Pensieri |
Due volti somiglianti, nessuno dei quali preso in se stesso fa ridere, fanno ridere insieme proprio a causa della somiglianza.
I cristiani autentici assecondano comunque le convezioni, non perché le rispettino, ma per rispetto a Dio che le ha imposte agli uomini come punizione.
Omnis creatura subjecta est vanitati, liberabitur.
E san Tommaso commenta il passo di san Giacomo riguardo ai privilegi dei ricchi osservando che, se la loro ricchezza non è al servizio di Dio, essi escono dall'ordine della religione.
Perseo, re di Macedonia.
Paolo Emilio.
Perseo fu rimproverato perché non si uccideva.
Vanità.
Che una cosa tanto evidente come la vanità del mondo sia così poco conosciuta, che risulti strano e sorprendente affermare la stoltezza di chi ricerca la gloria, questo è ammirevole.
Incostanza e bizzarria.
Vivere solo del proprio lavoro e regnare sul più potente stato del mondo sono cose davvero opposte.
Si trovano riunite nella persona del sultano dei Turchi.
La punta di un cappuccio arma 25.000 monaci.
Ha quattro servitori.
Abita oltre il fiume.
Quando si è troppo giovani non si può giudicare bene, e neppure quando si è troppo vecchi.
Se ci pensiamo poco …
Se ci pensiamo troppo, c'infatuiamo e ci ostiniamo.
Quando consideriamo il lavoro subito dopo averlo fatto, ne siamo ancora coinvolti; se lasciamo passare troppo tempo, non lo riconosciamo più.
Così per i dipinti guardati da troppo lontano e da troppo vicino.
Non c'è che un solo punto giusto, gli altri sono troppo vicini, troppo lontani, troppo in alto o troppo in basso.
Nell'arte della pittura spetterà alla prospettiva stabilirlo, ma nel campo della verità e della morale a chi spetterà?
Il potere delle mosche, che vincono battaglie, impediscono alla nostra anima di agire, mangiano il nostro corpo.
Vanità delle scienze.
Quando saremo afflitti, la scienza della realtà fuori di noi non ci consolerà dell'ignoranza morale, ma la scienza morale mi consolerà sempre dell'ignoranza delle scienze oggettive.
Condizione dell'uomo.
Incostanza, noia, inquietudine.
L'abitudine di vedere i re accompagnati da guardie, tamburi, ufficiali e da tutte quelle cose che costringono la macchina al rispetto e al terrore, fa sì che il loro volto, anche quando sono soli e privi del consueto accompagnamento, incuta nei sudditi rispetto e terrore.
E questo perché il nostro pensiero non riesce a separare le loro persone dal codazzo di chi solitamente li segue; e la gente, che non sa come questo effetto derivi dall'abitudine, lo attribuisce a una forza naturale.
Da ciò viene l'espressione: sul loro viso sono impressi i tratti della divinità, ecc.
Il potere dei re si fonda sulla ragione e sulla follia del popolo, ma molto più sulla follia.
La più grande e importante cosa del mondo ha per fondamento la debolezza.
Si tratta di un fondamento mirabilmente sicuro, perché non vi è nulla di più certo della debolezza del popolo.
Quanto invece, come la stima della saggezza, si fonda sulla sana ragione, è mal fondato.
Non è nella natura dell'uomo avanzare sempre; essa ha i suoi andare e venire.
La febbre ha i suoi brividi e i suoi ardori, e come il caldo, anche il freddo arde di un'intensità febbrile uguale a quella del caldo.
Le invenzioni degli uomini si susseguono da un secolo all'altro.
Lo stesso si può dire in generale della bontà e della cattiveria del mondo.
Plerumque gratae principibus vices.
Debolezza.
Tutte le occupazioni degli uomini sono volte a conseguire il bene, ma essi non saprebbero giustificarne il giusto possesso, perché non hanno che la loro fantasia umana e mancano della forza per possederlo in modo sicuro.
Lo stesso capita alla scienza, basta una malattia per cancellarla.
Siamo incapaci di vero e di bene.
