Il potere della croce

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« E Gesù, emesso un alto grido, spirò »

Gli evangelisti Matteo e Marco descrivono così la morte di Cristo: « E Gesù, emesso un alto grido, spirò ». ( Mt 27,50; Mc 15,37 )

« Kraxas phonè megale » in greco, « Clamans voce magna », in latino.

C'è un grande mistero in questo grido di Gesù morente, che non possiamo lasciar cadere nel vuoto.

Se esso fu emesso, è perché fosse raccolto; se è scritto nel Vangelo, è anch'esso vangelo.

Tutto quello che, nella vita di Gesù, era rimasto di non detto e di non dicibile a parole, è racchiuso in quel grido.

Con esso, Cristo svuotò il suo cuore di tutto ciò che l'aveva riempito in vita.

È un grido che attraversa i secoli, più alto di tutte le grida umane: di guerra, di dolore, di gioia, di disperazione.

Non è presunzione cercare di entrare nel mistero di quel grido e di scoprirne il contenuto.

C'è una ragione oggettiva, dogmatica, che permette di farlo. Si chiama l'ispirazione biblica.

« Tutta la Scrittura è divinamente ispirata » ( 2 Tm 3,16 ); « mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio » ( 2 Pt 1,21 ).

C'è dunque qualcuno che conosce il segreto di quel grido: lo Spirito Santo che ha « ispirato » tutte le Scritture.

Egli è solito spiegare in un luogo ciò che ha lasciato senza spiegazione in un altro; spiega con parole intelligibili ciò che altre volte dice « con gemiti inesprimibili » ( Rm 8,26 ).

Egli è l'autore unico di tutta la Bibbia, al di sotto dell'avvicendarsi degli autori umani.

« Chi conosce - dice l'Apostolo - i segreti dell'uomo, se non lo spirito dell'uomo che è in lui?

Così anche i segreti di Dio, nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio » ( 1 Cor 2,11 ).

Dunque, i segreti di Cristo, nessuno li conosce se non lo Spirito di Cristo che era in lui e che per tutta la vita gli era stato « compagno inseparabile in tutto ».1

Tutto Gesù fece « nello Spirito Santo ».

Tutto il suo parlare, fu un parlare « nello Spirito Santo » ( Lc 4,18 ).

Anche il suo gridare sulla croce fu un gridare « nello Spirito », non un semplice urlo di morente.

Ora « noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato » ( 1 Cor 2,12 ), anche ciò che ci ha donato con quel grido.

Nella lettera ai Romani, l'Apostolo scrive: « L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » ( Rm 5,5 ).

Non avevo mai fatto caso a una cosa: san Paolo, con queste parole, non si riferisce all'amore di Dio in generale e in astratto, ma a un momento concreto di tale amore, a un evento storico preciso che passa subito, del resto, a illustrare: « Infatti - prosegue il testo -, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi » ( Rm 5,6 ).

La congiunzione « infatti - gar » indica che si tratta di una spiegazione di ciò che precede; che si sta per dire qual è quel grande amore di Dio che lo Spirito Santo ha riversato nei nostri cuori.

Ma ascoltiamo bene, per intero, ciò che lo Spirito stesso ci dice per bocca dell'Apostolo.

Qui ci affacciamo, credo, sull'abisso da cui salì quel grido di Cristo morente.

« Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito.

Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene.

Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché mentre eravamo ancora peccatori.

Cristo è morto per noi … Quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio » ( Rm 5,6-10 ).

Il grido di Gesù sulla croce è un grido di parto.

Nasceva, in quel momento, un mondo nuovo.

Veniva abbattuto il grande "diaframma" del peccato e si operava la riconciliazione.

Fu dunque un grido di sofferenza e di amore insieme.

« Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine » ( Gv 13,1 ).

Li amò fino all'ultimo respiro! Di quale forza divina fosse carico quel grido di Cristo, lo comprendiamo da ciò che esso provocò subito in chi lo ascoltò dal vivo.

