Lettere circolari

Indice

Nona lettera circolare

Sull'edificazione che noi dobbiamo dare al prossimo1

« Providentes bona, non tantum coram Deo, sed etìam coram omnibus homìnbus » ( Rm 12,17 ).

Miei carissimi Fratelli e mie carissime Sorelle nei Sacri Cuori di Gesù e di Maria.

Avendo voluto il Signore che io avessi una piccola parte nella santa unione che avete formata, per tendere tutti insieme, con maggiore forza e facilità, a quanto v'ha di più sublime nella perfezione evangelica, credo, sull'esempio del Principe degli Apostoli, che sia mio dovere, fin tanto che mi resta un soffio di vita, il ricordarvi quello che vi può essere più utile per raggiungere il fine, benché non ignori che queste verità vi sono familiari.

« Justum autem arbitror, quamdiu sum in hoc tabernaculo, suscitare vos in commonitione; et quidem scientes et confirmatos vos in praesenti veritate ». ( 2 Pt 1,13-12 ).

Mi propongo perciò in questa lettera di intrattenervi sulla cura che dobbiamo avere di adempiere talmente i doveri della nostra vocazione, sì da rendervi ogni giorno non solo più graditi alla Divina Maestà, ma anche da servire all'edificazione di quelli che hanno contatto con noi, « Providentes bona, non tantum coram Deo, sed etiain coram hominibus ».

Prima di entrare in argomento non è fuori di luogo il porvi sotto gli occhi i diversi soggetti che ho creduto bene svolgere nelle mie precedenti lettere.

La prima lettera trattava della conformità col Cuore divino di Gesù, che noi dobbiamo cercare di ottenere, come esige il nome che abbiamo l'onore di portare: « Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu » ( Fil 2,5 ).

La carità che deve fare dei nostri cuori un sol cuore in Gesù Cristo, è il primo effetto della conformità che abbiamo con lui, ed è il soggetto della mia seconda lettera : « Multitudinis credentium erat cor unum et anima una » ( At 4,32 ).

La povertà è la base su cui il divin Salvatore ha posto l'edificio della perfezione evangelica.

Ho indicato quindi nella mia terza lettera come noi dobbiamo praticarla; ed ho mostrato che sarebbe utilissima alla Chiesa ed a noi, basandomi su queste parole che sono un seguito delle precedenti: « Nec quisquam corum, quae possidebat, aliquid suum esse dicebat: sed erant illis omnia communia » ( At 4,32 ).

La devozione alla santissima Vergine Maria, Madre di Dio, fu in tutti i tempi una delle più gloriose prerogative degli Ordini religiosi.

Per stimolarvi sempre più, mi sono sforzato di darvi, per quanto mi fu possibile, una giusta idea delle grandezze e della perfezione della Beatissima Vergine e ne feci oggetto di una lettera.

Non era meno necessario concepire una grande stima della nostra vocazione, ed in un'altra lettera mi proposi di mostrarne l'eccellenza e gli obblighi: « Novate vobi novale, et nolite serere super spinas » ( Ger 4,3 ).

Ho poi parlato in un'altra lettera della perseveranza nella vocazione e come dobbiamo renderla sicura, appoggiandomi su queste parole: « Quapropter fratres, magis satagite, ut per bona opera certam vestram vocationem et electionem faciatis » ( 2 Pt 1,10 ).

La pratica del consigli evangelici non deve allontanarci dalla pratica delle virtù comuni a tutti i cristiani; perciò ho creduto mio dovere lo spiegarvene il concatenamento, la pratica e la necessità di tali virtù, secondo le parole del Principe degli Apostoli: « Vos autem omnem curam subinferentes, ministrate in fide vostra virtutem, in virtute autem scientiam, etc. » ( 2 Pt 1,5 ).

Finalmente da ultimo vi ho parlato di un mezzo generale e potentissimo per condurvi alla più alta perfezione, ossia dello spirito interiore; ho spiegato in che consiste, quale ne è la pratica ed i suoi vantaggi: « Det vobis secundum divitias gloriae suae, virtute corroborari per Spiritum ejus in interiorem hominem » ( Ef 3,16 ).

Non abbiamo potuto trattare questi vari soggetti senza passare in un certo modo in rivista i doveri della vita cristiana e della vita religiosa.

E d'altronde se ne parla già a sufficienza nei nostri piani, nelle nostre Regole e negli altri scritti della Società, che avete fra le mani.

I - Dovere speciale dell'edificazione

Tuttavia è bene insistere specialmente sull'edificazione che dobbiamo dare a tutte le persone.

Questo dovere, comune a tutti, è reso a noi urgente dalla professione che facciamo di tendere alla perfezione e ci obbliga ad occuparcene con particolare cura.

I religiosi che vivevano in comunità, ritirati nei chiostri e separati dal mondo, non avevano su questo punto i medesimi obblighi.

Bastava di solito che edificassero le persone abitanti con loro ed avevano pochi rapporti abituali con altre persone.

Noi invece non siamo esteriormente separati dal mondo anzi ne facciamo parte; confusi con gli altri cittadini, ne portiamo i pesi, abbiamo gli stessi loro obblighi; ed i santi obblighi contratti da noi davanti a Dio, benché nulli o quasi nulli davanti agli uomini del mondo, esigono che adempiamo quei doveri con la massima perfezione di cui siamo capaci.

Specialmente per questa via potremo servire alla edificazione del prossimo.

Ci limiteremo dunque ad esporre brevemente quel che questo dovere esige da noi.

Basta infatti mostrare alle persone istruite e di buona volontà quali sono i loro obblighi per portarli ad adempirli.

Considereremo successivamente tali obblighi in rapporto alle autorità ecclesiastiche, alle autorità civili, alle altre persone dalle quali possiamo dipendere; poi in generale, riguardo alle diverse classi della società civile; infine riguardo a noi stessi, gli uni verso gli altri.

Obbedienza ai superiori esterni

Con l'ammissione nella nostra Società non si può pretendere di venire sottratti ad una qualunque autorità legittima, alla quale si era già prima sottomessi, sia essa ecclesiastica, sia civile o naturale.

Il Sacerdote, entrando nelle nostre file, non rimane per questo meno sottomesso al suo Vescovo, il cittadino alle autorità civili, il figliolo a suo padre ed a sua madre.

Aggiungo anzi che, quantunque i diritti di questi non acquistano maggior forza ed estensione di quella che già possedevano, l'obbedienza che loro rendiamo è più garantita, più grande e più perfetta, perché riceve, come cerchiamo di far intendere, un nuovo vigore dai nostri santi legami, e che non si potrebbe senza in qualche modo spezzarli, venir meno alla sottomissione dovuta ad ogni legittimo superiore.

