Gli stati di vita del cristiano

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Prefazione a mo' di istruzione per l'uso

Che cosa questo libro vuol essere

Niente di più che una dettagliata meditazione sui fondamenti e i fondali della meditazione degli "Esercizi" di S. Ignazio concernente la « chiamata di Cristo » ( Eserc. 91 ), sulla risposta da dare a questa chiamata qualora « ci si voglia lasciare maggiormente afferrare » ( ibid. 97 ) e sulla scelta davanti alla quale questa chiamata ci pone: seguire Cristo nostro Signore « nella prima condizione di vita, quella che consiste nell'osservanza dei comandamenti », di cui egli ci ha dato l'esempio nella sua obbedienza nei confronti dei genitori, oppure « nella seconda condizione di vita, quella che consiste nella pienezza del Vangelo », allorché egli lasciò la sua famiglia « per essere libero nel puro servizio del suo eterno Padre ».

E questo « affinché in qualunque stato o condizione di vita Dio nostro Signore ci dona per sceglierlo, possiamo pervenire alla perfezione ( dell'amore cristiano naturalmente ) » ( ibid. 135 ).

L'Autore acclude al suo direttorio un'istruzione: ci vuole più di un motivo per imboccare la prima come la seconda strada.

Questa nostra meditazione vorrebbe arrivare a comprendere perché questo atto di scelta di uno « stato o condizione di vita » è possibile e inevitabile « nell'ambito della Santa Madre, la Chiesa gerarchica » ( ibid. 170 ), da dove questo aut-aut abbia origine-giacché ambedue possono condurre alla medesima « perfezione dell'amore », come dunque la medesima cosa, considerata sotto differenti punti di vista, possa essere assoluta e relativa.

Così noi prendiamo le mosse dalla piena serietà dell'esercitazione nell'atto fondamentale della vita cristiana, come gli « Esercizi » la vogliono rendere, riconoscendo questa serietà come quella del Vangelo stesso, dell'incontro personale del credente con Gesù Cristo, senza in alcun modo metterla in secondo piano annacquandola.

Anzi ci interroghiamo all'interno di essa, cioè all'interno dei dati ecclesiali strutturali e storici nei quali soltanto il cristiano incontra il Cristo concreto e che per quanto riguarda chiamata, stato di vita e scelta non sono sostanzialmente mutati dal tempo della compilazione degli Esercizi.

Questa assunzione dell'interpretazione ecclesiale del Vangelo fa sembrare la nostra trattazione ingenua e attaccabile; non c'è però nessun aspetto di questa interpretazione che non venga contestato e la cui puntellatura « scientifica » non esiga lunghi mercanteggiamenti, i quali però alla fine non soddisfano nessuno che non condivida il punto di vista ecclesiale.

Ciò che viene presupposto

1. Che all'interno della Chiesa, nella quale tutti i cristiani sono da Dio chiamati a stare, e che costituisce per tutti l'unico luogo dove « si sta », esistono diversi « stati » che stanno l'uno di fronte all'altro e si completano a vicenda.1

A noi interessa la questione « stato », non l'antichità del termine2 o la sua ( presunta ) dipendenza da una immagine del mondo medievale;3 la stessa cosa venne chiamata ( ed è da Ignazio chiamata ) ugualmente « condizione di vita », « vita ».4

E noi cerchiamo di approfondire quale sia la provenienza teologica di questa opposizione che nella vita di Gesù ( e di Maria ) si spalanca e allo stesso tempo viene superata, e cerchiamo anche di documentarla nello « stato della natura decaduta », in cui quella sintesi da collocare alle origini si ritrova frantumata.

Su ciò parleremo più avanti.

2. Che Gesù Cristo, per garantire l'unità della sua comunità, nella chiamata dei Dodici e nella richiesta di una sequela radicale operò una divisione primaria, in cui il momento personale ( la decisione di condividere la Sua vita ) era decisivo, mentre il momento del ministeriale ( cioè del « presbiterale » della Chiesa posteriore, in contrapposizione al laicato ) ne conseguiva solo secondariamente.

In questa proposizione giace un presupposto fondamentale di tutta la nostra via di pensiero.