È scritto che il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: « Veramente quest'uomo era Figlio di Dio! » ( Mc 15,39 ).

Divenne credente.

Dobbiamo solo accogliere quel grido d'amore, lasciare che esso ci scuota fin nelle viscere, che ci cambi.

Se no, i nostri Venerdì Santi passano invano.

Appena Gesù ebbe emesso quell'alto grido, « il velo del tempio si squarciò da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono » ( Mt 27,51 ).

Era per indicare ciò che dovrebbe avvenire nei nostri cuori.

Dio non ce l'ha con le rocce. Sono altre « rocce » che devono spezzarsi; sono i « cuori di pietra » degli uomini che mai, mai, si sono commossi, mai hanno pianto, mai hanno riflettuto.

Gesù sapeva bene che c'è una sola chiave che apre i cuori chiusi, e questa non è il rimprovero, non è il giudizio, non è la minaccia, non è la paura, non è la vergogna, non è niente.

È solo l'amore. Ed è questa l'arma che egli ha usato con noi.

« L'amore di Cristo ci stringe al pensiero che uno è morto per tutti » ( 2 Cor 5,14 ).

La parola usata qui da san Paolo, synechei, significa, in senso circolare: ci stringe da tutte le parti, ci assedia, ci avvolge; oppure, in senso lineare: ci incalza, non ci dà tregua, « urget nos », come traduceva la Volgata.

Dobbiamo lasciarci afferrare da questo abbraccio.

« Forte come la morte è l'amore; le sue vampe sono vampe di fuoco » ( Ct 8,6 ).

Potessero queste vampe lambirci in questo giorno santo, lambire almeno qualcuno di noi e farlo decidere ad arrendersi finalmente all'amore di Dio!

Quando si tratta di Dio, lasciarsi comprendere e afferrare, è più importante che comprendere.

Queste cose sono rivelate ai piccoli, e sono tenute nascoste ai prudenti e ai saggi.

Diamo dunque tempo al pensiero dell'amore di Cristo di avvolgerci e di penetrarci nell'intimo.

Esponiamoci a questo amore, come alla luce di un sole estivo.

Com'è questo amore del Redentore?

La prima qualità è che è un amore dei nemici.

« Quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati ».

Gesù aveva detto che « non c'è amore più grande che dare la vita per i propri amici » ( Gv 15,13 ).

Ma bisogna intendere bene che cosa vuoi dire qui la parola amici.

Lui stesso dimostra che c'è un amore più grande ancora di questo, più grande che dare la vita per i propri amici, ed è dare la vita per i propri nemici.

Allora che vuol dire, lì, amici? Non coloro che ti amano, ma coloro che tu ami.

( Amici ha il senso passivo di "amati", non il senso attivo di "amanti" ).

Gesù chiamò Giuda amico ( Mt 26,50 ), non perché questi lo amasse ( lo stava tradendo ), ma perché lui lo amava.

E che vuol dire qui, la parola nemici? Non coloro che tu odi, ma coloro che ti odiano.

( Nemici, al contrario, ha il senso attivo di "odianti", non quello passivo di "odiati"! ).

Dio non odia nessuno, non considera alcuno, per parte sua, nemico.

Buoni e cattivi siamo tutti ugualmente suoi figli.

Questa è la cima più alta, l'Everest dell'amore.

L'amore di cui non si può, davvero, pensare uno più grande al mondo.

Morire per dei nemici, amare chi ti odia e ti vuoi distruggere e anzi ti sta distruggendo!

« Padre perdonali! Padre perdonali ».

E quei nemici eravamo noi. Noi peccatori, noi « empi », noi che da Adamo abbiamo imparato quella terribile forma di amore che si chiama egoismo, l'« amore di sé che si spinge, se necessario, fino al disprezzo di Dio ».2

« Egli si è caricato delle nostre sofferenze … Dio ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti … ed egli non aprì la sua bocca » ( Is 53,4.6-7 ).

