L'azione |
La riproposizione in lingua italiana a un secolo esatto di distanza dalla prima pubblicazione ( 1893 ) de L'Action di Maurice Blondel obbedisce a intenti filosofici e culturali che mette conto chiarire subito in maniera succinta.
Anzitutto in questo testo, che ha imposto Blondel al pubblico intellettuale in maniera che subito si è rivelata estremamente ancipite, viene tentato un esperimento nel quale risultano impegnate le ragioni ultimative della nostra civilizzazione, ossia della nostra storia e cultura moderna.
Ora né i fattori problematici di quell'esperimento, né le nozioni e le condizioni del suo espletamento, né le soluzioni esperite hanno esaurito le loro virtualità, pur in un contesto che si autodefinisce per demarcazione come postmoderno.
Anzi, per certi versi il nostro orizzonte di cultura e di civilizzazione richiede con urgenza perentoria che quell'esperimento venga riproposto all'ordine del giorno, perché gli indici e le motivazioni che lo imponevano a Blondel nella congiuntura storico-culturale alla fine del secolo scorso sono assai prossimi a quelli che delineano il nostro orizzonte problematico in questa fine di millennio.
In secondo luogo la forza con la quale questo scritto blondeliano si inseriva nel panorama europeo del dibattito filosofico, in una congiuntura segnata dal nihilismo e dalla diagnosi che ne forniva Nietzsche, veniva in gran parte affievolita dalla recezione con la quale, da parte degli interlocutori favorevoli come da parte di quelli critici e nettamente contrari, la proposta teoretica, o meglio l'esperimento blondeliano veniva accolto.
In sostanza l'Azione veniva letta non come un intervento sui nodi di fondo del dibattito filosofico europeo, che appunto in quella congiuntura di fine secolo investiva le questioni ultimative di una civilizzazione e di una cultura che si presumeva universale e che nel contempo esperiva una crisi di senso radicale.
Viceversa la proposta blondeliana veniva nettamente catturata, e conseguentemente confinata, in una visuale « apologetica », che se pure corrispondeva a un indubbio movente vitale del suo promotore, non era tuttavia adeguata alle dimensioni e alle condizioni reali dell'esperimento cui l'Azione dava luogo.
Sotto questo profilo appare essenziale liberare l'esperimento blondeliano dalle strettoie delle visuali interpretative troppo anguste e di parte, che si sono depositate poi in stilemi interpretativi poco attendibili e comunque tali da prosciugare quasi del tutto l'interesse spiccatamente filosofico ovvero « sapienziale » inerente alla proposta dell'Azione.
Solo in questo modo è possibile recuperare appieno gli stimoli e l'interpellazione che tuttora promanano da questo testo di un secolo fa, un testo, bisogna aggiungere per motivare questo giudizio, in cui la riflessione filosofica raggiunge di sicuro le altezze del discorso « sapienziale », che costituisce poi la modalità più propria del discorso filosofico, almeno nei momenti culminanti della tradizione filosofica, laddove la filosofia si configura come autentica « sapienza del mondo » ( Weltweisheit ).
Al centro dell'attenzione di questo esperimento realizzato da Blondel con l'Azione c'è la questione del senso, ovvero del senso della vita.
In altri termini, l'interrogazione investe la vita quale intero, cioè quale universo di azione, conoscenza e passione dell'uomo, e sollecita la questione circa la sua consistenza di senso, o viceversa la sua inconsistenza.
Una tale interrogazione investe una sfera che si dà sempre in prima istanza come sfera di senso.
Perché l'azione, la conoscenza e la passione dell'uomo istituiscono sempre una sfera di senso, o una semiosfera ( come dicono i semiologi della cultura ).
Ma l'intera sfera del senso soggiace a una crisi epocale che ne mette in questione la consistenza, la relativizza, la fa cadere in sospetto quale illusione e mitologia funzionale all'interesse di una « volontà di potenza » degli uomini deboli, incapaci di far fronte alla caduta del senso.
Questa diagnosi non è solo di Nietzsche, ma attraversa tutta la cultura europea; su di essa convergono i filoni culturali più disparati, sul cui terreno proliferano i « maestri del sospetto ».
Blondel prende sul serio la sfida che proviene da questa crisi del senso, ma non si crogiola nella crisi, assume anzi il sospetto come movente imperioso per appurare le condizioni che presiedono all'invenzione del senso.
Tutta la riflessione svolta nell'Azione si svolge lungo queste tre coordinate.
1. Assunzione del sospetto più radicale sulla consistenza del senso: ogni crisi di civiltà è crisi di valori già istituiti; il sospetto su un universo di senso ( su una semiosfera nel suo insieme ) fa leva su un senso non questionabile, o comunque un senso che comanda il sospetto stesso e che può aprire a un nuovo universo di senso ( può delineare una nuova semiosfera ).
2. Individuazione delle condizioni di possibilità della costituzione del senso; in questa prospettiva Blondel individua l'azione come il luogo proprio della produzione del senso peculiare del mondo umano.
Non è facile cogliere in modo adeguato questa nozione blondeliana assai densa e peraltro cruciale.
In prima approssimazione possiamo dire, ma sull'argomento ovviamente dovrò ritornare, che essa è l'istanza in cui si raccolgono le condizioni di possibilità dell' invenzione del senso e invero del senso che resiste al « sospetto », del senso dotato di consistenza ontologica.
3. Nella crisi e nell'invenzione del senso è coinvolto a un titolo intrascendibile anche quel senso che possiede una collocazione-chiave nella semiosfera che condensa il vissuto di Blondel: il senso religioso.
È il senso istituito dall'unico necessario o, come egli ama dire nelle lettere e nei Carnets intimes, del soprannaturale, ossia dell' « azione di Dio in noi ».
1.1 - Quest'ultimo asse del discorso dell'Azione va attentamente considerato, perché la sua collocazione nell'economia complessiva dell'argomentazione crea qualche problema e ha dato luogo molto spesso a una lettura che inverte il vettore argomentativo.
Non si parte dalla grande crisi del senso, diciamo pure dal nihilismo che investe tutta la cultura occidentale e i suoi valori, per poi seguire questa trafila: cercare anzitutto una leva ( un ubi consistam ) possibile per l'invenzione del senso e la creazione del valore, individuata nel volere, anche in quel volere nihilistico che si converte in nonvolere; ricostruire quindi le condizioni di possibilità interne all'azione, grazie alle quali si istituisce il senso; e infine pensare il rapporto e la connessione tra questo senso inventato dall'azione e il senso istituito dall' « azione di Dio in noi » ( dall'unico necessario ).
Viceversa si parte da quest'ultimo tratto argomentativo, che pure ha una valenza culminante nel decorso dell'Azione ( ma ciò è appunto motivato dalla logica interna del ragionamento svolto ), per farne il terminus a quo del ragionamento e quindi rendere funzionale a esso le tappe pregresse, le quali in questo modo perdono la loro valenza teoretica peculiare, scadendo al rango di un dispositivo apologetico del soprannaturale.
La conseguenza è che da un lato si cancella la presenza di uno dei fuochi di interesse attorno a cui si struttura l'Azione, ossia la ragione critica, per usare un termine congrue coniato da P. Henrici,1 e si riconduce tutto il respiro di quest'opera a uno solo dei suoi cardini, cioè alla « vita di fede ».
Dall'altro lato, poi, e in maniera forse ancora più distorcente, si appiattisce la stessa « esperienza credente », che pure senza ombra di dubbio costituisce una energia strutturante del discorso blondeliano in quest'opera, al suo tratto saliente « soprannaturale », lasciando cadere in secondo piano due altre dimensioni altrettanto essenziali di quell'esperienza, ossia la dimensione dogmatica o dossologica e la « pratica letterale », e assumendo poi in definitiva il soprannaturale nella sua accezione spiccatamente teologica ( appunto come una categoria interna della riflessione teologica ), mentre essa in Blondel ha una prevalente carica religioso-esperienziale e denota in ultima istanza l' « azione di Dio in noi ».
È vero che Blondel stesso in seguito al dibattito suscitato dalla sua opera soprattutto da parte dei teologi si è lasciato trascinare sul terreno di un confronto nel quale il « soprannaturale » acquisiva i lineamenti di una categoria teologica, ossia la consistenza nozionale di un termine che denota non un vissuto, ma un modo di razionalizzare il mondo della fede; ma egli ha sempre avuto chiara coscienza che il suo terreno di competenza fosse quello filosofico, e non quello teologico, per il quale si è sempre riconosciuto non attrezzato a sufficienza, e in definitiva ha costantemente avuto come referente l'esperienza credente ingenua e immediata, nella sua poderosa energia in ordine all'invenzione del senso, e invero di un senso specifico e peculiare, che appunto il qualificativo « soprannaturale » intendeva mettere in tema o comunque evidenziare.
Invece si è sempre tenuto a rispettosa distanza dal campo disciplinare dell'elaborazione teologica e dall'uso dei suoi simboli noetici, e ciò anche quando, come in Storia e dogma, e nel dibattito che ha preceduto e seguito quel suo intervento sulle questioni sollevate da A. Loisy, egli si è avvicinato di molto a tematiche e a categorie dottrinali proprie del dibattito teologico.2
Ma anche in questi casi Blondel ha regolarmente come cardine di riferimento non la ragione teologica bensì il vissuto credente e le istanze fondamentali che si agitano nel suo spazio.
1.2 - In verità la problematica e, diciamo pure, l'intenzione di fondo dell'Azione nascono in una congiuntura che per molti versi appare assai prossima a quella da cui sono scaturiti i Discorsi sulla religione di Schleiermacher circa un secolo prima ( 1799 ).
Blondel ha la chiara percezione che il mondo della fede istituisce un universo di senso e di simboli che viene minacciato alla radice non solo e non tanto dal sospetto che solleva nei suoi confronti la ragione critica coltivata dalla intellettualità, cui beninteso lo stesso Blondel si sente di appartenere, ma da quella più generale e irrimediabile crisi del senso che coinvolge nel suo nihilismo sia il senso prodotto dalla ragione critica sia quello prodotto dall'esperienza credente.
È dunque in nome di una doppia fedeltà o di una doppia appartenenza che Blondel si assume il carico formidabile di affrontare la questione del senso e delle sue condizioni di possibilità.
Se la ragione critica, ossia quella ragione cui incombe la responsabilità di rendere conto di se stessa e della propria realtà senza fare assegnamento su condizioni di possibilità aliene ( è questa la radice del principio di immanenza che governa tutta la riflessione blondeliana nella sua impostazione rigorosamente filosofica ), se la ragione critica non è in grado di recuperare, ossia assodare ed esibire, le condizioni che rendono possibile la produzione del senso, allora ne va radicalmente di qualsiasi senso prodotto, anche quello prodotto a partire dall'esperienza credente.
Questa congiuntura si riflette nitidamente nella coscienza e nella percezione di Blondel, e lo induce a misurarsi col formidabile quesito di come far valere insieme la ragione critica e il senso religioso, appunto i due interessi ovvero i due valori intorno ai quali si ambisce recuperare le energie di senso per far fronte alla decadenza e allo sfacelo della civilizzazione.
Nel suo più che decennale sforzo ( l'Azione nasce, come è noto, da un travaglio che ricopre oltre un decennio: dal 1882 al 1893 )3 Blondel si misura con questa congiuntura; e in essa rivive la condizione tragica del sovvertimento di tutti i valori, come nell'antica tragedia greca.
E come nella catarsi dell'antica tragedia vengono messe in funzione le forze giovani che fungono da antidoto rispetto all'eclissi di tutti i valori, così la strategia mobilitata da Blondel con l'Azione fa ricorso agli interessi e alle forze giovanili capaci di ovviare alla senescenza della civilizzazione e di contrastare efficacemente il nihilismo che intacca il senso stesso dell'uomo e della sua storia.
E queste forze giovani sono precisamente la ragione critica e il senso religioso, che la visuale dell'azione prescelta per questa strategia di superamento del nihilismo permette di mantenere insieme come i due capi di una catena.