Detto sommariamente questo significa cioè un'unione personale di stato dei consigli e stato sacerdotale in coloro che sono stati « specialmente » eletti alla sequela ( la parola « specialmente » non si può qui evitarla ), ma anche un primato, non solo temporale ma pure qualitativo, della condizione di vita ecclesiale che segue i consigli evangelici nei confronti del ministero ecclesiale.5

Cristo vuole primariamente non tanto fondare una Gerarchia, quanto piuttosto guadagnare uomini nella Sua personale sequela, che conduce alla riconciliazione universale con Dio attraverso l'amore rinunziante e infine crocifisso: essi dovranno insieme con lui essere « luce del mondo ».

La teologia antica ha senz'altro visto ciò,6 e l'ultimo Concilio lo presuppone come ovvio.7

A partire dal libro di Martin Hengel ( « Sequela e carisma » )8 non c'è più bisogno di occuparsi di esegeti minimalisti che vedono in Gesù solo una specie di rabbi il quale, analogamente ad altri, accettò allievi « a tempo », mentre soltanto dopo Pasqua il rapporto di elezione sarebbe stato compreso come qualcosa di assoluto, che esige la vita intera.

Perciò anche il fondamentale ( sempre citato e sempre contestato ) studio di Heinz Schurmann ( « Il gruppo dei discepoli di Gesù come segno per Israele e come modello dello stato dei consigli ecclesiali » )9 per tutto ciò che è essenziale conserva validità.

Da ciò risultano due cose:

1. Con la richiesta dell'intera persona di coloro ai quali Gesù a suo tempo trasmetterà i pieni poteri ministeriali ecclesiali è data una permanente ordinazione del sacerdozio ministeriale alla partecipazione personale al sacerdozio di Cristo ( nello « stato dei consigli » ), per quanto flessibile e variabile questa ordinazione venga intesa lungo la storia della Chiesa.

2. Se ambedue gli « ordines »10 sono funzionalmente - in quanto « servizi » - ordinati allo status fondamentale della Chiesa come tale ( del laos, del popolo ), essi sono tuttavia lo stato soggiacente ( Unterstand ) che rende possibile e che porta su di sé questo status fondamentale ( Grundsfafus ), e cioè in modo tale che la Chiesa è in primo luogo fondata sul ministero ( Ef 2,20 ) e su di esso rimane fondata ( Ap 21,14 ), ma il ministero a sua volta è fondato su quella dedizione totale della Ecclesia immaculata ( Ef 5,7 ), sullo stato di coloro che devono perlomeno rappresentare l'amore perfetto.11

3. Non ci impegoliamo perciò nella problematizzazione esegetica dell'origine evangelica dei « tre consigli evangelici ».

Naturalmente essi sono stati - come per esempio anche il numero dei Sacramenti - solo più tardi enumerati e messi in luce come gli elementi configuranti dello « stato dei consigli », e ciò naturalmente mai slegato dal loro significato cristiano: quello di essere un adeguamento alla dedizione d'amore di Gesù al Padre e agli uomini.

E certo i tre « consigli » hanno nel Vangelo e presso Paolo radici svariate, ma questo non impedisce che essi l'uno insieme all'altro esauriscano il campo di ciò che si può offrire,12 cosicché essi non sono dei consigli qualsiasi fra altri consigli di Gesù.

Se gli evangelisti e la Chiesa dei primordi con pieno diritto allargano analogamente i consigli da seguire alla lettera in una comprensione ( solo ) spirituale ( cfr. Eserc. 98 ), ciò non impedisce loro di mantenersi solidamente legati al loro fondamentale senso letterale.13

Soltanto pregiudizi esegetici ( che minimalizzano la richiesta di sequela di Gesù ai discepoli ) possono rifiutare come non biblico il concetto di sequela « speciale » ( o, come noi diremo, « qualitativa » ).14

E se la Chiesa primitiva vive veramente nel suo insieme in un'atmosfera di comprensione realistico-spirituale dei « consigli » ( = « vita apostolica » ), l'ovvia esistenza in mezzo ad essa di « vergini » e « asceti » testimonia che essa non tentò di spiritualizzare la forma di vita della sequela speciale.15

Le « duae vitae », che rinviano l'una all'altra, esistono sin dall'inizio, e non meno il ministero sacerdotale, il quale attraverso la storia cerca in maniera spesso drammatica di determinare il suo rapporto con le « duae vitae »; su ciò ritorneremo dettagliatamente nel testo.