Quanto veniamo esponendo è ben notato fin dal principio dello « Specimen » ( P. 1. N. 2 ) ove è detto che « si potranno ammettere nella Società tutti quelli che il Signore vi chiamerà, qualunque sia il loro stato e il loro impiego, purché siano liberi da qualunque obbligo incompatibile con la pratica dei consigli evangelici ».

Ciò vale a dire che non si sarà obbligati a cambiare stato e che si resterà sottomessi alle medesime autorità.

Quanto dice il medesimo Specimen ( P. 4. N. 8 ) è ancora più chiaro e decisivo.

Ecco come si risponde alle difficoltà che si potrebbero avere nel conciliare l'obbedienza religiosa nelle nostre Società con le altre obbediente alle quali si potrà essere sottoposti.

« L'obbedienza religiosa, vi è detto, non farà che dare maggior forza alle altre obbedienze, e l'una non nuocerà mai alle altre ».

1. « Perché l'oggetto di queste diverse obbedienze non è il medesimo ».

L'obbedienza religiosa ha per oggetto la pratica dei consigli evangelici.

Nessun'altra obbedienza ha il medesimo oggetto, e per se stessa non ha nessun diritto di esigerne la pratica.

2. « Perché prima cura del Superiore religioso sarà quella di far adempire fedelmente le altre obbedienze».

Il fine immediato che ci proponiamo è che ciascuno adempia i doveri del proprio stato con tutta la perfezione possibile.

E proprio per questo ci si impegna alla pratica dei consigli evangelici.

Il Superiore religioso è preposto appunto per aiutare i soggetti a raggiungere quello scopo, e non può farlo senza guidarli, con tutti i mezzi a sua disposizione, ad obbedire ai diversi superiori.

3. « Perché l'obbligo del voto cesserà ogni qual volta vi fosse qualche conflitto o qualche dubbio ragionevole su tal punto ».

Per obbligo di voto si deve intendere l'obbedienza religiosa; ebbene questa obbedienza cesserà quando si potrà legittimamente dubitare che qualche altra legittima obbedienza ha diritto di esigere da noi qualcosa di diverso.

Questo motivo è fondato sul fatto, già esposto, che anche dopo i voti, l'obbedienza alle altre autorità rimane la stessa; perciò non si poterono emettere i voti se non in quanto si poteva disporre della propria volontà e non per quelle cose nelle quali la nostra volontà era sotto la dipendenza altrui.

Essendo le altre obbedienze anteriori all'obbedienza religiosa, nei casi di ragionevole dubbio, esse devono avere la precedenza.

Queste ragioni lasciano intendere la cura, con cui tutti, in queste Società, devono applicarsi a rendere alle autorità legittime quanto è loro dovuto.

E nello stesso tempo debbono rassicurare queste autorità circa i sospetti che potrebbero nutrire sulla nostra obbedienza.

Questo potrebbe forse bastare, ma per non tralasciare nulla su un punto di capitale importanza, consideriamo ora i diversi rapporti di cui abbiamo parlato e giudichiamo da ciò i diversi doveri da compiere e quanto dobbiamo fare per edificare il prossimo nelle diverse condizioni in cui potremo trovarci.

Doveri verso le autorità ecclesiastiche

Cominciamo dai rapporti con le Autorità eccleslastiche di ogni Diocesi, il Vescovo e quanti governano in suo nome.

Questi rapporti riguardano in primo luogo i Sacerdoti e gli altri ecclesiastici della Società del Cuor di Gesù; poiché però da essi le due Società ricevono movimento e vita, questi rapporti si estendono, in modo analogo, alla posizione di ciascuno, a tutti i membri delle due Società.

In tutto quanto fanno, nelle buone opere che eseguiscono, nei servizi che rendono, hanno da mirare al bene generale della Chiesa.

Nessuna delle due famiglie possiede e potrà possedere nulla in comune.

Nessun interesse particolare può allontanare i loro sguardi dall'interesse generale.

Il loro più ardente desiderio è quello di essere interamente a disposizione del primo Pastore di ogni diocesi, dirigendosi in tutto secondo i suoi consigli ed i suoi comandi, così da poterlo considerare come la causa e l'anima delle opere loro.

Questo desiderio sarebbe interamente soddisfatto se, fidando completamente nella loro obbedienza, il Vescovo si degnasse affidare una parte dell'autorità, che ha su di loro, al loro Superiore nella Diocesi, senza per questo pregiudicare la perfetta obbedienza che devono al Vescovo stesso e pretendere di essere per questo fatto meno sottomessi agli altri Superiori Diocesani, a meno che il Vescovo stesso nella sua saggezza non giudicasse più opportuno di limitare la loro obbedienza su certi punti.

Con questo mezzo il Provinciale, in ogni Diocesi, avendo un facile accesso al Primo Pastore, non gli lascerà nulla ignorare di quanto riguarda le due Società, e gli darà piena conoscenza di tutto, come desidererà o come si degnerà permetterlo.

Gli farà conoscere i membri, gli aspiranti, quelli che dovranno farvi la Consacrazione, o la Professione.

Gli indicherà i soggetti più atti a rendere servizio in Diocesi, ad assumere tale o tal'altra carica, a compiere questa o quella missione.

Nel caso che il Vescovo desiderasse risvegliare la pietà nella sua Diocesi per mezzo di missioni o di corsi di esercizi, egli gli offrirà i soggetti adatti, oppure, se sarà necessario, col consenso degli altri Vescovi, ne farà venire da altre Diocesi.

Gli esporrà anche i desideri dei suoi soggetti, le contrarietà e gli ostacoli che incontrano nell'eseguire i suoi ordini, cosa sperano dalla sua benevolenza e dalla sua protezione; le risorse che le due Società possono offrire per assecondare il suo zelo.

Da parte sua il Vescovo potrà comunicare al Provinciale i suoi disegni circa il bene del suo gregge, affinché lo stesso Provinciale, entrando nelle sue viste, possa far passare i sentimenti di lui nell'anima dei suoi collaboratori, e per loro mezzo, nel suo gregge.

Gli indicherà gli abusi e i vizi contro i quali desidera che si combatta in modo particolare; gli errori penetrati o che cominciano a penetrare in Diocesi, le superstizioni che in certi luoghi regnano fra il popolo o altre cose simili, in modo che, riunendo tutte le forze contro lo stesso oggetto, si possa sperare più seriamente in una conversione generale.