Il nihilismo è un fenomeno complesso e ormai più volte diagnosticato sull'asse che va da Nietzsche a Heidegger.
In questa sede in cui si tratta di elucidare la congiuntura da cui nasce l'Azione, interessano due tratti del nihilismo europeo di fine Ottocento che nell'ambiente della cultura francese ha cespiti propri abbastanza chiaramente individuabili soprattutto nella prima parte dell'opera blondehana.
Anzitutto nasce da una critica di tutta la tradizione culturale e di pensiero antecedente; insomma il nihilismo si insedia in un post, una scansione epocale posteriore, che ha fatto tabula rasa di tutti i valori e di tutto il senso istituito prima, cioè nella scansione epocale antecedente.
Di contro a tale atteggiamento mentale, Blondel, che vuole mettere in campo un antidoto, recupera i nodi e i problemi centrali della tradizione filosofica; insomma è convinto che il post vada pensato non in senso diacronico, ma in senso logico-causale, come un rimettere in vigore le acquisizioni decisive e culminanti della produzione di senso anteriore, quelle acquisizioni che la senescenza dei valori e lo sfacelo della civilizzazione avevano contribuito a depotenziare, ma che sono la condizione intrascendibile per il riscatto del senso e per l'oltrepassamento della decadenza.
Ma, è questo il punto che mi sembra peculiare della strategia messa in opera da Blondel, il recupero di quelle acquisizioni ( diciamo pure, dei punti alti della tradizione filosofica nella sua linea « sapienziale » ) viene fatto in nome della loro valenza pratica, ossia in forza della loro pertinenza reale e concreta in ordine alla costruzione di un mondo umano e di una civilizzazione che coltivi la vita e non la morte, non lo sfacelo; insomma, se è vero che il secondo tratto del nihilismo che qui ci interessa è quello di custodire il senso del nulla, di coltivare nelle varie modalità proprie di una cultura il nulla, la strategia blondeliana mira a coltivare l'essere e la sua problematizzazione piuttosto che il nulla.4
1.3 - Se dunque questo è lo sfondo che rende perspicua la problematica agitata nell'Azione e permette altresì di neutralizzare alcuni degli approcci interpretativi più ricorrenti nella sua lettura, fin dal giorno stesso in cui Blondel ha sostenuto la sua tesi di dottorato,5 restituendo a questo testo blondeliano l'interesse ancora vivo o non ancora esaurito nella nostra attuale congiuntura storico-culturale, c'è da aggiungere un'altra considerazione, per mettere in luce un ulteriore movente teoretico che guida l'argomentazione blondeliana in questo testo, e per accantonare tutto un altro gruppo di approcci interpretativi scarsamente congruenti con l'intenzione in esso depositata.
La proposta, o se vogliamo, la strategia avanzata da Blondel è stata sequestrata dagli interessi e dai problemi di assetto interno del cattolicesimo, soprattutto a livello di sintesi di pensiero e di gruppi intellettuali ( in lotta tra loro per l'egemonia ).
In questo senso Blondel è stato letto a partire dal problema dell'apologetica ( e invero dell'apologetica teologica ) e del suo assetto congruente con lo statuto di una coscienza moderna, o dal problema del dogma e della sua strutturazione noetica, in genere legata alla sua valenza disciplinare, o infine a partire dalla tematica ( anche qui spiccatamente teologica ) del soprannaturale nella sua demarcazione specifica rispetto alla natura umana.6
In realtà l'ispirazione profonda e primigenia di Blondel è marcatamente filosofica.
E precisamente egli si è mosso nel senso di riscrivere in termini trascendentali ( ossia in termini di condizioni necessarie di possibilità ) il problema dell'azione; a sua volta il punto di vista corrispondente all'azione viene prescelto perché sul terreno dell'azione si rivela, detto in termini kantiani, « ciò che interessa ogni uomo necessariamente ».
In proposito c'è da dire che originariamente l'impostazione, l'approccio trascendentale era stato adibito in connessione col problema del soggetto conoscente, e quindi in definitiva per elucidare il conoscere.
Schleiermacher aveva ripreso il medesimo impianto e lo aveva adibito per pensare l'esperienza religiosa.
Blondel lo assume e lo trasferisce su un altro terreno per affrontare il problema del soggetto pratico, ossia « la volontà di potenza » ( il soggetto che ultimamente presiede all'istituzione del senso ), perché è convinto che su questo terreno, e in maniera privilegiata, in maniera cioè da corrispondere ai bisogni di invenzione del senso, si saldano insieme ( appunto nell'assetto messo in luce dall'approccio trascendentale ) soggetto ed essere, l'agente e il prodotto, il verum e il factum.
Il motivo dell'interesse del Sé, ossia di « quello che solo ci interessa, noi stessi »,7 cui beninteso si riannodano sia il tema dell'invenzione del senso sia l'impostazione che ho qualificato come trascendentale, costituisce un filo conduttore dell'Azione.
Esso merita di essere rimarcato in anticipo per offrire una chiave di lettura che ritengo efficace.
Ora è significativo che in Nietzsche il tema dell'interesse diventa la chiave del « prospettivismo », sul quale fa perno il relativismo e la conseguente negazione del vero, dello spessore ontologico, dell'ideale; tutti indici di quel nihilismo alla cui ombra si muove l'autore di Così parlò Zarathustra.
Viceversa in Blondel, analogamente a quanto avveniva in Kant e in tanti esponenti della tradizione filosofica post-kantiana, l'interesse del Sé assurge a chiave per l'istituzione del vero, del valore ontologico, della valenza ideale.
Dalla prospettiva di questo interesse del Sé, cui propriamente è prospiciente il senso, e che va pensato in termini di atto d'essere ( actus essendi ) cui si soggettiva il senso medesimo, la domanda filosofica culminante non è quella del tremebondo « perché l'essere e non piuttosto il nulla », così come viene impostata in una tradizione filosofica che ha i suoi esponenti di rilievo in Schopenhauer e in Schelling, ma che Heidegger ha riportato alle radici del pensiero filosofico antico; è invece quella della meraviglia (del θαυμάζειν ) « perché l'essere si è affermato sul nulla ».
Così tutto il discorso dell'Azione si svolge nel ciclo argomentativo ed espositivo che prende le mosse da una domanda sul senso della vita e sul destino dell'uomo e si chiude con l'affermazione colma di meraviglia filosofica: « c'è », « esiste ».
Non è facile mettere a fuoco la sostanza peculiare di questo testo blondeliano, così come è assai controversa la sua collocazione nell'insieme dell'attività intellettuale del filosofo di Aix.
Per quanto concerne questo secondo aspetto i problemi sono molteplici, ma possono essere utilmente sintetizzati in due interrogativi.
Nell'opera e nella riflessione blondeliana c'è continuità sostanziale oppure si da una rottura, ossia un mutamento della prospettiva filosofica di fondo, per cui da una « filosofia dell'azione » innestata sul principio dell'immanenza si sarebbe passati progressivamente a una « filosofia cristiana » ( o cattolica, come preferiva dire Blondel ) incardinata sulla dicotomia metafisica immanente-trascendente, sull'interesse teologico egemone e sul punto di vista « intellettualistico » ( tale da neutralizzare l'originario antiintellettualismo di cui è supposta depositarla la « filosofia dell'azione » ) ?8
L'interesse ultimativo che muove e motiva il pensare blondeliano è l'interesse filosofico inteso a riconoscere e tematizzare le strutture universali e naturali che presiedono alla produzione del senso, anche di quel senso offerto nel corpo della significazione religiosa della vita, o viceversa è l'interesse religioso ( ovvero teologico ) inteso a garantire l'intelligibilità del significato peculiare e non naturale, ovvero soprannaturale, del senso religioso-cristiano della vita, e la sua pertinenza non trascendibile in ordine alla produzione del senso?
Ora l'operazione culturale che qui viene tentata, rimettendo in circolazione il testo dell'Azione, è animata da una ipotesi di lavoro interpretativa che va verificata.
Essa, mentre da un lato intende rimettere in discussione l'approccio al testo dell'Azione e, attraverso esso, a tutto il profilo complessivo dell'attività intellettuale di Blondel, dall'altro mira a iscrivere sia il punto di vista dell'Azione sia la visuale, che condensa quell'attività intellettuale in una tradizione filosofica consistente presente, a partire da Kant, nella consapevolezza critica maturata in epoca moderna e contemporanea.9
In effetti, pregiudiziale per cogliere la continuità tra le varie fasi dell'attività e della produzione filosofica di Blondel, e conseguentemente per liberare dai canoni di lettura finora vigenti la stessa produzione dell'ultima fase ( quella che ha prodotto la grande trilogia e La philosophie et l'Esprit chrétien ), è ricostruire l'esatto tenore dei risultati teoretici e dell'argomentazione blondeliana nel testo dell'Azione.
Che è poi il mio intento precipuo in questa sede, per quanto nella forma succinta consentitami.
E aggiungo subito che parlo tout court dell'Azione, e non qualifico questo testo ( secondo un uso ricorrente ) come Imprima Azione, perché l'altro testo sull'azione, quello che conclude la trilogia ( del 1936-37 ), non è una riedizione, sia pure rifusa, del primo, ma è un'opera di tutt'altro genere.
Potrei esprimere la loro differenza in questi termini: mentre lo scritto del 1893 è un'opera di carattere critico, nella quale Blondel guadagna un punto di vista vigente per l'intero orizzonte della problematizzazione filosofica, e non soltanto per il settore o la regione corrispondente alla prassi ( ovvero al πράττειν, come egli stesso si esprime richiamando una distinzione aristotelica ), lo scritto che conclude la trilogia è un'opera di carattere dottrinale, in quanto contiene la ricognizione riflessiva di una regione specifica dell'insieme dottrinale di competenza della filosofia, appunto quella corrispondente al πράττειν, uno dei distinti che lo scandaglio riflessivo di Blondel individua, insieme a quello del pensiero e dell'essere.
In questo senso dunque l'Azione contiene in nuce i principi ovvero le condizioni di possibilità soggiacenti all'intera ricognizione dottrinale che rientra nel campo di competenza di una riflessione filosofica; in essa la categoria di azione ha, come cercherò di far vedere, una valenza spiccatamente trascendentale, denotando non la produzione di senso emanante dall'attività pratica nel contesto del senso complessivo della vita, bensì la condizione di possibilità di qualsiasi produzione di senso nell'ambito della vita, sia essa una produzione, rispettivamente, nella sfera o regione del υεωρέειν, ovvero del ποιέειν, ovvero del πράττειν.
E ciò va tenuto accuratamente presente, anche perché Blondel si appropria di una istanza fatta valere da un filone consistente della filosofia post-kantiana, l'istanza cioè di far funzionare in sede di fondazione critica dell'intera ricognizione filosofica un punto di vista capace di fungere adeguatamente in senso trascendentale, e dunque rimuovendo il residuo acritico della separazione tra ragione teoretica e ragione pratica.
In altri termini in questa visuale animata da tale istanza si tratta di attivare la fondazione trascendentale dell'essere finito risalendo a monte ( o se si vuole alla radice ) della stessa ragione, mettendo in tema teoreticamente la stessa condizione di possibilità della ragione quale principio che anima la produzione del senso teoretico e del senso pratico della vita.
Il problema di fondo che sollecita questo filone della filosofia all'interno del quale va inserito lo stesso Blondel ( e il testo dell'Azione ) va formulato nei termini seguenti.
È in questione la congruenza, e dunque la connessione critica, tra universale e individuale, ovvero tra essere e pensare, tra fatto e valore, tra senso e significato.
Sono tutti termini questi, circolanti e gestiti nella filosofia post-kantiana, che esprimono un'unica problematizzazione di fondo, per venire a capo di una loro connessione soddisfacente sotto il profilo critico, ossia una connessione capace nel contempo di « salvare i fenomeni » ( secondo l'antica espressione di Platone ) e di far fronte alle esigenze intrascendibili di una ragione umana finita.