Molti chiameranno ingenua la maniera in cui noi seguendo la tradizione riconduciamo a Gesù ciò che contraddistingue la condizione di vita dei consigli.

Similmente chiameranno « non critica » la nostra maniera di trattare la Scrittura, le cui parole noi frequentemente citiamo a illustrazione delle nostre intenzioni di fondo.

Proprio così! Noi prendiamo la Scrittura come un tutto ispirato, che inoltre si interpreta essenzialmente nella Tradizione e nella storia della Chiesa.

Un tentativo e i suoi limiti

1. Con ciò non è ancora espresso il centro del nostro intento.

La fruttuosa opposizione degli stati di vita nella Chiesa, i quali da una parte rinviano l'uno all'altro ( e perciò possono rispettivamente sotto diversi aspetti rivendicare per sé il primato ),16 dall'altra permettono determinate sovra e subordinazioni, che sotto pena di anatema non si possono negare,17 rimanda ultimamente al mistero della Chiesa, e precisamente ad essa non come organizzazione esteriore, ma come prolungamento di Gesù Cristo, il quale per salvare la natura umana sceglie il suo stato di vita precisamente nella missione del Padre, che lo manda nel mondo per compiere là la volontà del Padre « come in cielo così in terra », e far così « venire » il « Regno di Dio » sulla terra.

Paragonata con la posizione sociologica dell'uomo intramondano la sua posizione è eccentrica, poiché in un senso più profondo essa è, di fronte a Dio, concentrica.

L'eco proto-ecclesiologica di tale posizione è lo stato di Maria ( come modello della Chiesa ), la quale ottiene la fecondità della maternità dalla obbediente-povera verginità.

2. Questa posizione eccentrico-concentrica in favore della salvezza della natura umana sembra però ora rinviare indietro verso una posizione primordiale dell'uomo: concentrico verso Dio, ma non per questo eccentrico verso il cosmo.

Certo, se dal mistero ( Mysterion ) Cristo-Chiesa rivolgiamo lo sguardo indietro verso l'uomo nello stato primordiale, il quale non abbisognava ancora di alcuna salvezza e redenzione, si innalza davanti a noi un non meno grande mistero ( Geheimnis ), che i Padri della Chiesa guardarono con meraviglia, mentre noi o non lo vediamo o lo sfuggiamo imbarazzati.

Senza dubbio Dio ha creato l'uomo non nell'estraniazione, ma lo ha creato « molto buono », nella rectitudo, per quanto riguardava la sua natura e la sua soprannaturale orientazione a Dio.

Questo stato originario lo colloca al di qua dei contrassegni di stato sorti più tardi divaricandosi l'uno dall'altro ( ricco-povero, libero-obbediente, fecondo-verginale ) e così ogni chiara ricostruzione rimane inaccessibile.

In lui appare però realizzata quella originaria sintesi dell'amore che è la misura assoluta: l'amore di Dio in se stesso, perciò anche Dio nella sua creazione; con questo amore noi introduciamo tutta la nostra trattazione.

Ma se nella ricostruzione dello stato originario andiamo a sbattere contro una prima barriera ( giacché non è possibile in alcuna maniera renderlo chiaro ), adesso andiamo a sbattere contro una seconda: da dove prendiamo i criteri per una simile descrizione dell'essenza dell'amore se non dalla Rivelazione, soprattutto dal Nuovo Testamento? Così Cristo, - a dispetto di ogni cronologia ( 1 Cor 15,46 ), viene a mettersi prima di Adamo: come vero Omega egli è anche il vero Alfa.

