Gli stati di vita del cristiano |
Finora sono stati considerati gli stati di vita soprattutto nelle loro relazioni reciproche all'interno della Chiesa di Cristo.
Ora però la Chiesa esiste non per se stessa, ma per la definitiva redenzione del mondo.
Essa deve annunciare, impersonare e secondo le sue possibilità affermare in mezzo ai popoli con efficacia la signoria di Dio che ha fatto irruzione nel mondo in Gesù Cristo.
Essa non può mettersi alla pari con questa signoria che è già venuta o che sta venendo; come istituzione essa sta al suo servizio, i suoi membri sono fondamentalmente - in quanto morti e risorti in Cristo - incorporati in essa, ma in quanto peccatori e imperfetti camminano ancora incontro ad essa.
Come corpo e sposa di Cristo la Chiesa prende parte alle intenzioni del suo Capo; essa non cerca se stessa, ma il compimento di tutte le cose in Dio per mezzo di Cristo.
« Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti » ( 1 Tm 2,3-6 ).
Gesù stesso era consapevole di aver ottenuto « potere sopra ogni essere umano » ( Gv 17,2 ), cosicché quando egli « sarà innalzato, attirerà tutto a sé » ( Gv 12,32 ).
Con questa finalizzazione della Chiesa alla redenzione del mondo intero sboccia così anche per gli stati ecclesiali una nuova interrogazione: in che maniera sono essi singolarmente partecipi della missione mondiale della Chiesa?
Poiché in ogni caso questa missione su scala mondiale concerne primariamente la Chiesa in tutto il suo insieme.
Quindi non è che solo come singoli i membri della Chiesa debbano agire nel mondo, al di fuori della Chiesa, e nemmeno che questo compito spetti esclusivamente ( o quasi esclusivamente ) a un determinato stato, ad esempio lo stato laicale.
Al massimo può essere che all'interno della missione nel mondo propria della Chiesa tutta alcuni posti e funzioni spettino a singoli stati di vita.
La Chiesa tutta è missionaria, poiché il Capo di cui essa è il corpo è interamente missio del Padre, e poiché la missione del « secondo Adamo » ( 1 Cor 15,45 ) non riguarda espressamente una schiera eletta dei discendenti del primo Adamo, ma lui stesso insieme con tutta la sua stirpe: « Come tutti morirono in Adamo, così tutti otterranno la vita in Cristo » ( 1 Cor 1,22 ).
Perciò la missione terrena di Gesù ( radunare le pecore disperse della casa di Israele ) poteva essere soltanto provvisoria, una missione che con la sua morte per tutti e la sua resurrezione per tutti doveva ottenere l'abbattimento dei confini che corrisponde all'universale volontà di salvezza di Dio ( 2 Cor 5,19 ) e che diventerà poi anche esplicito con la missione dei discepoli in tutto il mondo, a tutte le nazioni e le epoche della storia ( Mt 28,18-20 ).
Conformemente a questo incarico la Chiesa dovrà preoccuparsi di « tutti i popoli », del loro bisogno di salvezza, così come il Buon Pastore della parabola ( che è la figura incarnata del Pastore divino: Ez 34 ) si è dato pena della pecora smarrita ( Lc 15,4ss ), dovrà impegnarsi per queste pecore che anche al di fuori degli ovili ecclesiastici appartengono al « Buon Pastore » ( Gv 10,16 ), così come Egli rischia la sua vita per le sue pecore ( Gv 10,11 ).
Fra l'ambito della Chiesa e quello del mondo fuori di essa avrà luogo dunque non soltanto un inevitabile rapporto di relazioni politiche mondane, ma uno scambio radicato profondamente nelle stesse leggi della storia della salvezza: fra i due ambiti è in opera una osmosi, da parte del mondo verso l'interno della Chiesa, e dalla Chiesa fuori verso il mondo.
E questo tanto più, quanto in un certo senso, incoativo e tuttavia reale, anche nel mondo al di fuori della Chiesa è già sempre presente l'opera riconciliante di Colui che per esso è stato crocifisso ed è risuscitato, che il mondo lo sappia oppure no, che sia aperto a ciò o che al contrario si chiuda nei suoi confronti.
La Chiesa non incontra mai un mondo puramente naturale, ma dappertutto sempre un mondo polarizzato positivamente o negativamente dall'opera salvifica di Dio.
L'osmosi fra Chiesa e mondo si compie in due movimenti opposti, che sono però solo due parti dello stesso processo: sistole e diastole.
L'una parte è la progressiva ricezione trasformante del mondo nello spazio della Chiesa, l'altra è rappresentata dal sempre nuovo oltrepassare se stessa della Chiesa in direzione del mondo, all'interno di esso.
Questo secondo movimento è così essenziale alla Chiesa in quanto inviata, che non può mai venire assorbito definitivamente dal primo, e tutto quello che dal mondo è passato all'interno della Chiesa viene subito nuovamente invitato a passare in quanto Chiesa nell'autotrascendenza dello spazio interno verso quello esterno.
D'altra parte la Chiesa non può semplicemente venir definita teoricamente e vissuta praticamente in base alla sua autotrascendenza, altrimenti non ci sarebbe soggetto alcuno che possa compiere il passo della trascendenza.
