L'azione

Indice

In che modo si pretende che il problema morale non esista

Parte I - Esiste un problema dell'azione?

Capitolo I

Non vi sono problemi più insolubili di quelli che non esistono.

Se questo fosse il caso del problema dell'azione, il mezzo più sicuro per dirimerlo, l'unico, non sarebbe quello di abolirlo?

Per alleviare le coscienze e restituire alla vita grazia, leggerezza e gioia, non sarebbe bene liberare gli atti umani dal peso della loro serietà incomprensibile e della loro realtà misteriosa?

Il problema del nostro destino è enorme, persino doloroso, quando si ha l'ingenuità di credervi, e di cercarvi una risposta qualsiasi, epicurea, buddista o cristiana: è necessario non porlo affatto.

È vero che la cosa non è così semplice come si immagina a prima vista; perché anche l'astensione o la negazione costituisce una soluzione; e gli ingegni sottili hanno da lungo tempo scoperto la mistificazione del pensiero neutro o libero.

Pronunciarsi pro o contro significa ugualmente lasciarsi prendere dall'ingranaggio ed esservi assorbiti fino in fondo.

Poco importa quello che uno è, pensa e fa, se è, pensa e agisce; non siamo riusciti a dissipare la pesante illusione: c'è sempre un soggetto davanti a un oggetto; forse l'idolo è cambiato, ma il culto e l'adoratore rimangono.

Altra illusione di chi ha la vista corta è quella di evitare di pronunciarsi, credendo di riuscirvi: in effetti bisogna fare i conti con questa coazione che, stando all'esperienza, ci obbliga perennemente all'azione.

Non c'è speranza di liberarsene, anche lottando contro di essa, anche con l'inerzia; perché nell'ascetismo, più che nelle esplosioni della passione, si prodiga un'energia prodigiosa; e l'attività beneficia di qualsiasi dimenticanza e di qualsiasi rinunzia, come di tutti gli sforzi intrapresi per ridurla.

L'inazione è un mestiere difficile: otium! quanta delicatezza e abilità ci vuole; e forse non vi si riesce mai totalmente!

Ci sarà davvero una saggezza sufficientemente raffinata per discernere le sottigliezze della natura e per piegarsi a essa in apparenza, perché bisogna piegarsi, pur liberandosi delle sue menzogne artificiali?

Essere sciocco senza sapere di esserlo costituisce la grottesca sventura delle persone convinte, passionali, dei barbari.

Ma essere sciocco sapendo di esserlo, prestandosi all'illusione, divertendosi di tutto come in una farsa frivola e piacevole; agire, come è necessario, ma mortificando l'azione con l'aridità della scienza, e la scienza con la fecondità del sogno, senza mai accontentarsi, persino dell'ombra di un'ombra; annullarsi tra delizie e tesori di scienza: tutto ciò non costituisce forse la salvezza conosciuta e posseduta dagli spiriti migliori e più avveduti, i soli che avrebbero il diritto di dire che hanno risolto il grande problema, perché avrebbero visto che non sussiste?

Che affascinante tour deforce! Che tattica vantaggiosa!

Mette conto di considerare la cosa più da vicino, e valutarne il fine.

Perché, a quanto pare, per eliminare tutto è importante ed è sufficiente essere tutta scienza, tutta sensazione e tutta azione: uniformando il proprio pensiero e la propria vita alla vanità universale, si dà l'impressione di volersi riempire solo per essere più vuoti.

Se infatti non esiste un problema o un destino, la cosa più semplice e più sicura per accorgersene non è quella di abbandonarsi al libero corso della natura, abbandonando le finzioni e i pregiudizi meschini, al fine di partecipare al movimento della vita universale e di ritrovare, con tutte le energie della riflessione, la feconda pace dell'incoscienza?1

I.

Anzitutto raccogliamo dal fior fiore del pensiero ( tutta la sottile e mortifera quintessenza che esso distilla.2

A quanto si dice, non c'è errore che non abbia un nucleo di verità; d'altra parte, a quanto sembra, non c'è verità che non abbia una zavorra di errore.

Fermarsi a un giudizio qualsiasi e aderirvi sarebbe pedanteria e ingenuità.

