Compendio di Teologia Ascetica e Mistica |
377. I sacerdoti, in virtù del loro ministero e della missione che loro incombe di santificare le anime, sono obbligati a una santità interiore più perfetta di quella dei semplici religiosi non elevati al sacerdozio.
Tale è l'espressa dottrina di S. Tommaso, confermata dai più autentici documenti ecclesiastici: "perché i mezzi del sacro ordine dell'uomo viene assegnato al ministero più augusto di servire Cristo stesso nel sacramento dell'altare; Per questo richiede una maggiore santità interiore che è necessaria per lo stato religioso".
I Concilii, massimo quello di Trento, i Sommi Pontefici, specialmente Leone XIII e Pio X, insistono tanto sulla necessità della santità pel sacerdote, che il negare la nostra tesi sarebbe un mettersi in flagrante contraddizione con queste irrefragabili autorità.
Ci basti ricordare che Pio X, in occasione del cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio, pubblicò una lettera indirizzata al clero cattolico, ove dimostra la necessità della santità pel sacerdote e indica esattamente i mezzi necessari per acquistarla, mezzi che, a dirlo di passata, sono quelli stessi che inculchiamo noi nei nostri Seminarii.
Dopo aver descritto la santità interiore ( santità di vita e costumi ), dichiara che sola questa santità ci rende quali la divina nostra vocazione richiede: uomini crocifissi al mondo, rivestiti dell'uomo nuovo, che non aspirino se non ai beni celesti e che si studino con ogni mezzo possibile d'inculcare agli altri gli stessi principi: "La santità della propria vocazione ci impone di garantire la qualità: crocifisso dagli uomini del mondo … Uomini in una nuova vita, camminando … essi tendono a fare tutto il possibile per portarli alle cose celesti, e l'altra che competono unicamente per lo stesso ".
378. Il Codice sancì queste idee di Pio X, insistendo, più che l'antica legislazione non facesse, sulla necessità della santità pel sacerdote e sui mezzi di praticarla.
Dichiara nettamente che "gli ecclesiastici devono condurre una vita interiore ed esteriore più santa dei laici e dar loro buon esempio con le virtù e le buone opere".
Aggiunge che i Vescovi devono fare in modo "che gli ecclesiastici s'accostino frequentemente al Sacramento della Penitenza per purificarsi delle loro colpe; che ogni giorno attendano per un po' di tempo all'orazione mentale, visitino il SS. Sacramento, recitino il rosario in onore della Vergine Madre di Dio, e facciano l'esame di coscienza.
Almeno ogni tre anni, i preti secolari devono fare, in una casa pia o religiosa, gli esercizi spirituali per quel tempo che verrà stabilito dal Vescovo; né potranno esserne dispensati se non in casi particolari, per ragioni gravi e coll'espressa licenza dell'Ordinario.
Tutti gli ecclesiastici, massime i sacerdoti, sono obbligati in modo particolare a porgere al proprio Ordinario rispetto e obbedienza.
Del resto la necessità pel sacerdote di tendere alla perfezione si prova:
1° con l'autorità di Nostro Signore e di San Paolo;
2° col Pontificale;
3° dalla natura stessa degli uffici sacerdotali.
379. 1° Nostro Signore insegna eloquentemente, così con gli esempi che con le parole, la necessità della santità pel sacerdote.
Ne dà l'esempio.
A) Egli, che fin da principio era pieno di grazia e di verità, "lo abbiamo visto… pieno di grazia e di verità", volle sottomettersi in quanto poteva, alla legge del progresso: "progrediva, dice S. Luca, in sapienza, in età, in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini ".
E per trent'anni si venne preparando al suo ministero pubblico con la pratica della vita nascosta e con tutto ciò che le è connesso: preghiera, mortificazione, umiltà, obbedienza.
Tre parole compendiano trent'anni della vita del Verbo Incarnato: "Egli è stato oggetto di loro".
Per predicare più efficacemente le virtù cristiane, cominciò col praticarle: "ha cominciato a fare e insegnare"; tanto che avrebbe potuto dire di tutte le virtù ciò che disse della dolcezza e dell'umiltà: " affinché possiate imparare da me, che sono mite e umile di cuore ".