Ancor più concretamente: se la Chiesa si occupasse solo delle necessità e dei bisogni del mondo al di fuori di sé, non avrebbe niente da portargli, in ogni caso niente che il mondo stesso non possa già procurarsi da sé ( e forse anche meglio ) coi propri mezzi.
La Chiesa deve in un primo movimento essere veramente se stessa e divenirlo sempre più anche nell'assimilazione del mondo, per poter in un secondo movimento annunciare e donare al mondo al di fuori di essa ciò che le è proprio.
La qual cosa non impedisce che questi due movimenti non possano venir temporalmente distinti, poiché in effetti senza il movimento missionario la Chiesa non potrà nemmeno trovare la sua propria essenza.
Ma se il Signore chiama i suoi discepoli « luce del mondo » ( Mt 5,14 ) e Paolo estende quest'immagine all'intera comunità ( Fil 2,15 ), per illuminare deve allora esserci prima un corpo luminoso - un puro e semplice illuminare senza sostanza illuminante non esiste -, anche se il corpo luminoso illumina sempre solo proiettando la luce via da sé.
Guadagnarne in tal modo già la legge più importante per tutto ciò che oramai è da sviluppare: e cioè che la sostanziale differenza è il presupposto per la compenetrazione resa così possibile, o che l'albero deve avere una rete di radici tanto più profonda, quanto più ampiamente si estende la sua chioma.1
E quindi che la diastole è tanto più efficace, quanto più radicale è stata e rimane la sistole.
Ora però sistole non significa affatto ricezione del mondo nella Chiesa così come esso esiste al di fuori della Chiesa, bensì quella trasformazione cristiana del mondo che corrisponde alla sua idea ultima che giace presso Gesù Cristo e che egli stesso è.
Questa legge deve brillare davanti alla Chiesa intera e a tutti i suoi stati di vita, e se ogni stato deve vivere alla sua maniera, si può tuttavia intuire già adesso che i singoli stati devono completarsi reciprocamente nella realizzazione che è propria della Chiesa nel suo insieme.
Questo completamento appare diversamente a seconda che prendiamo in considerazione il primo movimento, in cui la Chiesa si rende conto dell'essenza sua propria, comprende la sua missione di essere luce del mondo, oppure il secondo movimento, nel quale essa fattivamente invia i suoi raggi verso ciò che è altro da se stessa.
Possiamo anticipare che nel primo aspetto lo stato dei consigli e lo stato sacerdotale avranno la decisiva comune funzione attiva, nella quale lo stato laicale deve venir coinvolto, mentre nel secondo aspetto stato dei consigli ( che in effetti è di per sé uno stato non clericale ) e stato laicale di vita nel mondo avranno la comune funzione primaria, nella quale deve venir inserito anche lo stato presbiterale.
1. Per il primo aspetto, la formazione della Chiesa come sostanza illuminante per il mondo, sono naturalmente impegnati primariamente i due completantisi stati d'elezione.
Nel mondo essi sono chiamati ad uscire dal mondo per stare presso Cristo e rappresentarlo come l'idea prima e ultima del mondo nella sua totalità.
Essi hanno ricevuto la loro posizione presso Gesù Cristo per compiere insieme a lui il suo movimento dal Padre verso il mondo.
Essi si sono liberati per questo dello « spirito del mondo », per essere completamente disponibili per la missione di Dio nel mondo nel suo Figlio.
Tutte le grandi fondazioni del cristianesimo nel mondo, in qualunque modo possano essere avvenute, sono partite da uomini che per prima cosa si erano interamente votati alla causa di Gesù.
Questo vale non soltanto per l'azione creativa fondatrice di cultura svolta dai monaci nel passaggio dall'Antichità al Medioevo, ma è rimasta una legge fondamentale fino ad oggi.
Là dove la trascendenza, ciò che nell'essere e nel messaggio di Cristo è sovramondano, trasluce più nitidamente nella vita dei messaggeri, questo essere e questo messaggio può penetrare più profondamente nelle strutture mondane.
Per questo all'inizio del Cristianesimo doveva essere predominante l'aspetto della separazione, allo stesso modo in cui un religioso nell'isolamento del noviziato riflette sulla sua missione, per poter più tardi svolgerla più conseguentemente.
Nonostante il grande comando della missione alla fine del Vangelo, deve risuonare dapprima l'esortazione alla distanza: « Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli ( … ) Uscite di mezzo a loro! » ( 2 Cor 6,14-17 ).
« Uscite, popolo mio, da Babilonia, per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli! » ( Ap 18,4 ).
« Non conformatevi alla mentalità di questo mondo » ( Rm 12,2 ).
Prima che la Chiesa si getti nell'azione dell'apostolato, deve subentrare la grande pausa di riflessione, in cui la Chiesa si lascia riempire nella contemplazione dal mistero di Dio, come aveva fatto esemplarmente Paolo ( Gal 1,17 ) e come faranno dopo di lui tutti i grandi apostoli.
La Chiesa prende tempo, per divenire dapprima la comunità dei santi, prima di accingersi a essere fermento della società civile.