In tale contesto problematico, precisamente, si inserisce e si inquadra l'Azione.10
C'è però un modo di affrontare quel formidabile problema che va tenuto ben presente per una esatta collocazione storica e culturale di questo testo.
Esso si esprime in un grande paradigma di comprensione, il quale ha un'ascendenza neo-kantiana ed è egemone per molti versi nella cultura europea tra Ottocento e Novecento; e ancora oggi è in azione efficacemente in molti settori della cultura filosofica ( e non solo ).
Lo ritroviamo formulato con grande mordente teoretico in W. Herrmann oppure, in un contesto culturale più prossimo all'opera blondeliana, in A. Sabatier.11
Nella sua visuale il mondo umano del significato e dei valori è spartito tra il territorio della scienza, in cui è attiva l'istanza di conoscenza del mondo, e il territorio dell'etica, in cui opera il senso morale e la sua energia capace di istituire il senso dell'essere nel mondo.
Ma la peculiarità e la forza teoretica di quel paradigma di comprensione consiste in questo: che tra i due territori non si dà conciliazione o raccordo possibile; perché né la scienza consegue ultimativamente il suo obiettivo di conoscenza, in quanto la conoscenza del mondo approda ai suoi limiti nell'inconoscibile, a motivo del quale il significato in definitiva non si concretizza nel senso, né la moralità realizza la sua aspirazione fondamentale - di penetrare il mondo con la sua legalità e istituire in esso il dominio della libertà - convertendo senza residui il senso ( ovvero il valore, il dover essere ) in significato, ossia in effettività universale e comunicabile.
Scissa e dilacerata tra questi due territori, la civilizzazione ( e la cultura ) può trovare nella religione la sede in cui è offerta la possibilità di istituire un τέλος, ossia uno scopo ultimo ( un regno dei fini ) alla cui altezza sia lo sforzo di conoscenza del mondo sia, soprattutto, il bisogno e il sentimento che sollecitano la moralità ottengono il loro congrue soddisfacimento e, in definitiva, trovano una consistente ragione di conciliazione.
Ovviamente questo paradigma di comprensione è suscettibile di differenti valorizzazioni sul piano teoretico.
È significativo tuttavia che esso sia stato coniato in prevalenza a partire da una visuale teologica; si pensi appunto a W. Herrmann, a A. Sabatier, allo stesso E. Troeltsch.
In effetti tale schema di comprensione veniva formulato sostanzialmente come una risposta teologica alla sfida suscitata dalla grande crisi del senso che investiva la civilizzazione occidentale.
Anche se poi, per esempio, W. Herrmann fonda il religioso stesso in ultima analisi sullo scacco della moralità, mentre viceversa da parte sua A. Sabatier individua il religioso come la radice ( una sorta di radice trascendentale ) dello sforzo per conoscere il mondo ( scienza ) e per istituire in esso il dominio della libertà ( moralità ).
Ora in presenza di un modello di comprensione « teologico » così efficace per fare fronte alla crisi del senso e così pieno di mordente nel contesto culturale dell'epoca, risulta assai originale l'approccio operato da Blondel al grande problema che assillava le coscienze pensanti.
Precisamente egli non ricorre al paradigma teologico di comprensione, ma conia un inedito paradigma facendo ricorso alle risorse della riflessione filosofica.
Certo in questa sua opzione fondamentale, che va tenuta in conto per interpretare non solo l'Azione ma forse l'intera sua produzione filosofica, ha giocato una netta scelta vocazionale, che lo ha portato a qualificare il proprio impegno esistenziale come « professore di filosofia »,12 e la stessa incidenza dell'ambiente culturale nel quale si è formato ( la Scuola Normale di Parigi ).
Ma non è questo che istituisce il profilo interno del suo paradigma filosofico elaborato per fare fronte alla grande crisi del senso.
Al contrario esso si qualifica come filosofico perché assume radicalmente l'impegno e il compito della ragione filosofica, diciamo pure la sua logica specifica, che consiste nel « dare ragione » senza fare ricorso a « ragioni date ».
Alla ragione filosofica « nulla si può dare ad intendere », essendo essa conoscenza razionale che si articola discorsivamente attraverso concetti e giudizi.
Anche un eventuale « senso offerto » ( o una rivelazione, secondo il linguaggio della teologia ) non può diventare argomento della discorsività filosofica, se non appunto in quanto esperienza che consente l'approccio concettuale, nei limiti propri della ragione umana finita, che non intuisce direttamente l'essere ma lo afferra solo discorsivamente.13
Qui siamo di fronte a un punto nevralgico dell'interpretazione dell'Azione.
Se il paradigma nozionale di comprensione elaborato in quest'opera fosse quello di far leva sul naufragio della conoscenza scientifica e dello sforzo etico per istituire un regno dei fini congruente con l'aspirazione morale della prassi umana, allora esso sarebbe del tutto affine al paradigma « teologico » di cui ho esibito i tratti salienti.
Ma l'approccio elaborato da Blondel è differente e si muove decisamente sul terreno filosofico, nel senso spiegato poco innanzi.
Certo si può discutere sull'utilità pratica, sul senso ultimo e sulla valenza vitale della ragione filosofica.
Tra l'altro l'impresa tentata da Blondel, con l'intento costante di saldare insieme riflessione e vita, costituisce proprio una risposta a questi interrogativi.
Nella lettura corrente con l'Azione il filosofo di Aix avrebbe puntato l'obiettivo sull'azione umana per mettere in evidenza la sua inconcludenza in ordine alla soddisfazione del desiderio che la inabita; tale dinamismo di sproporzione tra il desiderio che anima l'azione nel suo ampio spettro fenomenologico e le sue realizzazioni concrete aprirebbe la strada al completamento dell'insufficienza umana da parte dell'offerta di un senso non incluso nelle possibilità naturali dell'azione stessa, il senso appunto istituito nell'area di esperienza del religioso.
In questo schema di interpretazione, che pur essendo largamente diffuso nondimeno deve essere messo in discussione,14 vi sono alcune sfasature o incongruenze rispetto all'intenzione teoretica di Blondel che vanno rimarcate subito.
Anzitutto si assume una nozione di azione che ha una valenza regionale ( e non trascendentale, come nel testo blondeliano ), che in effetti è sì presente nell'argomentazione di Blondel, ma soltanto relativamente a un suo settore specifico, quello appunto in cui è messa in tema l'appetizione volontaria, la quale tuttavia non esaurisce il significato nozionale dell'azione.
In secondo luogo ci si basa su una intelligenza diacronica del dinamismo dell'azione, quasi che esso si articoli in fasi successive, culminanti con l'opzione prò o contro l' « azione perfetta » ( che è poi la vita dell'azione, ovvero l'irruzione del « senso offerto » nella sfera dell'azione ); mentre viceversa Blondel pensa sincronicamente quel dinamismo, in quanto lo racchiude interamente nello spazio trascendentale dell'azione, la cui temporalità non ha carattere diacronico ( prima e dopo ) bensì sincronico ( adesso o mai più ); ciò significa che l' « azione perfetta » non appartiene ai margini o agli esiti terminali del dinamismo dell'azione, ma appartiene al suo cuore e alla sua attualità non rinviabile.
In ogni progettazione del senso, in quanto progettazione del senso della vita, si insedia la necessità dell'azione perfetta o del suo opposto, quella che potremmo chiamare l'azione abortita ( la « morte dell'azione » ); tale necessità conosce solo l'adesso e non consente né rinvio né anticipazione.
Questa contemporaneità insuperabile o sincronia dell'azione perfetta nel dinamismo dell'azione viene espressa dalla celebre formula che Blondel usa spesso ( e, invero, sia nell'Azione che nella Lettera del '96 ): « mettere in equazione nella coscienza medesima » ciò che aspiriamo a pensare, volere e fare e ciò che pensiamo, vogliamo e facciamo in realtà.
In terzo luogo si equivoca il passaggio nevralgico dell'oltrepassamento dell'azione verso l'unico necessario.
Infatti da un lato lo si tiene a distanza dall'oltrepassamento che l'azione opera nel suo dominio di esercizio nelle tappe fenomenologiche nelle quali essa prende consistenza, mentre viceversa nella visuale blondeliana esso è omogeneo a quest'ultimo ( e non si configura come un « salto mortale » verso il trascendente ); dall'altro si mette in cortocircuito il discorso sull'unico necessario, che significativamente viene presentato da Blondel con i caratteri di una necessità possibile, con il discorso ( svolto nella quinta parte dell'Azione ) sui contenuti rivelati e sulla pratica letterale, che palesemente si svolge in una chiave metodologica e « apologetica » e dunque inverte il procedimento argomentativo, partendo dall'assunto di un « senso offerto » che incarni quel possibile racchiuso nella necessità dell'unico necessario.
Senza dubbio su quest'ultimo punto la tematizzazione elaborata nell'Azione era obiettivamente piuttosto acerba, e avrebbe richiesto un lavoro di chiarificazione e di maturazione tematica che in parte Blondel ha abbozzato successivamente ( per esempio, già con la Lettera del '96 ), in parte invece è stato sviato in altre direzioni, per colmare quelle lacune che le polemiche suscitate dalla sua « filosofia dell'azione » ponevano all'ordine del giorno, ma che non sempre erano in linea con l'impostazione e con il taglio metodico dell'Azione, un taglio beninteso che impostava l'indagine nei termini di una filosofia come « scienza rigorosa ».
Prima di indicare succintamente la sostanza peculiare e il plesso teoretico centrale di questo scritto blondeliano, è opportuno offrire alcuni riferimenti circa il suo profilo culturale e la sua struttura sistematica.
L'Azione è un testo difficile e assai complesso.
Esso, come è noto, è stato scritto tenendo presente un interlocutore specifico, il pubblico degli studiosi della Scuola Normale, che costituiva una élite intellettuale; questo pubblico era culturalmente assai preparato, ed era in grado sia di afferrare il gergo scolastico adoperato, sia di capire i referenti storici ovvero le fonti del discorso blondeliano,15 sia infine di comprendere le invenzioni linguistiche ricorrenti in questo testo, le quali significativamente fanno ricorso usualmente al linguaggio delle scienze matematiche e positive.
Conseguentemente la scrittura del testo blondeliano risulta particolarmente densa, direi meglio pluristratificata, per cui la difficoltà maggiore di lettura è data proprio dalla ricognizione di questo spessore sintetico, che è insieme storico e problematico.16
D'altra parte questa densità e complessità, che riguarda sia i nodi problematici sia i referenti storici, è in qualche modo ricoperta e quasi semplificata sia dall'andamento discorsivo retorico sia dalla struttura saldamente sistematica, la quale non lascia trasparire facilmente le difficoltà o incongruenze dell'argomentare o le eventuali inversioni argomentative.
In realtà l'ordito di questa scrittura coniuga insieme il gioco linguistico della persuasione, che forse dà il tono al linguaggio prevalente in questo testo, e il gioco linguistico dell'argomentazione, che veicola la linea teoretica di fondo; e non sempre è facile distinguere l'uno dall'altro, riconoscendo in maniera adeguata le rispettive strategie di discorso e le congruenti ragioni che sono in gioco di volta in volta nella strategia di persuasione o in quella epistemico-dimostrativa.
Così, tanto per fare un esempio, il dubbio metodico universale circa le ragioni del senso ( il senso della vita, secondo la domanda iniziale e di fondo di tutto lo scritto ) mentre da un lato è funzionale a una sorta di captatio benevolentiae dell'interlocutore, che è l'intellettuale scettico, convinto assertore del valore della scienza e altrettanto deciso negatore della rilevanza del senso, dall'altro è azionato in vista di guadagnare una visuale radicale ( appunto la visuale dell'azione ) per porre correttamente il problema del senso.
Esempi del genere si potrebbero moltiplicare, se facessimo un saggio sulle varie parti di questo testo blondeliano.