Quindi, verso il fine della vita, dichiara con tutta semplicità che si santifica e si sacrifica ( la parola sanctifico ha questo doppio senso ) perché i suoi apostoli, e i suoi sacerdoti loro successori, si santifichino anch'essi in tutta verità: " E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità ".
Ora il sacerdote è il rappresentante di Gesù Cristo sulla terra, è un altro Cristo: " Quindi siamo ambasciatori per Cristo ".
Anche noi dobbiamo quindi tendere incessantemente alla santità.
380. B) La qual cosa del resto risulta pure dagl'insegnamenti del Maestro.
Durante i tre anni della vita pubblica, il grande suo lavoro è la formazione dei Dodici: questa l'occupazione principale, non essendo la predicazione al popolo che un accessorio e, come a dire, un modello del come i suoi discepoli avrebbero poi dovuto predicare.
Dal che derivano le seguenti conclusioni:
a) Gli altissimi insegnamenti sulla beatitudine, sulla santità interiore, sull'abnegazione, sull'amor di Dio e del prossimo, sulla pratica dell'obbedienza, dell'umiltà, della dolcezza e di tutte le altre virtù così spesso inculcate nel Vangelo, sono certamente rivolti a tutti i cristiani che aspirano alla perfezione, ma prima di tutto agli Apostoli e ai loro successori: sono essi infatti gli incaricati d'insegnare ai semplici fedeli questi grandi doveri, più con l'esempio che con le parole, come il Pontificale rammenta ai diaconi: "Cura di cui voi annunziate il Vangelo o le opere viventi affidamento".
Ora, come tutti convengono, quest'insegnamenti formano un codice di perfezione e di altissima perfezione.
I sacerdoti sono dunque obbligati, per dovere del proprio stato, ad accostarsi alla santità.
381. b) Agli Apostoli in modo tutto particolare e ai sacerdoti sono dirette quelle esortazioni a maggior perfezione contenute in molte pagine del Vangelo: "Voi siete il sale della terra … voi siete la luce del mondo ".
La luce di cui qui si parla non è soltanto la scienza, ma è pure e principalmente l'esempio che illumina e stimola più della scienza: " Risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché, vedendo le vostre opere buone, glorifichino il Padre vostro che è nei Cieli ".
A loro pure in modo speciale si rivolgono i consigli sulla povertà e sulla continenza, perché, in virtù della loro vocazione, sono obbligati a seguir Gesù Cristo più da vicino e sino alla fine.
382. c) Vi è poi una serie d'insegnamenti che sono direttamente ed esplicitamente riservati agli apostoli e ai loro Successori: quelli che Gesù dà ai Dodici e ai Settantadue inviandoli a predicare nella Giudea e quelli che disse nell'ultima Cena.
Ora questi discorsi contengono un codice di perfezione sacerdotale così alta da risultarne per i sacerdoti uno stretto dovere di tendere incessantemente alla perfezione.
Dovranno infatti praticare il disinteresse assoluto, lo spirito di povertà e la povertà effettiva, contentandosi del necessario, lo zelo, la carità, la piena dedizione, la pazienza e l'umiltà in mezzo alle persecuzioni che li aspettano, la fortezza per confessare Cristo e predicare il Vangelo a tutti e contro tutti, il distacco dal mondo e dalla famiglia, il portamento della croce e la perfetta abnegazione.
383. Nell'ultima Cena, Gesù dà loro quel comandamento nuovo che consiste
nell'amare i fratelli come li ha amati lui, cioè sino alla intiera immolazione;
raccomanda la fede viva, una piena confidenza nella preghiera fatta in suo nome;
l'amor di Dio che si manifesti nell'osservanza dei precetti;
la pace dell'anima per accogliere e gustare gl'insegnamenti dello Spirito Santo;
l'intima e abituale unione con lui, condizione essenziale di santificazione e d'apostolato;
la pazienza in mezzo alle persecuzioni del mondo che odierà loro come odiò il Maestro;
la docilità allo Spirito Santo che verrà a consolarli nelle tribolazioni;
la fermezza nella fede e il ricorso alla preghiera in mezzo alle prove: in una parola le essenziali condizioni di quella che oggi chiamiamo vita interiore o vita perfetta.