Quanto ci hai amato, o Redentore nostro, quanto ci hai amato!

Non permettere che torniamo a casa per l'ennesima volta senza aver capito il mistero di questo giorno.

Fa' che possiamo dirti anche noi con gioia e commozione: « Tu hai gridato, o Dio, e il tuo grido ha squarciato la mia sordità. E ora anelo a te ».3

Che il grido di Cristo morente squarci anche la nostra sordità!

In un giorno come questo, tanti secoli orsono, una grande mistica stava meditando intensamente la passione di Cristo quando udì nell'anima queste parole divenute celebri: « Non ti ho amato per scherzo! » ( Beata Angela da Foligno ).

La seconda qualità è che è un amore attuale.

Non è un fuoco spento, non è cosa del passato, di duemila anni fa, di cui resta solo il ricordo.

È in atto, è vivo. Se fosse necessario, egli morirebbe ancora per noi, perché l'amore che lo portò a morire perdura immutato.

« Io ti sono più amico del tale e del tal'altro - ci dice il Cristo, con le parole che fece udire un giorno al credente B. Pascal - Io ho fatto per te più di loro, ed essi non soffrirebbero mai quel che ho sofferto da te, non morirebbero mai per te nel tempo della tua infedeltà e delle tue crudeltà, come io ho fatto e sono pronto a fare ancora per i miei eletti ».4

Gesù ha dato fondo ai segni del suo amore.

Non c'è più nulla che possa fare per manifestare il suo amore, perché non c'è prova più grande che dare la vita.

Ma ha esaurito i segni dell'amore, non l'amore.

Il suo amore è affidato ora a un segno speciale, diverso, un segno che è una realtà, anzi una persona: lo Spirito Santo.

« L'amore di Dio - quell'amore di Dio che ora conosciamo - è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo ».

È dunque un amore vivo, attuale, palpitante, come è vivo, attuale e palpitante lo Spirito Santo.

Là dove gli altri evangelisti avevano detto che Gesù « emesso un alto grido, spirò», Giovanni dice che « chinato il capo emise lo Spirito » ( Gv 19,30 ).

Cioè, non solo spirò, ma donò lo Spirito, lo Spirito Santo, il suo Spirito.

Ora conosciamo cosa c'era racchiuso in quell'alto grido che Gesù emise morendo.

Il suo mistero è finalmente svelato!

Terza qualità: l'amore del Redentore è un amore personale.

Cristo è morto « per noi », ci ha detto l'Apostolo.

Se intendiamo quel « per noi » in senso solo collettivo, esso perde qualcosa della sua grandezza.

La sproporzione numerica ristabilisce una certa qual proporzione di valore.

È vero che Gesù è l'innocente e noi i colpevoli, che lui è Dio e noi uomini; ma dopo tutto egli è uno solo e noi siamo miliardi.

Potrebbe sembrare meno esagerato che uno solo muoia per salvare la vita di miliardi di creature.

Ma non è così. Morì « per noi » significa « per ciascuno di noi ».

Va preso in senso distributivo, non solo collettivo.

« Mi ha amato e ha dato se stesso per me », dice altrove lo stesso Apostolo ( Gal 2,20 ).

Egli non ha dunque amato la massa, ma gli individui, le persone.

Egli è morto anche per me e devo concludere che sarebbe morto ugualmente, anche se non ci fossi stato che io da salvare sulla faccia della terra.

Questa è certezza di fede.

L'amore di Cristo è un amore infinito perché divino, non solo umano.

( Cristo è anche Dio, non lo dobbiamo dimenticare mai, neppure un istante! ).

Ma l'infinito non si divide in parti.

È tutto in tutti. Ci sono milioni di particole che vengono consacrate ogni giorno nella Chiesa.