Se voci vere o false fossero diffuse contro qualche membro della Società, il Vescovo potrà facilmente conoscere la verità e non essere ingannato dalle calunnie che l'inferno abitualmente suscita contro gli operai evangelici o, se il male fosse reale, potrà rimediarvi con maggiore dolcezza e sicurezza.

Così facendo, lavorando alla perfetta dipendenza dei primi Pastori, mettendoci nelle loro mani come semplici strumenti, pronti a ricevere qualsiasi movimento o direzione che parrà loro di indicarci, non attribuendoci nulla del bene che potremmo compiere sotto la loro direzione, ma dando a loro, dopo che a Dio, tutta la gloria ( come nell'esercito la vittoria va a gloria del generale ) noi saremo certi di compiere il bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini.

Con questo spirito dobbiamo proporcì e ci proponiamo di agire.

Il numero limitato dei soggetti e le circostanze del momento rendono i nostri sforzi poco efficaci e i nostri desideri meno sensibili.

Ma quando il Signore, guardando benignamente il suo gregge, mostrerà chiaramente alla maggioranza dei suoi Ministri ciò che ora ha fatto comprendere ad un piccolo numero di essi, ossia che per rendere importanti servizi alla Chiesa, per arrestare i progressi del male, per reprimere l'empietà e gli scandali che l'affliggono, per porre rimedio a dei mali peggiori che incombono, è necessario che un numero grande dei suoi Ministri sia animato da santo zelo per la causa di Dio, senza cambiare nulla esteriormente del loro modo di vivere, segua le orme dei primi Apostoli di Gesù Cristo, segua il Divino Maestro il più da vicino possibile, e non si glorifichi che della croce, della povertà, dell'abbiezione, della privazione di ogni soddisfazione sensibile: allora le due Società, rapidamente aumentate di numero, potranno attuare ciò che forma l'oggetto del loro desideri.

Intanto la loro impotenza deve contentarsi di gemere nell'ombra di supplicare con insistenza il Padrone della vigna perché mandi operai quali si richiedono per darle la sua fertilità.

D'altra parte le circostanze sono di natura tale che non possiamo rivolgerci troppo apertamente ai primi Pastori, per il timore di comprometterli e perché essi stessi, sia per riguardo a noi che pel bene della Chiesa, sono come obbligati di desiderare che noi teniamo nascoste, fintanto che le circostanze non tornino favorevoli, le testimonianze di intera devozione che vorremmo dar loro, avendo lo spirito delle tenebre premunito le potenze civili contro quanto risente dello spirito religioso.

Tuttavia se non possiamo ancora apertamente godere della protezione dei primi Pastori e testimoniare loro in tutto quella dipendenza immediata e singolare che farebbe meglio risplendere la nostra obbedienza, non dobbiamo per questo diminuire minimamente l'amore e il profondo rispetto, che i santi voti e la professione fatta di tendere alla perfezione evangelica, ci obbligano di nutrire per quelli che ci rappresentano l'autorità di Gesù Cristo stesso nel governo della sua Chiesa.

Facciamo tutto quello che non si può dubitare sia conforme alla volontà loro.

Che nessuno tralasci niente di ciò che può contribuire alla sua perfezione, per attirare così le più abbondanti benedizioni sul Pastore e sul gregge, e nel medesimo tempo si consacri interamente alla porzione di gregge a lui affidata ed adempia il più accuratamente possibile tutte le mansioni inerenti al suo ministero.

Dicendo questo ho la dolce soddisfazione di esprimere ciò che voi fate.

Ovunque osservo i membri della Società del Cuore di Gesù, vedo che tutti adempiono i propri uffici con zelo, e sono considerati dai propri Superiori fra gli operai più distinti della Diocesi.

Nelle debite proporzioni dico lo stesso delle Figlie del Cuor di Maria.

Ovunque la divina Provvidenza ha loro offerto l'occasione, esse rendono a Gesù Cristo, nella persona dei suoi membri poveri, distinti servizi, sia per l'istruzione della gioventù del loro sesso, sia per il sollievo dei miseri; tutte, per quanto io sappia, qualunque sia l'oscurità della loro condizione, diffondono intorno a sé il buon odore di Gesù Cristo.

È l'effetto delle grazie che scendono abbondanti dai Sacri Cuori di Gesù e di Maria sopra coloro che sono consacrati in modo speciale a Dio sotto l'invocazione loro, e, come credo di avere già detto, con un vivo sentimento di gratitudine verso la bontà divina, fra quelli che nell'una e nell'altra Società furono fedeli alla loro vocazione sino alla fine, non ve n'è alcuno la cui morte non sia parsa preziosa davanti a Dio.

Non parlo dei primi membri della Società del Cuore di Gesù, la maggioranza dei quali è morta sul patibolo confessando il Nome di Gesù.

Voi avete conosciuto gli altri e il loro nome in questo momento sarà certamente presente al vostro spirito; non posso però tralasciare questa occasione per dirvi una parola sugli ultimi due membri che piangiamo.

Una era una signorina Figlia del Cuor di Maria, la signorina le Noble, spirata nella sua distinta famiglia, ricca di opere buone, dopo avere condotta una vita austera e penitente, venerata da quanti la conobbero.

L'altro era un semplice laico, il fratello Rhubens, morto in un ospedale ove, col permesso dell'obbedienza, si era consacrato al servizio del malati.

Durante il tempo in cui il suo corpo venne esposto nella Cappella dell'ospedale, vi fu una straordinaria affluenza di gente della città e dei dintorni, che si faceva premura di manifestare un religioso rispetto, baciandogli i piedi, proclamandolo beato.

Tutto questo deve incoraggiarci a non rimanere a metà della strada intrapresa.

Cosa non ci promettono per l'avvenire, quando torneranno i tempi della misericordia, questi segni sensibili della divina protezione?

Verso le autorità civili

Ma non basta sforzarci di meritare col nostro zelo la benevolenza dei primi Pastori: sforziamoci pure, con una condotta sottomessa e prudente, di meritarci anche quella del governo e dell'autorità civile.

Bisogna che il governo sia convinto della nostra sottomissione alle sue leggi, che le nostre viste non sono contrarie alle sue e che tutto quanto facciamo tende alla pubblica utilità.

È un secondo mezzo necessario che dobbiamo impiegare per contribuire all'edificazione del prossimo.

La sottomissione al governo civile sotto il quale viviamo è uno dei nostri principali doveri.

