La storia della Chiesa |
1. Nei primi tempi in Oriente ( come del resto anche in Occidente, § 19 ), si ebbe una molteplicità di liturgie.
Non erano in se stesse rigide, ma venivano in parte formandosi per improvvisazione carismatica.
( Questo accadde in Oriente, dato il suo fondamento pneumatico anche dopo l'unificazione ).
Originariamente certo esistevano due prototipi che risalivano l'uno ad Alessandria e l'altro ad Antiochia.
Nell'evolversi, il territorio greco - quindi la chiesa antica - si dimostrò sempre il più progressista.
Le nuove fondazioni del patriarcato ecumenico in Oriente erano più conservatrici; le nuove fondazioni, nell'Occidente latino, erano ancora più persistenti nella tradizione, fino a raggiungere, si può dire, un certo duro irrigidimento stilizzante.
Laddove in Oriente si ebbe uno sviluppo, esso si effettuò nel silenzio e senza rumore, del resto fino al XVI secolo e ancora oggi ( Baumstark ).
2. L'unificazione fu posteriore al formarsi della chiesa imperiale bizantina.
A partire dal VI secolo si sviluppò la liturgia di Costantinopoli ( quella della Hagia Sophia ) sotto il patrocinio di san Basilio Magno e di san Giovanni Crisostomo.
Questa liturgia soppiantò tutte le altre, sia nell'impero bizantino sia presso i popoli slavi ( Seraphim ); era la liturgia della « chiesa bizantina » o « greca », cioè delle Chiese raggruppate attorno a Bisanzio, di professione calcedone.
Si diffuse ampiamente presso i greci, i melchiti, gli slavi, gli ungheresi, in Romania, nella Geòrgia, in Albania.
La sua forma definitiva risale al XIV secolo.
Fu tradotta nella lingua dei rispettivi paesi ( slavo, ucraino, arabo366 ); in epoca più recente la liturgia fu tradotta anche nelle lingue moderne, il che, nella sua qualità di elemento sovrannazionale, sembra collegare le chiese, le quali per altro rimangono chiese locali e assolutamente autonome.
Nell'antichità si formarono inoltre la liturgia copta, etiopica e siro-orientale.
La liturgia armena è molto simile alla bizantina.
La liturgia era così espressione del carattere popolare e strumento per rafforzare l'indipendenza politica ed ecclesiastica, la quale, a sua volta, si esprimeva nella liturgia in lingua volgare.
Essa però dovette pure adeguarsi ai mutamenti della situazione politica.
Questi due fatti si possono chiaramente dedurre, per es., dalla storia dei bulgari, dei romeni e dei serbi.
3. Il carattere proprio della liturgia orientale è fondato nella sua abbondanza di mistero; tale abbondanza si spiega, in parte, con la vasta influenza esercitata sulla sua formazione dagli scritti dell'Areopagita ( § 33,6 ).
Certamente molto a causa della esigenza di poter ridare in qualche modo il divino ricevuto nel mistico incontro, sia il suo ragionamento sia la sua dizione hanno spesso un qualcosa di vago ( Stiglmair ).
Per lui la liturgia è « visione e comunione del Divino ».367
La liturgia, come spesso è stato formulato, è il centro vitale della chiesa orientale.
Essa caratterizza l'Oriente in maggior misura di quanto non accada per l'Occidente.368
La differenza si accentuò maggiormente dopo lo scisma del 1054.
La liturgia sostituì la definizione dei dogmi, per la cui fissazione non si avvertiva più alcun bisogno.
La chiesa è il luogo ove si compie l'adorazione di Dio: la sua essenza si manifesta proprio come adorazione liturgica del Dio rivelato o rivelantesi.
4. Centro e culmine della liturgia è la celebrazione della santa Eucaristia nel luogo ornato di immagini, pervaso di simbolismo, ad opera del vescovo e del clero in fastosi paramenti, in gesti e canti solenni nell'atmosfera creata dalla luce delle candele e dal profumo dell'incenso.
Nonostante la sostanziale identità, essa si distingue dalla messa molto più sobria dell'Occidente.
La celebrazione orientale dell'Eucaristia è la vera venuta del Signore trasfigurato nella sua parola, quindi nella celebrazione eucaristica della Cena concepita come sacrificio, il suo reale incedere o discendere in mezzo alla sua corte celeste.
