Regole del governo individuale e collettivo dei Catechisti |
Dal "Sommario delle Regole" di S. Ignazio, par. n. 17
Tutti devono aver cura d'avere un'intenzione pura e retta, non solamente in quanto al genere di vita abbracciata, ma anche in tutte le loro azioni particolari;
proponendosi sempre e con sincerità di rendere servizio e di piacere alla Bontà Divina, per amore della medesima, e in considerazione della carità e dei benefici singolari dei quali Ella ci ha prevenuti;
anziché per timore delle pene o per la speranza della ricompense, quantunque debbano aiutarsi altresì di questi ultimi motivi.
E cerchino Dio in tutto, spogliandosi dell'amore di tutte le cose create, per dirigere tutte le loro affezioni verso il Creatore; amandolo in tutte le creature, e tutte le creature in Lui, secondo la sua santissima e divina volontà.
Tutte le regole sono importanti, ma questa della retta intenzione richiede da noi un'attenzione particolare.
In qualunque condizione uno si trovi, senza la purità di intenzione, non si può arrivare alla perfezione cristiana; ma essa è specialmente necessaria alle persone impegnate in uno stato che le obbliga a tendere alla perfezione; non è che per mezzo di questa retta intenzione che esse possono vivere in modo che corrisponda alla santità del loro stato.
Quelli che la trascurassero o che vi si portassero con poco ardore, si priverebbero ogni giorno di molte grazie, cadrebbero in un gran numero di colpe e d'infedeltà e per tale condotta correrebbero rischio di perdersi.
La cosa non è tanto facile; essa esige la rinuncia a se stesso: mille inclinazioni naturali, la dissipazione, le necessità della vita; il commercio delle società, i trattenimenti o conversazioni, anche necessarie, ne rendono la pratica ardua.
Per vincere tali difficoltà, occorre la maggior vigilanza su se stesso.
Applichiamoci dunque con tutto il nostro potere a un esercizio così necessario e nello stesso tempo così difficile.
Ci è stata necessaria certamente l'intenzione più retta e più pura quando abbiamo abbracciato lo stato nel quale siamo impegnati.
Abbiamo dovuto farlo unicamente per la gloria di Dio, per la nostra santificazione e quella del prossimo.
Abbiamo dovuto perseverare sempre nella stessa purità d'intenzione;
ma sarebbe ingannare noi stessi il credere che questa intenzione generale possa esserci sufficiente;
occorre che essa si estenda a tutti e singolarmente, che entri nei particolari di tutti i nostri doveri, di tutte le nostre azioni e di tutte le circostanze nelle quali ci troviamo:
delle nostre parole, dei nostri desideri, delle nostre affezioni, e anche, se è possibile, di tutte le azioni libere del nostro spirito.
E se ne sente la ragione: è così facile sottrarre nella propria condotta questa intenzione generale;
molte intenzioni contrarie si presentano ad ogni istante al nostro spirito;
abbiamo tanta tendenza a seguire la natura che senza rinnovare quasi continuamente la propria intenzione, è assai difficile che le intenzioni generali abbiano abbastanza forza per influire sopra le azioni particolari e che neppure esse possano sussistere a lungo nella loro integrità.
Si deve sopratutto stare ben in guardia per non lasciare entrare nello spirito o nel cuore mire o desideri d'interesse, di orgoglio, d'ambizione, di risentimento, contro la carità, o qualche altra inclinazione poco conforme alla perfezione cristiana;
perché la minima cosa di tale natura basterebbe per avvelenare tutto il corpo delle nostre azioni.
"Il tuo occhio è la lampada del tuo corpo; se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà illuminato" ( Mt 6,23 ).
La nostra intenzione è retta quando esclude tutti i motivi imperfetti e viziosi;
quando non si ferma a motivi naturali e umani, quantunque buoni, e che essa è basata in motivi soprannaturali che hanno la grazia per principio e che tendono a Dio come a loro fine.
Ma può avvenire che l'intenzione retta non sia sempre egualmente perfetta.
Perciò dobbiamo avere sempre sinceramente in vista di servire e di piacere alla Bontà Divina.