Ferox gens nullam esse vitam sine armis rati.
Quelli preferiscono la morte alla pace, altri alla guerra preferiscono la morte.
Qualsisi opinione può essere preferita alla vita, l'amore per la quale ci sembra così forte e naturale.
Per comandare un vascello non si sceglie il passeggero di casato più nobile.
Nelle città in cui siamo di passaggio non ci preoccupiamo della stima degli altri.
Ma se ci dobbiamo abitare per un po' di tempo allora ci preoccupiamo.
Quanto tempo?
Un tempo proporzionato alla nostra vana e fragile esistenza.
Vanità.
Deferenza significa: scomodatevi.
Quello che più mi stupisce è vedere come gli altri non si stupiscono della loro debolezza.
Ciascuno di noi agisce in modo serio, conformandosi alla propria condizione sociale, non perché questa consuetudine sia buona, ma come se fossimo davvero in grado di riconoscere la ragione e la giustizia.
Ad ogni istante poi ci sentiamo delusi e, per una ridicola forma di umiltà, pensiamo che sia colpa nostra e non del metodo che ogni giorno vantiamo di avere.
È comunque un bene che ci siano tanti che non sono scettici, a gloria dello scetticismo, in modo da far vedere come l'uomo sia capace delle opinioni più stravaganti, dato che è capace di non credere alla sua inevitabile e congenita debolezza, ma di credere, al contrario, in una saggezza naturale.
Niente rinsalda lo scetticismo quanto il fatto che alcuni non sono scettici.
Se tutti lo fossero avrebbero torto.
Questa dottrina si rafforza a causa dei suoi nemici più che dei suoi amici, perché la debolezza umana si manifesta meglio in quelli che non la riconoscono, piuttosto che in quelli che la conoscono.
Tacco di scarpa.
Oh! Com'è ben tornito!
Ecco un bravo operaio!
Che coraggioso soldato!
Questa è la fonte delle nostre inclinazioni e della scelta di una posizione sociale.
Quanto beve quello, e quell'altro come beve poco!
Ecco ciò che rende sobri e ubriachi, soldati, codardi, ecc.
Chi non vede la vanità del mondo è vano a sua volta.
Ma poi, chi non la vede, tranne i giovani immersi nel frastuono, nel divertimento e nel pensiero dell'avvenire?
Ma togliete loro ciò che li distrae, li vedrete inaridire nella noia.
Allora, pur senza conoscerlo, sentono il nulla, ed è davvero una disgrazia essere tristi a tal punto quando si riflette su se stessi, e non potersi distrarre.
Mestieri.
Così grande è la dolcezza della gloria che, a qualunque oggetto si riferisca, fosse pure la morte, la desideriamo.
Troppo vino e troppo poco.
Non dategliene: non può trovare la verità.
Dategliene troppo: lo stesso.
Gli uomini s'impegnano a correr dietro a una palla e a una lepre: anche i re si divertono a questo modo.
Che cosa vana la pittura, ammirata perché assomiglia a cose di cui non ammiriamo affatto gli originali!
Due infiniti, in mezzo.
Se leggiamo troppo velocemente o troppo adagio non capiamo niente.
Quanti regni c'ignorano!
Basta poco per consolarci perché poco basta per affliggerci.
Immaginazione.
È la parte dominante dell'uomo, maestra di errori e di falsità, tanto più infida in quanto non sempre lo è, perché se fosse una regola infallibile della menzogna, lo sarebbe anche della verità.
Ma, pur essendo il più delle volte falsa, non lascia alcuna traccia di questa sua qualità, indicando indifferentemente il vero e il falso.
Non parlo dei folli, parlo di quelli più saggi, perché proprio presso di loro l'immaginazione si arroga il diritto di persuadere gli uomini.
La ragione ha un bel reclamare, essa non può conferire valore alle cose.
Questa superba potenza, nemica della ragione, che si diverte a controllarla e a dominarla per mostrare il suo potere su ogni cosa, ha posto nell'uomo una secona natura.
Essa ha i suoi felici e infelici, i suoi sani, malati, ricchi e poveri.