In ogni caso una lettura adeguata dell'Azione richiede non solo che si entri nell'intricato tessuto teoretico e nel complesso spessore storico di questo testo,17 ma che si sia in grado di seguire e di tenere eventualmente a distanza il discorso e il linguaggio della persuasione da quello della rigorosa linea argomentativa.
Non meno impegnativa è la penetrazione della struttura sistematica di questo testo.
In proposito mi pare importante rilevare tre possibili fattori o assetti sistematici che funzionano in contemporanea, ma che vanno chiaramente individuati per poterne valutare in maniera congruente l'incidenza nell'ordito sistematico del discorso blondeliano.
Anzitutto c'è la struttura esteriore che ha un evidente tratto ascensionale scandito dalle cinque parti in cui è articolato il testo.
Si parte da una posizione del problema, che significativamente è ricondotto al « problema morale » e non ( come nell'introduzione ) al problema del senso oppure ( come nella conclusione ) al problema del religioso ovvero della salvezza; si scarta in primo luogo la possibilità di risolvere il problema in negativo; poi viene appurato che nello spazio naturale della volontà ( come prima il senso è ridotto o ricondotto all'ambito della moralità, così adesso l'azione è ricondotta allo spazio del volontario ) è iscritto il determinismo di una soluzione in positivo del problema dell'azione, anche se questo « in positivo » è ancora ancipite, coinvolgendo la grande alternativa tra la vita e la morte dell'azione; si passa quindi a una fenomenologia dell'azione che, dalle sue condizioni di possibilità, passando attraverso sfere successive, ricostruisce l'azione in tutta la sua gamma, fino alla sfera culminante dell'azione universale; in questa sfera si mette in luce la grande antinomia ( il conflitto ) cui soggiace l'azione in questa sua apertura universale; l'antinomia dà luogo a un'alternativa nella quale si dà la condizione di possibilità dell'azione perfetta, ossia dell'azione che realizza il suo senso.
Questa struttura esteriore è assai perspicua; ma essa sembra obbedire più a una strategia di persuasione che non a una rigorosa argomentazione filosofica in grado di attuare connessioni concettuali e dimostrative consistenti.18
Ma il discorso blondeliano nell'Azione mette in funzione una logica argomentativa assai rigorosa, la quale funge come connettivo sistematico dell'intero sviluppo discorsivo.
Tale logica ha un preciso impianto falsifìcazionista, per dirla con un termine che richiama sì K. Popper, ma corrisponde a mio avviso in maniera calzante alla strategia argomentativa adottata da Blondel, anche in corrispondenza della sua concezione relativa all'έπιστήμη della scienza e della filosofia.19
Questa logica consiste nell'individuare, nel complesso fluire dei fenomeni inquadrati dallo sforzo della scienza e della vita soggettiva animata dall'azione, una linea di determinismo guadagnato attraverso la falsificazione delle possibili vie di uscita per spiegare i fenomeni o le costellazioni di fenomeni esaminati dalla ricognizione « fenomenologica ».
A partire dalla tabula rasa iniziale, quando non si dà niente per scontato, accertato o postulato, tutto l'itinerario argomentativo messo in opera da Blondel consiste nella progressiva falsificazione di ipotesi o pretese esplicative, in modo da far emergere a ogni tappa una linea necessitante di determinazione nozionale e di concatenazione sistematica ( coerenza argomentativa ), grazie alla quale anche il territorio dell'azione, che è poi il territorio della libertà e dell'opzione, è elevato all'esponente della scienza.
Si tratta, come è noto, di una scienza che ha l'ambizione di presentarsi e di valere come scienza della vita.
E in effetti è decisivo cogliere questa logica reale che è sottesa ed è fungente lungo tutto il discorso dell'Azione.20
Essa mira a scoprire il senso, e le modalità della sua costituzione, a monte della volontà di potenza, intendendo questa categoria nell'accezione nozionale fatta propria da Nietzsche.
In altri termini Blondel è interessato a identificare il Sé in cui il senso si soggettiva; ma per essere afferrato, questo Sé richiede che si attivi una logica congruente, perché esso è interamente gettato nella tensione tra determinismo e altro-da-sé ( questo referente potrebbe essere espresso anche come essere-da, se si vuole rimanere aderenti alla prospettiva filosofica guadagnata dal discorso blondeliano ).
Ciò significa che quel Sé è compreso come dislocato interamente nella tensione tra fenomeno, l'indice della trascendenza intenzionale e della necessità concatenante, e libertà radicale, l'indice della trascendenza esistentiva ovvero trascendentale.
Le due nozioni sembrano agli antipodi tra loro, tanto che la riflessione filosofica con Kant è arrivata a istituire tra loro un rapporto di antinomia ( sia pure di carattere dinamico e non matematico, e la cosa non è senza significato, perché presta lo spunto al discorso dell'Azione ); ma la riflessione blondeliana mira a evidenziare il legame che si instaura tra di esse.
Questo legame esprime la trascrizione teoretica di un rapporto trascendentale tra l'unità del determinismo, vigente nel mondo fenomenico da cui affiora e nel cui seno si svolge l'azione, e l'opzione libera, che rappresenta il culmine ontologico dell'azione e la condizione di possibilità della sua validazione effettiva ( o invalidazione, essendo l'opzione una possibilità a doppio senso ), desistenza reale ovvero la vita, quale oggetto di indagine di questa filosofia, è costituita inscindibilmente da entrambi i poli che danno luogo alle due nozioni indicate e ai corrispettivi campi semantici di scienze differenti, ossia, nel linguaggio di Blondel, le scienze matematico-positive e le scienze morali.
Tenendo conto di questo impianto logico che sorregge il discorso, siamo in grado di mettere in evidenza una struttura sistematica, diciamo così, più interna di questo testo blondeliano.
Essa non consegue alle scansioni esteriori tra le varie parti, ma è istituita da quella logica cui ho fatto cenno, e trova il suo filo conduttore più attendibile in quelle sintesi che concludono i vari blocchi di argomentazione e anticipano il prosieguo del discorso.
Non si tratta di ricapitolazioni o anticipazioni pleonastiche, ma servono appunto a enfatizzare il procedimento argomentativo del discorso.
Sotto questo profilo l'articolazione sistematica dell'Azione può essere individuata in questa sequenza.
Il primo blocco viene dedicato a costruire il problema, dall'ipotesi iniziale di una sua inconsistenza come pseudo-problema fino all'esibizione dell'aggancio della « mediazione dell'azione » con le scienze positive, ossia con le scienze che racchiudono la vita nell'ambito del fenomenico.
È da notare come in questa fase la categoria di azione non entra in gioco nella sua esatta caratura nozionale, mentre vengono messi in questione il problema morale e la volontà.
Il secondo blocco svolge la determinazione noetica appropriata del concetto di azione ( chiamerei questo tratto la « deduzione trascendentale » della categoria di azione ); in questa fase si tende a circoscrivere l'area trascendentale della nozione, mettendo a punto il referente di soggettivazione ( il Sé del senso prodotto dall'azione ) dell'intera fenomenologia dell'azione.
Il terzo blocco traccia una fenomenologia non dell'azione, ma dell'azione voluta, ossia dell'azione ( il referente trascendentale ) contratta fenomenicamente in determinazioni particolari, in un corpo di segni e di simboli.
È in questo contesto che viene messa in tema la dialettica dell'equazione insufficiente tra l'azione voluta e il Sé che configura lo spazio del possibile senso creato dall'azione.
Questo blocco argomentativo si estende fino alla teorizzazione dell' « azione superstiziosa », che rappresenta una modalità defettiva o invalidante dell'apertura universale dell'azione, che è poi la possibilità iscritta in quel Sé di produrre un senso universale.
Su questo terreno la dialettica dell'azione dà luogo a un'antinomia.
E in effetti il quarto blocco argomentativo è dedicato alla soluzione di tale antinomia.
Il discorso si fa estremamente arduo e in qualche modo si complica, perché l'argomento dall'azione voluta in qualche modo si sposta nuovamente sul punto di partenza, ossia sul referente di soggettivazione dell'azione voluta.
L'antinomia e la sua difficile gestazione teoretica, che da luogo a due serie distinte e non facilmente correlabili tra loro di ragionamento, si gioca intorno all'azione nel suo nucleo sostanziale.21
L'ultimo blocco del discorso non ha più una connessione sistematica con il resto ma in parte è dedicato all' « apologetica » religiosa, invertendo quindi il vettore argomentativo, e in parte svolge una riflessione sul metodo, aprendo per così dire il discorso dell'Azione all'ulteriore ampliamento dottrinale.
Perché in effetti l'Azione ha un evidente impianto critico.
In una congiuntura culturale in cui, per esempio, Dilthey coglieva l'istanza di completare l'operazione critica kantiana e di produrre accanto alla critica ( kantiana ) della ragione teoretica ( ossia della ragione scientifica ) una critica della ragione storica, Blondel coglie una istanza analoga, diretta precisamente a elaborare una critica dell'azione.
Perché una critica dell'azione? Perché si trattava di andare più a fondo nella direzione critica e, invece di investire il piano secondario della ragione teoretica che produce valori conoscitivi di secondo grado rispetto alla vita, o lo stesso piano della ragione storica,22 nel quale è impegnata quella che Blondel chiamerebbe l'azione voluta, bisognava accedere problematicamente al piano primario e fontale dell'azione.
Di quest'ultima era necessario ricostruire, sul filo di una riflessione teorica metodica, l'ontologia critica, nel senso che Kant aveva dato a questa espressione.23
In effetti quando Blondel si accinge al lavoro per l'Azione ha ben presente tutta la gamma dottrinale di cui si sostanzia l'indagine filosofica;24 ma egli avverte come primaria l'esigenza di offrire un fondamento critico a tutta la riflessione filosofica, e si accinge a questo lavoro appunto con l'indagine critica sull'azione.
Naturalmente il punto di vista critico maturato con l'Azione da un lato apriva ai compiti dello sviluppo dottrinale, dall'altro possedeva un respiro culturale enorme, tale da investire l'intero pensiero contemporaneo nella sua ristrutturazione critica e da prospettare un'alternativa interna alla stessa cultura cattolica che appunto era in cerca di un assetto culturale in grado di reggere il confronto con la cultura del tempo segnata dalla modernità.
Blondel ha cercato di proseguire il lavoro di ampliamento dottrinale richiesto dall'impostazione critica dell'Azione.
E lo ha abbozzato anzitutto sul versante della logica e su quello della filosofia della religione ( per esempio con la Lettera del '96 ).
Ma da un lato le resistenze che gli venivano dal mondo della cultura filosofica laica, dall'altro le durissime reazioni al suo pensiero e alla sua impostazione, per non dire al suo progetto culturale in rotta di collisione con l'incipiente neotomismo, che provenivano dal mondo della cultura cattolica ( in prevalenza teologica ) lo hanno prima costretto sulla difensiva, poi lo hanno in qualche modo deviato dall'impegno di integrazione dottrinale.
Poi la bufera del modernismo ha fatto il resto: essa, se anche non lo ha coinvolto personalmente, ha comunque colpito il suo progetto culturale, e in ogni caso lo ha costretto alla prudenza e al silenzio.
Solo negli anni Venti si sono ricreate, almeno per certi versi, le condizioni favorevoli per la sua creatività filosofica; ma da un lato la spinta originaria di quella creatività si era in qualche modo attutita, se non esaurita, dall'altro le condizioni di salute poco favorevoli e le obiettive possibilità di lavoro assai compromesse hanno sicuramente inciso sulla sua produzione tardiva, con la quale egli ha cercato di portare a termine il programma iniziato con l'Azione.
Rimane aperto il problema di una valutazione critica attendibile sia dell'ultima sua produzione, ove peraltro trapelano sprazzi notevoli della forza teoretica dell'autore dell'Azione, sia del rapporto tra quella produzione e il primo Blondel.
Non è facile cogliere la sostanza peculiare e il plesso teoretico centrale dell'Azione.
