Paolo VI e la costruzione della civiltà dell'amore |
Risulta ora più agevole il tentativo di proporre una definizione della più volte proclamata civiltà dell'amore.
Manifestandosi in diversi gradi di esistenza e di intensità, la sua nozione è inevitabilmente analogica, non univoca né equivoca.
Il pontefice la predica innanzitutto per l'ordine temporale, relativo alla città dell'uomo.
Tuttavia è anche coniugata, seppure con minore insistenza, con riferimento alla Chiesa, che è casa e scuola di comunione ove l'amore di Cristo è professato esplicitamente e il comandamento nuovo è legge di compimento personale e relazionale.
La comunione d'amore con Cristo è, infatti, fondamento della comunione delle diverse componenti ecclesiali.
Qui, la particolare civiltà dell'amore si basa principalmente sulla fede e sulla grazia, sull'agape.
In quanto partecipazione della stessa vita trinitaria, rappresenta un grado di vita eminente rispetto alla civiltà dell'amore semplicemente terrena, in cui il fondamento è dato dal consenso e dalla dignità delle persone che la innalzano sulla base di un'amicizia umana, che è pur sempre frammento o scintilla della carità di Cristo.
In forza dello specialissimo principio costitutivo e vitale che è Cristo sua pietra angolare, la Chiesa, avente dignità ontologica diversa, trascende e vivifica la civiltà terrena e temporale, fornendole energie che la rinsaldano nei suoi legami e che la proiettano più decisamente verso il suo destino ultimo.
L'ordine della civiltà terrena e umana è, pertanto, mantenuto e alimentato, nella sua formalità di amore e di giustizia, dalle energie sane che Dio creatore ha disseminato in ogni uomo e che non sono irreparabilmente corrotte dal peccato originale, nonché dalle energie superiori che, mediante lo Spirito e la Chiesa, pervengono alle intelligenze e alle volontà.
La civiltà umana è ambiente di vita distinto ma non separato da quello ecclesiale e religioso.
È ambiente dotato di autonomia ed è ministeriale alla crescita integrale dell'uomo, con mezzi e competenze propri.
Se in esso vige effettivamente l'amore, principio propulsivo delle azioni e delle istituzioni, si crea una relazionalità di comunione e di reciproco dono per cui la persona non è trattata come mezzo bensì come fine.
L'autentica civiltà dell'amore non solo favorisce lo sbocciare della vita umana nel suo sviluppo materiale, necessario e sufficiente per una vita terrena dignitosa, ma include anche, in special modo, lo sviluppo morale, la crescita delle capacità speculative e artistiche.
Risponde alla vocazione intrinseca dell'essere umano, creato a immagine di Dio.
È opera, in particolare, dello spirito e della libertà innestati sulle sue aspirazioni più profonde dell'uomo, che è fatto per l'amore, per la pace.9
La libertà radicata nel dinamismo dello spirito umano è internamente e naturalmente finalizzata al dono, alla comunione con il Vero, il Bene, il Bello.
La religione è l'anima della civiltà dell'amore.
In quanto apertura a Dio, dialogo e comunione con Lui, sostiene l'innata moralità di ogni persona.
In particolare, Cristo è il liberatore della libertà umana, piegata dall'egoismo.
La rende capace di realizzarsi nell'amore, nel dono di sé, secondo la sua vocazione originaria.10
Quanto la civiltà dell'amore possa essere cristiana, ossia pervasa dalla carità di Cristo, non è possibile decretarlo a priori.
Dipende dalla fecondità operosa dei credenti, oltre che dalla ricettività delle varie culture.
Da questo punto di vista, è possibile parlare della civiltà dell'amore come di un universale o di una prospettiva sintetica di società oppure, per dirla con Jacques Maritain, come di un ideale storico e concreto secondo l'ispirazione cristiana, destinato ad avere nel tempo molteplici attuazioni contingenti.
La religione cristiana non annienta l'autonomia e la sana laicità della civiltà dell'amore, semmai le rafforza in autenticità, mentre ne purifica la relazionalità e la orienta a uniformarsi al paradigma della follia della Croce, massima rivelazione della fonte e del fine della civiltà dell'amore.