Essa spinge la ragione a credere, a dubitare, a negare.
Essa ottunde i sensi e li fa sentire.
Ha i suoi pazzi e i suoi saggi.
E niente ci indispettisce maggiormente che vedere come soddisfa i suoi ospiti in modo ben più completo della ragione.
Chi ha una fervida immaginazione si valuta in modo ben diverso da quanto, ragionevolmente, possono fare i più prudenti.
Guarda in modo altezzoso la servitù, discute con impetuosa disinvoltura ( gli altri sono timorosi e incerti ), così che con il volto allegro conquista il favore di chi ascolta.
Ecco come questi saggi immaginari godono la stima di giudici della stessa tempra.
Pur non potendo far rinsavire i folli, essa li rende felici, mentre la ragione fa miserabili i suoi amici, e una li copre di gloria, l'altra di vergogna.
Da dove vengono la reputazione, il rispetto e la venerazione agli uomini, alle opere, alle leggi, ai nobili, se non da questa facoltà d'immaginare?
Tutte le ricchezze della terra sono insufficienti senza il suo consenso.
Non direste forse che quel funzionario, la cui venerabile vecchiaia impone rispetto a tutta la popolazione, si comporta secondo una pura e sublime ragionevolezza e che giudica le cose per quello che sono, senza fermarsi a quei vani accidenti capaci di colpire l'immaginazione dei deboli?
Guardatelo mentre si reca a un sermone, con il suo zelo devoto, l'ardore della carità in aiuto alla fermezza della ragione; eccolo pronto all'ascolto con un rispetto esemplare.
Ma quando appare il predicatore, se la natura gli ha dato una voce rauca e lineamenti bizzarri, se il barbiere l'ha mal rasato e, per di più, si è per caso inzaccherato, scommetto che il nostro funzionario, quali che siano le grandi verità annunciate, perderà tutto il suo aspetto severo.
Puoi essere il maggior filosofo del mondo e stare su un'asse più grande del necessario, ma se hai sotto un precipizio, per quanto la ragione ti convinca che sei al sicuro, l'immaginazione sarà più forte.
Molti non saprebbero neppure pensarci senza impallidire e coprirsi di sudore.
Non voglio certo fare un elenco di tutte le conseguenze.
Chi non sa che la vista di gatti, topi, lo spezzarsi di un carboncino, ecc. mettono in crisi la ragione?
Anche i più saggi sono influenzati dal tono della voce, capace di dare forza a un discorso e a una poesia.
La simpatia o l'odio cambiano volto alla giustizia, e un avvocato ben pagato in anticipo trova certo più giusta la causa che difende!
L'impeto del suo gesto la fa apparire migliore ai giudici ingannati dall'apparenza.
Ridicola ragione che il vento piega in tutte le direzioni.
Potrei fare l'elenco delle azioni umane scosse quasi solo dall'immaginazione.
Perché la ragione è costretta a cedere, e anche la più prudente assume come princìpi quelli che l'immaginazione umana ha dovunque introdotto temerariamente.
« Chi volesse seguire solo la ragione, secondo il giudizio della maggior parte degli uomini, sarebbe completamente pazzo.
Poiché così è piaciuto, dobbiamo lavorare tutto il giorno e affannarci per dei beni palesemente immaginari.
E dopo che il sonno ci ha riposato dalle fatiche imposte dalla nostra ragione immaginaria e messo in un'ammirevole calma, bisogna subito distruggerla, alzarsi di corsa per correre dietro alle chimere, piegandosi alle suggestioni di questa padrona del mondo.
Ecco uno dei princìpi dell'errore, ma non è il solo.
L'uomo ha avuto ragione a tenere alleate queste due potenze perché, sebbene in tempo di pace l'immaginazione la spunti agevolmente, in caso di guerra non avrebbe limiti.
La ragione non sovrasta mai l'immaginazione, mentre l'immaginazione spodesta frequentemente la ragione. »
I nostri magistrati hanno ben compreso questo mistero.