Ma ognuna di esse non contiene solo una particella del corpo di Cristo, ma tutto Cristo.

Così è del suo amore. Ci sono miliardi di uomini, ma ognuno non riceve in sorte una particella dell'amore di Cristo, ma tutto intero tale amore.

Tutto l'amore di Cristo è in me, e questo mi deve ispirare gioia.

Ma tutto l'amore di Cristo è anche nel fratello, e questo mi deve ispirare rispetto per lui, stima e carità.

Anch'io posso dire: « Mi ha amato e ha dato se stesso per me! ».

Egli conosce le sue pecorelle per nome, le chiama « una a una » ( Gv 10,3 ).

Nessuno è solo un numero per lui.

Come suonano nuove e vere, poste sulle labbra di Cristo sulla croce, le parole di Dio che si leggono nel profeta Isaia: « Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni …

Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo » ( Is 43,1.4 ).

Tu sei degno di stima, perché io ti amo: tutto qui è al singolare.

Come sono dolci queste parole per colui che si sente miserabile, indegno, abbandonato da tutti, se solo avrà il coraggio di credere a esse!

« Chi ci separerà dall'amore di Cristo? », esclama a questo punto l'Apostolo.

La tribolazione? L'angoscia? La vita? La morte? No! Niente ci può separare » ( Rm 8,35-38 ).

È questa la scoperta che può cambiare la vita di un uomo, la buona notizia che non dobbiamo mai stancarci di gridare agli uomini d'oggi.

È questa la sola cosa certa e incrollabile al mondo: che Dio ci ama!

Ho detto che il grido di Cristo sulla croce è un grido di partoriente.

Ma questo è un parto singolare.

Tempo fa, durante un soggiorno all'estero, venni a conoscenza di un caso commovente.

Una giovane sposa era in attesa del suo primo figlio, quando le diagnosticarono un tumore.

Sottoponendosi subito a chemioterapia, avrebbe potuto arrestare il tumore, ma fu avvertita che, ahimè!, quasi certamente avrebbe perso il bambino.

Si trattava di scegliere.

I parenti e l'opinione pubblica premevano perché salvasse la sua vita, dicendole che avrebbe potuto avere altri bambini in seguito.

Ma lei fu irremovibile e rifiutò la cura.

Era diventato un caso nazionale, di cui si occuparono a più riprese stampa e televisione, anche perché in quel paese si era in piena discussione sull'aborto.

Per sottrarsi alla curiosità, ella lasciò il paese e si rifugiò nella terra di origine dei suoi genitori.

Giunta lì, dopo alcuni giorni partorì una bella bambina e dopo una settimana morì.

Mi sono chiesto: che cosa proverà, da grande, quella bambina, quando verrà a sapere?

Tutto nella vita le sembrerà cosa da nulla, in confronto a ciò che ha fatto la mamma.

Si incontrano, a volte, dei bambini, la cui mamma è morta nel darli alla luce.

Hanno qualcosa di diverso; custodiscono come un mistero.

Sembrano non sapere e non voler sapere nulla, ma in realtà sono attentissimi a cogliere ogni ricordo, ogni parola che si dice di lei.

Per essi, le persone si distinguono da come parlano della loro mamma.

Quella morte è iscritta nel loro stesso essere; sono nati da essa.

Ebbene, siamo noi quella bambina; siamo noi queste creature nate da una morte!

« Signore Gesù Cristo - dice il sacerdote nella Messa, prima di ricevere la comunione -, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo, morendo hai dato la vita al mondo … - per mortem tuoan mundum vivificasti … ».

Il grido di Gesù sulla croce è il grido di uno che muore partorendo una vita.

Questo modo "materno" di spiegare la redenzione ha un vantaggio; dice qualcosa di nuovo che integra e corregge, in parte, la visione "giuridica" che si basa sull'idea del prezzo del "riscatto".