Nell'attuale contesto di secolarizzazione inclinata al secolarismo, le probabilità di affermazione di una tale civiltà dell'amore appaiono diminuite.
Sicuramente non sono favorevoli le condizioni prospettate dalla nuova Carta dei diritti dell'Unione Europea, che non riconosce il diritto alla libertà religiosa alle comunità, ignorando la dimensione collettiva e sociale delle confessioni religiose che, rispetto al dialogo sociale, sembrano risospinte nel privato.
Di fatto non vengono riconosciuti il valore della funzione pubblica e della decisività della religione per l'ethos dei popoli.
Occorre invece ammettere, alla scuola di Paolo VI e come mostra l'esperienza, che l'anima etica delle società non è in grado di sostenersi concretamente senza il grembo della religione,11 che tiene desta la coscienza morale dei popoli e le consente di essere fedele a se stessa, alla sua innata apertura al Vero e al Bene.
È sulla base di una coscienza che sa riconoscere la Verità e obbedire al Bene che si possono ricercare e trovare, secondo giustizia, le soluzioni ai numerosi problemi attuali.
Solo così è rinvenibile, in un contesto multiculturale e spesso conflittuale, un terreno comune tra diverse concezioni della vita, ossia punti di convergenza e concordanza indispensabili alla costruzione della civiltà dell'amore, all'individuazione e all'attuazione dei diritti fondamentali della persona e dei popoli.
Secondo Paolo VI non esiste e non esisterà mai un'unica civiltà dell'amore.
Si hanno e si avranno sempre più civiltà, a seconda dei contesti socioculturali.
Tutte sono o saranno, evidentemente, animate dall'amore, sia pure in termini minimali.
Tutte sono o saranno più o meno esistenzialmente aperte alla carità di Cristo, più o meno in marcia verso il Regno di Dio, civiltà senza tempo, ove Cristo sarà tutto in tutti.
In definitiva, la civiltà dell'amore, terrena e umana, è ravvisabile in un insieme di società, strutture, istituzioni, regole – civili, economiche, giuridiche, culturali – che, mentre organizzano e sostanziano la convivenza, vengono configurate e dinamizzate da un ethos di comunione e di promozione reciproca tra persone e tra popoli.
Prima ancora che da strutture, istituzioni – pure necessarie –, questa civiltà nuova è data dalle persone, da stili di vita di condivisione e di solidarietà, ossia da atteggiamenti e da gesti concreti di amore e di giustizia.12
Per realizzare e mantenere la civiltà dell'amore non basta un'identità comune.
Occorre che gli uomini siano educati a riconoscerla, a comprendersi e ad accogliersi, a ricercare una cultura di base comune, a condividere gli stessi sentimenti.
La religione cristiana offre questi presupposti in grado straordinario e inesauribile, in forza della sua essenziale trascendenza.
Senza una comune forma di pensiero e di amore la solidità delle società e delle civiltà è più fragile: « L'uomo – come afferma Agostino, maestro ideatore di una nuova civiltà – preferirà trovarsi con il suo cane, che con un uomo estraneo ».13
Indice |
9 | Cf. Paolo VI, Messaggio per la giornata mondiale della pace ( 1° gennaio 1970 ): « Educarsi alla pace attraverso la riconciliazione » |
10 | Su questo si veda anche Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 86 |
11 | Su questo ci permettiamo di rinviare a M. Toso, Per una laicità aperta. Laicità dello Stato e legge naturale, Lussografica, Caltanissetta 2002, p. 93 |
12 | Utili suggestioni per l'approfondimento delle dimensioni teologiche, antropologiche ed etiche della civiltà dell'amore possono derivare dalla lettura dei volumi di E. Cambón, Trinità modello sociale, Città Nuova, Roma 1999; S. Palumbieri, Amo, dunque sono. Presupposti antropologici della civiltà dell'amore, Paoline, Milano 1999 |
13 | Cf. Agostino,
De Civitate Dei, XIX, VII; Paolo VI, Messaggio per la giornata mondiale della pace ( 1° gennaio 1975 ): « La Riconciliazione, via alla pace » |