La liturgia è pregnante di realtà celeste, contatto misterioso col Divino.
La memoria dell'Ultima Cena, « quando il Signore si mise a tavola insieme con i suoi Apostoli » ( Lc 22,14 ), viene celebrata dagli eletti: essi partecipano al banchetto messianico, il banchetto nuziale escatologico.
Nella gioia della sua partecipazione, il liturgo prega il Signore presente e glorioso con le parole: « Tu sei l'offerente e l'offerto ».
Poiché la santa Eucaristia rappresenta la fonte e il centro della vita cristiana, essa si estende anche nell'ambito profano di questa.
Ciò vale in modo particolare per la vita dei monaci.
È caratteristico, a tale proposito, il prolungamento, così si potrebbe chiamare, della santa liturgia nel pasto comune.
Dopo la cena eucaristica, anche la refezione partecipa del banchetto di amore con il Signore, in comune gioia con lui.
Solo quando, fra preghiere e segni liturgici, viene consumato insieme l'« Antidoron », consacrato durante la liturgia, ha termine il pasto e la liturgia della Messa.
5. a) Oltre la fastosa coreografia nella liturgia, la professione di fede, la pura dottrina, resta sempre l'elemento principale.
La liturgia è espressione di esso, e non viceversa.
Essa è però la radice della fede; nella liturgia si riflette il carattere della teologia orientale, il cui aspetto peculiare è particolarmente adorazione, è una realtà divina che viene, tuttavia, dopo il dogma.369
Essa rappresenta sensibilmente ciò che la fede insegna, la vittoria sulla morte « che presso di noi ha perso il suo terrore ».
b) Accanto ad essa si trova la pietà popolare, che contribuisce a dare una forma cristiana alla vita.
La preghiera, coniata dal monachesimo, è divenuta un elemento stabile nella vita dei fedeli.
Questo è stato tanto più facile da raggiungersi, in quanto i modelli monastici si erano mantenuti molto semplici e avevano posto un accento particolare sulla devota ripetizione delle stesse semplici preghiere e delle stesse pie pratiche.
La preghiera, in ultima analisi, tende misticamente alla visione ( theoria ) della gloria di Dio, mediante la quale l'orante stesso viene glorificato e il suo aspetto trasfigurato.
Accanto alla preghiera orale, sono particolarmente curate altre forme di pietà, come l'adorazione della croce, la venerazione dei santi ( icone ) e delle reliquie.370
6. La liturgia è un mezzo particolarmente efficace per la realizzazione del sobórnost; essa è tutta e sempre celebrazione comunitaria.
Il fatto di esser celebrata nella madrelingua ( anche se talvolta in forma arcaica ) rappresenta, come è ovvio, un valido aiuto; la celebrazione liturgica fonde tutti i partecipanti in una fraternità.
Ciò sembra verificarsi in modo tutto particolare nella liturgia pasquale, dove l'unità nella Chiesa si esprime nel prorompente reciproco perdono dei peccati, nel bacio della pace del Signore risorto.
1. Per la chiesa orientale la venerazione dei santi è una conseguenza immediata della sua concezione della Chiesa.
La Chiesa è il Corpo mistico del Signore in terra e in cielo; essa perciò, sia quaggiù che lassù, è ontologicamente congiunta nella divinizzazione operata dal Signore risorto.
La venerazione dei santi è espressione dell'articolo di fede: « credo nella comunione dei santi ».
Per quanto la venerazione dei santi non sia affatto il centro della pietà della chiesa orientale, essa non ne è neppure un elemento accessorio, proprio perché promana dalla concezione della Chiesa come Corpo mistico del Signore che unisce l'aldilà e la terra.
I santi sono uniti a noi mediante l'amore e pregano per noi.
Noi invochiamo la loro intercessione.
Questa unione è reale, vale a dire, si attua nella divinizzazione operata dallo Spirito, è la comunione nel Cristo.
La chiesa orientale parla delle lotte dei santi per e con Cristo, ma quasi mai dei loro meriti.
I santi sono « testimoni e vasi della grazia » ( Seraphim ).
