Pensieri |
Bassezza degli uomini che arrivano a sottomettersi alle bestie, fino ad adorarle.
Incostanza.
Le cose hanno diverse qualità e l'anima ha diverse inclinazioni, perché niente di ciò che si presenta all'anima è semplice, né l'anima si offre mai semplice ad alcun soggetto.
Da ciò dipende la possibilità che una stessa cosa faccia piangere e ridere.
Incostanza.
L'uomo non è un organo che possa essere suonato come gli altri.
È sì un organo, ma bizzarro, incostante, mutevole.
Chi sa suonare solo quelli comuni non ne trarrà accordi.
Bisogna sapere dove sono i [ pedali ].
Siamo così sventurati da non saper godere di una cosa se non a condizione di affliggerci nel caso riesca male, ciò può essere causato da infinite cose e capita continuamente.
[ Chi ] trovasse il modo di rallegrarsi del bene senza affliggersi per il male contrario avrebbe fatto centro.
È il movimento perpetuo.
Non è bene essere troppo liberi.
Non è bene soffrire di ogni bisogno.
La tirannia consiste in un desiderio universale di dominio fuori dal proprio ordine.
Diverse categorie di spiriti forti, belli, buoni, devoti, ciascuno dei quali regna nel proprio ambito, non altrove.
Ma qualche volta s'incontrano, e quello forte si batte stupidamente con il bello, per decidere chi dei due sarà padrone dell'altro, perché il loro dominio è di natura diversa.
Non possono intendersi.
La loro colpa è di voler regnare dovunque.
Nulla può riuscirvi, neppure la forza: essa infatti è impotente nel regno della conoscenza, riuscendo a imporsi solo sulle azioni esteriori.
Tirannia.
La tirannia consiste nel voler ottenere in un modo ciò che non si può ottenere che in un altro.
Dobbiamo onori diversi ai diversi meriti, amore alla bellezza, timore alla forza, credito alla scienza.
È nostro dovere rendere quegli onori, ingiusto rifiutarli e ingiusto reclamarne degli altri.
Discorsi simili sono falsi e tirannici: « Sono bello, dunque mi si deve temere; sono forte, dunque mi si deve amare; sono … ».
Ma è altrettanto falso e tirannico dire: « Poiché non è forte, non lo stimerò.
Non è sapiente, dunque non lo temerò ».
Quando si deve decidere una guerra per uccidere tanti uomini, sacrificando tanti Spagnoli alla morte, il giudizio spetta a un solo uomo, e per di più interessato; dovrebbe essere un terzo a giudicare, indifferente.
« Ma forse questo argomento eccede la capacità della ragione.
Esaminiamo dunque cosa essa ha escogitato in campi di sua competenza.
Se c'è qualcosa dove il suo interesse avrebbe dovuto spingerla ad applicarsi di più, è la ricerca del bene supremo.
Vediamo dunque in cosa l'hanno individuato queste anime sottili e dotate, e se sono d'accordo.
Uno dice che il bene supremo è la virtù, l'altro lo identifica nel piacere, un altro nel seguire la natura, un altro nella verità ( « felix qui potuit rerum cognoscere causas » ), uno nella totale ignoranza, uno nell'indifferenza, altri nel resistere alle apparenze, uno nel non meravigliarsi di niente ( « nihil mirari prope res una quae possit facere et servare beatum » ), i veri scettici nella loro atarassia, nel dubbio e nella perenne sospensione del giudizio, mentre altri, più saggi, dicono che non si può trovare, e neppure desiderare di trovarlo.
Eccoci sistemati. »
Su cosa l'uomo fonderà l'economia del mondo che vuole governare?
Forse sul capriccio dell'individuo?
Che confusione!
Sulla giustizia?
La ignora.
Se la conoscesse non avrebbe certo formulato questa massima, la più generale tra quelle umane: che ognuno segua i costumi del proprio paese.
Lo splendore della vera equità avrebbe assoggettato tutti i popoli.
E i legislatori avrebbero preso come modello questa giustizia immutabile, invece delle fantasie e dei capricci dei Persiani e dei Tedeschi.
La si vedrebbe piantata in tutti gli stati del mondo e in tutti i tempi, mentre al contrario vediano che niente, giusto o ingiusto che sia, può evitare di mutare qualità mutando clima.
Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza.
Un meridiano diventa arbitro della verità.
Bastano pochi anni di dominio e le leggi fondamentali mutano, il diritto ha le sue epoche, l'ingresso di Saturno nel Leone decide l'origine di un crimine.
Bella giustizia, che ha per confine un corso d'acqua!
Verità da questa parte dei Pirenei, errore dall'altra.
Ammettono che la giustizia non risiede nei costumi, ma nelle leggi naturali comuni a tutti i paesi.
Se la temerarietà del caso che ha seminato le leggi umane ne avesse trovata almeno una che fosse universale, avrebbero ragione a sostenerla ad oltranza.
Ma la cosa buffa è che la varietà dei capricci umani non ne ha reso possibile nessuna.
Il furto, l'incesto, l'uccisione dei figli e dei padri, non c'è nulla che non abbia il suo posto tra le azioni virtuose.
Esiste qualcosa di più ridicolo del fatto che un uomo ha diritto di uccidermi perché vive dall'altra parte di un fiume e il suo sovrano è in lite con il mio, sebbene io non lo sia con lui?
È indubbio che ci siano leggi naturali, ma questa bella ragione corrotta ha corrotto ogni cosa.
Nihil amplius nostrum est, quod nostrum dicimus artis est.
Ex senatusconsultis et plebiscitis crimina exercentur.
Ut olim vitiis sic nunc legibus laboramus.
Da questa confusione deriva che uno dice che l'essenza della giustizia è l'autorità del legislatore, l'altro il vantaggio del sovrano, un altro ancora la consuetudine del momento, ed è il parere più fondato.
Secondo la pura ragione, nulla è giusto in sé, e col tempo tutto rovina.
L'equità si risolve tutta nella consuetudine, per il solo fatto che questa viene accettata.
È il fondamento mistico della sua autorità.
Chi vuole ricondurla al suo principio la distrugge.
Niente è più colpevole di quelle leggi che raddrizzano i torti.
Chi obbedisce loro perché sono giuste, obbedisce a una giustizia immaginaria, non certo all'essenza della legge.
Essa è tutta racchiusa in se stessa.
È una legge, nulla di più.
Chi vorrà esaminarne il fondamento scoprirà che esso è così debole e lieve che, se non è abituato a contemplare i prodigi dell'immaginazione umana, si stupirà che un'epoca le abbia tributato tanto sfarzo e rispetto.
L'arte di contestare [ e di ] attentare agli stati si riduce a sovvertirne le consuetudini, analizzandone l'origine, per mettere in luce la loro mancanza di autorità e di giustizia.
« Bisogna », si dice, « risalire alle primitive e fondamentali leggi dello stato, abolite da un'ingiusta consuetudine ».
È il modo più sicuro per distruggere tutto, davanti a questo criterio nessuna giustizia resisterà.
Eppure il popolo presta facilmente ascolto a simili discorsi.
Appena riconosce il giogo lo scuote, ma sono i potenti che approfitteranno della sua rovina e di quella dei curiosi che hanno indagato sulle consuetudini accettate.
Questo è il motivo per cui il più saggio dei legislatori sosteneva che era necessario ingannare spesso gli uomini, nel loro stesso interesse, e un altro bravo politico: « Cum veritatem qua liberetur ignoret, expedit quod fallatur ».
Il popolo non deve accorgersi della verità dell'usurpazione che, iniziata un tempo senza ragione, è divenuta ragionevole.
Bisogna che si guardi ad essa come autentica, eterna, e nasconderne gli inizi se non si vuole che in breve scompaia.
« Dovendo esaminare se questa bella filosofia, con un lavoro lungo e impegnativo, abbia raggiunto qualche certezza, forse l'anima conoscerà se stessa.
Ascoltiamo su questo soggetto i sapienti del mondo.
Cosa hanno detto della sua sostanza?
Sono stati forse più fortunati a trovarle una sistemazione?
Cosa hanno scoperto sulle sue origini, sulla sua durata e sulla sua dipartita?
L'anima è dunque un soggetto ancora troppo nobile per le sue deboli capacità?
Riduciamola dunque a materia.
Vediamo se sa di cosa è fatto il corpo che anima, e gli altri che osserva e muove a suo piacimento.