L'apostolo lo raccomanda ai cristiani senza eccezione: « Omnis anima potestatibus sublimioribus subdita ( Rm 13,1 ).

Ci insegna che la potestà viene da Dio e che ovunque noi scorgiamo la suprema potestà, dobbiamo riconoscervi l'autorità stessa di Dio, vedere la sua immagine in colui che ne è rivestito e onorare in lui il Sovrano Padrone che solo, quale arbitro dei destini della terra, ha potuto dargli la forza di comandare con autorità alla nazione e che, offrendogli lo scettro, ha messo nelle sue mani la spada per colpire quelli che si oppongono alla sua volontà.

Per quanto dure possano sembrare le sue leggi, bisogna sottomettersi quando non ordinano nulla di evidentemente contrario alla legge divina, non per forza, ma per un motivo di coscienza, in vista di Dio: pagare esattamente le tasse, le imposizioni, i diritti, le imposte, ed i contributi di ogni specie che il governo può esigere.

I primi cristiani obbedivano così agli imperatori idolatri, e l'uomo Dio, il nostro divino Modello, si sottomise agli ordini i più ingiusti e in questi ordini vedeva quelli del Padre stesso, come esprime nelle parole dirette al Console romano: « Non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto ».

Confusi con gli altri cittadini, sottoposti ai medesimi oneri, e dovendo, per la nostra professione, tendere alla perfezione, dobbiamo dar loro l'esempio anche in questo, come in tutti gli altri punti della vita cristiana.

Conviene quindi che si compiano questi doveri, non solo senza mormorare, ma con gioia, in modo che il governo si convinca che non ha sudditi più fedeli e sottomessi di quelli che sono più profondamente osservanti della legge di Dio.

Forse ci obbietteranno che abbiamo delle viste contrarie a quelle del governo, che la nostra esistenza non va d'accordo coi suoi decreti.

Voglio distruggere l'apparenza di verità sotto la quale si nasconde questa obbiezione.

Si consideri attentamente quello che facciamo, si vedrà che non vi è nulla che contravvenga alla proibizione fatta dal governo di erigere, senza il suo consenso, delle nuove Società religiose.

Questa proibizione infatti riguarda le società distinte, che attirano l'attenzione del governo con segni esterni.

Ma noi non siamo una società distinta dal clero secolare; ne siamo una parte inalienabile e vi apparteniamo essenzialmente, senza alcuna distinzione reale.

Se ci danno un nome particolare, è perché ci assumiamo degli obblighi che tutti, per vero dire, non sono obbligati di assumere; che però tutti potrebbero prendere senza abbandonare il proprio stato, perché prendendoli si cementano, si perfezionano i doveri propri, ed essendo degli obblighi completamente interiori, non formano nessuna distinzione fra sacerdote e sacerdote.

Dico lo stesso dei Superiori e delle Regole che adottiamo.

Questi superiori sono sottoposti ai Vescovi come prima, non hanno nessuna giurisdizione propria, non esercitano esternamente alcuna autorità che quella loro accordata dai primi Pastori.

Le Regole che adottiamo sono i consigli evangelici, ai quali il Signore invita quelli che vogliono seguire le sue tracce e soprattutto i ministri della sua Chiesa.

Il nostro governo, che protegge la religione cattolica, è ben lungi dal biasimare ciò che è la conseguenza della nostra santa religione e noi siamo ben lungi dall'opporci alle sue viste in tutto quanto facciamo.

Ciò che ho detto dei Preti, riguardo al clero secolare, lo dico di tutti quelli che, fra di noi, sono nello stato laico, riguardo alla classe comune dei semplici fedeli.

Cosa potrebbe ancora desiderare il governo se non che facessimo servire alla pubblica utilità tutte le nostre forze ed i nostri talenti?

Questo è lo scopo della nostra professione ed i santi obblighi che vi assumiamo, distruggendo in noi ogni vista di interesse proprio, che è il nemico del pubblico bene, o almeno obbligandoci a distoglierne gli sguardi, li fissiamo unicamente sul bene generale.

A questo consacriamo cure, fatiche, veglie, facoltà di anima e di corpo, salute, vita.

Ogni individuo, fra noi, per quanto dotato di beni di fortuna, non può, in virtù dei santi voti, usare per sé che lo stretto necessario; ma tutto quanto passa nelle sue mani, quanto può disporre dopo aver soddisfatto alle esigenze della propria esistenza, lo fa servire al bene pubblico.

Cosa importa, al governo che si agisca così pei motivi sublimi che la religione suggerisce?

L'obbligo diventa più sacro, l'esecuzione più garantita, ed il pubblico non ne tirerà minori vantaggi.

Si ricordi quanto è stato detto più sopra circa l'obbedienza propria delle nostre Società, ossia che serve a consolidare ogni legittima obbedienza e che perderebbe la forza mettendosi in opposizione ad essa; si deve concludere che può giovare all'autorità, mai nuocerle.

Questa semplice esposizione del nostri principi non ha nulla che possa dispiacere alla giustizia governativa, e se noi rimarremo fedeli, come ce lo proponiamo e come osiamo sperarlo dalla bontà del Signore, compiremo quanto prescrive l'Apostolo, di fare cioè il bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini.

Verso le classi civili

Per fare ciò, per compiere la giustizia, dopo aver considerato quanto dobbiamo a quelli che sono rivestiti di un carattere pubblico che da loro autorità sopra di noi, sia nell'ordine civile che nell'ordine spirituale, consideriamo i nostri doveri rispetto agli altri uomini.

Non sono gli stessi verso tutti indistintamente, ma relativi ai rapporti che abbiamo con ciascuno di loro, ai legami di natura, che esistono fra di loro e noi, al loro stato, alla loro condizione, alla loro professione, alla considerazione di cui godono.

In tutte le condizioni si hanno Superiori, inferiori e simili, ed i nostri doveri variano a seconda dei rapporti.

Vi possono essere fra noi dei figli dipendenti dalla autorità paterna e materna, vi possono essere padri e madri che hanno ancora autorità sui figli, perché prima di appartenere all'una o all'altra Società erano legati dagli obblighi matrimoniali.

Per stato intendo principalmente quello di prete e di semplice laico.

La differenza di condizioni è quella che esiste fra padrone e servitore, fra signore e vassallo; può provenire anche dalla nascita, dal ceto che si occupa, da una grande disparità di fortuna.

