Maestro di vita oltre la scuola |
Fr. Teodoreto, oltre la nefrite e altre infermità, ebbe a sopportare, negli ultimi anni, un nuovo genere di male.
Nell'agosto del 1949 fu colpito da un'emorragia cerebrale.
Ne guari, rimanendo tuttavia per sempre offeso nella parola.
Quattro anni dopo, precisamente nel gennaio 1954, un nuovo attacco emorragico lo costrinse a letto nella infermeria del Collegio S. Giuseppe.
«Me lo portarono» dice l'infermiera Suor Anselmina Celotto «semiparalizzato, privo di conoscenza, con la caratteristica bocca, deformata.
Adagiatelo su un letto, gli praticai subito un'iniezione che si manifestò efficace.
I Fratelli presenti constatarono commossi come il primo palpito di ripresa coincidesse con l'invocazione a Gesù Crocifisso, suggeritagli da Fr. Cecilio.
Quel caro nome sembrò svegliarlo dal sonno, facendogli rifiorire il sorriso sulle labbra contratte».
Dopo un mese di cure, il malanno anche questa volta parve scongiurato, e Fr. Teodoreto poté ripresentarsi in Comunità con grande soddisfazione di tutti.
Ai primi di maggio però, il terribile male si annunciò di bei nuovo, con qualche deliquio e smarrimento.
Confratelli e Catechisti stavano in ansia, specialmente questi ultimi che si ripromettevano di averlo presente, il giorno 9 maggio, durante la celebrazione del quarantesimo di fondazione dell'Unione.
Ci fu infatti una piccola ripresa.
Però, proprio in quel sabato ( 9 maggio ), verso mezzodì, mentre col permesso del medico, si era levato dal letto e si era vestito per il pranzo, l'emorragia lo riprese paralizzandogli completamente tutto il lato destro.
Da quel momento non poté più parlare; strette le mascelle, senz'essere convulso, non permisero più, se non a fatica, di somministrargli qualche goccia di liquido, mentre la gola, per il respiro che, a tratti, si faceva penoso e rantolante, andava infuocandosi.
Gli occhi aveva aperti, e quantunque immoti, pareva che ti seguissero e ti conoscessero.
Vedeva succedersi intorno al letto, ansiosi, i suoi Fratelli; afflitti i suoi discepoli; smarriti gli alunni della Casa, i quali rompendo una debole consegna s'affacciavano a veder morire un santo".
Egli taceva, solo guardandoti in fondo all'anima, con gli occhi immoti, le labbra socchiuse, il volto ancora acceso, ma già incavato d'ombre.
Eppure tutti, da quella sua pace così augusta e supremamente calma, che pur tradiva la sofferenza dell'agonia, ci si attendeva come un ritorno, una voce, un gesto; poiché comune, si può dire, era la convinzione che il morente, fuori di qualche intervallo comatoso, conservasse la conoscenza.
Si notò infatti, che nei brevi momenti in cui cessava la preghiera vocale degli astanti, pareva accrescersi la sua sofferenza, lenirsi invece, e quasi scomparire, durante la recita del Rosario, fatta ad alta voce, e soprattutto durante la recita collettiva della Divozione a Gesù Crocifisso.
Quest'attesa si fece più viva la mattina dell' 11 maggio, e per buona parte del di seguente, nel quale si vide chiaramente, lo sforzo di lui per seguire la recita del S. Rosario, insieme con i suoi discepoli, che lo vegliavano giorno e notte con inesprimibile devozione.
Furono gli ultimi gesti: all'inizio d'ogni Ave, distendeva il braccio sinistro - l'unico che poteva ancora muovere - lungo il corpo, al Santa Maria, lo ripiegava portando la mano al petto; e così con movimenti regolari per una prima e una seconda decina: in seguito questi si fecero, a poco a poco, più rari e più lenti, senza cessare tuttavia, prima della fine della Corona.
Poi riposò, stanco.
Gli occhi socchiusi: disteso e composto sul letto, come se fosse scomparso ogni male.
Un raggio di consolazione arreca, il 12 maggio, l'implorata particolare Benedizione del Santo Padre.
Poco prima dell'alba del 13, ( erano le tre del mattino ) il respiro, che nella notte s'era fatto sempre più debole, cessò.
La mano diafana e bianca, è ormai fredda.
Le palpebre non si apriranno più.
Fratello Teodoreto ha lasciato la terra.
Cosi, senza un gemito, un sussulto che segni un distacco, un passar da questa vita all'altra vita...
L'anima ha abbandonato quelle spoglie mortali, cosi come le aveva informate, lieve, impercettibile, senza violentarle in nessun modo; come la luce che scema nel crepuscolo vespertino, quando le cose conservano ancora le loro sembianze, pallide ma non già spente.
Egli era, come sempre, diafano, emaciato eppur soave; austero, senza rigidità, senza durezze.
Dormiva l'ora riposata che chiude l'ultima fatica.
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