Sia che i Catechisti osservino con fedeltà ciò che il Signore comanda e che non potrebbero trascurare senza allontanarsi dal suo santo servizio, sia che, per conformarsi maggiormente al suo beneplacito, si applichino a ciò che è più gradito agli occhi suoi e camminino nel sentiero spinoso della perfezione evangelica, devono sempre operare in vista della Bontà divina in se stessa; devono servire il Superiore e cercare di piacere a Dio per se stesso.
La considerazione delle perfezioni infinite di Dio deve penetrarli talmente da assorbire ogni altra considerazione.
La vista della sua grandezza, della sua bontà, deve fare sul loro spirito e sul loro cuore un'impressione così viva da far loro comprendere quanto Dio meriti, per se stesso, d'essere amato, onorato, servito da tutte le creature;
e infine devono essere accesi per Lui di un amore così puro da essere portati a mettere la loro felicità e la loro gloria a servirlo per Lui stesso senza aver bisogno di esservi eccitati da altri motivi e anche senza farvi un'attenzione particolare.
Però, siccome lo stato dell'uomo su questa terra, non gli permette di rimanere a lungo in un grado di elevazione nel quale non ha in vista che il motivo della pura carità, e che il Signore stesso gli fa un dovere delle altre virtù, è necessario che ricorra ad altri motivi meno elevati:
non deve rifiutarne nessuno di quelli che sono buoni; vi sono anzi delle occasioni nelle quali può servirsi utilmente di quelli che sarebbero meno perfetti in se stessi come quelli presi dal timore dei castighi e dalla speranza della ricompensa.
Ma per quanto è in nostro potere dobbiamo servirci preferibilmente dei motivi che ci avvicinano di più a quello della carità: quali sono quelli dell'amore di Dio per noi e dei benefizi segnalati coi quali ci ha prevenuti.
Non basta che i nostri motivi siano puri e che i nostri desideri tendano a Dio, bisogna che questi motivi e questi desideri influiscano sulle nostre azioni e sul modo di farle; che noi ci applichiamo a quelle che possono essere più gradite a Dio e che ci sforziamo di farle in modo degno di Lui;
bisogna che noi operiamo in modo da crescere nella grazia di Dio; che ci occupiamo della sua santa presenza e che ci uniamo più strettamente a Lui.
Ma invano ci proponiamo questa pratica di perfezione se non lavoriamo di tutto nostro potere a spogliarci di ogni affetto per le creature.
Qui si tratta di un affetto che sarebbe concentrato nella creatura e che non sarebbe abbastanza regolato; è evidente che un tale affetto sarebbe affatto pregiudizievole alla purità d'intenzione perché lo spirito e il cuore si porterebbero per se stessi verso l'oggetto che si ama.
E non è forse giusto di spogliarci di un tale affetto sregolato per le creature?
Qual è la creatura che merita d'essere amata per se stessa?
E quelle verso le quali si portano le nostre inclinazioni naturali che cosa sono esse nella maggioranza se non un ammasso di miserie e di corruzione affatto indegno del nostro amore?
Bisogna che ci spogliamo anche di quell'affetto per le creature che noi possiamo amare e che è nostro dovere di amare;
bisogna, cioè, pur conservando l'amore che ci è comandato d'avere per esse, togliere da noi ciò che vi fosse di meno regolato in tale amore, e purificarlo riferendolo a Dio;
è per Iddio, è in Dio che si devono amare, ed è Dio che si deve amare in esse.
Ossia, si devono amare perché Dio lo vuole, come Dio lo vuole, non fermandoci in esse, ma in Dio;
non servendoci di esse che per avvicinarci a Dio, per glorificarlo per mezzo di esse e adempiere le intenzioni per le quali Egli le ha create.
Vale a dire che bisogna considerare in esse ciò che hanno di Dio; vedere in esse l'impronta che Dio vi ha lasciato delle sue perfezioni;
riferire a Dio, come all'autore di ogni bene, tutto quello che esse hanno di buono, di bello, di amabile e di utile;
ringraziarlo, e amarlo come Bontà infinita, della quale tutte le bontà create ci offrono appena la più debole immagine.
In tutto questo noi dobbiamo conformarci alla volontà divina, non solamente non amando le creature perché Dio vuole che le amiamo, ma anche prendendo questa volontà santissima di Dio per regola e misura del nostro amore per ciascuna delle creature, in modo che se noi potessimo conoscere il posto, o l'ordine, che ciascuna occupa nel Cuore di Dio, le daremmo lo stesso posto nel nostro.
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