2. Nella venerazione di Maria, la Madre di Dio ( § 27, I ), il rapporto con Dio quale centro e con il nucleo essenziale della nostra redenzione, l'Incarnazione, subisce una grandiosa intensificazione: incarnandosi in lei, il Logos ha divinizzato la sostanza dell'uomo.
Maria è diventata ed è la porta della nostra salvezza: Ella ha parte attiva alla nostra redenzione.
È cosa ovvia dunque che Le spetti una venerazione del tutto particolare.
Nella realtà concreta la dottrina relativa a Maria si sviluppa in seguito alla venerazione di Maria.
Questa, profondamente radicata nel popolo cristiano, ha prodotto la mariologia e non viceversa ( quest'ultimo fatto si verifica solo in epoca recente in Occidente ).
La venerazione passa ben presto dalla liturgia alla devozione privata.
Dall'una e dall'altra viene esaltata la Benedetta.
Maria è rappresentante dell'umanità - nella sua interezza - dinanzi all'Eterno, che ha assunto da lei la sua carne, la carne dell'umanità.
Donde la ripetuta invocazione di lode e di esaltazione: « Santissima Madre di Dio, aiutaci! ».
Negli inni ritroviamo tutte le lodi, a noi note dalla devozione mariana cattolica.
E ciò che desta l'entusiasmo maggiore è sempre la nascita dalla Vergine ( vergine anche durante e dopo il parto ).
3. La particolare devozione alla Madre di Dio ha trovato espressione anche nelle numerose icone di Maria, specialmente in Russia e sul Monte Athos.
Talvolta, così racconta la leggenda, dopo apparizioni della Madonna restava una sua icone - un'immagine « non fatta da mani umane » ( greco: achiropita ), quindi miracolosa.
Al termine della benedizione della icone.
Maria personalmente viene supplicata con la preghiera, cara anche all'Occidente: « Sotto la tua protezione ci rifugiamo, santa Madre di Dio; non rigettare le nostre suppliche nelle necessità! ».
Mai viene dimenticata o intaccata la differenza fra la creatura Maria, dotata oltre ogni misura di grazia, e l'infinito Dio-creatore-redentore.
Talvolta la preghiera si rivolge addirittura direttamente a Dio, affinché egli accetti le preghiere della Madre di Dio.
Ma: « Tu, nostro Redentore, redimi il popolo desolato! ».
Attraverso la venerazione dei santi e di Maria, la chiesa orientale mette insistentemente in evidenza l'idea - propria del Nuovo Testamento - della mediazione differenziata della salvezza.
1. Per l'europeo occidentale risulta, a tutta prima, quasi incomprensibile come una controversia sulla venerazione delle sacre immagini abbia potuto sconvolgere così intensamente la chiesa orientale nel IX secolo.
La lotta nella quale le immagini furono bruciate, i loro difensori - specialmente i monaci, come abbiamo visto - perseguitati e uccisi, gettati in carcere ed esiliati, si svolse sotto quattro imperatori, a partire da Leone III ( 1° editto nel 730 ), finché nell'842 sotto l'imperatrice Teodora poté esser celebrata la vittoria delle immagini, come « Festa dell'ortodossia ».
Ma proprio questa passionalità e l'impegno profondo con cui grandi masse di fedeli combatterono contro imperatori « illuminati » ( influenza dell'Islam ) per la venerazione delle immagini, fedeli che, evidentemente, prendevano veramente sul serio la religione cristiana, dimostra che non si trattò di qualcosa di secondaria importanza.
In realtà le iconi e la loro venerazione si trovano in stretta connessione con il particolare carattere « sacramentario » della pietà della chiesa orientale, così come l'abbiamo delineata.
Le immagini sono una parte del mistero, che sacramentalmente sottende la Chiesa e che la Chiesa rappresenta.
La sua funzione principale, come irradiazione della potenza del Signore risorto e trasfigurato, è l'accostamento del credente al Divino, la sua divinizzazione.
La icone stessa è un mistero ( Seraphim ).
Nella icone c'è una realtà santa e santificatrice.
Talune iconi sono di gran pregio artistico.
Ma questo è un aspetto del tutto secondario.
La icone non è il prodotto di un artista o di più artisti insieme, ma di un credente ( perciò queste immagini sono anche tutte anonime; solo per caso e occasionalmente si viene a conoscenza dell'autore ).