Pregiudiziali per una comprensione efficace di questo testo sono l'individuazione del problema fondamentale che qui viene agitato, della modalità argomentativa con la quale esso viene svolto e viene avviato a soluzione, e infine l'esatta determinazione nozionale del concetto di azione, che offre il punto di vista prescelto per affrontare il problema e per organizzare in maniera congruente la sua soluzione.
È quanto cercherò di fare in questa sede, riservandomi poi di dedicare una succinta elucidazione del tema del religioso, che indubbiamente ha una funzione-chiave nel testo blondeliano, ma che tuttavia va inquadrato necessariamente ( pena l'incomprensione della sua peculiare impostazione blondeliana ) nella triplice coordinata, problematica, tematica e critica cui ho fatto cenno.
In un contesto particolarmente cruciale dell'itinerario argomentativo dell'Azione, laddove si tratta di elucidare l'universalità dell'azione, ossia in concreto della produzione del senso della vita, Blondel ci offre uno spaccato a due profili del problema che impegna ultimativamente la sua riflessione.
Il contesto è decisivo, perché fa da cardine nel passaggio dall'azione che incarna l'universale concreto alla dialettica dell'azione cui dà luogo questo universale concreto, e dunque apre alla discussione dell' « azione superstiziosa » e alla successiva antinomia dell'azione.
Il duplice profilo, poi, sotto cui ci è esibito il problema centrale di questo approccio critico è dato dal « bisogno metafisico » e dal suo dinamismo reale, e dalla « coscienza morale », intorno alla quale si istituisce la morale intesa come meintis et vitae adaequazio.25
Qual è dunque il problema di fondo che istituisce la tematizzazione di questo testo blondeliano?
È anzitutto un problema che interessa ogni uomo necessariamente; è una sorta di ultimate concern ( secondo l'espressione coniata da P. Tillich ) che inerisce alla condizione umana dell'esistere.
Non è dunque un problema generato dalla riflessione filosofica di secondo grado, dalla metafisica, secondo l'accezione blondeliana elucidata a varie riprese nel nostro testo.26
È invece un problema della vita e la sua assunzione a tema della riflessione filosofica contribuisce precisamente a piegare quest'ultima alla sua costitutiva curvatura sapienziale.
D'altra parte la gestione di tale problema, anche se rientra di diritto nei compiti della ragione teoretica, appartiene originariamente e necessariamente al territorio della sperimentazione della prassi, ossia quel territorio instaurato dalla ragione pratica.
C'è dunque una distinzione e una solidarietà tra l'ordine creato dalla ragione teoretica e quello creato dalla ragione pratica, nonché tra questo e l'ordine positivo, ossia l'ordine fenomenico istituito dalla ragione scientifica, e tecnica aggiungerei, per raccogliere l'ampiezza del termine « positivo » adoperato da Blondel.27
Questo schema nozionale della distinzione-solidarietà, che rappresenta forse una delle dimensioni più qualificate del punto di vista critico guadagnato da Blondel con l'Azione, e che ha inciso profondamente nella cultura filosofica francese successiva,28 rappresenta una costante del pensare blondeliano, la quale opera nei suoi approcci di filosofia della religione, nella critica a Loisy e, ai limiti del suo storicismo, nella diatriba sul « monoforismo » ( e più in generale sulla comprensione del rapporto tra natura e soprannaturale ), e infine nella stessa tetralogia che conclude la produzione filosofica del professore di Aix.
Il problema centrale dell'Azione investe dunque la produzione del senso, ossia la creazione di ciò che non è, di ciò che non appartiene all'ordine dei fatti; in altri termini concerne ciò che la prassi umana e il suo principio animatore, la ragione pratica, è impegnata a realizzare: incorporare l'ordine ideale al reale ovvero piegare il reale a un'indicizzazione ideale, creare la sintesi del senso.29
A ben considerare, lo stesso problema emerge da una angolatura diversa, quella fornita dalla ricognizione « metafisica » della ragione teoretica.
Anche su questo versante il problema è di capire come il fatto può essere elevato all'esponente del diritto, ossia come può lasciare trasparire la ragione del fatto, essendo questo il condensato del senso proprio attribuibile ai significati prodotti dalla ragione teoretica; o, in altri termini, e tenendo conto del referente prassistico della ragione teoretica, è in questione la possibilità di quel trascendimento dell'esperienza che istituisce in maniera significativa l'esperienza della prassi umana, la quale in tanto produce senso in quanto è in grado di arricchire la propria esperienza incorporando in essa ciò che la trascende, secondo la teleologia immanente alla volontà umana ( la ragione pratica ), la quale gestisce una finalità ideale con l'intento e l'aspirazione a « naturalizzare il possibile ».30
Ora, da un lato questo problema non è di ordine speculativo, ma appartiene all'ordine della vita; e dunque non è un problema sollevato dalla riflessione filosofica, la quale semmai lo enuncia riprendendolo dalla vita reale ed enunciandolo in termini formali, ma è immanente alla prassi di ogni uomo, è la domanda nella quale è in gioco non il senso dell'essere in generale, ma l'essere di quel senso che la prassi dell'uomo istituisce.
Dall'altro il problema, e la domanda intorno a cui si svolge come intorno al suo filo conduttore il discorso dell'Azione, va formulato nei termini seguenti.
Nella prassi effettiva che da luogo alla sintesi del senso, di cui appunto l'Azione ricostruisce le condizioni di possibilità e i principi istitutivi, la volontà ovvero la ragione pratica31 si espande necessariamente e ritorna a se stessa; in questo exitus e reditus va ravvisata la struttura precipua della prassi volontaria, la cui produzione non è transeunte, ma ha come suo referente intenzionale ( precisamente il referente intenzionale istituito dall'azione ) il Sé dell'azione, e dunque è immanente.
È questa in definitiva la radice istitutiva del senso e dell' interesse ( dell'ultimate concerai della « volontà di potenza » ) posto in essere dall'azione.
Il problema quindi è come sia possibile creare un'equazione tra questo exitus dell'azione che investe il fatto, il fenomeno, il reale, e questo reditus, in forza del quale l'azione qualifica se stessa in ordine al senso, ovvero in ordine all'ideale, al diritto ( al dover essere ).
In effetti il senso si instaura propriamente in quel reditus, che esprime la ricaduta immanente e riqualificante dell'azione.32
È questo dunque il problema sul quale si progetta la riflessione di Blondel.
Esso ricorda in qualche modo il problema del neoplatonismo, e in particolare di Piotino.
Ma qui quel problema non viene posto nel contesto di un impianto metafisico, in forza del quale esso viene formulato in termini onto-teologici, ovvero in rapporto a Dio ( l'Essere supremo, l'Uno ).33
In verità più che questo riferimento all'antica filosofia e alla sua problematica centrale, mi pare che il problema e il tema blondeliano dell'Azione si sia misurato a fondo con un referente più ravvicinato, e cioè con la filosofia kantiana.
Blondel sembra aver preso sul serio il problema cruciale della Critica del Giudizio, ossia il problema della finalità della natura e nella natura.
Solo che egli, cercando di rigorizzare quel problema e sciogliendolo dall'originario quadro del rapporto tra le facoltà ( il Giudizio, l'intelletto, la ragione ), arriva a capovolgere la sequenza argomentativa delle tre Critiche kantiane.
Egli in effetti impianta il problema del senso ultimativo dell'umano, ossia la celebre domanda « chi è l'uomo? » che suggella e motiva ultimamente la filosofia kantiana, proprio a partire dal referente che possa rendere conto sia della teleologia del mondo umano, sia della struttura istitutiva del senso stesso, cioè quell' exitus-reditus che si incardina nell'azione.
In tal modo il motivo culminante della Critica del Giudizio, ossia il motivo di una ragione ordinatrice e progettante universale afferrabile attraverso la struttura non conoscitiva ma « riflettente » della facoltà del Giudizio, riceve un'inedita impostazione.
Nel suo contesto non la ragione, ma la sua radice trascendentale, cioè l'azione, diventa il perno di una teleologia universale, pur raccogliendo l'istanza centrale che animava la Critica del Giudizio, ossia l'istanza di decentrare lungo l'asse etico-teleologico il soggetto e la ragione umana finita.
Anche nel quadro dell'Azione la teleologia universale di cui è titolare ultimativamente l'azione in sostanza decentra il soggetto umano finito e lo apre alle dimensioni di senso del finito capax infiniti.
Beninteso per cogliere adeguatamente questa problematica è necessario mettere a fuoco la nozione blondeliana di azione.
Il che peraltro non è agevole, perché nello scritto del 1893 il termine ricorre con accezioni plurime e niente affatto univoche, e d'altra parte è estremamente facile operare una duplice identificazione che allontana da una congruente intelligenza della nozione blondeliana di azione e che tuttavia ricorre di frequente nell'interpretazione di questo testo.
La prima identificazione tende ad equiparare l'azione ( che viceversa andrebbe concepita in definitiva come actus essendi ) alla volontà, che è la facoltà titolare della volizione ed è secondaria rispetto a quell' « atto d'essere ».
La seconda invece tende ad appiattire l'azione sull'atto e sul risultato di essa; sul terreno dell'azione come atto ovvero attuazione dell'azione si istituisce quella dialettica dell'insoddisfazione e della penuria ontologica nella quale si è visto l'apporto più originale della filosofia blondeliana; essa ricorda da vicino la dialettica platonica dell'έρος.
Viceversa il discorso blondeliano fa leva in realtà su un'altra dialettica, quella della sovrabbondanza e della ricchezza ontologica del senso possibile, la quale precisamente viene impiantata sul perno dell'azione quale costituente dell'atto che incarna l'azione realizzata.
È decisivo per la comprensione della nozione blondeliana di azione afferrare il contesto nel quale essa viene messa a fuoco; esso è dato dall'esperienza della scienza, che nell'impostazione di Blondel non risulta avulsa dalla questione centrale del senso, come tutto sommato lasciavano credere le teorie, egemoni allora sotto il profilo culturale e tuttora caratterizzanti la nostra stessa congiuntura epocale, che tenevano a distanza le scienze della natura, ossia i saperi responsabili del dominio tecnico, dalle scienze dello spirito, ossia i saperi congruenti con il mondo dei significati e del senso umano.34
C'è da aggiungere che la nozione blondeliana di azione sotto il profilo terminologico non ha precedenti nella storia della filosofia, mentre sotto il profilo nozionale si possono ravvisare molti modelli ricorrenti in ambito storico-filosofico, come, tra gli altri, la monade leibniziana ( concepita in termini di forza-energia ), la ragione kantiana, l'Io di Fichte e la stessa autocoscienza immediata tematizzata da Schleiermacher.
Ora Blondel valorizza in maniera decisiva e peculiare l'esperienza della scienza, tentando di ricostruire a partire da essa, così come aveva fatto analogamente Kant, l'intero universo del senso; ma per fare ciò c'era bisogno di un fulcro teoretico adeguato, che appunto viene identificato e afferrato con la nozione di azione.
In concreto nella fase iniziale del decorso teoretico dell'Azione, laddove dopo aver chiarito i preliminari del problema si trattava di tematizzare in maniera congruente i suoi termini stessi, focalizzando nella costellazione del « senso morale » la sua radice trascendentale ( appunto l'azione ), cioè la ragione ultimativa del senso stesso, Blondel prende le mosse dall'esperienza della scienza, la quale avanza la pretesa di totalizzare il senso.
Tale pretesa viene presa sul serio; Blondel accetta la sfida che proviene dalla scienza e si impegna a saggiarne la consistenza sviluppando una duplice linea argomentativa.
Da un lato sviluppa una sorta di ricognizione dell'esperienza della coscienza scientifica, mettendo in risalto i suoi significati, nel cui orizzonte la ragione scientifica pretende racchiudere il senso umano e quindi risolvere il grande problema che sollecita la riflessione blondeliana.
