Gli stati di vita del cristiano

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Circa il rapporto degli stati

Se noi da qui rivolgiamo indietro lo sguardo verso la relazione messa in mostra all'inizio fra amore perfetto come vocazione dell'uomo in generale e la forma interiore di questo amore essenzialmente come « voto », appare adesso ancora più chiaro il loro nesso reciproco.

Allora il carattere di voto dell'amore apparve in una triplice maniera: il voto era in primo luogo quella forma ( esterna ) che si offriva come mezzo per il raggiungimento dell'amore ( interiore ), poi era però inoltre formalmente come contenutisticamente la espressione dell'amore stesso in quanto la sua essenza è dedizione, infine era, di nuovo come forma esteriore, contenuto potenzialmente nell'indifferenza dell'amore perfetto, in quanto esso non decide in anticipo la scelta dello stato, che sarà fatta da Dio.

Trasferendo queste relazioni generali sullo stato concreto della natura decaduta, appare prima di tutto più chiaramente la distinzione ( come già allora enunciammo ) tra la forma esterna e lo spirito interiore dei voti.

Ogni amore ha interiormente forma di voto, ed ogni amore imperfetto, se anela alla perfezione, deve anche realizzare sempre più questa forma di totale e irrevocabile dedizione, questa forma del perdere, anzi dell'aver perso la propria anima.

Non è detto con ciò che tutti quelli che anelano all'amore debbano anche giungere alla forma esteriore della pronunciazione dei voti.

Qui infatti interverrà la scelta e la chiamata del Signore, il quale secondo il suo libero beneplacito chiama o non chiama, invita o non invita allo speciale stato esteriore dei voti.

Questa chiamata ( Herausruf ) alla forma di vita speciale della perfezione, che immediatamente obbliga con questo anche ad una corrispondente perfezione a livello di contenuto, sarà una chiamata ad una speciale, qualificata missione.

In vista di questa missione avviene l'elezione, che come chiamata ad uscir fuori dagli ordinamenti mondani esige la forma di stato di vita esteriore del voto.

E a seconda che il Signore chiami ad una missione qualificata o alla generale missione cristiana nel mondo pone i chiamati nello stato dell'elezione o nello stato della cristianità in generale, nello stato dei voti formalmente espressi o nello stato che mira allo spirito interiore del voto dell'amore.

Per il fatto che la natura è decaduta viene ad articolarsi più chiaramente la relazione tra l'amore e i voti come mezzi per la perfezione.

Nel Vangelo essi compaiono quasi come condizioni della perfezione: « Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai, ( … ) poi vieni e seguimi » ( Mt 19,21 ).

Questo « perfetto » è ciò che a colui che domanda è sinora mancato: « una cosa ti manca ancora » ( Lc 18,22 ).

E come per inchiodare definitivamente questo duro insegnamento soggiunge il Signore, dopo che il giovane ricco lo ha lasciato: « Come è difficile per un ricco entrare nel Regno di Dio!

È più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel Regno di Dio » ( Lc 18,24 ).

La durezza di questo « com'è difficile! » viene un po' mitigata dall'aggiunta in Marco: « Com'è difficile per quelli che pongono la loro fiducia nei loro averi entrare nel Regno di Dio! » ( Mc 10,24 ) e dall'affermazione misteriosa: « è impossibile agli uomini, ma non a Dio » ( Mc 10,27 ).

Impossibile agli uomini è che un ricco non ponga la sua fiducia nei suoi averi, che egli « guadagni come se nulla possedesse » ( 1 Cor 7,39 ), poiché come potrebbe egli altrimenti acquisire il guadagno con tutta la premura e la passione che questo richiede?

E come può colui che è sposato essere così « come non fosse sposato » ( 1 Cor 7,29 ), giacché « chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, di piacere al Signore, mentre invece chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo, di come piacere alla moglie » ( 1 Cor 7,32s )?

Così la chiamata del Signore allo stato dei voti sembra quasi equivalente ad una chiamata alla perfezione della sequela di Cristo e con ciò alla perfezione dell'amore divino nell'unico modo concreto in cui esso viene offerto agli uomini all'interno del mondo decaduto.