Mantenere un atteggiamento preciso e fermo, credere che « è così », mettere le mani in pasta, ficcare il naso nelle cose degli uomini, conquistarsi un posto, fare quella cosa incivile espressa dalla volgare parola affermarsi, introdurre consapevolmente un'unità rigida nell'organismo di un pensiero e nella condotta di una vita, oh! che ridicola grettezza, che enorme ottusità.

Tutti i sistemi filosofici, anche quelli agli antipodi, sono caduti nella stessa trappola: hanno sempre cercato il rapporto tra l'essere e il conoscere, tra il reale e l'ideale, e hanno creduto di definirlo.

L'argomento ontologico si ritrova in fondo a tutti i dogmatismi, anche quello scettico: dell'Inconoscibile si conosce che non può essere conosciuto; del Pessimismo si può dire che è ancora un ottimismo, perché ha una dottrina e mostra uno scopo.

Che amena facezia, affermare che il nulla è!

E come si deve essere allegri, quando si sa che l'essere non è, e che non essere costituisce il bene sommo!

Fortunati i disperati che hanno trovato il loro ideale, senza vedere che se è, non è più, e che coinvolgendosi in esso fanno il gioco di quella natura beffarda che si vantano di confondere.

Non solo qualsiasi monismo, ossia ogni dottrina che ha la pretesa di ricondurre a unità il principio dell'intelligibilità e il principio dell'esistenza, ma qualsiasi sistema, per il semplice fatto di essere un sistema, è un errore, come ogni azione ispirata da una ferma convinzione è un'illusione.

Dunque non c'è verità che nella contraddizione, e le opinioni sono sicure solo se uno le cambia; purché non si faccia della stessa contraddizione e dell'indifferenza un nuovo idolo.

Liberi da preconcetti si giungerà a passare attraverso l'intolleranza, per gustare le attrattive della grettezza di spirito.

Ora si ammireranno le acrobazie di una dialettica trascendentale, ora si disprezzerà il peso di un'armatura, persino se leggera, e si riderà degli sciocchi che, lancia in resta, si battono secondo le regole, in un corpo a corpo con i mulini a vento.

Con la storia, essere di tutti i tempi e di tutte le razze; con la scienza, appartenere a tutto lo spazio e adeguare l'universo; con la filosofia, diventare teatro dell'interminabile battaglia tra i sistemi, portare in sé l'idealismo e il positivismo, il criticismo e l'evoluzionismo, e pascersi della carneficina delle idee; con l'arte, iniziarsi alla divina grazia delle frivolezze serie, al feticismo delle civiltà avanzate: straordinaria abilità di darsi a tutto senza dare niente, per conservare questo inesauribile potere dello spirito di volta in volta simpatico e distruttore, per tessere e disfare senza posa, come una tela di Penelope, il vivente paramento del Dio che non esisterà mai!

Ci si inginocchia davanti a tutti gli altari, e ci si alzerà sorridendo per correre a nuovi amori; ci si chiude un momento nella lettera per penetrare nel santuario dello spirito.

Se davanti alla grandezza del mistero ovunque disseminato si avverte come un brivido di religioso terrore, ci si rifugia dietro le compatte certezze dei sensi: ci si serve delle brute certezze per dissipare i sogni, dei sogni per sublimare la scienza, e tutto si riduce a figure dipinte nell'aria.

Si sa che contro l'abuso del positivo vi sono delle reazioni inevitabili, e ci si piega a esse rispettosamente, disposti come si è, né più né meno, a venerare l'alambicco del chimico o a inginocchiarsi davanti all'ineffabile splendore del nulla svelato allo spirito.

Qualcuno si diverte a unire gli estremi e a mescolare in un unico stato di coscienza l'erotismo e l'ascetismo mistico; qualche altro, con l'aiuto di compartimenti stagni, svolge parallelamente il doppio ruolo di alcolizzato e di idealista.

Di volta in volta, o tutti insieme, si gustano, si amano, si praticano religioni differenti, e si assaporano tutte le concezioni del cielo col dilettantismo della vita futura.

Talvolta anche questa saggezza fluttuante e discrepante finge di ignorarsi per meglio perdere l'odiosa apparenza di un sistema, per ( conservare con la sua inguaribile leggerezza il piacere di un'inquietudine o di un rischio.