Dall'altro egli svolge un'indagine sul valore della scienza, ossia sulla sua « ragione » istitutiva, sulla sua pretesa e sulla sua coerenza; da questa indagine emerge un rapporto tra la scienza e l'azione che permette l'esatta focalizzazione di questa categoria blondeliana.
Il fulcro dell'argomentazione consiste in questo.35
Dall'esperienza della scienza si ricava un indice che denota l'azione, non in quanto la scienza è intimamente promossa dall'intenzione di dominio tecnico della natura, ma in quanto quell'esperienza ha una sua ragione fondante che la eccede e la trascende.
L'azione è precisamente l'istanza che istituisce il terreno di cultura del conoscere scientifico e costituisce l'esperienza della scienza.
La ragione scientifica, e i suoi significati cui Blondel riconosce la forza di strutturare il mondo umano ( appunto quello che chiamiamo il mondo tecnico-scientifico ), va ultimamente riferita a una ragione fondante che la veicola e la eccede.
È su tale ragione fondante che si appunta l'indagine circa l'azione.36
Qual è esattamente il significato di questa argomentazione blondeliana?
Operando questa regressione, che ha tutti i caratteri di una « deduzione trascendentale » della categoria dell'azione, Blondel non intende abolire la specificità del conoscere e delle sue motivazioni proprie.
Non si tratta infatti in alcun modo, come ha inteso una certa interpretazione spesso ricorrente nella letteratura su Blondel, di ricondurre ultimamente il conoscere alla volontà, e in definitiva alla libertà.
Viceversa l'argomento blondeliano col quale si mette in evidenza l'indice dell'azione mira semplicemente a tematizzare in maniera congruente l'assenza di fondamento che si evidenzia alla base ( appunto a fondamento ) dell'esperienza scientifica; tale esperienza non è in alcun modo autofondata, e su questa assenza di fondamento, che evidenzia una sporgenza, si vuole indagare per mettere in tema la sporgenza postulata nell'azione, ossia nella prassi, dell'esperienza scientifica.
La sequenza argomentativa può dunque essere espressa nel modo seguente: dall'esperienza della scienza si procede al riconoscimento della sua qualità prassistica; da quest'ultima si procede al riconoscimento della volontà ( una vera e propria « volontà di potenza » ) soggiacente alla prassi scientifica, una volontà che anima l'interesse della prassi scientifica e del conoscere cui quella da luogo; da questa « volontà di potenza », poi, si passa a definire il terreno proprio di una scienza dell'azione, che è poi l'intento teoretico e critico congruente con la tematizzazione di questo testo blondeliano.
Per afferrare in maniera efficace la nozione di azione congruente con questo livello che costituisce il fulcro tematico e problematico insieme dell'Azione, Blondel ricorre all'elucidazione dell'area soggettiva.
Il soggettivo cosi inteso va tenuto a distanza sia dalla soggettività conoscente, che ha svolto un ruolo importante in tutta una fase della storia della filosofia, sia dal soggetto autocentrato, che pure ha incarnato una propensione, non so se prevalente ma certo importante, del pensiero della modernità.
In effetti il soggettivo che qualifica l'ambito nozionale dell'azione in senso blondeliano è anteriore ovvero preliminare alla divaricazione tra soggetto e oggetto ( del conoscere ), ed è essenzialmente ancorato alla finitezza, in quanto è qualificato strutturalmente dalla sproporzione e dal decentramento esistentivo.
Piuttosto questo soggettivo blondeliano ricorda in qualche modo la tematica schleiermacheriana della « autocoscienza soggettiva », la quale precisamente viene svolta portando in luce l'autocoscienza immediata come definizione più appropriata dell'area del Sé in quanto distinta dall'Io.
Blondel definisce leibnizianamente il soggettivo, in quanto profilo ontologico essenziale e universale, in termini di percezione, questa viene distinta dalla modalità dell'appercezione, ossia dell'azione già contratta nei termini e nelle modalità della coscienza e insieme, essendo le due modalità reciprocamente condizionate, della volizione ovvero della libertà che si progetta.
In definitiva così intesa la nozione di soggettivo, che già in prima approssimazione perimetra l'area nozionale dell'azione, è equivalente alla categoria di « sentimento » o di autocoscienza immediata, così come ricorre in un altro contesto teoretico cui ho fatto cenno.
Anche se bisogna aggiungere che Blondel non si preoccupa molto di sviluppare adeguatamente questi passaggi cruciali della sua argomentazione, e soprattutto di calibrare la portata nozionale dei concetti e delle categorie impiegate.37
In ogni caso il passaggio argomentativo decisivo consiste nella definizione del soggettivo in termini di azione.
L'azione è il referente di soggettivazione di ogni attuazione del senso, sia essa riconducibile alla coscienza e ai significati ( conoscitivi ) che essa plasma e realizza sia essa riferibile all'appetizione volontaria e al senso etico che essa progetta e intende teleologicamente.
Sotto questo profilo l'azione va definita come actus essendi, ed esibisce i caratteri ontologici che erano propri della dynamis-forza di Leibniz.38
L'azione non è il fatto, ma è la condizione del fatto, dell'attuazione, così come la coscienza soggiacente al lavoro della scienza non si qualifica in funzione dei fenomeni oggettivi, ma esibisce una sporgenza nei confronti di questi.
Questa visuale, che appartiene al nucleo argomentativo più profondo e più qualificante dell'Azione, è decisiva per l'afferramento del Sé cui si soggettiva il valore e il senso, e per la soluzione di quel problema di fondo che sollecita, come abbiamo visto, Blondel in una direzione obiettivamente alternativa rispetto a quella percorsa da Nietzsche.39
L'azione dunque è la struttura trascendentale del Sé cui si soggettiva il fatto e il valore, il significato e il senso; essa è la condizione di possibilità dell'uno e dell'altro, in quanto sia il fatto sia il senso sono costituiti, e dunque contraggono e specificano precisamente l'azione e qualificano la sua area di soggettivazione ( il suo Sé ).
Da una visuale complementare possiamo dire altresì che il costituente del fatto e del senso è appunto l'azione, la quale nel fatto ( nell'attuazione, nell'azione determinata ) si determina e si qualifica quale Sé, quale referente di un reditus gravido di valorizzazione.
Il passaggio argomentativo che qui tento di mettere a fuoco è talmente delicato, e tuttavia così decisivo nell'economia del discorso blondeliano, che mette conto di elucidarlo da un'altra angolatura.
Il problema che promuove lo sforzo blondeliano di riflessione e motiva la sua opzione metodica peculiare, la quale fa perno notoriamente sull'azione, è quello del soggettivo, come ho già chiarito.
Il soggettivo in quanto coscienza, ossia in quanto dinamismo mentale, ha il suo culmine nel livello supremo dell'attualità soggettiva, che precisamente Blondel chiama l'azione.
L'azione è appunto l'apogeo del soggettivo.
Esso sporge dalla marea ovvero dalla totalità del fenomeno soggettivo, di cui è la verità.
Si potrebbe forse in proposito, stabilite le debite differenze, addurre un'analogia con lo spirito assoluto quale categoria hegeliana: esso è la verità di tutte le forme pregresse dello spirito, della sua storia.
Così all'altezza di quella sporgenza del soggettivo, l'azione, si gioca la verità o, meglio, il senso di tutte le forme attuative e specificanti dell'azione medesima.
Ciò significa che l'azione, così intesa, definisce quell'istanza che costituisce il senso in quanto arricchisce il Sé e lo qualifica in maniera immanente, istituendolo come ciò che ha in sé il proprio fine, come vera e propria entelechia, e mantenendolo a distanza da ciò che ha il proprio fine in altro.40
L'azione dunque è il dinamismo del soggettivo, il suo actus essendi.
Essa è colta non tanto dalla visuale dell'intelletto, o se si preferisce della ragione teoretica ( della coscienza ), bensì dalla visuale della volontà, o meglio della ragione pratica ( della libertà ).
Ma ciò non vuol dire affatto che il nodo problematico che interessa Blondel sia il rapporto tra volontà ( appetizione, libertà ) e intelletto ( conoscenza ), e quindi in definitiva lo snodo teoretico di libertà e conoscenza.
Significa invece che il suo problema cruciale è la chiarificazione del soggettivo, ossia, come ho cercato di mettere in evidenza, la questione che investe la polarità costitutiva del senso, dunque il suo titolare ( o beneficiario ) ultimativo, qualunque sia la specificazione secondo cui il senso ricorre.
Ovviamente questo senso può essere articolato in sfere regionali, quali la sfera dei significati conoscitivi, quella del senso etico, quella del senso religioso e della sua opzione relativa all'unico necessario, nella quale ne va dello stesso Sé che istituisce il senso e della sua libertà o, come preferisce dire Blondel, della sua vita e della sua morte.
Il problema del rapporto tra volontà e intelletto, o tra intenzione etica e coscienza ( dinamismo mentale ), è un problema a valle, in sostanza un problema subordinato a quell'altro.
Esso nell'argomentazione blondeliana è sì presente, ma solo come questione della visuale più adatta per affrontare la comprensione dell'azione e del soggettivo.
Beninteso Blondel è convinto che la visuale più propizia per avviare a quella tematizzazione è offerta dal dinamismo del volere e dell'appetizione, non dalla ricognizione della statica ( le strutture ) della coscienza.
Tuttavia il problema ultimo è quello della costituzione ( trascendentale ) del senso, ossia quello della sua indicizzazione « soggettiva ».
L'azione è dunque quell'energia « soggettiva » ( nel senso appena elucidato ) che promuove la creazione del mondo simbolico dei significati e del senso.
Questa creazione, poi, è mediata dal lavoro dell'immaginazione, anche se Blondel su quest'ultimo punto non insiste, anzi probabilmente non avverte le implicazioni contenute nella sinergia di azione e immaginazione, di simboli e di immaginario.
Egli viceversa insiste sull'elemento organico che struttura lo spiegamento dell'azione, e conseguentemente sulla « sinergia interiore » ( precisamente tra il polo soggettivale dell'azione e il polo organico ) che presiede alla costituzione della vita individuale e collettiva.41
Obiettivamente la produzione del mondo simbolico, inteso come mondo della cultura, e dunque, diremmo oggi, come semiosfera provvista di un proprio dinamismo, poneva a Blondel una duplice serie di problemi, esattamente in ordine al suo senso.
La prima serie di questioni, che poi stabiliscono il filo conduttore dello sviluppo della riflessione intorno a quella che ho chiamato l'antinomia dell'azione, investe la problematizzazione del simbolico, e del connesso immaginario, aggiungerei, con la precisazione appena fatta circa la scarsa rilevanza di quest'ultimo nel contesto dell'Azione.
Ebbene la creazione del mondo simbolico è radicalmente ancipite, potendo dar luogo da un lato all'illusione, dall'altro al senso reale.
In effetti c'è tutta una linea discorsiva che Blondel segue per neutralizzare le illusioni connesse alla dinamica dell'azione, a cominciare dall'illusione nihilistica che recide alla radice la stessa problematica dell'azione.
Tuttavia la linea prevalente, che costituisce poi la pars construens, svolge il motivo della creazione del senso reale.
Ed è su questa linea di discorso che incontriamo la tematizzazione, così tipica da raccogliere quasi in esclusiva l'attenzione di molti interpreti, del simbolico ( del senso prodotto ) quale rinvio analogico a un referente non antropologico, altro ( l'unico necessario ) oppure, data la persistente intrascendibile ambiguità della produzione di senso dell'azione, quale proiezione-alienazione di ciò che è antropologico, e dunque autoreferenza antropologica ( è il tema della superstizione ).
Blondel vede in questa dinamica autoreferenziale dell'azione la fonte dell'illusione e dell'alienazione umana, e in definitiva l'origine del non-senso, che poi implica una chiusura autocentrata del soggettivo, nella quale viene depotenziata e quasi deviata l'energia istitutiva dell'area soggettiva dell'azione, tanto che si può parlare di « morte dell'azione ».