Fra le professioni ve ne sono di onorabili e altre che non lo sono, di liberali e di meccaniche, l'arte militare, il foro, la finanza, la medicina, il commercio all'ingrosso e al minuto; insomma vi è una grande varietà di professioni, e non ve n'è alcuna fra quelle legittime e compatibili con la perfezione cristiana che i nostri membri non possano esercitare, benché si consigli loro, quando hanno libera scelta, di preferire quelle ove vi è maggior servizio da rendere al Signore, meno pericoli per la salvezza dell'anima e maggiori mezzi per santificarci e santificare gli altri.

La considerazione che merita dei riguardi è quella destata da una virtù distinta, dagli uffici che si esercitano o che furono esercitati, dai grandi servigi resi alla Chiesa o alla Patria, da una capacità straordinaria, dai talenti di ogni genere, purché se ne faccia un uso cristiano, tutto riportando a Dio.

Sarebbe ingiusto e anzi pericoloso mostrare della considerazione per talenti di cui si abusa per offendere il sovrano Maestro, dal quale si sono ricevuti.

Non entrerò nei particolari dei doveri inerenti alle diverse specie di posizioni e di rapporti con gli altri uomini.

Ne siete abbastanza istruiti, e la scelta che avete fatta, entrando nella Società, mi è garante della vostra buona volontà.

Basterà dunque che vi parli in generale di qualcuno dei principali doveri e che vi faccia notare che non basta per voi adempierli in modo ordinario e comune: dovete proporvi di farlo nel modo più perfetto ed edificante, essendo stati scelti per servire di esempio e ritrarre in voi stessi davanti agli uomini, i sentimenti e le virtù del divin Cuore di Gesù e di quello della sua Santissima Madre.

Il rispetto, l'obbedienza, la pietà figliale sono i principali doveri che i figli devono compiere verso i genitori.

Non crediate che vi siano ragioni che possano esentarvene.

Se scorgete in loro difetti o vizi notevoli, se non nutrono per voi i sentimenti che dovrebbero avere, se usano con voi modi duri e mortificanti ed esigono penosi servizi, voi non dovete affatto mutare i vostri sentimenti verso di loro; siano anzi quelli motivi per penetrarvene sempre più e per dimostrarli loro in ogni circostanza.

Considerate in loro gli strumenti di cui Dio s'è servito per darvi la vita e tutti gli altri beni che ne sono la conseguenza; tengano per voi il posto di Dio, Egli stesso li ha rivestiti della sua autorità nell'ordine naturale, e per conseguenza vuole che siano i primi a godere della riconoscenza che voi dovete a Dio stesso.

Assisteteli nei loro bisogni, preveniteli in tutto, sopportate le loro malattie.

L'età non vi dispensa da questi doveri, e la carità deve fortificare in voi i doveri naturali, senza lasciarvene le debolezze.

Padri e madri, amate i vostri figli nel Signore; ricordatevi che sono più suoi che vostri; ve li ha affidati perché ne prendiate cura; non trascurate i bisogni corporali, ma vigilate maggiormente su quelli dell'anima.

Che tutto in voi, l'esempio, l'autorità, la tenerezza li porti a rendere a Dio ciò che gli devono, e che la divina carità corregga ciò che l'amore naturale per i vostri figli potrebbe avere di vizioso e d'imperfetto.

Ciò che dico dei padri e delle madri, si può applicare agli altri gradi di parentela.

Non parlo dei doveri dei fratelli e delle sorelle; sono simili a quelli che esistono fra uguali. Ne parleremo più avanti.

Lo stato Sacerdotale e quello di semplice fedele è senza dubbio, almeno per ciò che ci riguarda, ciò che distingue principalmente gli uomini; dovendo noi giudicare tutto secondo il lume della fede.

Tale distinzione produce doveri diversi.

Coloro che fra noi sono insigniti del carattere sacerdotale, devono sapere che, essendo specialmente obbligati a tendere alla perfezione, è necessario che abbiano sempre presente allo spirito, la sublimità del loro ministero e l'eccellenza della santità che richiede.

Quella di un chierico virtuoso non basta per un prete.

Si deve vedere in lui un'immagine vivente dell'Uomo Dio che parla con gli uomini.

La sua modestia, i suoi sguardi, le sue parole, il suo silenzio, i suoi movimenti, le sue azioni, la regolarità della sua condotta, tutto in lui deve respirare lo spirito di Gesù Cristo di cui deve essere animato.

Altrimenti mancherebbe di dare quell'edificazione che i fedeli hanno diritto di aspettarsi da lui.

Le sue prime cure vanno rivolte a quelli che gli sono specialmente affidati; ma con l'Apostolo deve considerarsi quale « debitore di tutti, dell'uomo colto e dell'ignorante, del Greco e del Barbaro » ( Rm 1,14 ).

Nessuno potrà avvicinarlo senza risentire l'influenza del suo zelo; deve farsi tutto a tutti per tutti guadagnare a Gesù Cristo.

Senza dimenticare quanto deve al proprio carattere o, meglio, perché se Io ricorda, deve prevenne il semplice fedele, che gli mostri riguardo e deferenza, che sia sempre pronto a rendergli ogni sorta di servizi, soprattutto quelli che dipendono dal suo ministero e non tema di avvilirsi rendendo ai poveri ed ai miseri i servizi più umili.

Non sarà mai tanto rispettato di quando, ad esempio del suo divino Maestro, si farà il servitore di tutti.

I laici fra noi devono distinguersi per il loro rispetto verso i Sacerdoti; di qualunque classe o condizione siano: si abituino a riverire in loro la persona di Gesù Cristo, di cui tengono il posto, per la loro condizione di Sacerdoti.

Se nel mondo se ne trovano che disonorano il loro carattere con modi impropri, i riguardi che essi loro usano servano a ricordare quanto devono a se stessi.

Siano vigilanti per aiutarli nei loro bisogni, si facciano un onore di servirli all'altare, parlino di loro con molla circospezione e riserva e nel tempo della persecuzione facciano quanto possono per metterli al riparo dal pericolo, anche se dovessero esporre la propria vita, dato il bisogno impellente che la Chiesa ha di ministri in questi tempi pericolosi.

Le nostre Società comprendono persone di ogni ordine e condizione:

1) padroni e servitori. I padroni devono trattare i servitori come loro figlioli, come fratelli in Gesù Cristo.

Ne godono importanti servigi e devono avere per loro grandi riguardi.

Hanno il dovere di vigilare su di loro, sulla condotta loro e la loro religiosità, sul loro bene spirituale o temporale.

I servitori devono ai loro padroni la fedeltà, la vigilanza, il rispetto.