O detto altrimenti: la vocazione ad una missione speciale, che è il motivo della scelta di Dio e della sua chiamata allo stato d'elezione, appare coincidere con una vocazione ad espressa santità, che viene donata formalmente al chiamato con lo stato d'elezione e alla quale egli viene con ciò anche contenutisticamente obbligato nella realizzazione di questa forma.

Si comprende perciò perché storicamente l'esteriore « stato dei voti », lo « status religionis » per antonomasia, poté venir messo alla pari con lo stato della perfezione, lo « status perfectionis ».

Et ita identitas utrius-que status cernitur ( Suarez, loc. cit. 1.2, e 1,4, Opp xv, 115 ).

Infatti quando il Signore presenta la perfezione, propone contemporaneamente il consiglio del lasciar tutto « ut medium seu viam necessariam » ( ibid. 1 i, e 10,3. S 49 ).

Questa necessità sgorga dalla legge evangelica secondo cui la disposizione intEriore deve esprimersi nell'azione esteriore per dimostrarsi disposizione vera.

L'azione richiesta non è però nient'altro che la effettiva ed attuale rinuncia a ciò che è proprio per essere liberi per la dedizione a Dio.

D'altra parte l'esortazione a questa azione è una libera grazia della scelta e della chiamata di Dio, che l'uomo non può egli stesso darsi, poiché la sua ragione ultima non è l'astratta perfezione dell'amore in generale, ma la concreta grazia e il concreto conferimento di una specifica missione.

Così la necessità assoluta diventa da capo per l'uomo una necessità condizionata; « Distinguere autem possumus inter perfectionem et statum perfectionis, nam ad perfectionem acquirendam est quidem utilissimum et moraliter ne-cessarium divitiis abstinere, non est tamen simpliciter necessarium.

Nam dives, bene utendo divitiis, et alia opera perfectionis faciendo, potest ad perfectionis gradum pervenire" ( ibid. 1.2, e 2,4. S 118 ).

O per meglio dire: la necessità è una necessità assoluta allorquando essa segue ad una particolare chiamata ad una missione qualitativamente determinata.

Una volta risuonata una simile chiamata, l'uomo non ha più la possibilità di distinguere tra una assoluta e una relativa necessità.

Gli rimane allora soltanto da scegliere: o rinunciare allo stato della perfezione, ma allora rinunciare anche alla missione speciale e accontentarsi della legge dello status cristiano comune, oppure insieme alla missione abbracciare anche la sua corrispondente forma di vita.

Anche la seconda e la terza relazione tra amore perfetto e voto ( interiore ) acquista nello stato della caduta e della redenzione un nuovo profilo più marcato.

Infatti mentre la chiamata universale all'amore perfetto cristiano viene rivolta a tutti, la vocazione allo « stato della perfezione » esteriormente riconoscibile si fonda completamente nella volontà di Dio che sceglie.

La separazione degli stati che il Signore compie è determinata talmente dalla sua scelta, che egli può respingere e rimandare nello stato mondano persino quelli che si offrono a lui per la sequela, che credono di essere pronti a seguirlo dovunque egli vada.

Questa non accettazione nello stato d'elezione non è certo equivalente ad un rifiuto della perfezione dell'amore, che Gesù ha indubbiamente donato a tutti quelli che egli ha guarito dalle loro infermità dell'anima e del corpo e che ha congedato come nuove creature.

Il cieco ad esempio, al quale egli alla fine si da a riconoscere come Dio e Redentore e che nella fede gli si prostra ai piedi ( Gv 9,37-38 ), la peccatrice, il cui amore egli elogia, alla quale egli in virtù del suo amore perdona e concede in dono così l'amore perfetto ( Lc 7,47 ), Lazzaro, suo amico, che egli risveglia dai morti e al quale egli che è « la resurrezione e la vita » dona nuovamente la sua vita fuori dai « brividi della morte » ( Gv 11,25-33-43 ), il ladrone, al quale egli dalla croce apre le porte del Paradiso ( Lc 23,43 ), essi e tanti altri hanno ottenuto nel contatto col Signore il dono dell'amore eterno, senza essere divenuti partecipi di quella speciale missione che è legata al cambiamento dello stato.