Ci si vanta, senza arrivare alla lite e nell'ottimismo della speranza, di evitare continuamente i problemi inquietanti, le soluzioni tormentate, le sanzioni minacciose; non si afferma il nulla per essere più sicuri di non incontrare l'essere; e si vive calati nel fenomeno, che è e non è.

Non vi capiti di dire a questi uomini abili che il loro libero gioco e la flessibilità dei loro atteggiamenti sfuggenti celano un partito preso, un metodo originale, una risposta al problema del destino e certe preoccupazioni involontarie: è falso, non si sfugge ciò che non esiste.

Non ripetete loro la banale obiezione secondo cui l'assenza di soluzione è già una soluzione: è falso.

Non interrogateli, non incalzateli: nessun interrogativo ha senso, perché qualsiasi risposta è falsa, se non vi si percepisce l'inevitabile menzogna; quale sfumatura presenta la gola del piccione?

Il pensiero espresso è già una mistificazione.

Se uno è aperto a tutte le curiosità, è per essere più libero di scansare ogni investigazione indiscreta; è un pezzo che si è scoperta l'inanità delle discussioni e che si è capaci di essere sempre dell'opinione del contraddittore.

Rifiutare chiunque o qualsiasi cosa è proprio dell'ultimo dei beoti.

Per colui che gioca « a chi perde vince «" questa, non essendo né offensiva né difensiva, è l'arte di essere invincibili.

Ed è la vera panacea.

Essa corregge con l'effusione mistica il rigore delle scienze positive; e mescendo nello stesso crogiolo l'idolo avvizzito delle idee chiare con la bellezza più fresca del noumeno, dell'inconscio e dell'inconoscibile, unge lo spirito classico con un olio emolliente.

Agli spiriti aridi, dà l'abbondanza della varietà; a quelli di anguste vedute, dà la larghezza di orizzonti; agli spiriti dottrinali, il dubbio; ai fanatici, l'ironia; alla fredda empietà, dà un profumo d'incenso; al materialismo, l'ideale.

Ammirate come grazie a essa il nostro tempo, dopo aver baciato i secoli suoi antenati, li schiaffeggia sull'altra guancia; siatele grati di fare giustizia di certe obiezioni scioccamente spiritose che estasiavano Voltaire, di accogliere e superare tutti i cambiamenti di opinione, di consumare così presto i propri culti al punto che adesso si torna a quelli dell'India e che prima della fine del secolo si avrà la pretesa di fare del cattolicesimo medesimo un nuovo vestito alla moda; di essere in attesa di una sorta di perenne rinascimento, di far scaturire dal gusto dell'anarchia il bisogno di una regola flessibile e stabile.

Rallegratevi nel vedere sorgere, come una volta ad Alessandria, nella confusione delle idee, tra i traffici, sotto il peso dei godimenti o delle sofferenze materiali, un forte vento di misticismo e una passione per il miracoloso; siate fieri della vostra visuale ampliata per comprendere più di un tipo di bellezza, per abbracciare tutta l'infinita varietà dei pensieri, la logica dei contrari, la geometria rinnovata, la natura conquistata.

Ma dietro questo splendore, questa prodigalità, questo sfoggio vi diletterete a considerare la vacua scienza che si diverte nella sua vanità, vi trastullerete al ridicolo spettacolo delle ambizioni, dei traffici, dei sistemi; e in mezzo a tutte le stravaganti follie del mondo trionferete avvertendo in cuore, misurando con lo sguardo l'infinita inanità di ciò che si chiama vivere e agire.

In questo modo il pensiero, tramite la doppia arma della simpatia universale e dell'analisi impietosa, riesce a farsi gioco della natura, come essa si fa gioco di noi.

Beati qui ludunt: un gioco, ecco la sapienza della vita; un gioco, ma nobile e pungente, un gioco che talvolta si prende sul serio per meglio essere un gioco, e per essere maggiormente un'illusione vittoriosa di qualsiasi illusione.