E termina con quella preghiera sacerdotale, piena di tanta tenerezza, con cui domanda al Padre di custodire i suoi discepoli come li custodì lui nella sua vita mortale; di preservarli dal male in mezzo a quel mondo che devono evangelizzare e di santificarli in tutta verità.
Questa preghiera egli la fa non solo per gli Apostoli, ma anche per tutti coloro che crederanno in lui, affinché siano sempre uniti coi vincoli della fraterna carità come unite sono le tre divine persone, che siano tutti uniti a Dio e tutti uniti a Cristo " affinché l'amore con cui tu amasti me sia in loro e io in essi ".
Non è questo un intiero programma di perfezione, anticipatamente tracciatoci dal Sommo Sacerdote, di cui siamo i rappresentanti sulla terra?
E non è cosa consolante il sapere che pregò perché potessimo attuarlo?
384. 2° S. Paolo quindi s'ispira a quest'insegnamento di Gesù quando a sua volta descrive le virtù apostoliche.
Dopo aver notato che i sacerdoti sono i dispensatori dei misteri di Dio, i suoi ministri, gli ambasciatori di Cristo, i mediatori tra Dio e gli uomini, enumera nelle Epistole Pastorali le Virtù di cui devono essere ornati i diaconi, i presbiteri e ì vescovi.
Non basta che abbiano ricevuto la grazia dell'ordinazione, ma devono risuscitarla, farla rivivere, per tema che diminuisca; " Io ti ammonire che tu fomentare la grazia che è in te per l'imposizione delle mie mani"
392. Secondo l'affermazione dell'Apostolo S. Paolo, il sacerdote è mediatore tra l'uomo e Dio, tra la terra e il cielo: scelto di tra gli uomini per esserne il rappresentante, dev'essere gradito a Dio, chiamato da Lui, per avere il diritto di comparirgli innanzi, di offrirgli gli ossequi degli uomini e ottenerne benefici: "Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, è ordinato per gli uomini nelle cose che riguardano Dio, affinché offra doni e sacrifici per i peccati … E nessuno me la toglie questo onore a se stesso, ma colui che è chiamato da Dio, come Aronne " ( Eb 5,1-4 ).
I suoi uffici si possono ridurre a due principali: è il Religioso di Dio,392-1 incaricato di glorificarlo a nome dell'intiero popolo cristiano; è un salvatore, un santificatore d'anime, che ha la missione di collaborare con Gesù Cristo alla loro santificazione e salute.
Per questa doppia ragione dev'essere un santo,392-2 e quindi tendere incessantemente alla perfezione, perchè non potrà mai conseguir perfettamente quella pienezza di santità che è richiesta dai suoi uffici.
393. In virtù della sua missione, il sacerdote deve glorificare Dio in nome di tutte le creature e più specialmente del popolo cristiano.
È dunque veramente, in virtù del sacerdozio quale fu istituito da Nostro Signore, il religioso di Dio " è ordinato per gli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici ".
Questo dovere egli adempie principalmente col santo sacrifizio della messa e con la recita del Divino Officio; ma tutte le sue azioni, anche le più comuni, possono contribuirvi, come già abbiamo detto, se sono fatte per piacere a Dio.
Or questa missione non può essere adempita che da un prete santo o almeno disposto a diventarlo.
394. A) Quale santità si richiede pel Santo Sacrificio?
I sacerdoti dell'Antica Legge che volevano accostarsi a Dio, dovevano essere santi ( si tratta principalmente di santità legale ) sotto pena di venir puniti: " I sacerdoti, che si avvicinano al Signore, si santificano, io li punirò " ( Es 19,22 ).
Santi dovevano essere per poter offrire l'incenso e i pani destinati all'altare: " Per le offerte del Signore e il pane del loro Dio che offrono, devono essere santi " ( Lv 21,6 ).