Tutti questi sarebbero pronti, poiché posseggono l'amore, a seguire il Signore se egli manifestasse loro corrispondentemente la sua volontà.

Ma poiché egli non lo fa, essi sono parimenti pronti a rimanere nel loro stato di gente del mondo, a ritornare in mezzo alla moltitudine, al posto non appariscente che il Signore indica loro, per servirLo lì con tutto il cuore e con tutte le forze.

Di essi si udrà ancora poco: la Samaritana, per esempio, dopo che ha compiuto la sua opera e ha fatto conoscere il Signore ai suoi compaesani ritornerà espressamente al suo posto: « Ora noi non crediamo più perché tu ce lo hai detto, ma abbiamo udito noi stessi e sappiamo che egli è veramente il salvatore del mondo » ( Gv 4,42 ).

Lazzaro, il risuscitato, non andrà in giro a predicare, ma siederà semplicemente a tavola col Signore come padrone di casa al prossimo pranzo ( Gv 12,2 ).

Il Signore avrebbe potuto chiamarlo, non lo fece; ma il fatto che dopo aver ricevuto la grazia essi non furono chiamati ad un cambiamento di stato non può in nessun caso significare per essi che sia stato loro negato l'amore perfetto.

Qui appaiono dunque entrambe le altre due forme in cui i consigli evangelici sono legati all'amore: la prontezza intEriore, propria dell'indifferenza, ad ascoltare la chiamata del Signore, e l'interiore disposizione dell'amore, che reca in se stesso lo spirito dei consigli e con ciò lo spirito della perfezione.

L'indifferenza come prontezza per ogni manifestazione della volontà divina è l'espressione di un amore come non può venir pensato più perfetto, prima che il Signore non abbia manifestato la sua scelta.

Essa, e non invece un'anticipazione della scelta di Dio intraprendendo di propria iniziativa la via dei voti, è in questo stadio la maniera di comportarsi migliore possibile.

Da ciò segue necessariamente che se il Signore sceglie in modo tale che non chiama all'esplicito stato dei voti, è allora l'interiore atteggiamento conforme ai consigli tipico dell'amore, che ne contiene lo spirito, a dover essere la prosecuzione pienamente valida di quell'atteggiamento di indifferenza nel caso di quelli che non sono chiamati.

Così è possibile in entrambi gli stati divenire perfetti, vale a dire possedere l'amore pieno a Dio e agli uomini.

Dalla parte del mondo e della natura, del tendere dell'uomo ad una realizzazione della sua vocazione all'amore, non c'è niente che giustifichi la separazione degli stati.

Solo il punto di vista che parte da Dio e dalla sua positiva volontà e chiamata rende possibile una tale osservazione degli stati, in cui entrambi stanno l'uno di fronte all'altro come voluti da Dio e perciò come due forme positive di vita cristiana.

Questo volere divino rimane però per noi non soltanto impenetrabile, al contrario!

La separazione degli stati non si riconduce semplicemente ad un nudo e crudo decreto di Dio.

Sempre le disposizioni di Dio sono allo stesso tempo manifestazione della più alta sapienza; tutte le interpretazioni ultime nel mondo si lasciano ricondurre rispettivamente a questa duplice e unica ( zweieine ) sorgente del piano divino.

Così si mostra anche qui alla fede che ricerca una comprensione, che la divisione degli stati era la via più sensata, all'interno del mondo decaduto, per instaurare un ordine della redenzione.

Da una parte è innegabile che l'integrità dello stato paradisiaco non poteva in un mondo simile venire rappresentata e reintrodotta altrimenti che nella rinuncia a quei beni il cui prorompere fuori dal velame della grazia che li racchiudeva in sé appartiene all'essenza dello stato decaduto: possesso in proprio, fecondità legata all'istinto e caparbietà nel voler fare la volontà propria.

Ma la pura e semplice rinuncia a ciò non basta come tale a restaurare la perduta unità dello stato paradisiaco.

Essa rimane, finché la natura per punizione o per espiazione è sottoposta al dolore e alla morte, qualcosa di negativo, che include la perdita dei beni complementari: ricchezza, fecondità naturale e libertà.