Povera Natura dai mille volti, che sembri ingegnarti con la perenne generazione dei contrari a variare le tue esche per ogni credulità, basta abboccare a tutti i tuoi adescamenti e abbandonarsi ai tuoi capricci di Proteo perché ti avveleni con i tuoi stessi artifici, e sia vinta nel tuo trionfo; meglio ti abbracciamo, e più ti sfuggiamo; diventando tutto quello che sei, mettiamo nel cuore di ogni cosa il tarlo che rode; estenuiamo noi stessi con tutto il resto, passando dal cielo all'inferno nell'agile passo incrociato delle contraddizioni.

Col medesimo rispetto e il medesimo disprezzo per il sì e il no, mette conto di farli coabitare, e lasciarli divorarsi a vicenda; ironia e benevolenza sono un tutt'uno, il passe-partout universale, quello che dissolve ogni cosa.

Non si può conoscere e affermare tutto senza negare tutto; e la scienza perfetta dell'esteta svanisce da sola nell'assoluta inanità di tutto.

Il problema speculativo dell'azione sembra senz'altro eliminato: lo sarà allo stesso modo il problema pratico?

II.

Il dilettantismo dell'arte e della scienza alla lunga non si regge: ben presto si completa col dilettantismo della sensazione e dell'azione.

Perché alla maggioranza non è più sufficiente che un lavoro di testa riveli all'immaginazione l'universo dell'esperienza sentimentale; senza dubbio nessuno meglio del fanatico dell'ideale apre la strada al praticante dei sensi, e finisce per invidiarlo o per seguirlo.

Ma nella depravazione calcolata non c'è il principio di un'arte e persino di una scienza che non è equiparata da nessuna finzione speculativa?

E se un desiderio di emozioni ignote sembra la legge comune dell'intossicazione letteraria, in compenso nella dissoluzione pratica si cela altresì una fonte di invenzioni e di pensieri dissolventi.

Infatti il mezzo migliore per rendere lo spirito flessibile e liberarlo dagli angusti pregiudizi che limitano la sua visuale sulla vita, non è forse quello di superarli, e di provare tutto, per comprendere tutto?

Si ritiene che meno uno è depravato, meno è intelligente.

Non che si debba distruggere la superstizione del pudore o della stessa pietà: il danno sarebbe enorme, perché il piacere e l'amore del male non sono perfetti che grazie al morso della contraddizione interiore e al sapore del frutto proibito, come per quelle sgualdrine mondane che hanno la droga di un inginocchiatoio.

Il godimento viene rinfocolato quando diventa una sintesi di sentimenti opposti, e con la varietà dei contatti e dei contrasti vi si sente come la carezza complessa di una chioma morbida e folta.

« L'anima rapita al settimo cielo, il corpo più volgare sotto i tavoli ».

Il libertino mistico, « poeta cristiano con le gambe di fauno», scoprirà ciò che l'adulterio ha di purificante, o pregusterà tutta la voluttà insita nel corrompere un animo vergine.

Ma questi contrasti sapienti della sensazione non servono soltanto per affinarla; essi la decompongono e non l'accendono che per consumarla.

Insinuando al tempo stesso nel medesimo cuore le delicatezze più squisite e gli ardori più impuri, affrettano la dispersione e per così dire l'agonia della persona morale.

Non vi sono più sentimenti semplici e sinceri, non vi è niente di reale, e quindi niente di bene o di male.

Se conoscere tutto nullifica nello stesso istante l'oggetto e il soggetto della conoscenza, provare tutto adempie nella pratica questa straordinaria opera della scienza.

Come dunque variare e moltiplicare a sufficienza le nostre sensazioni per sfuggire alla verità fallace delle impressioni semplici e all'ingannevole lucidità della vita?

Una saggezza meno avvertita consiglierebbe senza dubbio l'atarassia del sognatore universale, il quale non si impegna nell'azione per giocare più liberamente sul proprio rinnovamento, e gode del mondo come se fosse un granello di oppio da cui aspirare il fumo dei suoi sogni, della vita come se fosse l'ombra tremolante di una nebbia al chiar di luna.

Se dovesse optare tra l'ironia e il fanatismo in base al maggior piacere che può sperare dall'uno o dall'altra, egli probabilmente ascolterebbe l'invito di questa pigrizia voluttuosa che teme le contaminazioni e gli impeti dell'azione.

Quale falsa saggezza, e per di più timida, sorpassata!