Le loro toghe rosse, gli ermellini in cui s'infagottano come gatti impellicciati, i palazzi dove tengono udienza, i fiordalisi, tutta questa messinscena era assolutamente necessaria; così, se i medici non portassero camici e pantofole, e i professori berretti quadrati e vesti troppo ampie sui quattro lati, mai avrebbero ingannato la gente, incapace di resistere a questa autentica parata.
Se i giudici rappresentassero la vera giustizia, e se i medici conoscessero la vera arte di guarire, non avrebbero bisogno di berretti quadrati; la dignità di queste scienze sarebbe venerabile per se stessa, ma essendo scienze immaginarie è inevitabile che si servano di questi vani strumenti per colpire l'immaginazione con cui hanno a che fare, ed è ciò appunto che procura loro rispetto.
Solo i militari non si mascherano in questo modo, perché il loro ruolo è più essenziale: essi s'impongono con la forza, gli altri con le moine.
Per questo i nostri re non hanno voluto simili travestimenti.
Non si sono mascherati con abiti straordinari per sembrare tali.
Ma si fanno accompagnare da guardie.
Queste truppe armate di alabarde, che hanno mani e forza solo per loro, trombe e tamburi che avanzano in testa e le legioni da cui sono circondati, fanno tremare anche i più fermi.
Non hanno l'abito, hanno la forza.
Bisognerebbe avere una ragione davvero pura per vedere nel sultano, attorniato nel suo superbo serraglio da quarantamila giannizzeri, soltanto un uomo.
Solo a vedere un avvocato in toga e berretto sul capo, ne ricaviamo un'impressione favorevole delle sue capacità.
L'immaginazione dispone di tutto, a lei appartengono la bellezza, la giustizia, la felicità che nel mondo è tutto.
Mi piacerebbe vedere quel libro italiano di cui non conosco che il titolo, che da solo vale interi libri: Dell'opinione regina del mondo.
Sottoscrivo questo libro anche senza conoscerlo, eccetto che per l'eventuale male in esso contenuto.
Ecco all'incirca gli effetti di questa ingannevole facoltà che sembra esserci stata data apposta per indurci necessariamente in errore.
Ci sono anche altri princìpi.
Le impressioni antiche non sono le sole capaci di trarci in inganno, il fascino della novità ha lo stesso potere.
Da questo derivano le dispute tra gli uomini, che si rimproverano o di seguire le false impressioni dell'infanzia, o di rincorrere temerariamente quelle nuove.
Se qualcuno si tiene nel giusto mezzo, si faccia avanti e lo provi.
Non esiste principio, per quanto naturale possa essere, anche dopo l'infanzia, che non sia possibile attribuire a una falsa impressione, dovuta all'educazione o ai sensi.
« Voi credete che sia possibile il vuoto », si dice, « perché fin dall'infanzia, vedendo che in un baule non c'era niente, lo avete creduto vuoto.
È un'illusione dei vostri sensi, rafforzata dall'abitudine, che la scienza deve correggere ».
Altri dicono: « Poiché fin dalla scuola vi hanno detto che non c'è il vuoto, hanno corrotto il vostro senso comune che lo comprendeva così bene prima di questa cattiva impressione, che ora bisogna correggere ricorrendo alla vostra natura originaria ».
Chi dunque ha ingannato, i sensi o l'educazione?
Abbiamo poi un'altra causa d'errore, le malattie.
Esse alterano il giudizio e la sensibilità.
E se quelle gravi lo alterano in modo evidente, non ho motivi per dubitare che le piccole, in proporzione, lascino il loro segno.
Il nostro interesse è un altro strumento meraviglioso per creare un'evidenza vantaggiosa.
Al più equanime degli uomini non è consentito farsi giudice in una causa che lo riguarda.
Conosco alcuni che, per non cadere nella parzialità, sono diventati i più ingiusti di tutti in senso contrario.
C'era un modo sicuro per rovinare una causa assolutamente giusta: fargliela raccomandare dai parenti più stretti.
La giustizia e la verità sono due punte così sottili che i nostri strumenti sono troppo smussati per arrivarvi con esattezza.