Ciò si rivela nel modo più chiaro dal fatto che la sintesi del paradiso terrestre rimane sempre in sospeso ( posse non peccare ) fintantoché Adamo non l'ha ratificata per se stesso con la sua scelta libera.18

Questa scelta originaria ( quale preferenza di Dio nei confronti del mio io ) non ha niente a che fare con la scelta ( di uno stato ecclesiale ) negli Esercizi, così come neppure è preceduta da alcuna « chiamata » analoga a quella cristiana.

Perciò nella nostra trattazione lo stato paradisiaco-qui legit intelligat! ( Mc 13,14 ) - solo in quanto cifra di unità può essere posto prima delle antitesi di stato di vita ecclesiali, una cifra che certo ci sembra indispensabile al suo posto, poiché la sintesi conclusiva di Cristo è codeterminata dalla caduta dall'unità, vale a dire dallo stato di peccato.

Così allora anche la descrizione introduttiva dell'unità dell'amore che sta prima di ogni operazione di sintesi rimane astratta; essa diventa sanguignamente concreta solo nel passaggio attraverso la sanguinosa « scelta » della Croce ( Eb 12,2 ), in cui nella totale rinuncia l'amore riguadagna la totale « gioia » dell'esser tutto in Dio e nel mondo.19

3. Solo nel corso della storia della salvezza diviene attuale la « chiamata » differenziante di cui, sempre in collegamento ad Ignazio, si occupa la terza parte.

Ma l'anticipazione dello « sfondo » ( 1a parte ), per quanto possa rimanere astratta ( anche il « principio e fondamento » ignaziano rimane a dire il vero relativamente astratto ), rende comprensibile secondo quale oggettivo parametro ogni chiamata alla sequela si verifica, e secondo quali soggettivi parametri di valore deve far seguito la risposta del chiamato.

Sempre tuttavia si tratta, secondo Ignazio, « in ogni stato o condizione di vita » che la chiamata ci pone davanti da scegliere, « di pervenire alla perfezione »20 dell'amore.

Sempre si tratta inoltre di un assoluto che impegna l'intera esistenza, per la qual cosa la scelta dello stato è un ephàpax, un « una volta per tutte ».21

Ciò che non trattiamo

Con quanto detto è tracciato l'orizzonte della nostra trattazione; si vede, con delusione, quante cose rimangono escluse: la maggior parte di ciò che oggi - in parte con piena ragione - agita gli animi.

Niente di diretto circa l'aggiornamento degli stati di vita, che il Concilio ha messo in moto ( il modo adeguato ai tempi di vivere i consigli evangelici, il rapporto degli stati ecclesiali alle grandi correnti mondiali di oggi, i presupposti filosofici per lo stato di vita cristiano ideale ); niente circa la sterminata casistica del concreto stato di vita, i problemi attinenti allo scontro tra le norme generali dello stato di vita e i problemi di vita individuali; niente circa la possibilità di passare da uno stato all'altro.

Anche nel campo teologico molte cose rimangono escluse, principalmente l'Antico Testamento: lo sguardo si dirige centralmente verso la cattolica Chiesa di Cristo.

Le questioni connesse allo « stato di grazia » ( qui menzionato solo brevemente ) non fanno parte del tema.

Il tutto deve mantenere la struttura di una riflessione; per questo rinunciamo ad un apparato di note.22

Gli excursus ( stampati in piccolo ) di storia della teologia sono intesi solo a mo' di illustrazione, non vogliono in nessun modo essere una esauriente adduzione di prove.

Se il tutto può rivendicare una qualche attualità, allora essa è quella di una riflessione sull'unica cosa necessaria, attraverso un'inesorabile obiettiva messa a nudo della structura amoris.

Decisione non significa però unilateralità.

Chi si prende la pena di leggere il tutto verificherà che ogni elemento al suo posto presuppone tutti gli altri al loro; il moviménto di pensiero rimane ciclico, secondo una crescente integrazione, come si addice al pensiero cattolico.