Cultura cristiana e arte cristiana c'è solo dopo che ci sono stati martiri, vergini, confessori e anacoreti cristiani.
Le chiese cristiane poterono venir costruite solo dopo che i loro basamenti ebbero assorbito in sé lo spirito delle catacombe.
Politica cristiana solo dopo che grandi vescovi ebbero rifiutato ogni cedimento al compromesso coi poteri mondani e innalzato la richiesta di stabile riconoscimento della Chiesa.
Azione cristiana ci poté essere solo dove era stata compresa la missione originaria del sì della contemplazione e dell'andare incontro alla Passione insieme con Cristo.
Se si cerca di vedere da dove scaturiscano le sorgenti fecondanti della cultura cristiana nell'Antichità, nel Medioevo e sino all'epoca moderna, si verrà sempre nuovamente rinviati all'ambito dello stato d'elezione, soprattutto dello stato dei consigli.
Solo allorché non si volle più bere a queste sorgenti, ma si cominciò a gettarsi subito sin da principio nell'azione nel mondo, si consumarono soltanto i capitali accumulati e li si dilapidò, allo stesso modo in cui anche le forze di una « Azione Cattolica », per esempio, si esaurirono presto.
Non che si tratti oggi, come nel Medioevo, di innalzare duomi in mezzo alle città del mondo, o scrivere « Summe » all'interno dell'edificio della scienza moderna - l'epoca di una cultura sacrale non la si può più riportare dal passato all'oggi -, certo però si tratta, oggi come ieri, di operare nell'ambito delle pianure secolarizzate coi loro grandi fiumi, partendo dall'ambito delle montagne e delle sorgenti in cui gli stati d'elezione furono chiamati.
Questo « operare » deve essere primariamente un dare sostanza alla Chiesa stessa, prima che la Chiesa come tale possa operare o essere di nuovo creatrice di cultura, dopo periodi di infecondità.
Che in un'epoca storica ci sia oppure no una cultura cristiana, non è questo un parametro inequivocabile per l'intima vitalità della Chiesa.
Il « sacro cuore delle nazioni » può doversi ritirare di nuovo all'interno, nell'Idea del mondo, e raccogliersi nella contemplazione e passione per un'eventuale nuova azione creatrice di cultura.
La formula medievale ex plenitudine contemplationis activus era certamente una formula dell'età iniziale, ma la spiegazione che ne da Tommaso ( riassumendo Gregorio e il monachesimo antico ) è valida per sempre: « vita contemplativa est prior quam activa, inquantum prioribus et melioribus insistit, unde et acti-vam movet et dirigit » ( S Th II II q 182 a le ), e solo per « trasmettere ad altri ciò che si è contemplato » il maestro cristiano può interrompere esteriormente l'atto della contemplazione.
O più profondamente, per dirla con i mistici tedeschi: solo perché egli volgendosi al fratello compie ciò che vede fare da Dio in Cristo, perché quindi nell'azione presta ulteriore attenzione all'agire di Dio, il suo agire sarà ulteriormente fonte della sua contemplazione.
Così la posteriore formula gesuitica « in actione contemplativus » non lascerà quella tomana dietro di sé, ma non farà che mettere in risalto che la contemplazione della missione di Gesù può compiersi come contemplazione solo eseguendo insieme a lui la sua missione.
La formula tomana rimane lo sfondo, come ammonimento che un più di azione non garantisce in nessun caso un più di contemplazione, ma semmai piuttosto lo minaccia.
È tempo qui anche di domandarsi che cosa significhi cristianamente « azione ».
Non solo non significa che la Chiesa debba sempre operare via da sé in direzione del mondo, prima ancora di essersi costituita in maniera credibile, ma primariamente significa che gli effetti più profondi dell'atto di dedizione non sono affatto misurabili in base ai criteri del mondo.
Questo Tommaso nella sua formula non lo aveva ancora direttamente preso in considerazione.
L'azione cristianamente più grande fu il sì della Vergine all'incarnazione del Verbo.
E a sua volta l'azione più grande di questo Verbo incarnato fu la sua Passione che ribaltava lo status del mondo.
Questa analogia dell'azione cristiana in quanto misurabile esternamente ma non internamente abbraccia dunque tutte le forme di vita cristiana, persino la forma dello stato dei consigli, che in quanto « vita contemplativa » opera prevalentemente in maniera invisibile, mentre la « vita mista contemplativo-attiva » ( « "una vita puramente attiva cristianamente non c'è! » ) ha in parte effetti constatabili nel mondo.
Per entrambe vale però - e qui si associa in modo speciale l'operare sacerdotale - che la vita può operare nel mondo solo se prima ha contribuito all'opera interna di edificazione e ampliamento della Chiesa.
Di essa si parla assai espressamente nel Nuovo Testamento.
L'edificazione della comunità cristiana come una comunione di persone che si amano l'un l'altra nello spirito di Cristo è la creazione di quel sole ecclesiale che meglio di ogni altra cosa può rischiarare, può rendere credibile al mondo il messaggio di Cristo: « Che siano perfetti nell'unità, affinché il mondo creda che Tu mi hai mandato » ( Gv 17,23 ).
« Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amate l'un l'altro » ( Gv 13,35 ).
La luce di questo amore è una luce definitiva, escatologica nei confronti di tutto l'agire mondano.
Per questo la « riserva escatologica » della Chiesa nei confronti di ogni condizione raggiunta dalla cultura mondana ha una funzione critica non soltanto a motivo di una conoscenza migliore o di un messaggio più definitivo, ma sempre anche a motivo di una luce più chiara di amore vissuto.
Altrimenti questa riserva dovrebbe venir valutata come presunzione e si spegnerebbe senza efficacia.
Ogni agire cristiano nel mondo porta qui primariamente a ottenere la Chiesa.
Questo vale in modo centrale per lo stato dei consigli, in quanto qui tutto il porsi nella posizione di Cristo costituisce immediatamente un « rivestire Cristo », un entrare nella sua forma, e con ciò già essenzialmente « Chiesa ».
In questo rientra tutto ciò che è stato pensato e realizzato circa le comunità di vita secondo i consigli come « modello di Chiesa » ( ad esempio i monasteri benedettini ) o come « nucleo di comunità viva» ( nella concezione originaria di Basilio ) o come aiuto di preghiera per la Chiesa ( il carmelo secondo l'intenzione di Teresa ).
Altrettanto centralmente questo vale, in un'altra maniera, per ogni operare dello stato presbiterale, giacché il prete nella sua partecipazione al triplice ufficio di Cristo ha da lavorare primariamente all'edificazione interna della comunità.
Certamente egli deve, oltre alla comunità o chiesa locale affidatagli, evangelizzare anche l'ambiente non credente, ma non uscendo dalla sua comunità o chiesa locale per partire in missione, bensì introducendo ciò che rimane fuori in questa comunità per la quale egli ha potestà di consacrazione e di assoluzione.
Egli è pastore del gregge di Cristo qui esistente a lui assegnato.
Egli potrà perciò evangelizzare al massimo nel luogo della sua comunità; la missione al di fuori di questo luogo rimarrà affidata prevalentemente al prete regolare e ad altre persone, uomini e donne, dello stato dei consigli, unitamente a laici che vivono nel mondo.
Del contributo dei laici che vivono nel mondo all'edificazione di una Chiesa irraggiante, apostolicamente operante, si è già trattato in parte nel capitolo sullo stato laicale.
Ad essi spetta qui di rendere visibile in pratica nello spazio della Chiesa come si possono mettere a servizio dell'altruistico amore cristiano i beni culturali e materiali di un ordinamento mondano che è caduto in preda al peccato.
Dettagliatamente tratta Paolo della liberazione del denaro dalla sua contrapposizione a Cristo ( Mt 6,24 ), allorché fa di Mammona un segno efficace di amore che si dona.
Egli cita il caso delle comunità della Macedonia, le quali « hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente, domandandoci con insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi » ( 2 Cor 8,3-4 ).
Esse intendono questo servizio ( diakonìa ) come una forma di « offerta », in primo luogo a Dio e poi verso la Chiesa ( 2 Cor 9,13; Ef 4,12 ), e questo non sospirando, ma per « la pienezza della gioia » ( 2 Cor 8,2 ).
Il denaro fa da mediatore fra amore e amore: « L'adempimento di questo servizio sacro non provvede soltanto alle necessità dei santi, ma ha anche maggior valore per l'abbondante ringraziamento a Dio, che si riversa immediatamente come una pioggia di grazia su colui che ha donato » ( 2 Cor 9,12s ).
Già all'inizio, anzi, dei laici vengono consacrati dagli Apostoli per tali servizi esprimenti l'amore e arricchenti ( At 6,1ss ).
Di questo « Mammona » portato a diventare un servizio all'amore può vivere adesso anche l'Apostolo e con lui tutti quelli che nello stato dei consigli o nello stato presbiterale servono spiritualmente la comunità e stanno così nei confronti dello stato laicale « in un rapporto di dare e ricevere » ( Fil 4,15 ), grati per quello che si è ricevuto, ma ancor più grati per il fatto che « siete stati finalmente di nuovo nella felice condizione di darvi pena per me » ( Fil 4,10 ).
Il secondo contributo dei laici consiste nel render trasparente l'eros e il sesso alla « caritas » cristiana.
Anche se l'integrazione perfetta dell'ordine sessuale nella sintesi paradisiaca non può più riuscire, c'è realmente un « matrimonio onorabile in tutto, un talamo immacolato » ( Eb 13,4 ), e quelli che vietano il matrimonio sono spiriti menzogneri e sostengono dottrine diaboliche ( 1 Tm 4,1-3 ).
L'immagine originaria della Chiesa è il Verbo incarnato, la Vergine che diventa madre: così nella tensione all'incarnazione dell'amore matrimoniale non può esserci niente di impuro.
Già il Cantico dei cantici aveva fatto diventare le forze dell'eros trasparenti all'amore tra Jahwé e Israele.
Adesso che la Parola di Dio stessa si fa carne e ottiene potere su ogni carne ( e quindi potere anche sulle forze della carne ), anzi offre la sua carne a mangiare, per la vita del mondo, questo eros, anche se mortale e decaduto a causa del peccato, non è inaccessibile alla grazia della redenzione.