Quando questo accade, essi ne ottundono la punta, appoggiandosi intorno, più sul falso che sul vero.
« L'uomo è dunque fatto in modo così felice da non avere alcun principio giusto del vero, ma molti eccellenti del falso.
Vediamo ora come.
Ma la causa più ridicola dei suoi errori è la guerra tra i sensi e la ragione. »
L'uomo non è che un soggetto pieno di un errore naturale e incancellabile senza la grazia.
Niente gli indica la verità.
Tutto lo inganna.
Le due fonti di verità, la ragione e i sensi, oltre al fatto che mancano di sincerità, s'ingannano reciprocamente; i sensi sviano la ragione con false apparenze, ma l'inganno con cui raggiungono l'anima, torna a loro.
È la sua vendetta.
Sono turbati dalle passioni dell'anima che alterano le impressioni.
Mentono ingannandosi a vicenda.
Ma oltre a questo errore accidentale, che deriva da una mancanza d'intesa tra facoltà eterogenee …
Vanità.
Cause ed effetti dell'amore.
Cleopatra.
Non ci accontentiamo mai del presente.
Anticipiamo il futuro perché tarda a venire, come per affrettarne il corso, o richiamiamo il passato per fermarlo, come fosse troppo veloce, così, imprudentemente, ci perdiamo in tempi che non ci appartengono, e non pensiamo al solo che è nostro, e siamo tanto vani da occuparci di quelli che non sono nulla, fuggendo senza riflettere il solo che esiste.
Ciò dipende dal fatto che di solito il presente ci ferisce.
Lo nascondiamo alla nostra vista perché ci affligge, e quando è piacevole temiamo di vederlo scappare.
Tentiamo di sostenerlo con il futuro, e ci impegnamo a disporre di cose che non sono in nostro potere, per un tempo a cui non siamo affatto certi di arrivare.
Ciascuno esamini i propri pensieri.
Troverà che sono tutti concentrati nel passato o nell'avvenire.
Non pensiamo quasi per niente al presente, e se ci pensiamo è solo in funzione di predisporre il futuro.
Il presente non costituisce mai il nostro fine.
Passato e presente sono mezzi, solo l'avvenire è il nostro fine.
Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e preparandoci sempre a essere felici è inevitabile che non lo siamo mai.
Lo spirito di questo sovrano giudice del mondo non è così indipendente da non essere turbato dal primo chiasso che si fa attorno a lui.
Ma non è necessario il rumore di un cannone per impedire il corso dei suoi pensieri.
Basta quello di una banderuola o di una puleggia.
Se in questo momento non ragiona bene, non stupitevi, c'è una mosca che gli ronza alle orecchie: è sufficiente per impedirgli di riflettere.
Se volete che possa trovare la verità, cacciate l'insetto che tiene in scacco la sua ragione e turba la potente intelligenza che governa regni e città.
Che buffo dio!
O ridicolissimo heroe!
Mi sembra che Cesare fosse troppo vecchio per divertirsi a conquistare il mondo.
Queste specie di distrazioni andavano bene per Augusto o Alessandro.
Erano giovani, difficili da tenere a freno, ma Cesare doveva essere più maturo.
Gli Svizzeri si offendono se vengono chiamati nobili e per venire giudicati degni di cariche importanti devono provare di avere origini plebee.
Perché mi uccidete?
Ma come!
Non abitate dall'altra parte del fiume?
Amico mio, se voi abitaste da questa parte io sarei un assassino, e sarebbe ingiusto uccidervi in questo modo.
Ma dal momento che vivete dall'altra parte io sono un valoroso e ciò che faccio è giusto.
Il buon senso.
Essi sono costretti a dire: « Voi non siete in buona fede, noi non stiamo dormendo, ecc. ».
Che piacere provo nel vedere la superba ragione umiliata e in suppliche!
Perché non parla così un uomo a cui si contesti il suo buon diritto, e che lo difenda con la forza, le armi in pugno.
Non si diverte a dire che non si agisce in buona fede, ma punisce questa malafede con la forza.
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