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1 Ampia presenta2Ìone: Barbara Aibrecht, Stand und stande. Bine theologische Untersuchung, Paderborn 1962. Le molto dettagliate ricerche sul concetto mostrano quanto il termine "stato" sia polivalente, non solo fuori della Chiesa (sociologia, filosofia), ma anche nella teologia ecclesiale. (Su questa analogia cfr. anche G. Gundiach, "Stand", in Staatsiex. v, 1932, p. 45; "Stand", in LTK1 ix, pp. 768-769; B. Haring, "Stand", in LTK2 ix, 1009-1011.) Il lavoro di B. Aibrecht è debitore di alcune cose alle lezioni di Hermann Volk, che più tardi, come vescovo, dal suo lavoro ha creato anche iniziative: cfr. il suo Christenstand-Ordensstand, in "Or-denskorrespondenz" 1966, pp. 66-92 (oppure Ges. Schriften li, Mainz 1966, pp. 229-256)
2 Già prima di Tommaso ( S Th II, II q 183 ) è presente il termine: "La Chiesa antica parlava di status, stato dei laici, mentre i mèmbri dello stato 'religioso appartenevano all'orde. Questa distinzione venne presa a prestito dall'ordinamento sociale romano. Allo status del cittadino romano stava di fronte l'orde, uno stato qualificato, che a causa dell'ufficio o della posizione privilegiata portava con sé elevati diritti e obblighi speciali (si parlava di ordo senatorius ecc.) In maniera simile la Chiesa chiamava gli appartenenti allo stato religioso come appartenenti all'orde clericalis". (M.W. Pòchi, Geschichte des Kirchemechts, Wie^Munchen 1960, voi. i, p. 63 (citato da B, Aibrecht, p. 94)
3 W. Schwer, Stand und Stdndeordnung im Weltbild des fAittelalters, Pader-bom 1934
4 Vedi sotto, capitolo sullo "stato matrimoniale"
5 Cfr. su questo: Der antirómische Affekf, Herder 1975 (tr. it. Il complesso antiromano, Queriniana 1975), a proposito del primato dell'elemento mariano su quello petrino
6 Cfr. sotto, capitolo secondo della parte II c
7 Quando individua ( Perf. Car. 1,1 ) "la sua sorgente, al tendere all'amore perfetto sulla via dei consigli evangelici, nell'insegnamento e nella vita del divino Maestro". Circa i tré consigli: Perf. Car. pp. 12-14. Sul tutto: J. Martelet, Réflexion théologique sur le décret "P.C.", in "Vie consacrée" 38 (1966), pp. 32-46
8 Alfred Topelmann, Berlin 1968
9 Per la prima volta in Erbe und Auftrag, Weri 1963, ripreso in Vrsprung und Gestalt. Erorterungen und Besinnungen wm Neuen Testament, Patmos, Diisseldorf 1970, pp. 46-60
10 Cfr. nota 2
11 Cfr. le scene realistico-simboliche di Gv 21,15
12 Dei molti lavori sul tema ne sono menzionati soltanto alcuni: A. van Gansewinkel, Die Grùndage filr den Rat des Gehorsams m den Evangelio", Modiingen 1937; F. Mussner, Die evangelischen Rate und das Evangelium, in BM 30 (1954) pp. 485-493; H. Zimmermann, Christus nachfolgen. Bine Studio w den Nachfolgeworten der synoptischen Evangelien, in ThGl 53 (1963) pp. 244-255; W. Pesch, Die evangelischen Rate una das Neue Testament, in "Ordenskorrespon-denz" 4 (1963) pp. 86-96; Paul Lamarche, Les fondaments scripturaires de la vie religieuse, in "Vie Consacrée" 41 (1969) pp. 323-327; R. Schnackenburg, Die sit-tliche Botschaft des Neuen Testamenti i, Kosel, Munchen 1967, pp. 147ss.; id. in LThK2, ni, p. 1245s
13 Cfr. P. Lamarche, /oc. cit., p. 327: "La généralisation opérée par les évangeli-stes ne détruit pas ce qu'il y avait de particulier dans les récits de vocation"
14 Come per esempio P. Lippert CSSK: "Certo le parole circa la sequela restano valide anche dopo la Pasqua, ma esse ci sono però presentate secondo l'odierna configurazione del testo (!) degli evangelisti in collegamento con una visuale re-dazionale post-pasquale. Ma allora non si tratta più della continuazione di un rapporto di discepolato pre-pasquale (!) come modello (es. per i religiosi), ma di un atteggiamento di fondo cristiano in generale". "Ordenskorrespondenz" 10 (1969) p. 401