Questo però soltanto se l'unione matrimoniale, che fa di uomo e donna una carne sola, diviene segno dell'unione definitiva e irrevocabile del Signore offrentesi sulla croce con la sua sposa, la Chiesa, e nella sua indissolubilità diventa un sacramento dell'amore divino e cristiano.
Un matrimonio cristiano condotto santamente fa risplendere la Chiesa davanti al mondo.
Il terzo contributo dei laici consiste nella prova che il cristiano non solo nell'offerta della sua libertà di decisione, ma anche nella permanente autonomia del poter scegliere può inserirsi nell'onnicomprensiva obbedienza della Chiesa al Signore.
Il mondo non cristiano, anzi già il mondo non cattolico per lo più misconoscerà questo segno luminoso di un'obbedienza alla Chiesa del libero laico, si scandalizzerà di ciò o lo disprezzerà, spesso però lo guarderà anche con una segreta invidia, in questa obbedienza non frenato od ostacolato, ma addirittura perviene in questa obbedienza non frenato ed ostacolato, ma addirittura perviene proprio così alla sua più profonda liberazione.
Anche se egli ogni giorno può programmare la sua strada in modo nuovo, vive però sotto la legge dell' « una volta per tutte » di Cristo ( Eb 7,27 Eb 9,12 ), nella quale egli è stato sigillato col Battesimo.
« Sempre nuovamente » ( Eb 9,25s ) il laico deve porre la sua libertà all'interno del sacrificio, senza poter rinunciare definitivamente ad essa come fa colui che vive nello stato dei consigli, altrettanto quanto egli non deve rinunciare neppure al matrimonio e al possesso dei beni.
Questi contributi del laico, presi dagli ordinamenti mondani e consacrati nella Chiesa, non sono facili da prestare e ancora più difficili sono da mantenere, ragion per cui sono qui opportuni molteplici prospetti di avvertimenti.
In essi rientrano le quasi minacciose parole contro i ricchi, parole di Gesù ( Mc 10,23 ), invettive quasi veterotestamentarie della Lettera di Giacomo ( Gc 5,1-4 ), e inoltre i consigli di Paolo circa il retto uso del matrimonio, che egli ingiunge anche e soprattutto ai cristiani ( 1 Cor 7,1-16 ), e infine le ammonizioni sull'abuso di libertà del cristiano, pronunciate in una battaglia su due fronti contro il legalismo giudaico e la licenziosità pagana.
Da una parte: « Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù » ( Gal 5,1 ).
Dall'altra: « Voi, fratelli, siete stati chiamati alla libertà.
Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri » ( Gal 5,13 ).
In tutti e tre gli ambiti il laico viene continuamente ammonito a superare il suo « esser diviso » attraverso un trascendimento degli ordinamenti mondani decaduti in preda al peccato, verso la vera idea di essi, contenuta in Cristo: « Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi, ( … ) a voi uomini così divisi in voi stessi » ( Gc 4,8 ).
Tutto questo è detto in vista dell'edificazione di una Chiesa che sia poi in grado di operare come sole sul mondo, o per meglio dire: come universale sacramento di salvezza.
Il movimento, con il quale la Chiesa inserisce il mondo in sé per trasformarlo in se stessa, è fondamentalmente universale, in quanto solo la Chiesa, con la sua appartenenza a Cristo e a Dio, conserva la forza della trasformazione: « Tutto è vostro; voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio » ( 1 Cor 3,23 ).
2. Ma questa forza di assimilazione, che dal combustibile del mondo accende il fuoco della Chiesa, è solo una parte dell'avvenimento della missione.
L'altra è l'uscita da se stessa della Chiesa inviata per entrare all'interno degli ordinamenti del mondo.
Sarebbe unilaterale ritenere che questa penetrazione sia esclusivamente o anche solo primariamente questione dello stato laicale di vita nel mondo.
C'è prima un altro criterio: quello del formato della missione, e le missioni grandi e qualitative spettano primariamente allo stato dei consigli.
Questo viene posto nello stato di Cristo, per poter partecipare all'ampiezza della sua missione mondiale complessiva.
È primariamente lo stato dei consigli il sale della terra, la luce del mondo, la città posta in cima al monte, visibile da lontano e operante come punto di orientamento.
Ma le dimensioni della missione nello stato dei consigli, come abbiamo già visto nel primo punto, possono essere fissate in maniera assai diversa.
C'è in primo luogo l'intima fecondità di una grande missione, e questa fecondità può essere altrettanto effettiva se essa rimane invisibile - come la preghiera e il sacrificio di una carmelitana - come se invece si fa visibile - come l'apostolato di un S. Francesco Saverio.
Importante è in primo luogo solamente che il « più che mai » ( Je-Mehr ) della rinuncia e dello stare presso Cristo solo garantisca anche il « più che mai » dell'efficacia, così come la tensione all'indietro della corda dell'arco garantisce la lunga gittata della freccia.
E questa rimane la legge fondamentale, che nessuna assimilazione alla moda del mondo per essere, come si dice, più vicino ad esso, può soppiantare.