Guardate come oggi, che possediamo risorse di analisi infinitamente potenti, gli spiriti più delicati aspirano all'azione, e si sforzano « di conciliare le pratiche della vita interiore con le necessità della vita attiva »; guardate anzi come, senza rinunciare all'impagabile ironia della critica, si applaude a chiunque sembra avere l'ardire di un'opinione perentoria, e ha l'aria di penetrare nelle anime come un cuneo aguzzo con la lucidità rigorosa e il vigore delle convinzioni!

Nella prassi c'è una sorgente inesauribile di nuove sensazioni, contraddizioni e disinganni; l'azione più generosa può essere una depravazione, un'ulteriore distruzione.

Quindi l'essenziale è « rendere meccanica la propria anima », perché produca a volontà tutte le emozioni conosciute, essere agitati senza tregua dagli entusiasmi più interessanti e più effimeri, praticare più forme di vita, e illuminare ogni sera nuovi universi come circhi allegri dove si dà spettacolo a se stessi con numeri di alta scuola: istrionismo superiore in cui ci si inorgoglisce di sentire tutta una vita esaurirsi in occupazioni disprezzabili, scienza della decadenza che ci si pregia di possedere, trovandola degna di ammirazione e di ignominia.

A dire il vero chi agisce così più che agire non fa altro che costituire esperienze di scetticismo pratico, e inebriarsi con questo « sperimentalismo in azione » del potente veleno che uccide non la vita individuale, che non è reale, ma l'illusione della vita.

L'egoismo individuale conserva tutto per sé, è l'ultima parola di un passato che muore; il fanatismo a sua volta rappresenta la prima parola di un avvenire; e l'asceta dedito alla voluttà riassume nel suo presente questo duplice stato: per lui l'azione è tutt'uno, la fine di un mondo e l'inizio di un mondo nuovo.

Attraverso le sue palinodie egli muore incessantemente solo per risuscitare, e non risuscita che per morire ancora, per meglio distruggere la varietà delle sue emozioni di artista e costruire diversi mondi differenti, per meglio sentire che tutto è irrealizzabile, che tutto è irreale, e per adorare in queste chimere medesime l'eternità di ciò che muore incessantemente in lui e per mezzo di lui.

Sempre pronto a disdirsi, sempre impegnato a muoversi e a dividersi, tutte le strade per lui sono ugualmente buone e sicure, anche i sentieri malfamati che portano a Damasco; tutti gli incontri sono per lui ugualmente attraenti e istruttivi.

Egli si sprofonda nel suo sogno, senza temere che a poco a poco un concatenamento regolare delle immagini o un improvviso impulso scaturito dal sogno medesimo comporti il risveglio: che ha da temere?

Più si imbatte nel reale e ne ricava luce, più ne sente la nullità.

Per questo, proprio dopo che, con una specie di irritazione sensuale, l'esteta sembrava stringere tra le braccia i suoi cari idoli, salvarli dalla distruzione e « gioire di ciò che è in procinto di morire, con una sensazione più forte dei secoli », egli cerca una nuova formula mediante nuove esperienze; e quando sembra « innalzato a questo culmine delle emozioni che è il suo io, che è il suo Dio », quando riesce a « vivere tutto il proprio essere, tutto l'Essere passato presente e futuro, cogliendolo come Eterno », allora, non potendo e non volendo aspirare all'assoluto soltanto, ridiscende a quei movimenti violenti che costituiscono ciò che ama, perché c'è una sola cosa che gli importa: essere munito contro il disgusto e la mancanza di tono, avere ancora bisogno, « essere trascinato, attraverso il divino Inconscio, dalla leggera scossa dei desideri, la quale, propagata da un passato illimitato a un futuro illimitato, anima indifferentemente tutte queste forme in movimento, qualificate come errori o verità dai nostri giudizi dalla vista corta ».3

Arrivare al pessimismo, al suicidio? suvvia, significherebbe credere che c'è qualcosa di serio nel mondo!

Entusiasta e scettico, baloccandosi con i mezzi senza preoccuparsi del fine, convinto che vi sono solo modi di vedere, che ognuno di essi contraddice l'altro, e che con un po' di abilità possiamo averli tutti polarizzati su un medesimo oggetto, l'uomo che sperimenta cerca la pace, il riposo e la felicità convinto che non li troverà mai; e « per sfuggire al malessere dei ragazzi encomiabili, che nasce da una sproporzione tra l'oggetto sognato e l'oggetto raggiunto », pone la sua felicità nelle inutili esperienze che compie, non nei risultati che sembrano promettere.