Per questo la chiamata ad una simile rinuncia non può essere universale.

Essa minaccerebbe, anzi eliminerebbe l'ordine della natura quale esso sussiste nello stato decaduto, poiché a dire il vero non verrebbero più adempiute le esortazioni all'umanità fatte nel paradiso terrestre: « Siate fecondi e moltiplicatevi! Riempite la terra e soggiogatela! Dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che si muove sulla terra! » ( Gen 1,28 ).

Un comando universale che imponesse agli uomini, in favore del Regno dei cieli, la castità sessuale, la rinuncia ai beni terreni e al libero dominio sulla natura, verrebbe ad esser simile ad un'eliminazione di questi comandamenti originari.

Il Figlio, che è venuto per portare a compimento le opere del Padre e per dimostrare e consolidare la loro bontà, con un universale comandamento di castità non farebbe altro che eliminare piuttosto i comandamenti del Padre, farli passare per sorpassati e addirittura per intrinsecamente imperfetti.

La universalizzazione dello stato dei consigli nella Chiesa sarebbe praticamente marcionismo: separazione di Vecchio e Nuovo Testamento, di ordine della creazione e della redenzione, di Jahwè e Cristo.

Radicalizzata, essa condurrebbe, in un qualche tempo futuro, ad una morte dell'umanità, rendendo impossibile la sua economia terrena.

Per questo lo stato d'elezione può costituire all'interno del mondo decaduto sempre solo l'eccezione.

I chiamati , a ciò resteranno una minoranza, destinata più a testimoniare con l'eccezionalità della loro esistenza che c'è un altro mondo, quello dello stato originario e finale, che non a insediare questo stato originario e finale già adesso.

Essi devono rapportarsi allo stato dei non chiamati come lo speciale al generale, come il modello innalzato rispetto a quelli che lo devono far proprio, e anche come il sostituto rispetto alla totalità di ciò che egli sostituisce.

Così lo stato d'elezione è non solo ciò che ricorda a tutti che lo stato attuale dell'umanità è uno stato decaduto, che l'Eden e il Cielo sono la nostra patria comune, dove tutti dobbiamo far ritorno, ma è anche la rappresentazione di ciò che nello stato originario perduto e nello stato finale sperato era e sarà il configurante, ciò che conferisce la forma ( Formgebende ): la perfezione dell'amore nell'offerta di tutto ciò che è proprio, possedimenti, il proprio corpo e tutti i beni dello spirito.

Lo stato d'elezione è uno stato rappresentativo: rende presente l'idea dell'uomo così come Dio lo ha pensato e come egli deve diventare.

Certo esso rappresenta questa idea all'interno del mondo decaduto, per così dire in forma capovolta come in uno specchio, in forma negativa, nella forma della rinuncia, la quale però, nella misura in cui origine e senso di questa rinuncia è l'amore del Redentore per il mondo, lascia trasparire già adesso l'intima pienezza del positivo: un ricordare la felicità dell'Eden e un gustare in anticipo la beatitudine eterna.

Non ci sono sulla terra uomini più felici di quelli che per amore hanno effettuato una volta per tutte l'irrevocabile offerta di sé e in questa forma di vita cercano di raffigurare per il futuro l'amore.

Poiché è volontà dispositiva del fondatore della Chiesa che lo stato dei chiamati rimanga permanentemente una minoranza nei confronti dello stato generale dei credenti che vivono nel mondo, è parimenti suo volere dispositivo che i molti che non sono chiamati allo stato speciale rimangano nel comune stato mondano.

Questa volontà dispositiva che non fa dello stato mondano ( Welfstand ) un semplice negativo dello stato d'elezione, ma lo rende invece un reale stato nell'ambito della Redenzione e della Chiesa, non può però essere intesa come una seconda chiamata del Signore, di uguale importanza rispetto alla prima.

L'esser posti nello stato mondano può soltanto come un « non esser chiamati » venir descritto come una missione qualitativamente determinata.

Il positivo dello stato cristiano mondano è da una parte ciò che del comando originario del Creatore rimane nel mondo decaduto sempre attuale e che deve perciò venir realizzato: il comando che giace nella natura creata come tale e che non è dato solo con la natura elevata soprannaturalmente, paradisiaca, e che perciò non è nemmeno tolto col peccato originale, di asservire la terra a sé, di moltiplicarsi, di regnare sul mondo.