La seconda serie di questioni riguarda il discrimine tra il senso e il non-senso.
In proposito si può sintetizzare la posizione blondeliana in questi termini: il non-senso è il precipitato dell'inerzia dell'azione, ossia della caduta di tensione del dinamismo di cui fruisce il soggettivo; per effetto di tale inerzia il soggettivo decade nell'oggettivo, e in ultima analisi l'azione non adegua le potenzialità iscritte nella propria tensione; insomma non realizza il τέλος; della sua έντελέχεια.
Peraltro la scienza dell'azione, che è poi l'ambito specifico che Blondel intende aprire alla riflessione filosofica, ha come obiettivo e argomento proprio la ricerca dell'equazione dell'azione.
Essa, in altre parole, mira a determinare il termine, cioè l'incognita da ricercare, di questa attualità ( atto ) che è l'azione.42
In effetti questa forza ha fin dall'inizio, ossia intrinsecamente ( e non soltanto ai limiti della sua espansione, laddove la tensione del suo « conatus » non trova soddisfazione in tutto il finito ), un vettore che si manifesta a ogni momento del suo tendere e del suo sviluppo.
Questo momento può essere detto conatus, volendo adibire una categoria di ascendenza spinoziana e leibniziana.43
Nella determinazione di questa equazione emerge in maniera efficace l'impostazione caratterizzante del discorso blondeliano, quella impostazione che ho qualificato come trascendentale.
Per Blondel infatti quella determinazione mette in funzione non ciò che è fuori della volontà, ossia dell'azione ( qui la volontà sta metonimicamente per azione ), ma ciò che è già sempre presente in essa come sua condizione di possibilità.
E dunque quella determinazione non può afferrare ciò che è costituito dall'azione, il reale voluto, bensì deve cogliere il fatto di volere, il costituente della realizzazione voluta.44
In tale contesto si collega kantianamente la necessità e la possibilità ( il contingente ), mettendo in tema la condizione di possibilità e non già la necessità incondizionata.
Sulla base di tale impostazione va letta anche l'affermazione secondo cui la sostanza dell'umano è l'azione, ossia quello che l'uomo fa, il factum.45
Questa concezione dell'umano va resa perspicua sulla base del raccordo che Blondel stabilisce tra l'azione in senso trascendentale, ossia l'actus essendi che istituisce l'area del soggettivo, e l'azione come factum, come effettuazione, ciò che è fatto; quest'ultimo rappresenta la sedimentazione prassistica dell'azione.
Se è esatta l'ipotesi avanzata, che cioè l'Azione costituisce un'opera di lavoro critico e non dottrinale, anche la questione del religioso ( e quella connessa del soprannaturale ) va affrontata in questa medesima chiave.
Siamo di fronte a una questione assai delicata che ha polarizzato l'attenzione dei lettori di questo testo, ma forse con una sfasatura di prospettiva.
Perché anche questo tema del religioso va inquadrato nel punto di vista elaborato da Blondel in quest'opera, e non bisogna correre il rischio di svisarne l'impostazione leggendo il discorso blondeliano dal suo tratto conclusivo, dimenticando tutto il decorso precedente, che pure offre le coordinate attendibili per una comprensione del religioso che Blondel immagina assolutamente nuova, almeno per l'approccio filosofico.
Ora precisamente mi pare opportuno indicare in sintesi gli indici di questa novità, senza dilungarmi a discutere i particolari di questa comprensione del religioso, e tanto meno le interpretazioni che ne sono state date.
Anzitutto il riferimento del discorso sull'azione al religioso, che Blondel afferra, a torto o a ragione, nel soprannaturale come suo tratto saliente, avviene in termini di postulazione e all'interno di una sequenza argomentativa che mette in funzione la logica propria della dialettica trascendentale.
In verità il meccanismo innescato dall'azione, che ha la proprietà di creare l'ingranaggio tra parti e tutto, è abitato da una postulazione che rinvia all'assoluto e all'infinito custodito nell'esperienza religiosa.46
Giustamente Blondel non definisce questo referente in termini formali, ma usa un'espressione di evidente ascendenza evangelica, l'unico necessario, che mentre denota il referente della postulazione iscritta nel meccanismo dell'azione, connota l'esperienza religiosa.
In concreto la sequenza argomentativa che fa emergere quella postulazione è la seguente.
Anzitutto si mette in chiaro la pluralità della catena dei condizionati, entro i cui ferrei nessi si svolge lo stesso dinamismo dell'azione.
Poi si evidenzia la formazione sistemica cui dà luogo la concatenazione dei condizionati; per effetto di essa l'azione istituisce diversi « sistemi » con confini sempre più ampi nel senso dell'universale.
Infine si fa emergere l'antinomia presente nel « sistema » globale dell'azione, puntando l'obiettivo sulle sue opposizioni, contraddizioni e polarità.
In forza di tale antinomia affiora la postulazione di un incondizionato, il quale tuttavia, secondo la celebre distinzione kantiana della dialettica trascendentale, è pensato ma non è conosciuto.
Ed è sostanzialmente per tale motivo che il discorso blondeliano dell'Azione mette capo all'unico necessario e al religioso in termini di possibile necessario e non di realtà di fatto, e intende elaborare uno schema nazionale per pensare filosoficamente l'esperienza religiosa, ma non vuole e non può in alcun modo sollevare l'esperienza religiosa al rango di struttura filosofica da impiantare nel cuore della riflessione.
In secondo luogo, e coerentemente con quanto appena indicato, Blondel imposta il problema del religioso in termini di possibilità; e ciò perché in sede filosofica l'unico accesso al religioso, che beninteso appartiene all'ordine del fatti, e invero dei fatti creati dalla dinamica dell'azione, con tutta la loro carica di ambiguità in ordine al senso o all'illusione, è offerto dal riconoscimento della sua possibilità.47
È vero che Blondel preferisce la via apagogica e indiretta per la fondazione della possibilità del religioso; e ciò perché la sua preoccupazione prevalente è di carattere « apologetico », avendo egli come interlocutori gli intellettuali che in nome della maturità promossa dal sapere e dalla scienza finiscono per circorscrivere l'umano ( per Blondel in definitiva l'azione ) nell'orizzonte dei fatti, e convertono l'impotenza dell'azione umana ad adeguare le due volontà ( quella volente e quella voluta ) in impossibilità che quella adeguazione possa avvenire per altra via, appunto la via praticata dall'esperienza religiosa.
Tuttavia proprio questa elaborazione del possibile iscritto nelle profondità dell'azione, di un possibile addirittura necessario, secondo la determinazione definitiva messa a punto dal discorso blondeliano, costituisce senza dubbio un apporto consistente per una riflessione sull'esperienza religiosa e sulle sue condizioni di possibilità.
Esso presenta un articolato contributo critico per una filosofia della religione, che solo parzialmente è stato sfruttato dallo stesso Blondel ( per esempio con la Lettera del '96 ), e che comunque deve essere necessariamente inquadrato nelle categorie fondamentali elaborate dall'Azione.
In terzo luogo la questione del soprannaturale, che ha poi assorbito tanta parte della riflessione blondeliana, e che in particolare nella discussione intorno all'Azione ha portato fuori strada molti interlocutori e lettori, va circoscritta in maniera puntuale, anche in base a quanto ho già detto in proposito.
Ora il soprannaturale denota un movimento con vettore inverso al movimento del volontario; esso è afferente a un'iniziativa altra rispetto all'iniziativa della volontà.
Si tratta di una iniziativa talmente altra che, pur potendosi raccordare a una condizione di possibilità presente nel dinamismo dell'azione, e anzi a una possibilità necessaria di quest'ultimo ( tanto da configurare per l'azione una questione di vita o di morte ), ha bisogno di una mediazione per attivare e tradurre in realtà di fatto quella possibilità.48
Abbiamo qui un altro nucleo importante, anche se appena abbozzato nel discorso di Blondel, di una filosofia della religione.
Peraltro egli ha chiaramente presente che il religioso si da unicamente e intrascendibilmente in una esperienza: « Se non possiamo darne una dimostrazione integrale di fronte alla ragione, non possiamo neppure avere la competenza di negarlo senza averne fatta l'esperienza.
E quando ne abbiamo fatta l'esperienza, in quest'ultima non troviamo che ragioni positive per affermare il soprannaturale ».49
E di fatto la riflessione filosofica attivata in questo testo blondeliano si propone ultimamente proprio il compito di pensare quell'esperienza, di erogarne una intelligenza compatibile con lo statuto e il rigore della critica filosofica e della scienza della prassi, di inquadrarla in ultima istanza nella produzione umana del senso e nelle sue condizioni di possibilità.