Ora, conoscere la perfetta serenità del distacco assoluto e allo stesso tempo l'ardore turbato di uno spirito militante, unire tutte le attrattive della vita scientifica, artistica, godereccia e religiosa con la serena sicurezza della morte, conservare l'inerzia di un cadavere, « perinde ac cadaver », con l'agilità di un clown, essere penetrati dallo spirito degli esercizi di sant'Ignazio pur gettandosi nella mischia degli intrighi politici, non rappresenta la perfezione, diciamo così la santità, della perversione?

Adesso cercate il problema: la sfida è trovarlo.

Lo strumento della salvezza, l'oggetto del nuovo culto, è il talento, l'inestimabile abilità dello schermidore, il quale è dappertutto e da nessuna parte, ma mai là dove si porta la stoccata.

Come infuriarsi contro Arlecchino?

Come il giullare convertito, il quale, non sapendo salmodiare nel coro, durante l'ufficio se ne andava a sollazzare con le sue trovate le statue del monastero, per essere in pace con la coscienza non c'è che da scherzare con la vita.

Dopo essere sempre stato l'avvocato di Dio e del diavolo che paura dell'Eterno rimarrà al buffone? egli ha rispettato e disprezzato, riempito e svuotato, incensato e bestemmiato, divinizzato e distrutto tutto, e sé più di tutto il resto: è la sua ricompensa.

Poe immagina che si magnetizzi un moribondo nel momento del suo trapasso.

È in questo preciso momento di equilibrio perennemente instabile che bisogna vivere; e persino la fotografia istantanea della morte non potrà coglierci: non esisteremo più, non saremo mai esistiti.

Parlate dunque ancora delle buone parole antiche come dovere e virtù; parlate di un esame di coscienza senza coscienza, di un giudizio senza codice né processo né giudice, di un destino e di una volontà che raggiunge i suoi fini, quando non si ha né la volontà di essere né la volontà di non essere, una nolontà pura; quando sotto i movimenti della superficie e nel corpo della vita non vi sono né intenzioni né cuore; quando le azioni senza anima sono sempre nate morte!

Come siamo lontani da questa semplicità della coscienza e da questo candore pratico che raccoglie in un fascio tutte le energie dell'uomo: non è più un semplice sdoppiamento accidentale della personalità, è il suo totale sgretolamento, è la decomposizione e la morte nella vita stessa.

Non è quello che si voleva? L'annientamento del pensiero e dell'essere tramite la moltiplicazione e la dissociazione; la disorganizzazione di tutti i meccanismi elementari, come se ogni cellula dell'organismo suonasse a parte la sua piccola parte; la decadenza compiuta, un immenso scoppio di risa, una lugubre facezia, una mistificazione e, ecco la parola giusta, una fumisteria, nulla, ecco a cosa si è ridotto l'uomo e il suo destino.

È vero, questo è un estremo; ma senza entrare in questa inafferrabile concezione della vita, senza fare altro che applicare il trito adagio « bisogna conoscere tutto », senza avere coscienza dell'atteggiamento che essi prendono di fronte alle necessità o agli obblighi pratici, quanti dei nostri contemporanei non si orientano verso questa soluzione?

« Non sussiste neanche il problema, e il solo torto è quello di cercare un senso a ciò che non ne ha! »

Se il pensiero e la vita non sono nulla, è sufficiente pensare e agire perché sorga l'illusione; essa sorge, a quanto sembra, con l'uso integrale del pensiero e della vita.

Agli ingenui che hanno preso sul serio la loro coscienza, e che credono di trovare nella loro esperienza personale del dovere la conferma certa del valore infinito che annettono al loro essere, ai loro atti e ai loro sacrifici, si obietta, in nome di un'esperienza più piena e di una scienza più aperta, che ogni certezza assoluta nasce da una carenza di intelligenza e da un'ignoranza parziale, che ogni rigidità pratica è il segno di un animo angusto e di una sensibilità ottusa.