Questa ansia di assimilazione al mondo riposa per lo più su di un « arrossire per il Vangelo » ( Rm 1,16 ) e su una timidezza davanti allo scandalo cristiano, poiché il cristiano che vive la missione può essere « profumo di Cristo » e « un odore di vita, che porta la vita » solo se egli non ha timore di essere per altri « un odore di morte, che porta morte » ( 2 Cor 2,15s ).
Solo una volta detto questo si può parlare di una cooperazione tra stato dei consigli e stato laicale di vita nel mondo, e di conseguenza anche fra stato presbiterale e stato laicale ( ambedue le coppie sono tanto più vicinamente dappresso, quanto più i preti in questione sono ripieni dello spirito del Vangelo ).
Si tratta poi di far sì che dallo stato dei consigli o dallo stato d'elezione nel suo complesso partano impulsi che a partire dallo spirito del Vangelo devono richiedere cambiamenti decisivi nel mondo, ma in mancanza di una potestà o competenza propria devono lasciarne l'esecuzione ai laici.
Ingiuste strutture sociali, rapporti sociali che gridano vendetta verso il cielo vengono stigmatizzati da vescovi, preti e religiosi, ai quali incombe la formazione delle coscienze, ma assai spesso bisogna ammonire i religiosi come i chierici dall'assumere solamente analisi sociologiche già correnti come condizione previa per i cambiamenti pratici: già questi è meglio che li lascino a specialisti ben formati, e più che mai il giudizio su quali siano i mezzi cristianamente sostenibili con cui poter affermare o almeno avvicinare le esigenze del Vangelo.
Per questo giudizio non sono sufficienti diagnosi dilettantistiche, ma solo indagini specialistiche nell'insieme dei nessi dell'economia mondiale.
Come nel Medioevo avrebbe solo condotto ad un dilettantismo se i monaci contemplativi stessi avessero preso in mano compasso e filo a piombo, mentre loro missione era solo di comunicare ai costruttori delle cattedrali l'ispirazione spirituale, così sarebbe oggi dilettantismo se religiosi e chierici volessero presumere di poter offrire la soluzione delle concrete questioni economiche e sociali, invece di impegnarsi a far sì che ai laici adatti si aprano gli occhi e i cuori, e comincino a lavorare alla costruzione di un ordine sociale cristiano.
Altrimenti si ricadrebbe nei corti circuiti medievali, in cui papi e religiosi bandirono crociate mondane che nonostante tutta la loro generosità erano cristianamente solo un equivoco.
Certo la situazione non è del tutto paragonabile, poiché tutta la cristianità spirituale-mondana viveva allora in una visione del mondo ( Weltsichf ) sacrale-simbolica, mentre nel mondo secolarizzato di oggi la distinzione delle sfere di competenza è molto più facile.
Mentre allora i capi spirituali pensavano di doversi comportare anche da capi politici, e i capi politici anche da capi spirituali, dall'inizio dell'epoca moderna molte dolorose esperienze hanno condotto la Chiesa alla comprensione che l'autentica unificazione è da trovare nell'autentica distinzione delle competenze di stato.
Ne l'autorità spirituale con la sua rinuncia al potere mondano ha perso di considerazione - al contrario - ne la penetrazione cristiana del mondo ha perso di forza d'urto per il fatto che non brandisce più la spada del crociato.
Oggi il decisivo atteggiamento di fiducia degli stati d'elezione nei confronti dello stato laicale nel mondo sta nel porgere e tenere aperta la verità evangelica, il cui impiego per la rispettiva situazione mondana non può essere ridotto ad alcuna formula atemporale.
A sua volta il laicato non può aspettarsi dalla « Chiesa » delle soluzioni belle pronte, se egli stesso non vuole privarsi del privilegio della sua libertà e maturità cristiana.
Si costringerebbe in tal modo la « Chiesa » a diventare una Chiesa della casistica, che impone la « legge come pedagogo » ai laici che ritornano ad essere sottoposti a « tutori e amministratori » ( Gal 4,1s; Gal 3,24 ).
L'una e l'altra cosa si devono realizzare soltanto insieme: l'assunzione di autonomia dei laici competenti e la loro piena ricezione dello spirito cristiano.
Laddove essi, sotto la guida degli stati d'elezione, nell'autentica contemplazione si appropriano dello spirito della Chiesa e sono posti così in grado di tradurre nella loro opera i frutti della loro contemplazione, la tutela clericale diventa di per sé superflua.
Quanto più dunque i laici sono riempiti internamente dello spirito degli stati d'elezione, tanto più essi si liberano della dipendenza esteriore da essi.
Se essi fossero in questa maniera rimasti consapevoli della loro piena responsabilità cristiana, presumibilmente non sarebbe diventato necessario che il ministero ecclesiastico emanasse encicliche così dettagliate circa l'ordinamento sociale, la questione operaia, il matrimonio, l'educazione.
Naturalmente il ministero ha la facoltà di dire una parola su questioni di importanza vitale, ma che nell'epoca moderna questa parola dovesse diventare così concreta e particolareggiata mostra bene che i laici non erano sufficientemente consapevoli delle competenze loro incombenti, per cui la Santa Sede dovette circondarsi di uno staff di esperti di sociologia religiosa e di altri specialisti, per portare la sua parola spirituale all'interno di ambiti in cui solo il laico che vive nel mondo può prendere decisioni con la dovuta cognizione di causa.