Cosa ne hanno saputo questi grandi dogmatici, che non ignorano niente?
« Harum sententiarum ».
Ciò sarebbe sufficiente se la ragione fosse ragionevole.
Lo è abbastanza per confessare di non aver ancora trovato niente di fermo, ma non dispera ancora d'arrivarci.
Al contrario, è più determinata che mai in questa ricerca, ed è sicura di avere in sé le forze necessarie per una simile conquista.
Bisogna dunque darle il colpo di grazia, e dopo aver esaminato le sue facoltà nei loro effetti, esaminiamole in loro stesse.
Vediamo se ha forze e prese capaci di afferrare la verità. »
Giustizia.
Come la moda decide dei gusti, così decide della giustizia.
Chi avesse avuto l'amicizia del re d'Inghilterra, del re di Polonia e della regina di Svezia, avrebbe mai temuto di mancare di protezione e di asilo nel mondo?
La gloria.
L'ammirazione guasta tutto fin dall'infanzia.
« Oh, come è ben detto! Oh come ha fatto bene, come è saggio, ecc. ».
I ragazzi di Port-Royal, ai quali non viene dato lo stimolo dell'ambizione e della gloria, cadono nell'indolenza.
Mio, tuo.
« Questo cane è mio », dicevano quei poveri ragazzi.
« Quello è il mio posto al sole ».
Ecco l'inizio e l'immagine del possesso di tutta la terra.
Diversità.
La teologia è una scienza, ma di quante scienze è composta?
Un uomo è una sostanza, ma se lo anatomizziamo cosa diventerà?
La testa, il cuore, lo stomaco, le vene, ciascun elemento della vena, il sangue, da ciascun umore del sangue.
Una città, una campagna, da lontano sono una città e una campagna, ma quanto più ci avviciniamo, sono case, alberi, tegole, foglie, erba, formiche, zampe di formiche, e via all'infinito.
Tutto ciò è racchiuso sotto il nome di campagna.
Ingiustizia.
È pericoloso dire al popolo che le leggi non sono giuste, perché obbedisce proprio per il fatto che le crede giuste.
Perciò bisogna dirgli al tempo stesso che deve obbedire loro perché sono leggi, così come deve obbedire ai superiori non perché sono giusti, ma perché sono superiori.
In questo modo si prevengono le rivolte, se solo si riesce a far capire che questa è la definizione di giustizia.
Ingiustizia.
La giurisdizione non è fatta per chi la esercita, ma per chi vi è sottoposto: è pericoloso dirlo al popolo, ma il popolo ha troppa fiducia in voi; questo non gli nuocerà, anzi può servirvi.
Bisogna dunque renderlo pubblico.
« Pasce oves meas non tuas ».
Voi mi dovete cibo.
64 Quando considero la breve durata della mia vita, assorbita dall'eternità che la precede e da quella che la segue ( « memoria hospitis unius diei praetereuntis » ), il piccolo spazio che occupo e che vedo, inabissato nell'infinita immensità di spazi che ignoro e che mi ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perché non c'è motivo che sia qui piuttosto che là, ora piuttosto che un tempo.
Chi mi ci ha messo?
Per ordine e volontà di chi questo luogo e questo tempo sono stati destinati a me?
Miseria.
Giobbe e Salomone.
Se la nostra condizione fosse veramente felice, non ci sarebbe bisogno di fare di tutto per non pensarci.
Contraddizione.
Orgoglio che bilancia tutte le miserie: o nasconde le miserie, oppure, se le scopre, si gloria di conoscerle.
Bisogna conoscere se stessi.
Anche se questo non servisse a trovare la verità, servirebbe a regolare la propria vita, e non c'è nulla di più giusto.
L'incostanza è causata dalla consapevolezza della falsità dei piaceri presenti, e dall'ignoranza di quelli assenti.
Ingiustizia.
Non hanno trovato altro modo per soddisfare la propria concupiscenza senza fare torto agli altri.
L'Ecclesiaste mostra che l'uomo senza Dio vive nell'ignoranza di tutto e in un'inevitabile infelicità, perché volere e non potere significa essere infelici.
Ora, l'uomo vuole essere felice e sicuro di qualche verità.
Ma non può sapere, né fare a meno del desiderio di sapere.
Non può neppure dubitare.
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