Egli, vivendo in santa penitenza, si prepara all'opera ispirandosi a una determinata tipologia, usando colori benedetti, secondo precise prescrizioni del manuale ufficiale di pittura.
Essa viene poi benedetta dal sacerdote, quale rappresentante della Chiesa.371
La icone è un'immagine sacra.
2. Essa non è soltanto effigie o soltanto simbolo.
Tanto nella casa di Dio, quanto nella casa privata, essa è strettamente collegata alla santa liturgia, la cui luce di grazia assorbe e irradia.
Ciò che si venera nell'immagine372 non è l'immagine stessa, ma chi vi è rappresentato; da lui, quale archetipo, è passato qualcosa di reale nell'immagine; l'icone è l'immagine del santo trasfigurato nell'aldilà, la cui « venerazione innalza verso l'archetipo » ( Basilio il Grande ); il contemplante non viene incitato ad alcuni buoni propositi, ma viene « trasformato », come per effetto sacramentale.
L'importanza delle immagini nelle chiese orientali è costituita dalla loro funzione di insegnamento per le persone prive di cultura,373 ma non si ferma certamente qui.
L'icone è piena di senso teologico, in particolare essa è strettamente connessa con l'Incarnazione.
Nell'Incarnazione, Dio stesso si è fatto « immagine » visibile, « immagine dell'invisibile Dio » ( Col 1,15 ) e « splendore riflesso della gloria del Padre » ( Eb 1,3 ).
Come il Signore incarnato, così anche le iconi, in maniera più debole, ma reale, fungono da elemento di unione fra terra e cielo; più concretamente, esse sono immagine del Cristo incarnato.
Ma ciò possono esserlo veramente, perché anche ogni uomo è stato creato a immagine di Dio e questa realtà non è andata distrutta col peccato.
Ma esse sono d'altra parte soltanto « immagine », così come il Logos eterno si è esinanito nella carne.
3. a) Non va negato che tale concezione, nella pratica ( specialmente con la moltiplicazione quasi illimitata, e spesso meccanica, dei segni esteriori di adorazione: prostrazioni, segni di croce, baci, candele ), era soggetta al pericolo di cadere nella superstizione e nella materializzazione e di fatto vi cadde.
Molte, moltissime testimonianze degne di fede, relative alla pietà popolare nelle chiese orientali, impediscono di porre sullo stesso piano la teoria e la prassi.
Poiché spesso l'ignoranza religiosa del popolo rifletteva purtroppo quella del clero, non potevano certo mancare grossolane esteriorizzazioni, compimento puramente passivo degli atti esteriori di pietà ( compresa la liturgia ) e concezioni pervase di magia.374
b) Ciononostante, tutto ciò non depone affatto contro la ricca e pura concezione di fondo.
Inalveata in essa, la venerazione delle iconi non può sminuire la sola e unica gloria di Dio; esse sono soltanto immagini di Cristo come testimonia la benedizione delle effigie; nei santi si manifesta Dio stesso, il Cristo, il quale per mezzo loro compie le sue opere ed è presente in essi anche dopo la loro morte.
Ogni loro venerazione è rivolta a Cristo.
La mentalità della chiesa orientale invero, che tenne sempre tanto alla purezza della dottrina, si esprime anche qui in un pleonasmo sacrale senza purismo, ma in maniera tale che ( in linea di principio ) è reso impossibile uno slittamento in una giustificazione ottenuta con le buone opere.
Per la coscienza cristiana ed ecclesiastica in Oriente le iconi hanno un valore incalcolabile.
Dacché le schiere dei monaci attraverso tante sofferenze ottennero, nei secoli Vili e IX, la vittoria in favore delle sacre immagini, per generazioni intere si è riversato su di esse la forza di fede di innumerevoli preghiere, lamenti e sacrifici; e tutto ciò, a loro volta, esse sembrano irradiare all'esterno; anche da questo punto di vista, quindi, esse sono portatrici di una vita misteriosa, che accompagna tutta l'esistenza con le sue numerose, diverse attività e sofferenze.
4. Dell'insieme mistico-sacrale della realtà creata, santificata dalla redenzione, fanno parte anche le reliquie dei santi e la loro venerazione.