E tuttavia, se ripensiamo a ciò che abbiamo detto all'inizio di questa seconda considerazione, l'esigenza di questa divisione di competenze non può significare che la parte di Chiesa rivolta al mondo sia riservata ai laici, mentre gli stati d'elezione dovrebbero limitarsi alla rappresentazione della parte di Chiesa che trascende il mondo.
Ogni grazia cristiana contiene sempre anche la sua missione nel mondo.
Ma se, come detto, le grandi missioni qualitative esigono lo stato dei consigli, affinché l'inviato sia sotto tutti gli aspetti libero e disponibile per il suo compito che spetta a lui solo, questo non impedisce che proprio a partire dallo stato dei consigli l'intero arco venga tirato fino a raggiungere anche il - competente! - dominio degli ordinamenti mondani.
Questa sintesi la vogliono realizzare permanentemente i membri delle comunità di vita nel mondo ( instituta saecularia ), mentre un tentativo analogo nello stato clericale, l'esperimento dei preti operai, ultimamente può essere solo un « segno », qualcosa di provvisorio, poiché mentre il prete lavora in fabbrica non può esercitare le sue normali funzioni presbiterali.
Nella forma di vita degli istituti secolari, invece, non c'è alcun compromesso fra « Chiesa » e « mondo », né fra « stato dei consigli » e « stato laicale »; si cerca solamente di mantenere l'intera tensione dell'arco della missione.
Che questo è possibile senza compromessi lo ha mostrato con la sua vita tanto ai preti operai quanto agli istituti secolari la figura certamente più pura di questa forma di vita: Madeleine Deibrél.
( Spazziamo via qui innanzitutto un malinteso che sembra sviare molti spiriti.
I membri degli istituti secolari insistono nel voler esser registrati negli schedari ecclesiastici non come « religiosi » - cioè come membri di un ordine religioso o di una congregazione -, ma come laici.
Gioca qui semplicemente la molteplice ambiguità del concetto di laico, di cui parlammo all'inizio.
Da una parte fanno parte del « làos », del popolo di Dio, tutti i cristiani, in qualunque stato essi vivano.
D'altra parte - e questo è più importante - lo stato dei consigli ha assunto lungo la storia della Chiesa forme forgiate e condizionate storicamente, che vennero anche codificate canonicamente, di fronte alle quali nuove forme dello stesso stato di vita possono a ragione distaccarsi, nel caso che per esse basti soltanto l'osservanza delle esigenze fondamentali di questo stato, cioè vivere secondo i consigli evangelici.
Questo vivere secondo i consigli è però per gli istituti secolari fondamentale e vincolante.
Essi possono perciò, denominandosi laici, distanziarsi dalle altre forme dello stato dei consigli, ma devono però essere coscienti che con questo non giungono a stare al di fuori dello stato dei consigli.
Se essi, per sottolineare il loro essere laici, considerano i consigli evangelici come potenzialmente già promessi solennemente nel voto battesimale, questo può venire accettato, nel caso che si ponga l'accento sul « potenzialmente » - giacché ogni cristiano è in effetti obbligato a seguire lo spirito dei consigli -, ma il passaggio all'obbligo di una « attuale » vita secondo i consigli sarà però sempre, teologicamente, l'elemento che qualitativamente fonda Io stato.
Come l'ambiente cristiano e non cristiano consideri o debba considerare i membri di tali comunità è teologicamente irrilevante.
Ma negli istituti secolari si può anche vedere chiaramente che il punto che collega la vita secondo i consigli e la vita nel mondo è la verginità, la quale è qui nuovamente, come nei primi tempi della Chiesa, il germe da cui scaturisce l'intera vita secondo i consigli, d'altra parte però anche la possibilità di vivere in mezzo al mondo, nel proprio posto di lavoro, non separati dalla famiglia, dalla comunità, dai colleghi.
La verginità, considerata dal punto di vista fisico e sociologico, è una sola, ma ha due volti: uno naturale e l'altro soprannaturale.
In tal modo la persona che vive in un istituto secolare ( o in un gruppo analogo, che coltivi la vita secondo i consigli ) può realizzare interamente la vita secondo i consigli senza abbandonare il proprio posto nel mondo.
Certamente la sua obbedienza ai consigli sarà « adeguata » a questa sua posizione nel mondo, ma senza che per questo essa venga ammorbidita e limitata: sempre deve poter venir richiesta piena prontezza e disponibilità come concretizzazione di quell'atteggiamento che la Chiesa fondamentalmente dovrebbe poter presupporre presente in ogni credente.
Le tensioni che la nuova forma dello stato dei consigli deve sopportare e dominare diventano pienamente visibili allorché si tratta non più soltanto di lavoro in mezzo agli strati sociali del proletariato, ma in tutte le professioni mondane, anche e proprio in quelle che forniscono il responsabile di forme diverse di potere, culturale o materiale.