Or quanto più santi, di interna santità, non devono essere coloro che offrono non più ombre e figure ma il sacrificio per eccellenza, la vittima infinitamente santa?
Tutto è santo in questo divino sacrificio:
santi la vittima e il sacerdote principale, che altri non è che Gesù, il quale, come dice S. Paolo, "è santo, innocente, immacolato, segregato dai peccatori, elevato al di sopra dei cieli: Tale sommo sacerdote noi è diventato, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli " ( Eb 7,26 )
santa la Chiesa, in cui nome il sacerdote offre la santa mess, santificata da Cristo, a prezzo del suo sangue "se stesso per lei, per renderla santa … dovrebbe essere santa e immacolata " ( Ef 5,25-27 )
santo il fine, che è di glorificare Dio e di produrre nelle anime frutti di santità;
sante le preghiere e le cerimonie, che richiamano il sacrifizio del Calvario e gli effetti di santità da lui meritati;
santa specialmente la comunione, che ci unisce alla fonte di ogni santità.
Non è dunque necessario che il sacerdote, il quale, come rappresentante di Gesù Cristo e della Chiesa, offre questo augusto sacrifizio, sia egli pure rivestito di santità?
Come potrebbe rappresentare degnamente Gesù Cristo, così da essere alter Christus, se mediocre ne fosse la vita e senza aspirazioni alla perfezione?
Come potrebbe essere ministro della Chiesa immacolata, se l'anima sua, attaccata al peccato veniale, non si desse pensiero di spirituale progresso?
Come potrebbe glorificar Dio, se il suo cuore fosse vuoto d'amore e di sacrificio?
Come potrebbe santificare le anime, se non avesse egli stesso sincero desiderio di santificarsi?
395. Come oserebbe salire il santo altare e recitare le preghiere della messa, che spirano i più puri sentimenti di penitenza, di fede, di religione, di amore, d'abnegazione, se l'anima sua ne fosse aliena?
Come potrebbe offrirsi con la vittima divina "In uno spirito umile e cuore contrito possiamo essere accettato da te, o Signore",395-1 se questi sentimenti fossero in contraddizione con la sua vita?
Con che coraggio chiedere di partecipare alla divinità di Gesù "ejus divinitatis esse consortes", se la nostra vita è tutta umana?
Come ripetere quella protesta d'innocenza: "Ma in quanto a me, ho camminato nella mia innocenza", se non si fa sforzo alcuno per scuotere la polvere di mille peccati veniali deliberati?
Con che animo recitare il Sanctus, in cui si proclama la santità di Dio, e consacrare identificandosi con Gesù, autore d'ogni santità, se non c'è studio di santificarsi con lui e per lui?
Come recitare il Pater senza rammentare che dobbiamo essere perfetti come il Padre celeste?
E l'Agnus Dei, senza avere un cuore contrito ed umiliato?
E le belle preghiere preparatorie alla comunione: "Fammi sempre fedeli alla vostra e mai separato da te", se il cuore è lontano da Dio, lontano da Gesù?
E come prendere ogni giorno il Dio di ogni santità, senza il desiderio sincero di partecipare a questa santità, di avvicinarvisi almeno ogni giorni con progressivo sforzo?
Non sarebbe questa un'aperta contraddizione, una mancanza di lealtà, una provocazione, un abuso della grazia, un'infedeltà alla propria vocazione?
Si mediti dunque e si applichi a se stesso tutto il Capitolo V del 4° Libro dell'Imitazione: De dignitate sacramenti et statu sacerdotali: "Se si dispone di purezza angelica e S. J. Baptistæ santità , non saresti degno di ricevere o amministrare questo sacramento … Non è il peso più leggero, ma ora siete vincolati dalla disciplina rigorosa e tenuti per più perfetta santità ".
396. B) Quanto abbiamo detto della santa messa può applicarsi, in un certo senso, alla recita del divino Ufficio.
In nome della Chiesa, in unione con Gesù il grande religioso di Dio, e per l'intiero popolo cristiano, compariamo sette volte al giorno davanti a Dio, per adorarlo, ringraziarlo, e ottenerne le numerose grazie di cui le anime hanno bisogno.