Non mormorino per lo stato di dipendenza in cui sono, non pensino che a santificarlo; il loro stato li libera da tanti pericoli e può essere per loro una feconda fonte di meriti.

2) signori e vassalli. I primi devono vedere nella propria condizione un mezzo che la Provvidenza ha loro dato per venire in aiuto di quelli che sono alle loro dipendenze, sollevarli nelle loro miserie e lavorare efficacemente per ciò che può procurare loro il benessere in questa vita e nell'altra.

I secondi devono ai loro signori una riconoscenza proporzionata ai beni che ne ricevono; devono compiere esattamente gli obblighi contratti con loro, e ricordarsi di loro nella preghiera.

3) persone nobili e altre che non lo sono. I primi devono ricordarsi della loro nobiltà solamente per onorarla con sentimenti nobili e generosi.

Se se ne servissero per elevarsi nel loro spirito al di sopra degli altri, diventerebbero piccoli e abbietti davanti a Dio.

Gli altri devono vedere nella nobiltà una scelta della divina Provvidenza diretta da viste piene di saggezza e stimarla in quelli in cui è posta; ma, ben lungi dall'invidiarla, si ricordino che il nome di cristiano, che hanno l'onore di portare, procura una nobiltà infinitamente più elevata di quella della terra.

4) poveri e ricchi. Fra noi non vi possono essere persone propriamente ricche, poiché rinunciamo ai beni terreni e ci siamo interdetti, col voto di povertà, l'uso libero e indipendente di questi beni.

Ma chiamo ricchi quelli che, riservandosi per loro uso quanto è necessario per un onesto trattamento, secondo il loro stato e i loro bisogni, conservano tuttavia un apparente sfarzo e l'amministrazione del loro beni.

Si possono cosi mettere fra i ricchi quelli che, godendo di una certa rendita, non hanno bisogno di provvedere alla loro sussistenza col lavoro o con qualche altro mezzo faticoso.

I ricchi devono considerare i loro beni come un peso oneroso, di cui desiderebbero essere privati per assomigliare maggiormente a Nostro Signore e che sopportano per obbedienza, in vista dei servizi che possono rendere alla Chiesa ed alle membra sofferenti di Gesù Cristo.

Una delle prime loro cure sarà quella di restringere il loro necessario, di diminuire i loro impegni ed i loro bisogni, e sarebbe un'illusione, evidente, contraria ai loro obblighi, il credere che sia loro permesso, tranne il caso di necessità, di uguagliare le loro spese alla quantità delle rendite loro.

I poveri, e con questo nome indico quelli che mancano del necessario o che ne mancherebbero senza un lavoro continuo, si rallegreranno di essere in uno stato più conforme a quello del Salvatore del mondo e che offre maggiori mezzi per acquistare le vere ricchezze, le sole di cui possano essere gelosi.

Nella nostra Società vi può essere anche una grande varietà di professioni; ma qualunque sia la professione di quelli che si sono consacrati al servizio di Dio, loro principale cura deve essere quella di conciliare i doveri coi loro obblighi religiosi, e di farla servire alla gloria di Dio, alla salvezza propria, al bene della Chiesa, all'utilità generale.

I cuori loro devono essere liberi da affetti meschini, e la loro mente da ogni intenzione limitata alla vita presente.

La mira del guadagno, la caccia agli onori, il desiderio dei propri comodi sarebbero indegni di loro.

Ciascuno nella propria professione si proponga ciò che vi è di più santo, di più lontano dalla corruzione del mondo, di più conforme allo spirito di Dio.

Eviti con cura i vizi e i difetti di cui generalmente è contaminata dagli uomini del mondo, che la fanno servire alle loro passioni.

Tutti disimpegnino le loro professioni onorabili con una generosità veramente cristiana; e nobilitino con le loro virtù quelle professioni che non lo sarebbero per se stesse.

Nelle arti liberali non cerchino i vani applausi e non si affatichino tanto la mente da non poterla poi facilmente elevare a Dio.

Nei lavori meccanici abbiano cura di non tuffarsi della materia e nelle cose sensibili; che tutto serva a benedire Dio ed a procurare la sua gloria.

Il soldato sappia che il primo nemico da combattere è se stesso; che la forza viene da Dio e che da Lui solo si può aspettare la vittoria.

Che il magistrato sia il rifugio della vedova e dell'orfano, e rigetti da sé lo spirito di querela.

Il finanziere non contamini la mano e il cuore col veleno di quei metalli corruttori che gli passano fra mano.

Il medico si compiaccia di prodigare le risorse della sua scienza al povero e al misero.

Il negoziante, il mercante seguano in tutto la legge della massima equità e che il guadagno del loro commercio vada a profitto dei miseri e non all'aumento del loro patrimonio.

Non mi dilungo a parlare delle altre professioni, ma questo particolare non è privo di utilità; invito i membri delle due Società ad approfondirne i doveri, le virtù, i pericoli e di farmi partecipe delle loro esperienze.

Mi limito ad aggiungere che ciascuno nella propria professione deve considerarsi come l'uomo di Dio, incaricato di agire in suo nome, per la sua gloria, il bene della Chiesa e quello di tutte le classi della civile società,

È questo il solo mezzo di fare il bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini.

Quale vantaggio procureremo alla collettività ed ai singoli cittadini!

Dappertutto, come già dissi, si sarà sicuri di trovare eccellenti cittadini, veri patrioti, magistrati onesti e ben edotti della legge, medici abili, mercanti pieni di probità, artigiani sobri, persone infine di ogni condizione, che, guidate dalle regole della più rigida equità, potranno essere col loro esempio degli apostoli e trascinare altri a fare la medesima cosa.

La gioventù saprebbe ove trovare la luce, la debolezza l'appoggio, gli infelici i soccorsi, gli afflitti la consolazione, quelli che desiderano seguire la via della virtù guide sicure, sostegni, modelli, consiglieri veraci, amici generosi e pieni di compatimento.

Quale vantaggio per le città il possedere un grande numero di queste persone!

La loro presenza a poco a poco eliminerebbe il disordine e l'ozio; vi fiorirebbero le virtù sociali; l'unione regnerebbe nelle famiglie e tutto avverrebbe nell'ordine; la questura non avrebbe a temere di vedere la pace turbata dai sediziosi.

Man mano aumenterà il numero di queste persone si vedrà quanto vi è di buono, di grande, di bello, di sublime riprendere nuovo vigore, epurarsi il gusto, le arti e le scienze brillare di nuovo splendore.