La richiesta rivolta a tutti i cristiani di « possedere come se non si possedesse » diventa in simili missioni assunte a partire dalla vita secondo i consigli tanto difficile quanto, se adempiuta, feconda.
Qui infatti può riuscire un'infiltrazione nella mondanità lontana da Dio o a lui contraria, a partire dallo stato di vita presso Cristo, che è il libero, personale e trascendente Signore di tutte le cose mondane e di tutte le potenze e le forze che operano in esse.
Forse però simili missioni di amministrare per il bene dell'umanità un grande potere a partire dall'impotenza cristiana della Croce sono tanto rare quanto lo sono autentiche missioni di piena e assoluta contemplazione.
3. Nella sua essenza la Chiesa è inviata, è apostolica.
Tale essa rimane in quanto « non di questo mondo », procedente da Cristo verso il mondo, senza mai essere definitivamente arrivata in esso.
Di questo non c'è pericolo, poiché difatti la resistenza del mondo è troppo forte, è forse addirittura in continua crescita, quanto più alla libertà portata da Cristo si contrappongono forme di libertà autonoma illuministica nate dalla disgregazione e dalla opposizione interna di quella originaria libertà.
La sorte di Cristo - « e i suoi non lo ricevettero » - rimane per la Chiesa insuperabile: « È sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro, e per il servo essere come il suo padrone » ( Mt 10,25 ).
« Come hanno perseguitato me, così perseguiteranno anche voi » ( Gv 15,20 ).
Il non essere accolta e venir perseguitata apparterrà addirittura al destino della Chiesa nel mondo altrettanto quanto la Croce appartiene al destino di Gesù sulla terra.
Egli ha vinto fallendo; la Chiesa nel fallimento si ricorderà che la sua fecondità non la si può leggere dai successi terreni, dalle statistiche circa il numero e il comportamento dei credenti.
Come in Israele il piccolo resto diventò l' « Israele di Dio » inteso in senso definitivo, così nei grandi assembramenti ecclesiali vale rispettivamente il « piccolo gregge ».
Di esso soltanto vale che i cristiani sono, come dice la Lettera a Diogneto, l'anima del mondo.
« L'anima abita infatti nel corpo, ma non ha origine da esso; anche i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo ».
L'inabitare non è qualcosa di casuale, eliminabile: « L'anima è racchiusa nel corpo, ma è essa che tiene insieme il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma sono essi che tengono in piedi il mondo ».
Dunque un legame di ciò che è superiore, più alto, in ciò che è inferiore, che riceve la sua forma da questo legame, ma che ciononostante si rivolta contro la legge che gli ha dato forma: « La carne odia l'anima e combatte contro di essa, senza che le sia stato fatto alcun torto, poiché essa le impedisce di indulgere ai piaceri; parimenti anche il mondo odia i cristiani, che non gli hanno fatto torto alcuno, poiché essi offrono resistenza ai piaceri.
L'anima ama la carne e le membra, nonostante il loro odio, e anche i cristiani amano coloro che li odiano ( … )
Nutrita scarsamente di cibo e bevanda, l'anima guadagna in perfezione, ed anche i cristiani guadagnano di giorno in giorno, mentre vengono perseguitati.
In una posizione così eccellente li ha collocati Dio!
Essi non hanno perciò alcun diritto di abbandonarla ».
Solo se la carne, il mondo, si lascia condurre in alto dall'anima, dalla Chiesa, al di sopra delle proprie leggi e dei propri fini, rimane carne vivente, mondo pieno di senso: solo a partire dalla legge dell'amore cristiano si possono realmente organizzare gli ordinamenti sociali, politici, economici.
Ma invece di vedere la via alla propria liberazione in questo obbligo di superare se stesso, il mondo si sbarra contro la libertà in Cristo, e l'odio col quale esso perseguita la Chiesa la purifica sempre nuovamente dal pericolo di decadere a essere sottomessa al mondo e la restituisce alla sua autentica missione, togliendole l'illusione di potersi esprimere completamente in ciò che è mondano ( così come l'anima vorrebbe esprimersi completamente nel corpo, ma non lo può ), di trasformare la redenzione escatologica in liberazione intratemporale, l'amore crocifisso in umanitarismo.
Dio, che rimane sempre mistero, in realtà finalmente pienamente svelata, mondanità che possiede se stessa.
Quanto più fortemente la superiore legge configurante della Chiesa si imprime nel mondo, tanto più questo cerca di impossessarsi di questa legge è di svuotarla con mezzi mondani di tutto il suo contenuto, finché della Chiesa non resti più che un vuoto velo ( « istituzione », « establishment » ).
Allora sarebbe fornita la prova che corpo, mondo, materia, bastano a se stessi.
Così alle forme di vita ecclesiali non rimane altro da fare che differenziarsi sempre più coscientemente, per amore della missione universale della Chiesa, dal mondo-corpo, compiendo un passo deciso incontro a Colui che come origine e capo della Chiesa è allo stesso tempo Arké e Télos, Alfa e Omega dell'intera creazione.
Indice |
1 | Olegario Gonzales de Cardenal, Elogio de la Emina ( ed. Sìgueme, Salamanca 1973 ) |