Se preghiamo con la punta delle labbra e non col cuore, non meriteremo forse il rimprovero che Dio fa ai Giudei: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me " ( Mt 15,8; Is 29,13 ).
E le grazie che, allo stesso modo, sollecitiamo dalla divina misericordia, ci saranno forse copiosamente largite?
397. Così pure, per trasformare le nostre azioni ordinarie in vittime accette a Dio, non occorre forse compirle con le già indicate disposizioni d'amore e di sacrificio? ( n. 309 ).
Da qualunque lato si consideri la cosa, sorge sempre la stessa conclusione: come Religioso di Dio, il sacerdote deve mirare alla santità.
Ciò che è pure necessario se vuole salvar le anime.
2° Il sacerdote non può salvare anime senza mirare alla santità.398-1
398. A) Santificare e salvare le anime, tale è il dovere del proprio stato per un sacerdote.
Quando Gesù sceglie gli apostoli, li sceglie per farne pescatori d'uomini " vi farò pescatori di uomini " ( Mt 4,19 ) perchè producano in sè e negli altri copiosi frutti di salute: " Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto sia permanente " ( Gv 15,16 ).
A questo fine devono predicare il Vangelo, amministrare i sacramenti, dar buon esempio e pregar con fervore.
Ora è di fede che ciò che converte e santifica le anime è la grazia di Dio; noi non siamo che strumenti di cui Dio si degna servirsi ma che non producono frutto se non in proporzione della loro unione colla causa principale, instrumentum Deo conjunctum.
Tale è la dottrina di S. Paolo: "Io piantai, Apollo irrigò, ma Dio fece crescere.
Quindi nè chi pianta è qualche cosa, nè chi irriga, ma chi fa crescere, Dio: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha fatto crescere; talché né colui che pianta è qualche cosa, né colui che annaffia; ma che Dio crescente " ( 1 Cor 3,6-7 ).
D'altra parte è certo che questa grazia s'ottiene principalmente con due mezzi, con la preghiera e col merito.
Nell'uno e nell'altro caso noi otteniamo tanto maggiori grazie quanto più siamo santi, più ferventi, più uniti a Nostro Signore ( n. 237 ).
Se dunque il dovere del nostro stato è di santificar le anime, vuol dire che dobbiamo prima santificare noi stessi: "Per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati nella verità" ( Gv 17,19 ).
399. B) Arriviamo del resto alla stessa conclusione, facendo passare i principali mezzi di zelo, cioè la parola, l'azione, l'esempio e la preghiera.
a) La parola non produce salutari effetti se non quando parliamo in nome e nella virtù di Dio, "se Dio esortasse per mezzo nostro" ( 2 Cor 5,20 ).
Così fa il sacerdote fervoroso: prima di parlare, prega affinchè la grazia avvivi la sua parola; parlando, non mira a piacere ma a istruire, a far del bene, a convincere, a persuadere; e perchè il suo cuore è intimamente unito a quello di Gesù, fa vibrare nella voce un'emozione, una forza di persuasione, che scuote gli uditori; e perchè, dimenticando sè stesso, attira lo Spirito Santo, le anime restano toccate dalla grazia e convertite o santificate.
Un sacerdote mediocre invece non prega che a fior di labbra, e perchè cerca sè stesso, per quanto si venga sbracciando, non è spesso che un bronzo sonoro o un cembalo fragoroso, "rame risonante o un tintinnio" ( 1 Cor 13,1 ).
400. b) Il buon esempio non può essere dato che da un sacerdote sollecito del suo progresso spirituale.
Allora può con tutta fiducia invitare, come S. Paolo, i fedeli a imitare lui come egli si studia d'imitare Cristo: "Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo" ( 1 Cor 4,16 ).
Vedendone la pietà, la bontà, la povertà, la mortificazione, i fedeli dicono: è un sacerdote convinto, un Santo; lo rispettano e si sentono tratti ad imitarlo: la mossa, esempi disegnare.
