Il paradosso delle Beatitudini |
Affermare ancora una volta che il « discorso della Montagna » ( nella doppia versione, quella riferita dall'evangelista Matteo e quella dell'evangelista Luca ) è la magna charta di ogni battezzato è pura e semplice ovvietà.
E con quanto si è detto e scritto intorno alle « Beatitudini » si potrebbe riempire una biblioteca.
Argomento, quindi, sul quale non c'è più nulla da dire?
Tempo sprecato affrontarlo ancora una volta?
Anche per dare soddisfazione a questi interrogativi non si può che ricorrere all'ovvietà di una risposta affermativa, se no, non saremmo qui, noi a scrivere, voi a leggere.
Perché, come ogni grande « discorso » evangelico, come ogni Parola del Signore, siamo davanti a un pozzo senza fondo: per quanto si voglia ( e possa ) operare nel senso dell'approfondimento, non accadrà mai che venga scritta - finché uomo e donna avranno vita - la parola « fine ».
La Parola di Dio è la Vita per ogni creatura: e si incrocia quindi con le vite degli uomini e delle donne, sia che essi facciano o non facciano professione di fede nel Dio di Gesù Cristo.
Per chi crede, infatti, è comandamento onorato palesemente; per chi non crede, può essere percepita come inclinazione naturale, oppure vissuta come conseguenza di azioni altrui.
Essa è la Via e la Verità, interamente rivelata, ma che ciascuna generazione, ad ogni tornante della storia umana, e ciascuno uomo e ciascuna donna, devono scoprire nell'intreccio, appunto, con le proprie vite: di comunità e singole.
Il « discorso della Montagna » appare poi davvero paradossale, se messo a confronto con le logiche correnti.
E in ogni epoca questa « paradossalità », a confronto con gli stili di vita ed i costumi, si manifesta in maniera diversa.
E di vario tono e genere sono le sottolineature che in ogni epoca ( ma anche in ogni diverso stato di vita - laico, sposato o no, religioso, sacerdotale - ed anche in ciascuno dei due generi - maschile e femminile ) si sono evidenziate e si evidenziano.
Oggi, siamo in presenza di culture ( mi riferisco a quelle di cui abbiamo diretta esperienza, cioè quelle sviluppate dal così detto Occidente ) per le quali il raggiungimento della felicità, in questa esperienza di vita, si ha soltanto esorcizzando per quanto possibile l'idea di dolore e di morte; e cercando di massimizzare le occasioni per far denaro, per accumulare potere, per moltiplicare le opportunità di sfruttamento reciproco, per agire con arroganza adoperando tutti i mezzi anche violenti per sopraffare chi è debole.
In presenza di queste tendenze, sembra ancora più paradossale un messaggio e un invito alla felicità ( anche nel qui ed ora, non soltanto quando il tempo sarà finito ) da ritrovarsi nella povertà, nella mitezza, nell'applicazione scrupolosa delle regole, nella accettazione della debolezza come stile di un'esistenza.
Perché la felicità è Grazia, dono di Dio, « privilegio » accessibile a tutta l'umanità, non soltanto a pochi e che, per di più, si auto-eleggono meritevoli.
Inoltre, per chi è stato chiamato alla vita di consacrazione secolare, trovare quali suggestioni, per il proprio presente storico, vengano dalle Beatitudini, è - se così si può dire - un dovere imprescindibile.
Pena, non realizzare la vita alla quale Dio ha chiamato.
Scopo di questo volume è, allora, proprio questo: aiutare i secolari consacrati, attraverso riflessioni di più autori, con diverse storie di vita, a trovare la strada da percorrere perché le Beatitudini, nella loro straordinaria paradossalità, siano davvero programma esistenziale.
Così, Mario Rollando ci conduce a comprendere il discorso etico soggiacente alle « Beatitudini » nella versione di Matteo, che più di Luca forse aiuta in questa ricerca: un ragionamento ampio, che riguarda non soltanto i « secolari consacrati » che, in ogni caso, per la loro scelta di vita, sono chiamati a incarnare « radicalmente » la felicità evangelica.
Poi, i « grandi paradossi »:
della povertà ( nella indicazione lucana ) messa a confronto con la tentazione del denaro e del potere ( Luigi Accattali );
della necessità anche umana di fare giustizia, messa a cimento dall'altrettanto inderogabile necessità di essere misericordiosi ( Marisa Sfondrini );
della urgenza tutta evangelica di essere miti ( in un mondo nel quale sembrano avere diritto di sopravvivenza soltanto i forti e i violenti ) non venendo meno all'esigenza, altrettanto evangelica, della fermezza ( Teresa Ciccolini );
dell'obbligo morale di essere operatori di pace, in un mondo che non sembra conoscere altro che guerre e guerriglie ( Giulio Battistella ).
Ancora, quale prospettiva per le « Beatitudini », nel qui ed ora della nostra storia, ma in vista dei « cieli nuovi » e delle « nuove terre » che ci sono stati promessi ( Anna Maria Canopi );
una prospettiva che coinvolge il problema di vivere radicalmente il messaggio delle « Beatitudini », la loro promessa di felicità, nella quotidianità della vita ( Teresa Legrottaglie ),
quotidianità che comporta l'esperienza del dolore da vivere però nella speranza ( Lia Pilleri ).
Un 'ultima annotazione, del tutto personale: ho parlato di « Beatitudini » come « strada » verso la Beatitudine massima, la vita con e nel Signore.
Ebbene, dalla lettura dei vari saggi si ricava, anche in certo senso fisicamente, l'impressione di una strada in salita, come di grandi tornanti che circondino una montagna.
Capita così di ripassare sullo stesso punto, ma la diversa distanza da cui lo si guarda, ne fa scorgere particolarità ancora sconosciute.
Marisa Sfondrini
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