Indice |
1 | Cfr. P. Henrici, Glaubensleben und kritische Vernunft als Grundkrafte der Mefaphysik des jungen Blondeis, in " Gregorianum ", 33 (1964), pp. 689-738. |
2 | Ricordo in particolare il concetto di tradizione messo in funzione in Storia e dogma e il problema della " coscienza " della propria divinità da parte di Cristo. Su questo dibattito abbiamo documenti di estremo interesse in Au coeur de la crise moderniste: le dossier inédit d'une controverse, a cura di R. Marle, Paris, Aubier, 1960 ( ove mi pare assai interessante il dibattito che Blondel conduce con von Hùgel e alcune sue lettere all'amico J. Wehrié ). Cfr. in proposito P. Gauthier, Newman et Blondel. Tradition et développement du dogme, Paris, Cerf, 1988. |
3 | Cfr. R. Saint-Jean, Genèse de l'Action: Blondel 1882-1893, Paris-Bruges, Desclée de Brouwer, 1965. |
4 | Cfr. oltre, L'Azione, Parte IV, pp. 443-444. |
5 | Cfr. in proposito i documenti riguardanti le intenzioni di fondo, diciamo pure l'ispirazione profonda, di Blondel quando si è accinto a lavorare intorno un'Azione: Lettres philosophiques, Paris, Aubier, 1961 ( tutto il gruppo di lettere che vertono intorno all'Azione del 1893 rappresenta il primo blocco di questo dossier, cui andrebbero accostati i pronunciamenti e le riflessioni corrispettive del primo volume dei Carnets intimes ) e Une soutenance de fhèse, che è un testo firmato da J. Wehrié ma in realtà stilato da Blondel stesso ed è raccolto nel primo volume di Etudes blondéliennes, a cura di J. Paliard e P. Archambault, Paris, PUF, 1951. |
6 | Bisogna dire che non sempre questi approcci interpretativi comandati da una visuale teologica sono stati negativi ( in quanto svisavano il punto di vista blondeliano e, in particolare, decentravano con effetti distorti l'interesse peculiare che sostiene la tematizzazione dell'Azione ): spesso, anzi, hanno dato contributi decisivi nella letteratura blondeliana. In questo senso mi sembrano importanti i contributi di H. Bouillard, Blondel et le christianisme, Paris, Seuil, 1961, e di H. Duméry, Blondel et la religion. Essai critique sur la " Lettre " de 1896, Paris, PUF, 1954 e Raison et religion dans la philosophie de l'action, Paris, Seuil, 1963 ( ovviamente Duméry privilegia l'approccio filosofico al pensiero di Blondel ). Interessante in tale prospettiva è anche il lavoro di P. Gauthier già citato. |
7 | Cfr. oltre L'Azione, p. 123. |
8 | Questa sostanziale divisione tra gli interpreti, qui espressa in termini sommari ma, ritengo, efficaci, è riscontrabile in tutta la letteratura su Blondel, con sfumature e argomentazioni estremamente varie. Essa può essere verificata in modo assai rigoroso e con un riconoscimento assai netto in H. Bouillard ( Blondel et le christianisme, cit. ) e H. Duméry ( cfr. Raison et religion …, cit. ). |
9 | Mi riferisco alla cosiddetta tradizione della filosofia trascendentale, che non va ovviamente identificata tout court ne con il kantismo storico ne con il neo-kantismo e la cui storia e consistenza non sono state fatte oggetto di appropriata indagine storico-filosofica. In proposito rimando alle precisazioni che ho potuto fornire nel saggio Schleiermacher e la filosofia trascendentale, in F.D.E, Schleiermacher (1768-1834) tra teologia e filosofia, Brescia, Morcelliana, 1990, pp. 123-165. |
10 | Cfr. A. Masullo, Filosofie del soggetto e diritto del senso, Genova, Marietti, 1990, lavoro che offre spunti notevoli su questo filone problematico, anche se mi pare che si possa discutere la tendenza a identificare il trascendentale con il formale. In verità la questione all'ordine del giorno della coscienza moderna è colta con efficace scorcio teoretico: essa è riconducibile alla dicotomia che si stabilisce tra ragione e vita. Le prospettive indicate in ordine alla gestione di quella antinomia sono assai indicative di quel filone che individuerei come il filone trascendentale della filosofia dopo Kant: ossia il motivo del senso prima e al di fuori del significato, e quello che tematizza il senso come fondo oscuro della soggettività ( come affettività. Sono tutte dimensioni teoretiche e problematiche, queste, che meriterebbero la massima attenzione. |
11 | Per quanto concerne W. Herrmann cfr. Die Religion im Verhaitnis zum Welt-erkennen una zur Sittlichkeit, Halle, Niemeyer, 1879; per A. Sabatier cfr. il suo Esquisse d'une philosophie de la religion, Paris, Fischbacher, 1897. Per una succinta bibliografia rimando all'eccellente lavoro di P. Fischer-ApeIt, Metaphysik im Horizont der Theologie Wilhelm Herrmanns, Mùnchen, Kaiser, 1965, a H. Timn, Theorie una Praxis in der Theologie Aibrecht Ritschis und Wilhelm Herrmanns, Gùtersioh, Mohn, 1967 e a S. Sorrentino, Chiesa, mondo e storia nel pensiero del XIX secolo. Napoli, Guida, 1977. Per A. Sabatier cfr. il mio saggio L'essenza del Cristianesimo nella prospettiva di Auguste Sabatier, in " Filosofia e teologia ", 5 (1991), pp. 45-57. |
12 | È la nuda qualifica che Blondel ha voluto scritta sulla propria tomba a suggellare la sua esistenza. |
13 | Esemplare, sotto il profilo che qui mi interessa porre in evidenza, è l'argomento sviluppato da E. Severino, Nota al concetto di " Incarnazione " in Summa, contro gentiles, liber IV, cap. XXXIX, di Torii/naso d'Agitino, in Ventatemi in Cantate, a cura di G. M. Pizzuti, Potenza, Ed. Ermes, 1991, pp. 253-258, ove si fa valere con vigore estremo ( e direi con efficace pertinenza ) l'istanza spiccatamente filosofica della " ragione naturale ", ma non si tiene minimamente in conto sia il carattere discorsivo di tale ragione, sia il problema del suo rapportarsi all'esperienza ( in definitiva alla datila assoluta dell'esistente ), che sono poi i due temi messi all'ordine del giorno della riflessione filosofica proprio da Kant nel suo sforzo di ristrutturare la tradizione metafisica. Cfr. oltre, L'Azione, Parte III, p. 195. |
14 | Cfr. B. Romeyer, La philosophie religieuse de Maurice Blondel. Origine, évolution, maturile et achèvement, Paris, Aubier-Montaigne, 1943; R. Grippa, II realismo integrale di M. Blondel, Milano, Bocca, 1954 e Profilo della critica blondeliana, Milano, Marzorati, 1962 (in cui si prende in esame la letteratura recente, con un criterio di valutazione critica ben visibile); S. Cialdi, Genesi e sviluppo della filosofia di Maurice Blondel, Firenze, La Nuova Italia, 1973. |
15 | Tra i più importanti referenti sono da ricordare Fiatone, Aristotele, Piotino, Tommaso d'Aquino, san Bernardo, Leibniz, Kant, Maine de Biran, Ollé-Laprune. |
16 | J. McNeill, Thè Blondelian Synthesis. A Study o/thè Influence of German Philosophical Sources on thè Formation of Blondel's Method and Thought, Leiden, Brill, 1966 ha molto opportunamente tentato di ricostruire il cespite storico-filosofico che sta alla scaturigine dell'Azione, e lo ha individuato sull'asse Spinoza-Leibniz e poi soprattutto nella filosofia classica tedesca, in particolare nell'area fi-losofica Kant-Fichte. Ora certo questo tentativo può essere discutibile, pur essendo peraltro molto utile per cogliere lo spessore storico-filosofico dell'Azione, se pretende indicare le fonti storielle dirette del pensiero blondeliano; invece mi sembra senz'altro da condividere se vuole indicare gli interlocutori primari, e dunque le fonti a livello problematico, di Blondel. E questo in effetti mi pare il senso del lavoro di McNeill. |
17 | Per offrire un ausilio in questa direzione ho ritenuto utile accompagnare il testo blondeliano con un apparato di note. |
18 | Tale in effetti risulta essere, nella tradizione filosofica, il ruolo della sistematica (ossia del sistema): realizzare sul piano dell'argomentazione ( della comunicazione ragionata ) connessioni concettuali e dimostrative che siano apoditticamente consistenti ( sul piano epistemico ), e consentano pertanto l'accordo potenzialmente universale tra gli interlocutori (attuali o possibili). |
19 | Cfr. oltre, L'Azione, Introduzione, p. 74s. |
20 | Cfr. oltre, L'Azione, Parte V, p. 540. |
21 | Nel senso leibniziano di sostanza (che valorizza ultimamente un originario senso aristotelico di questa categoria) come vinculum ( e invero vinculum substantiale ). A questo proposito è importante il rimando alla tesi latina di Blondel, De v'inculo substantìali et de substantla composila apud Leibnitium. |
22 | Naturalmente questo secondo aspetto non è presente lucidamente nell'orizzonte della consapevolezza maturata da Blondel, così come invece è presente l'altro. |
23 | Cfr. Critica della ragion pura (B 873). |
24 | Cfr. l'intervento di P. Henrici in Journées d'inauguration, 30-31 mars 1973. Textes des interventions, Louvain, Ed. de l'Inst. Sup. de Phil., 1973 ( si tratta della giornata di studio, con annessa discussione, organizzata per l'inaugurazione del Centre d'Archives Maurice Blondel presso l'institut Supérieur de Philosophie di Lovanio ) e le indicazioni in proposito offerte da R. Saint-Jean, L 'apologétique philoso-phique de Blondel, 1893-1913, Paris, Aubier, 1966. |
25 | Cfr. oltre, L'Azione, Parte III, pp. 389-404. |
26 | Oltre al contesto citato (pp. 389-397), cfr. ivi anche il capitoletto finale della Parte V ( pp. 533-576 ) e la conclusione ( che pure ho presente nella determinazione del problema centrale dell'Azione ). |
27 | Cfr. ivi, pp. 399-400. |
28 | Per esempio in J. Maritain ( cfr. la sua grande tematizzazione " distinguere per unire ", anche se essa ha un'origine non direttamente blondeliana, e comunque andrebbe mantenuta a distanza dal punto di vista critico proprio di Blondel ), nello stesso H. Bergson e nella filosofia di J. Nabert, E. Mounier e P. Ricoeur. |
29 | Cfr. oltre L'Azione, Parte HI, p. 397s. |
30 | Ivi, pp. 390 e 392. |
31 | La precisazione è dovuta, per evitare il fraintendimento; in effetti Blondel pensa sempre la volontà non in termini di " appetito ", ma, sulla linea di Spinoza e di Leibniz ( e in definitiva dello stesso Kant ), in termini di " appetito razionale ". Peraltro l'azione, in quanto radice comune alla ragione teoretica e alla ragione praticai e la stessa distinzione di volontà volente e volontà voluta, rendono assai complessa la nozione blondeliana di volontà e di volontario. La nozione richiederebbe un'indagine specifica. |
32 | Cfr. oltre, L'Azione, Parte Iti, p. 405. La formula dell'equazione è adoperata molto spesso da Blonde! ed esprime in maniera efficace quello che per lui a il problema centrale. |
33 | Ivi, p. 406, ove al di là del linguaggio assai ampolloso è chiaramente riconoscibile l'impianto specificamente blondeliano ( non metafisico ) del problema. |
34 | Cfr. in proposito l'interessante indagine di G. Scholtz, Zwischen Wissen-schaftsanspruch iind Orientierungsbedurfnis. Zu Grundiage und Wandel der Gei-steswissenschaften, Frankfurt, Suhrkamp, 1991, il quale molto opportunamente indaga l'origine e le categorie chiave delle cosiddette " scienze dello spirito " con l'occhio rivolto al nodo teoretico centrale della coscienza moderna, che risulta appunto divisa tra il significato e il valore della scienza da un lato, e il senso e il bisogno " orientativo " ( nel senso del kantiano " orientarsi nel pensare " ) dell'uomo quale titolare della produzione dell'universo della " cultura " dall'altro. |
35 | Cfr. oltre, L'Azione, Portelli, pp. 172-173. |
36 | Ivi, pp. 180-196. |
37 | Cfr. H. Duméry, Blonde! et la retigion cit., pp. 84s, ove si mette in luce come il dramma di Blondel è stato quello di voler produrre analisi rigorose senza disporre di un linguaggio appropriato ( l'autore pensa al linguaggio messo a punto dalla fenomenologia husserliana ), e come in definitiva egli non ha purificato ( cioè calibrato in termini formali adeguati ) abbastanza il suo linguaggio. Tuttavia l'autore ritiene, e probabilmente si può essere solo parzialmente d'accordo su questo punto, che ciò abbia permesso all'autore dell'Azione ( e della Lettera del '96 ) di produrre una scrittura più carica di suggestione, meno tecnica ma più mobilitante sotto il profilo emotivo. |
38 | Cfr. oltre, L'Azione, Parte III, p. 193. |
39 | Con la riserva, ovviamente, di una eventuale discussione sulle prospettive teoretiche di fondo della filosofia di Nietzsche. In proposito ho espresso un mio punto di vista nel saggio Verità e salvezza. Kierkegaard e Nietzsche di fronte al cristianesimo, in Veritatem in cariiate, cit., pp. 259-272. |
40 | Cfr. in proposito la prospettiva kantiana del " fine in sé " quale costitutivo antropologico essenziale. |
41 | Cfr. oltre, L'Azione, Parte III, pp. 239ss e 276ss. È importante a questo proposito evidenziare una analogia ( sulla quale opportunamente insiste McNeill nel suo lavoro cit. ) con la visione di Fichte, laddove nella Dottrina della scienza fichtiana al posto del soggettivo c'è l'Io trascendentale e al posto dell'azione c'è la Tat-handiung. Significativo è il fatto che in Fichte l'immaginazione svolge un ruolo assai notevole. |
42 | Ivi, p. 194. |
43 | A questo proposito sarebbe interessante istituire un raffronto tra questa articolazione di conatus e sua soddisfazione con la dialettica piacevole-spiacevole come dinamismo centrale dell'esperienza religiosa cosi come viene tematizzata nella Dottrina della fede di Schleiermacher. |
44 | Cfr. oltre, L'Azione, Parte IV, p. 445. |
45 | Ivi, Parte III, pp. 292-293. |
46 | Ivi, pp. 210s e 420s. |
47 | Ivi, p. 320s. |
48 | Ivi, Parte V, pp. 398ss. A questo proposito sarebbe interessante confrontare questo tema blondeliano della mediazione con la tematica schleiermacheriana della mediazione svolta dalla coscienza oggettiva in ordine alla costituzione della " stimolazione " religiosa sotto la condizione di possibilità del " sentimento di dipendenza assoluta ". Su questo tema mi sono soffermato nell'introduzione a F. Schleier-macher, La dottrina delta fede. I, Brescia, Paideia, 1980. |
49 | Cfr. oltre, L'Azione, Conclusione, p. 603. |