemme, pur attraverso le prove e le sofferenze.
Sulla promessa di Dio, in Cristo nostra speranza, ancoriamo la nostra vita cristiana che ci conduce verso la gioia e la salvezza.
Il dolore, tuttavia, nelle sue varie espressioni non si deve passivamente subire né infliggere inutilmente a se stessi né ad altri.
« È contro la dignità umana financo far soffrire inutilmente gli animali » ( Catechismo Chiesa Cattolica ): la sofferenza non è venuta dal progetto di Dio, che, però, la permette e la redime in Cristo.
Non viene da Dio una sterile acquiescenza alla sofferenza, contro cui, invece, occorre lottare, come lottò Giacobbe ( Gen 32,25-33 ), cambiando totalmente la propria vita.
La sofferenza resta mistero che solo Dio sa decifrare, noi siamo incapaci di spiegarne l'enigma, ma possiamo abbandonarci, nella speranza, ad una fiducia, totale, senza condizioni in Dio Padre, nel suo Cristo.
Non è venuta da Dio la sofferenza, né la morte, ma con Cristo, incarnato, come vero uomo, in tutto simile a noi, eccetto il peccato ( Eb 2,17-18 ) la sofferenza può essere assunta; con Lui si può lottare per vincere il tedio, la debolezza, la paura, l'infermità, la vecchiaia, la morte; vincere, cioè, accettandone la misteriosa possibilità di redenzione ( 1 Pt 1,19 ).
Gesù ci ha presentato il senso della sua vita e della sua morte alla luce del servo sofferente ( Mt 20,28 ).
Nel patire, accettando il progetto di salvezza del Padre Egli è diventato causa di salvezza degli uomini ( Eb 2,10.17-18; Eb 4,15; Eb 5,7-9 ) ed è stato esaudito nella sua preghiera.
A noi ora Egli offre la possibilità di vivere lo stesso mistero pasquale ( Lc 22,28 ).
La speranza nella sofferenza è beatitudine perché non è distorta acquiscenza alla sofferenza, come oscuro tentativo di compensazione di patologiche svalutazioni e disistima di sé.
Non è passiva, inconsapevole ricerca di inautentica realizzazione della propria identità.
Non egocentrico vittimismo di chi si fa carnefice di se stesso o si allea con un altro carnefice-complice sfigurando la nobilita e la dignità personale.
Non è ricerca di una sostituzione per carenze affettive e di accettazione di sé; né inconsapevole deviante richiesta e desiderio di attenzione e di amore degli altri o di fuga dalla responsabilità.
Ma in Cristo anche la sofferenza concorre al bene di coloro che sono amati da Dio ( Rm 8,28 ).
Beatitudine la speranza perché ci richiama ai valori autentici dell'esistenza e della persona umana giacché non ciò che possediamo - come il dono pur grande della salute, il benessere fisico-psichico, l'energia, l'autonomia personale -, ma ciò che siamo diviene riferimento e motivo di consistenza dell'identità personale nella stabilità, maturità e responsabilità.
Ciò che siamo può essere così riconosciuto, offerto e vissuto profondamente come valore fondante ed inalienabile della persona e delle relazioni interpersonali, pur nel condizionamento della sofferenza: « a cuore aperto qualcuno mi sussurra 'accompagnami con la tua sofferenza' ci penso e mi domando perché con la sofferenza?
Io sono il mio corpo la mia vita il mio amore 'ti accompagno con il mio amore' ». ( Graziella O. 1988 )
La speranza nel Dio che ci consola in tutte le nostre sofferenze non può essere scossa perché Dio è fedele, sincero: tale speranza è ben fondata ( 2 Cor 1,3-11 ) al di là di ogni speranza umana ( Rm 4,18 ).
L'orizzonte di tale speranza non è confinato a questa terra perché la beatitudine della speranza, mentre addolcisce fin d'ora la pena ed allevia la sofferenza, si illumina di fiducia nella misericordia-tenerezza di Dio per la vita eterna.
La speranza in Gesù Salvatore, dona a noi la serena fiducia nell'attesa di essere risuscitati ( 2 Mac 7,14 ) da quel Dio Padre che ci ridarà la vita.
Facendoci testimoni in questo secolo della resurrezione di Cristo ( At 1,22 ) attendiamo operosamente, vivendo, gioendo e soffrendo con Cristo l'adempimento della beata speranza ( Tt 2,13 ), laddove Dio asciugherà ogni lacrima ( Ap 21,4 ).
Ed insieme con noi è in attesa la creazione stessa che nutre la speranza di essere anch'essa liberata ( Rm 8,18-27 ).
Indice |
1 | « Tutta la creazione geme e soffre … Rm 8,22 … ». |