Di questo comando si narra nel primo racconto della creazione ( Gen 1-2,4 ), dove l'uomo appare come coronamento della creazione naturale, senza che l'aspetto soprannaturale dell'esistenza paradisiaca venga già ( come nel secondo racconto della creazione, Gen 2,4bss ) iemalizzato.

Questo comando che giace nella natura dell'uomo sussiste ulteriormente anche laddove l'integrità dello stato originario non può venir ripristinata.

Così anche il cristiano sta nel mondo sotto questo comando naturale di coltivare il mondo; egli deve adempiervi come gli uomini che vivono al di fuori della Chiesa.

D'altra parte - e questo è il secondo aspetto positivo del suo stato - il cristiano è uno che è stato nel senso universalmente ecclesiale chiamato fuori dal mondo, toccato dalla grazia e trasferito nella comunità dei redenti, posto sulla via dell'amore perfetto a Dio e al prossimo, e fornito di un universale ma anche carismatico-personale incarico di dare testimonianza per Cristo.

Tuttavia egli è ed ha tutto questo senza però aver ricevuto la chiamata qualificata alla sequela nella totale rinuncia.

La sua situazione è in tal modo più complessa e difficile di quella di colui che è stato espressamente chiamato.

Egli ha l'incarico, che continua a sussistere, di coltivare il mondo, ma per eseguirlo non possiede gli originar! ordinamenti naturali, ma bensì quelli inestricabilmente fusi con la condizione della natura decaduta: l'ordinamento della proprietà privata e del diritto coercitivo, della procreazione legata all'istinto sessuale, della libera personale formazione di opinioni.

Egli non può sottrarsi a queste modalità della natura, facendo come se esse non lo toccassero o fossero per lui non vincolanti, come se egli personalmente si muovesse nell'ordine paradisiaco originario.

Egli non ha la possibilità di ripresentare questa integrità sulla base del comando della creazione, come l'eletto invece la ripresenta sulla base della sua rinuncia.

Perciò egli nemmeno può insieme con colui che è stato eletto ripresentare le loro totalità in modo tale che entrambe, contenendo rispettivamente una metà della perduta unità, si completino all'interno della Chiesa sino a formare una totalità.

Il comando di coltivare il mondo, insito nella natura, e la destinazione alla vita secondo i consigli sono ben lungi dall'essere due metà di ugual valore di un tutto.

Il cristiano nello stato mondano deve eseguire il comando di prendersi cura del mondo, come pure corrispondere all'universale vocazione all'amore cristiano, che dal mondo decaduto lo chiama ad entrare nell'ordine della redenzione.

Egli sta sotto una duplice legge, che quanto più egli diviene conscio della sua situazione tanto più lo pone in tensione.

« Così egli è diviso » ( 1 Cor 7,34 ).

La frattura della croce, in cui il chiamato si è sin da principio inserito, passa anche attraverso di lui, ma in modo tale che essa viene sperimentata e sofferta come frattura fra natura e soprannatura.

Egli vive in una totalità della rinuncia, che è prodotta dalla chiamata del Signore e che lo fa partecipare all'unità del Cristo che viene « dall'alto » ma che cammina quaggiù.

Egli sta nella croce, e qui egli riguadagna qualcosa della totalità del paradiso.

Il cristiano nel mondo viene lasciato all'interno degli ordinamenti della natura decaduta, ma in maniera che l'ombra e la forma della croce cade su di essa, in maniera dunque che egli, obbedendo alla legge di questo mondo, non è però di questo mondo.

Così vive anch'egli in un « come se »; « Perciò chi è sposato viva come se non fosse sposato; chi possiede, come se non possedesse nulla; chi fa uso del mondo, come se non ne facesse uso alcuno, poiché passa la forma di questo mondo » ( 1 Cor 7,29-31 ).

Con ciò, però, lo stato mondano va a finire irrefrenabilmente sotto la stessa legge dello stato d'elezione.