Per affermare con sicurezza una realtà qualsiasi, per porre con decisione il problema morale, ci vuole una dose di inesperienza e di semplicità di cui tra buontemponi ci si prende gioco, come della grossolanità di un contadino; la finezza delle persone intelligenti vive di amabili finzioni, menzogna e verità al contempo.

Tutto è lieve e attraente, perché tutto è vuoto; l'affrancamento dell'esteta sembra totale.

Probabilmente non era inutile délineare questo stato in cui versano parecchi spiriti contemporanei.

Come talvolta è sufficiente scrivere una parola di cui l'ortografia è incerta o raccontare un incubo per vedere l'errore o l'assurdità, esporre semplicemente certi sogni sottili significa farli svanire, farne sfumare il prestigio, soprattutto agli occhi di quei giovani che di solito se ne invaghiscono solo in quanto sembrano loro inauditi, incompiuti e misteriosi, e che si formano « un'anima letteraria » plasmando inconsciamente il loro cuore sul modello delle depravazioni romanzesche o delle passioni poetiche.

Alcuni aspetti potranno sembrare esagerati; ma è bene guardare in faccia quello su cui preferiamo fin troppo stendere un velo, la concezione della vita quale risulta da un atteggiamento di cui si gusta solo la squisita comodità e la grazia, e null'altro; però è necessario, come si sarebbe detto in altri tempi, « togliere i cuscini da sotto il gomito dei peccatori ».

Il capitolo secondo tenta di mostrare che l'esteta fallisce quando, con un gioco di prestigio, fa sparire il problema dell'azione; che anzi con questa stessa pretesa egli lo pone volutamente, e lo decide in un certo modo.

Indico altresì come l'atteggiamento sfuggente e inafferrabile del dilettante o dello sperimentalista deriva da un duplice movimento.

La tendenza profonda e segreta di cui è composta in primo luogo la loro nolontà, quello che loro stessi chiamano il divino Egoismo.

E la volontà contraria evidenziata dai loro giochi infiniti, ossia il desiderio e una sorta di speranza del nulla.

E concludo analizzando la menzogna intima, la contraddizione inevitabile di tutto questo stato d'animo; e assumendo la volontà manifestata involontariamente dagli atti come espressione imperfetta, ma veridica, di una tendenza autentica, tento di avviarla verso il suo termine.

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1 Molte delle espressioni di questo capitolo sono prese da alcuni degli scrittori contemporanei.
Ho preferito non citarli, per non dare l'impressione di essere indiscreto, attribuendo loro intenzioni che forse non hanno, ossia stati d'animo o tendenze incerte di cui qui tento di mettere a fuoco la dottrina che tacitamente le ispira
2 È la linea di pensiero che va dal dilettantismo di E. Renan allo sperimentalismo di M. Barrès, sfociando poi nell'estetismo largamente rappresentato nella cultura letteraria francese di fine Ottocento e inizio Novecento, di cui sono esponenti, tra gli altri, P. Valéry, A. France e lo stesso A. Gide.
Questa linea ha un precedente storico nel movimento scettico e libertino che ha in Montaigne la sua fonte letteraria.
3 Questi, e altri passi citati in precedenza, o nel seguito della sua disamina dell'estetismo o sperimentalismo, sono presi da M. Barrès. Maurice Barrès (1862-1923), scrittore e filosofo, si è formato con E. Renan ed è diventato uno degli esponenti, nel campo della cultura, della reazione antipositivistica.
È conosciuto, all'epoca in cui Blondel scrive l'Azione, per la trilogia di romanzi intitolata Le culle du moi, che comprende Sous l'oeil des Barbares (1888), Un homme libre (1889), Le jardin de Bérénice (1891), dal quale soprattutto Blondel attinge. In tale trilogia egli contrappone al razionalismo borghese una concezione aristocratica e mistica della personalità.
Successivamente si accosta alla politica, diventa deputato e si fa sostenitore del nazionalismo, già nel contesto dell'affaire Dreyfus.
È autore di due altre trilogie di romanzi. Le roma fi de l'energie nationale (1897-1902) e Les bastions de l'est (1905-1921), nelle quali è evidente l'influsso di A. Comte e di H. Taine. Di lui ci resta un copioso diario, Mes cahiers, pubblicato postumo (1929-1954) in tredici volumi.