L'ideale cristiano e religioso

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L'ideale riassunto nella pratica

3 - Nella felicità che si gode con Dio.

Si è detto precedentemente che il primo aspetto sotto cui ci si presenta allo spirito l'ultimo fine, ossia l'ideale, è quello della felicità.

Spontaneamente tendiamo al nostro bene; ora è impossibile che tale movimento istintivo, se è ben diretto, non incontri, al termine dei suoi sforzi, l'oggetto desiderato: la felicità.

Dio, istillando questo desiderio della felicità nel cuore di ogni uomo, gli ha pure dato il mezzo di raggiungerla.

Dio, la Sapienza e la Bontà stessa, non può e non vuole cullare la sua creatura in chimeriche speranze; se la creatura perfeziona la sua natura come Dio gliel'ha affidata, la felicità sarà il risultato della sua santità.

Infatti, quand'è che un'anima è felice?

Quando tutte le sue facoltà raggiungono appieno il loro bene: allora non potrebbe avere altro desiderio; tutte le sue aspirazioni sono soddisfatte ( S. Tommaso, I-II q. 2. Cont. Gent. I, 3.C, 25-36 ).

Ma le facoltà raggiungeranno perfettamente il loro oggetto se compiono atti conformi alle leggi fissate da Dio alla natura umana.

La perfezione del cristiano e la sua felicità sono due cose inseparabili.

Una è la causa, l'altra ne è l'effetto.

La felicità accompagna necessariamente la perfezione.

La felicità eterna, immutabile, è la necessaria conseguenza dello stato di perfezione in cui Dio fissa l'anima dopo la morte.

È quindi legittimo porre il proprio ideale nella eterna felicità da guadagnare.

Si dirà che l'ideale posto nella propria felicità manca di nobiltà e di bellezza, e che l'anima, la quale si unisce puramente a Dio con la carità divina, è più grande e più eroica.

Ciò è vero; ma non è da dimenticare che Dio medesimo, il quale ha formato il nostro cuore, gli ha impresso il bisogno della ricerca della propria felicità.

Non si dimentichi che la debolezza di ogni anima è grande e che poche sono quelle che non abbiano mai ore di scoraggiamento e di languore.

Ora, in tali momenti, come Dio ha disposto, l'anima si sostiene con viste meno alte, più adatte al lato umano della propria natura.

Essa considera la felicità, la gioia intima che si prova nel servire Dio, e questa visione la conforta.

Non tralasciamo di pensare talvolta anche alla felicità che Dio serba quaggiù alle anime che ardentemente lo amano.

Questa felicità è inesprimibile.

Infatti il partecipare alla natura stessa di Dio, non è forse vivere della vita di Dio, vita infinitamente felice e beata?

Il partecipare alla natura divina, non è forse dissetarsi alla sorgente della felicità infinita, non è forse essere il figlio di Dio ed il fratello di Gesù Cristo?

Certo può esservi un'eccezione a tale godimento, ma solo per volontà o permesso positivo di Dio che, in certi momenti della vita spirituale, vuol provare o purificare un'anima.

Di solito l'anima generosa si sente figlia di Dio.

Il divino Maestro la fa tranquillamente riposare sul suo cuore, le toglie ogni inquietudine circa il suo avvenire ed anche circa l'opera della sua perfezione, le confida i suoi segreti, le tiene compagnia in ogni sua occupazione.

In certi momenti se la prende più intimamente vicino a sé.

Sembra che, allo stesso modo di un tenero padre, abbia bisogno di stringere con più tenerezza il figlio sul suo cuore.

L'anima deliziosamente gode a tale contatto, per ogni parte si sente penetrata da Dio.

Oh! che un momento di questa celeste gioia vale assai più di tutte le false gioie dei mondani!

Un bell'esempio per i Catechisti è quello lasciato loro da Fra Leopoldo nel suo Diario.

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