In esse c'è la forza di Dio, così come in maniera incommensurabile si è manifestata nella risurrezione del suo Figlio e come si mostrerà quale « infinita grazia dei Santi » nella risurrezione universale: perché, dunque, non dovrebbero essere incorruttibili e miracolose?
Indice |
366 | La diffusione dell'arabo, come lingua di culto, è susseguente all'invasione araba. - Nell'età moderna, attraverso le missioni cattoliche, si sono avute diverse forme ibride. Nei territori cèchi si ebbe anche un rito latino in lingua cèca. - La Chiesa rutena unita si serviva di un rito con elementi latini, dispiacendo così a Roma e agli ortodossi. |
367 | Da questa concezione derivò implicitamente per l'Oriente una vera disciplina dell'« arcano », che lo stesso Areopagita così descrive: la classe dei catecumeni non è ancora autorizzata a guardare nessuna santa cerimonia, ne grande ne piccola, poiché essa non è stata fatta ancora partecipe, attraverso la fonte e la dispensatrice della luce, la nascita da Dio, della facoltà di vedere il santo. |
368 | Va pero ricordata, almeno per il nostro tempo, la non comune insistenza con la quale, anche Pio X, ha definito la liturgia eucaristica, come centro vitale della chiesa cattolica e dell'esistenza cristiana. Su questo piano le due chiese si avvicinano, partendo dal loro centro più intimamente proprio. Ma ciò appare ancor più evidente se si consideri l'impostazione di fondo della costituzione Sacrosanctum Concilium ( Vaticano II ) secondo la quale « la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù » ( C. I., § 10 ). |
369 | Le chiese orientali sono rimaste, fino ad oggi, coscienti di questa gerarchia: la Conferenza panortodussa di Rodi del 1961 non pone, all'inizio dell'elenco delle tesi, la liturgia, ma tratta in primo luogo della fede e del dogma, e solo nella seconda parte del culto divino. Essendo la liturgia tanto importante, anche i mezzi ausiliari della liturgia assumono una maggiore importanza, non ultimo fra essi il canto religioso ( canti con ricco significato teologico-mistico ). |
370 | Poiché le sacre immagini rappresentano una parte di realtà delle persone celesti, della Panhagia ( di Maria ) o del Signore e sono liturgicamente benedette, nella loro venerazione la liturgia esce dall'ambito sacrale della Chiesa e continua nella vita privata. |
371 | Ai colori vengono mescolati particelle di reliquie e si prega così: « Santifica e illumina l'anima del tuo servo, guida la sua mano affinché egli dipinga la santa icone, in maniera degna e perfetta ». |
372 | La generica traduzione latina delle dichiarazioni del VII concilio ecumenico del 787, usò lo stesso termine adorare per venerare. Di qui il concetto errato che se ne fecero Carlo Magno e i suoi teologi; la sua "iconoclasta" condanna del concilio poggia quindi su un equivoco. Nella liturgia romana, del resto, ancor oggi viene usato il termine adorare anche nel senso di venerare; cfr. per esempio l'adoratio della croce nella liturgia del venerdì santo ( orazione della Messa del 14 settembre, Esaltazione della santa Croce ). Va precisato, a questo punto, che la liturgia del venerdì santo considera la croce come « oggetto manifestativo » della umanità di Cristo che è infinitamente adorabile. Del resto il termine latino adorare ( come il greco proscùnesis ) è semplicemente generico per designare il culto di latriti o di dulia, il quale viene, di volta in volta, precisato dal contesto. |
373 | V. I, § 43, 4. |
374 | Questo svuotamento interiore, cha dura da secoli, sia nel clero sia nel popolo, è necessario tenerlo presente, in tutta la sua gravita, quando ci si accinga a voler spiegare l'impressionante, repentino passaggio di molti strati di un popolo dal passato religioso al bolscevismo ateo. ( Ma è chiaro che qui l'indagine dovrebbe tener presente, per non essere superficiale, tutta una situazione estremamente complessa, in cui gioca pure un ruolo il modo di vita del popolo russo sotto gli zar ). E, d'altra parte, occorre pure tenere presenti le notizie secondo le quali, ancora oggi, la stampa del partito comunista lamenta che ci siano addirittura dei "funzionari", che tengono ancora appesa una icone nella loro stanza. |