Soltanto la verità sarebbe applaudita e tutto volgerebbe all'utilità pubblica; si correggerebbe l'abuso delle arti malsane che allarmano il pudore e infettano i cuori più semplici.

Un fuoco divino darebbe all'eloquenza e alla poesia un'elevazione che ricorderebbe all'uomo la sua origine celeste; la patria sarebbe al colmo della gloria; il governo godrebbe del migliori risultati, e l'universo stesso, dopo i giorni delle tenebre e del lutto, si rallegrerebbe per la rinascita dei più bei giorni del Cristianesimo.

Quanto sarebbe grande il monarca! il suo nome sarebbe colmato di benedizioni, egli a buon diritto potrebbe ripromettersi una gloriosa immortalità presso tutti i popoli della terra, se si servisse del suo potere e della sua influenza per procurare al mondo una simile felicità!

Non ho esagerato. Cosa non potremmo sperare da uomini che in ogni stato e professione, per i motivi più sublimi suggeriti dalla fede, si consacrano di comune accordo alla pubblica utilità?

Le passioni non oscurano la loro ragione ne la distolgono dalla mèta; il cuore gode di quella calma che lo rende atto a tutto, e Dio benedice i lavori che tendono a procurare la sua gloria ed il bene comune dei figli suoi.

Se qualcuno di loro con questi mezzi acquista una distinta considerazione, che si è come forzati di accordare a grandi talenti, a un merito straordinario, sappia che è giunto per lui il momento di essere umile, di non compiacersi nelle lodi umane, e di dare a Dio la gloria del successo.

Se, come ordinariamente succede, hanno competitori o invidiosi, vedano sempre con sincera soddisfazione i successi dei primi, li applaudino di cuore; e non facciamo sembiante di accorgersi della debolezza dei secondi, se non per compatirli e per porvi rimedio, se lo possono.

Siccome poi non tutti possono godere della medesima considerazione, gli altri si rallegrino di riconoscere nei loro fratelli le doti di cui essi sono privi e benedicano il Signore che, nella distribuzione dei suoi doni, non li ha favoriti di quelle qualità superiori di cui avrebbero potuto fare cattivo uso o il cui splendore avrebbe potuto accecarli.

Doveri dei superiori, degli inferiori, degli uguali

È giunto il momento di parlare dei rispettivi doveri dei Superiori, degli inferiori, degli uguali che si trovano sia nella Società, sia fuori della Società, qualunque sia lo stato o la professione d'ognuno.

È ciò che farò ora in modo generico.

Oltre ai Superiori maggiori nei quali risiede la maggiore autorità sia ecclesiastica che civile, ve ne sono altri subordinati ai primi e coi quali abbiamo relazioni più frequenti ed immediate.

In proporzione si devono avere per loro gli stessi sentimenti che per i Superiori maggiori; l'amore, il rispetto, l'obbedienza secondo la misura dell'autorità che è loro affidata.

Non basta mostrare esternamente questi sentimenti: bisogna esserne penetrati internamente.

L'amore ci porterà ad obbedire con gioia, il rispetto a farlo più esattamente.

Non parliamo di loro se non con molta deferenza e non permettiamo che se ne parli male davanti a noi.

Cerchiamo di accrescere il loro onore, anche se è necessario a dispendio del nostro, a meno che la verità o qualche altra superiore ragione non ci proibisca di farlo.

Bisogna accogliere docilmente i loro consigli, i loro rimproveri con sincera umiltà, quando anche non ci sembrassero meritati.

Non potremo mancare a qualcuno di questi punti senza ferire in qualche cosa la perfezione dell'obbedicnza.

Disubbidire a loro è disubbidire a Colui che rappresentano, a Dio stesso di cui tengono il posto per noi.

Non potremo farlo senza andare almeno indirettamente contro i nostri santi obblighi, in modo più o meno grave.

Se occupiamo il posto di Superiore, sforziamoci di meritare i sentimenti che ci sono dovuti da quelli che ci sono sottoposti: il loro amore, per mezzo del tenero e vivo interesse che prendiamo per ciascuno di loro; il loro rispetto, per mezzo della nostra vigilanza e gli esempi di virtù che diamo loro; la loro obbedienza, per i modi dolci e caritatevoli con cui prescriviamo ad ognuno il compito.

Tuttavia si trovi in noi fermezza quando si tratta dei doveri essenziali e quando il buon ordine vi è interessato.

Perdiamoci di vista, ma non affievoliamo i diritti di Dio e di ciò che riguarda la salvezza delle anime.

I doveri fra uguali sono la concordia che deve regnare fra loro, i riguardi che si devono reciprocamente, le testimonianze sincere che sempre devono darsi mutualmente di reciproca carità.

Coloro che tendono alla perfezione, come lo si deve fare nelle nostre Società, sentano in quale modo particolare debbono adempiere questi doveri, anche se non possono aspettarsi di ricevere le medesime attenzioni; stiano in guardia, per non dare ai loro inferiori nessuna causa di lamento, mentre sono disposti a sopportare da loro ogni mancanza.

Quale cura non debbono avere di conservare la concordia! nessun sacrificio deve sembrare loro troppo grande per procurarsi un così grande bene.

Il Cuore divino di Gesù e quello della sua SS. Madre hanno scolpito profondamente nel loro cuore, come in quello dei primi cristiani, questo sentimento unanime che fa loro desiderare di avere tutti insieme un cuore ed un'anima sola.

Con quale vigilanza devono evitare tutto ciò che potrebbe ferire l'amor proprio altrui, nelle parole, nei modi di agire, nel contegno, nella condotta!

Con quale pazienza, con quale inalterabile dolcezza sopporteranno senza lamentarsi, senza mostrare la minima emozione, i più ignominiosi trattamenti!

Con quale prontezza devono desistere dal sostenere i loro sentimenti, per quanto abbiano ragione, per non contrariare quelli degli altri!

Avranno riguardo per gli uguali fino al punto di non contestare loro impieghi, vantaggi ai quali potrebbero pretendere con ogni diritto.

La loro umiltà nasconderà ai loro occhi i loro propri meriti e farà considerare il merito altrui come molto superiore al proprio.

Attribuiscano volentieri quanto vi è di più onorifico agli altri e si riservino l'ultimo posto, come quello loro spettante.

La loro carità sia illimitata e le prove che continuamente ne daranno sembrino loro poca cosa, perché la carità di Gesù Cristo sarà sempre presente al loro spirito e farà loro sentire quanto sono lontani dal divino Modello.