Un sacerdote mediocre potrà essere stimato come un brav'uomo; ma si dirà: fa il suo mestiere come noi facciamo il nostro; e il ministero ne sarà poco o punto fruttuoso.
401. c) Quanto alla preghiera, che è e sarà sempre il più efficace mezzo dello zelo, qual differenza tra il sacerdote santo e il sacerdote ordinario?
Il primo prega abitualmente, costantemente, perchè le sue azioni, fatte per Dio, sono in sostanza una preghiera; non fa nulla, nè dà consiglio, senza riconoscere la propria incapacità e pregar Dio di supplirvi con la sua grazia.
Dio copiosamente gliela concede "ma dà grazia" ( Gc 4,6 ) e il suo ministero è fruttuoso.
Il sacerdote ordinario prega poco e prega male; quindi anche il ministero ne è sterile.
Chi dunque vuol efficacemente lavorare alla salute delle anime, deve sforzarsi di quotidianamente progredire: la santità è l'anima dell'apostolato.
402. Da tutti questi documenti risulta che il sacerdote deve, prima d'entrare nel sacerdozio, avere acquistato un certo grado di santità, e che, divenuto sacerdote, deve continuare a progredire verso perfezione sempre maggiore.
1° Per entrare nel sacerdozio, bisogna aver già acquistato un certo grado di perfezione.
È quanto si ricava da tutti i testi del Pontificale da noi citati.
Infatti si richiede già dal tonsurato il distacco dal mondo e da sè stesso per attaccarsi a Dio e a Gesù Cristo; e se la Chiesa prescrive degli interstizi tra i vari ordini, è perchè il giovane chierico abbia il tempo d'acquistare a mano a mano le varie virtù che corrispondono a ognun di essi.
Lo dice chiaramente il Pontificale: 402-1 "Questo vale per il livello del livello, cioè, come si è detto in esse, come con l'età, maturare alla maggior merito della loro vita e la dottrina".
Ecco perchè si vuole da lui una virtù provata "Il potere dimostrato di vecchiaia".402-2
Or questa virtù provata non si acquista che con la assidua pratica dei doveri del proprio stato, delle virtù che il Pontefice viene premurosamente indicando all'Ordinando in ogni ordine che gli conferisce.
Dev'essere virtù talmente solida da rassomigliare a quella dei vecchi ( lLa vecchiaia è ), i quali con lunghi e penosi sforzi hanno acquistato la maturità e la costanza propria della loro età.
403. Non è dunque una virtù quale che sia, dice S. Tommaso,403-1 quella che è richiesta per l'esercizio del ministero ecclesiastico, ma virtù eccellente: "L'esecuzione degli ordini non è abbastanza in forma per ogni tipo di bontà, ma la bontà richiede eccellente".
Abbiamo visto infatti che il Pontificale esige dagli Ordinandi la pratica d'una fede robusta ed operosa, d'una grande confidenza in Dio, d'un'amor di Dio e del prossimo che giunga fino al sacrifizio, senza parlare delle virtù morali della prudenza, della giustizia, della religione, dell'umiltà, delle temperanza, della fortezza, della costanza; le quali virtù devono pur essere praticate in alto grado, poichè il Pontefice invoca sopra gli ordinandi i doni dello Spirito Santo, che, compiendo le virtù, ce lo fanno praticare in tutta la loro perfezione.
Non basta quindi essere uno di quegli incipienti che sono ancora esposti a ricadere in colpe gravi; ma è necessario, purificata l'anima dalle colpe e dagli attacchi, essersi rassodati nelle virtù che costituiscono la via illuminativa e tendere a sempre più intima unione con Dio.
404. 2° Fatti sacerdoti, non è il momento di fermersi ma anzi di progredire ogni giorno di virtù in virtù, come nota l'Imitazione:404-1 "il vostro carico non si è alleggerito ma siete invece legati da più strette obbligazioni e tenuti a maggiore santità."
Il sacerdote dev'essere ornato di tutte le virtù e deve dare agli altri l'esempio d'una vita pura".