L'incarico di gestire il creato, che egli condivide con il mondo che è all'esterno della Chiesa, non è un incarico specificamente cristiano, sebbene il cristiano debba cercare di eseguirlo nello spirito dell'amore cristiano.

Il compito specificamente cristiano per lo stato mondano non si distingue invece, nella sua essenza, dal compito dell'eletto: si chiama rinuncia e sacrificio come via della redenzione verso lo stato finale da aspettarsi in avvenire.

Quindi mentre lo stato d'elezione in base ad una speciale chiamata del Signore dà il permesso di anticipare in mezzo al mondo attuale il mondo venturo ( a partire però dal centro della croce ), lo stato mondano simboleggia la vita nel suo passaggio dall'eòne presente a quello futuro.

La « divisione » che giace in esso è sopportabile solo nel movimento del passaggio.

Non si può stabilire un tranquillo equilibrio fra civilizzazione del mondo ( Kultur ) e croce, all'incirca come punto centrale fra assenso al mondo e uscita dal mondo, fra al di qua e al di là, o fra famiglia e stato da una parte e vita ecclesiale dall'altra.

Ogni sintesi che in questa direzione mira ad una specie di condizione definitiva viene sempre di nuovo fatta saltare dall'inarrestabile movimento nel quale soltanto può esser vissuta la vita cristiana nel mondo: « infatti passa la figura di questo mondo » ( 1 Cor 7,31 ).

« Guardate alle cose di lassù, non a ciò che è terreno, poiché voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio » ( Col 3,2-3 ), « la nostra cittadinanza è nei cieli » ( Fil 3,20 ).

Così il cristiano, cercando di adempiere all'incarico ricevuto da Dio di civilizzare il mondo, fa più opere di nostalgia che opere di soddisfazione, o sicuramente, se gli riesce qualcosa di soddisfacente, opere che destano in colui che le riceve la nostalgia della patria eterna di tutto ciò che è bello, vero e buono.

In questa caratteristica di transizione ( Ueberganglichkeit ) della vita cristiana nel mondo risiede come un surrogato, un risarcimento per la non avvenuta chiamata speciale.

Lo spirito dei voti si pone, percettibilmente o anche impercettibilmente, con crescente chiarezza a partire dal Battesimo, sopra questa vita e in maniera misteriosa la fa partecipare intimamente all'essenza dell'altro stato, allo spirito dell'amore indiviso nelle forme della povertà, della verginità e dell'obbedienza.

La conduzione di Dio in questa vita cristiana provvede a che, se non ci si sottrae ad essa, queste forme si attuino in essa anche senza un esplicito saltar fuori dal mondo.

Se l'eletto vive sin da principio nella croce, anche il cristiano nel mondo vive tuttavia in tensione verso la croce, e una parte del peso che egli ha da portare consiste nel fatto che egli rimane fino all'ultimo un uomo in sé teso, uno straniero in questo mondo e non ancora di casa però nel cielo.

In questo « esistere tra » ( Zwischendasein ) anch'egli non ha « dove posare il capo » ( Mt 8,20 ) e a lui, spesso più recalcitrante che spontaneamente desideroso, viene richiesto di portare i legni della croce dietro al Signore.

Entrambi gli stati si trovano così sulla comune via del sacrificio; « ognuno infatti verrà salato col fuoco, così come ogni vittima viene condita con sale » ( Mc 9,49 ).

Nella prontezza alla rinuncia e così all'esser liberi per l'amore sta dunque ultimamente il comune denominatore di entrambi gli stati.

È prontezza in quanto sacrificio, consistendo la perfezione cristiana nel porsi nell'amore a disposizione dell'intera volontà di Dio e nel rinunciare alla propria scelta della strada di vita.

Questa prontezza è l'indifferenza che lascia che Dio scelga quello stato che egli ha stabilito, indifferenza che quindi è fondamentalmente d'accordo su entrambi gli stati.

È però parimenti prontezza al sacrificio, prontezza che deve perseverare anche quando lo stato è scelto, sia come stato sacrificale nella rinuncia, sia come stato mondano, il quale acquisisce pur sempre la sua forma cristiana dal sacrificio che il Signore può sempre nuovamente esigere e imporre.

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