Nel caso della madre che muore per dare la vita, il nesso tra la sua morte e la vita del figlio non è estrinseco, ma intrinseco.

Non risiede in un altro - il Padre - che, tenendo conto di quella morte, dà la vita; ma risiede nell'amore stesso di colui che dà la vita.

La vita nasce davvero dalla morte.

« Morendo, hai dato la vita al mondo ».

Ma neppure questa spiegazione basta da sola, senza l'altra del "riscatto".

Il figlio infatti, prima di nascere, non ha fatto nulla contro la madre, non è "nemico" ed "empio", come invece eravamo noi, prima che Cristo ci donasse la vita.

Quale sarà la nostra risposta a questa rivelazione dell'amore di Cristo?

Non affrettiamoci subito a formulare propositi e cercare di ripagare.

Non ne saremmo capaci e non è, del resto, la cosa più importante da fare in questo giorno.

C'è una cosa che dobbiamo fare prima di ogni altra, l'unica che attesta che abbiamo capito: commuoverci.

Non disprezziamo la commozione.

Quando viene dal cuore ed è genuina, essa è la risposta più eloquente e più degna che ci possa essere, davanti alla rivelazione di un grande amore o di un grande dolore.

Nella commozione si sperimenta che non ci apparteniamo più.

È un aprire l'intimo del proprio essere all'altro.

Per questo si ha pudore di essa.

Ma non si ha diritto di nascondere la propria commozione a colui che ne è l'oggetto.

Essa gli appartiene, è sua, è lui che l'ha suscitata, è a lui che è destinata.

Gesù non nascose la propria commozione alla vedova di Naim e alle sorelle di Lazzaro, anzi « scoppiò a
piangere » ( Gv 11,35 ).

E noi ci vergogneremo di mostrare la nostra commozione per lui?

A che serve la commozione? È preziosa, perché è come l'aratura che rompe la dura crosta e permette così al seme di annidarsi in profondità nel terreno.

La commozione è spesso l'inizio di una vera conversione e di una vita nuova.

Abbiamo pianto mai noi - o almeno desiderato di piangere - per la passione di Cristo?

Ci sono stati santi che si sono consumati gli occhi a forza di piangere per questo.

« Io piango la passione del mio Signore », rispondeva Francesco d'Assisi a chi gli chiedeva il motivo di tante lacrime.

« Guarderanno - è scritto - a colui che hanno trafitto … Lo piangeranno come si piange un figlio primogenito » ( Zc 12,10; Gv 19,37 )

Questa non è solo una profezia, è anche un invito, un ordine di Dio.

Basta versare lacrime su noi stessi, lacrime inquinate, di autocommiserazione.

È tempo di altre lacrime. Lacrime belle, di stupore, di gioia, di gratitudine.

Di commozione, prima ancora che di pentimento.

È anche questo un « rinascere dall'acqua ».

Quante volte, sentendo rievocare la passione, o accingendomi a farlo io stesso, mi sono ricordato di quel verso celebre di Dante e me lo sono ripetuto, pieno quasi di ira contro me stesso: « E se non piangi di che pianger suoli? ».5

La liturgia della Chiesa ci da l'esempio. A Pasqua essa si commuove.

« O meravigliosa condiscendenza della tua bontà per noi! - esclama nell'Exsultet.

O inestimabile tenerezza di carità … O felice colpa che ci hai procurato un tale e così grande Redentore! ».

Ripetiamolo anche noi questa sera, dopo aver rievocato il grido di Cristo morente sulla croce: « O felice colpa che ci hai procurato un tale e così grande Redentore! ».

Indice

1 Basilio Magno, Sullo Spirito Santo, XVI, 39 (PG 32,140)
2 Agostino, La città di Dio, 14,28
3 Agostino, Confessioni, 10,27
4 B. Pascal, Pensieri, 717
5 Dante Alighieri, Inferno. XXXIII, 42