Oltre che il non progredire è retrocedere ( n. 358-359 ), vi è, come abbiamo dimostrato parlando del ministero sacerdotale ( n. 392 ss ), tale obbligo di conformarsi a Gesù Cristo e di edificare il prossimo, che, nonostante tutti i nostri sforzi, restiamo sempre al di sotto dell'ideale tracciato dal Vangelo e dal Pontificale.
Dobbiamo quindi quotidianamente pensare che ci rimane ancora molto da fare per conseguirlo: "Modo troppo per voi".404-2
405. D'altra parte noi viviamo in mezzo al mondo e ai suoi pericoli, mentre i religiosi sono protetti dalle regole e da tutti i vantaggi della vita di comunità.
Se dunque essi sono obbligati a tendere incessantemente alla perfezione, non lo saremo anche noi e più di loro?
E se noi non abbiamo, per proteggere la nostra virtù, gli esterni baluardi che difendono la loro, non dobbiamo forse supplirvi con una maggior forza interiore, che non può evidentemente acquistarsi che con sforzi spesso rinnovati verso una vita migliore?
Il mondo con cui siamo obbligati a trattare tende continuamente ad abbassare il nostro ideale; è quindi necessario costantemente rialzarlo con un ritorno frequente allo spirito sacerdotale.
Questo progresso è dovere tanto più urgente in quanto che dal nostro grado di santità dipende la salute e la santificazione delle anime che ci sono affidate: secondo le leggi ordinarie della provvidenza soprannaturale, un sacerdote fa tanto maggior bene quanto più è santo, come abbiamo dimostrato, ( n. 398 ss ).
Potrebbe dunque essere conforme alla nostra missione di santificatori di anime, il fermarci a mezzo o anche al principio della via della perfezione, mentre tante anime in pericolo di perdersi ci gridano da tutte le parti di correre in loro aiuto "vieni … e aiutarci?" ( At 16,9 ).
È chiaro che a questo grido di soccorso non vi è che una sola risposta degna d'un sacerdote, quella di Nostro Signore stesso: "Io mi santifico e mi sacrifico perch'essi siano santificati in tutta verità" ( Gv 17,19 ).
406. Non esamineremo qui la questione se il sacerdote, obbligato a maggior perfezione interiore del semplice religioso, sia nello stato di perfezione.
È questa, a dir vero, una questione di Diritto canonico, che viene comunemente risolta negativamente, perchè il sacerdote, anche se pastore di anime, non ha quella stabilità che è canonicamente richiesta dallo stato di perfezione.
Il sacerdote poi che è nello stesso tempo religioso, ha, com'è chiaro, tutti gli obblighi del sacerdozio, e per di più quelli dei voti, e trova nella regola più copiosi aiuti per essere santo.
Ma non deve dimenticare che il suo sacerdozio l'obbliga a perfezione maggiore di quella dello stato religioso.
Così il clero secolare e il clero regolare, senza ombra di gelosia, si stimeranno e si aiuteranno a vicenda, non avendo che un solo e medesimo scopo, di glorificar Dio guadagnandogli quante più anime è possibile, e giovandosi delle virtù e dei buoni successi che noteranno nei confratelli per eccitarsi a nobile emulazione: "Consideriamo un l'altro per incitarci all'amore e alle buone opere "( Eb 10,24 ).
Indice |
392-1 | Non intendiamo dire che sia religioso come quelli che entrano in un Ordine e fanno i tre voti, ma nel senso che è ufficialmente incaricato di rendere a Dio i doveri di religione. |
392-2 | Lo dice pure S. Tommaso, (IV Sent., dist. 24, q. 2 "Ha applicato alla dignità regale dei misteri divini e di raggiungere la perfezione in potenza deve essere". |
395-1 | Preghiera dell'Offertorio. |
398-1 | Si legga a questo proposito l'ottimo libro di Dom Chautard, L'anima dell'apostolato. |
402-1 | De ordinibus conferendis. |
402-2 | Loc. cit. |
403-1 | Supplem., q. 35, a. 1, ad 3 |
404-1 | Libro IV, c. 5. |
404-2 | III Reg., XIX, 7 |