Negli uguali vedano fratelli, per i quali il Salvatore del mondo ha sparso il suo Sangue, vedano in essi Gesù Cristo stesso.

Quand'anche fossero fratelli secondo il sangue, la loro tenerezza non potrebbe essere maggiore e dovrebbero temere che fosse allora naturale.

L'esercizio di questi doveri degli uni verso gli altri nell'interno delle Società acquista un maggior grado di perfezione, perché le reciproche disposizioni sono le medesime, la loro unione è più spirituale ed intima, sono tutti strettamente uniti a Gesù Cristo e trovano gli uni negli altri quanto può stimolarli a compiere questi doveri nel modo più perfetto.

Gli inferiori vedono nei Superiori quelli che li hanno generati a Gesù Cristo e che non desiderano che la loro perfezione.

I Superiori vedono negli inferiori i figlioli docili che lo Spirito Santo ha posto sotto la loro direzione e nei quali sperano rivivere e perpetuarsi lo spirito di Gesù Cristo.

Gli uguali vedono negli uguali i discepoli del medesimo Maestro, i figli del medesimo Padre, nutriti del medesimo latte, portati dalle braccia della medesima Madre, ripieni della medesima dottrina, infiammati dal medesimo fuoco, animati dal medesimo spirito, e che formano un tutto con Gesù e con Maria.

Dopo ciò qual cosa mal potrebbe arrestare o limitare la vivezza dei loro sentimenti reciproci?

Il Cuore di Gesù e quello della sua SS. Madre sono la loro casa comune: « Quanto è buono, quanto è dolce per i fratelli abitare la medesima casa! »

Una casa simile, ove tutte le virtù, tutti i tesori, tutti i doni del cielo sono riuniti e non lasciano nulla a desiderare per la loro santificazione!

« Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum » ( Sal 133,1 ).

Il mondo stesso, così corrotto, non potrà fare a meno di ammirare uno spettacolo così splendido, se sarà degno di vederlo, ed i più ciechi mondani confesseranno che i piaceri che si concedono, non sono paragonabili alla felicità che procura una così perfetta unione di cuori e di spiriti.

Concludendo insisto ancora sopra un punto del quale ho già parlato, che deve singolarmente servire all'edificazione del prossimo e che racchiude in sé i mezzi per procurarla da me già esposti.

Ognuno conosca quanto il suo stato e la sua professione offrono di risorse e di occasioni per praticare la perfezione, e stia attento a non ometterle; qualunque altra perfezione non è quella che Dio richiede da noi.

I Superiori inculchino continuamente questo obbligo, ne mostrino l'eccellenza e la necessità, tanto per il bene particolare quanto per il bene generale, che deve provenirne; mettano tutto in opera per conservare e cementare nel membri di queste Società la più perfetta sottomissione e dipendenza dai Superiori ecclesiastici e laici, e la cura che debbono avere di obbedire loro, in vista di Dio, in quanto è di loro competizione e giurisdizione.

Se per disgrazia, qualche Superiore della Società avesse prescritto qualcosa di contrario, si affretti a rettificare l'errore, che potrebbe avere dolorose conseguenze.

Questi doveri non vi sono nuovi; mi basta averveli ricordati; l'esigono il fine e la natura della vostra vocazione.

Il Signore non vi ha chiamato alla solitudine del chiostro, ove avreste potuto forse dedicarvi più facilmente e senza tanti pericoli alla vostra perfezione personale; vi ha chiamati come gli Apostoli ed i primi discepoli a stare in mezzo al mondo, in una nazione perversa, fra uomini che conoscono appena il nome di Dio.

Per rispondere alla vostra vocazione, ciascuno di voi, secondo il proprio stato e la propria professione e il proprio sesso, deve combattere per la gloria di Gesù, affrontare senza panico i marosi di un mare in tempesta, che vi circonda da ogni parte, salvare dal naufragio il maggior numero possibile di infelici e preservare forse per sempre intere famiglie, che in questi giorni di tenebre sono minacciate dalla medesima disgrazia!

Queste cose sono grandi e difficili; ma non temete: chiamandovi, il Signore vi assicura la sua protezione; vi copre col suo scudo, il suo Cuore diventa il vostro rifugio, ove starete al riparo dei pericoli del mondo; e le bestie velenose di cui è pieno e che danno la morte a chi le avvicina, non potranno nuocervi.

Non è forse un segnalato beneficio la scelta che il Signore ha fatto di voi?

Cosa temete voi che siete difesi dal suo braccio onnipotente?

Fate attenzione all'avviso che vi da l'apostolo e che io vi ripeto dopo di Lui: « Non accontentatevi di fare il bene davanti a Dio ( ossia di lavorare alla vostra salvezza e perfezione ) ma fatelo anche davanti agli uomini ».

Lavorate dunque alla salvezza del prossimo, fate tutto quanto è in vostro potere per edificarlo, compiendo verso di lui i doveri del vostro stato, rendendogli i servizi che la vostra professione vi permette di offrirgli.

La salvezza di un grande numero di anime può dipendere dalla vostra fedeltà su questo punto; senza di essa non risponderete che assai imperfettamente alla vostra vocazione e dimostrerete poco amore e poco interesse per una Società, la cui esistenza dipende forse dalla edificazione che deve dare al mondo, ora nella crisi più terribile in cui si sia trovato dopo la fondazione della Chiesa.

Senza questa fedeltà, sareste ancora ben lontani dall'entrare come dovete, nei sentimenti intimi del Cuore adorabile di Gesù, non avreste nessun tratto di rassomiglianza col Cuore della sua SS. Madre, sareste indegni dei loro speciali favori, forse anche di quelle grazie, di cui avreste tanto bisogno, e certissimamente non otterreste la fulgida corona che vi è destinata.

Quanti impellenti motivi per spingervi ad essere fedeli nel compimento dell'obbligo di lavorare alla edificazione del prossimo!

Possiate non trascurare nulla su questo punto, ve ne scongiuro istantemente!

Prostrato d'anima e di cuore ai piedi del trono di Dio misericordioso, non cesserò mai di sollecitare per voi questa grazia, per il Sangue del suo divin Figlio, Gesù Cristo Nostro Signore, e per l'intercessione della sua SS. Madre, la Beata Vergine Maria.

Mi raccomando alle vostre sante preghiere.

Il più umile dei vostri servi

26 settembre 1808

P. J. ( Pére Joseph )

Indice

1 Dalla Maison de Sante di Parigi, presso la Barrière du Tron, dove il P. de Glorivière era internato con pazzi ed altri prigionieri, dal mese di maggio 1808.