15 Su ciò Rene Carpentier, in "D. Spir. Ari. Etats de vie", iv/2 (1961) pp. 1406-1428. Con ragione l'Autore mostra che la originaria "communio sanctorum" lascia a mala pena diventar tematica la contrapposizione degli stati, e che di fronte a ciò alcuni irrigidimenti teorici e pratici della posteriore vita della Chiesa furono un vantaggio. Ma le distinzioni erano nondimeno-nel senso della dottrina paolina del Corpo Mistico-presenti, e il sorgere del monachesimo nel iv secolo non fu primariamente, come si potrebbe pensare, l'accentuazione di un vero e proprio stato, ma il tentativo di far continuare a vivere l'ideale, concernente la Chiesa intera, della "vita apostolica" delle origini. Su ciò cfr. Louis Bouyer, La me de S. Anfoi-ne, S. Wandrille 1950; Dom G. Morin, L'ideai monastique et la vie chrétienne des premier! jours, Paris (3) 1921. "Talem primum Christo credentium fuisse Ec-desiam, quales nunc monachi esse nituntur", dice Gerolamo (in De v'ir. ili. cantra Filon.) con tutta la Tradizione (testi in Fr. Bivarius, De veteri Monachatu, Lugd. 1662). L'opinione testimoniata da tutta la Tradizione viene sviluppata ancora una volta da R. Carpentier in: Témoins de la Cité de Dieu, (1965), che presenta la vita secondo i consigli come "abbozzo dell'ideale cristiano", e cioè non solo (come per lo più sottolineato) come segno escatologico della Chiesa perfetta dell'aldilà, ma come tentativo di dar corpo secondo le possibilità alla santità dell'oggi. Si-milmente L. Holtz, Ordensleben als Zeichen des Endzustandes, in OK 9 (1968), pp. 26ss.; G. Ligabue, La testimonianza escatologica della vita religiosa. Coli. Spiritua-litas, Paris, Vrin 1968. D'altra parte tutto il nostro studio si oppone alla tendenza a dissolvere o perlomeno ad annacquare la fruttuosa opposizione degli stati di vita che sin dall'inizio si caratterizzarono nella loro propria essenza particolare in una presunta originaria mancanza di forma di un "popolo di Dio democratico". La struttura della "Lumen Gentium" mostra più che chiaramente che una tal cosa era completamente lontana dalle intenzioni del Concilio, il quale pose in primo piano il concetto di "popolo" come nome della Chiesa. I tentativi in voga in Francia, ma anche qui da noi in Germania, di eliminare la differenza tra clero e laicato grazie al passaggio continuato tra servizi, ministeri, e infine "uffici" e "funzioni" (e qui di introdurre clandestinamente anche il sacerdozio delle donne) ci sembrano altrettanto non biblici quanto la cancellazione dell'opposizione fra verginità e matrimonio in una ridicola "third way"
16 Cfr. sotto, n C 5: Stato dei consigli, stato sacerdotale, stato laicale, così come le sottili argomentazioni di Barbara Aibrecht, /oc. cit., pp. 113ss., sulla "limitatezza degli stati"
17 "Si quis dixerit statum coniugalem anteponendum esse statui virginitatis vel caelibatus, et non esse melius ac beatius manere in virginitate aut caelibatu quam iungi matrimonio: anathema sit." Tridentinum, sess. 24, can. 10 DS 1810
18 Su ciò l'intera problematica sviluppata da Henri de Lubac in "Swnaturel", Aubier, Paris 1946
19 Questo ci può portare formalmente nelle vicinanze di Hegel, nella misura in cui anche presso di lui la sintesi dell'origine rimane astratta senza il passaggio attraverso la tragicità della storia e il Venerdì Santo speculativo. Ma in primo luogo a noi non interessa la storia mondiale, bensì la struttura degli stati della Chiesa, e in secondo luogo Cristo non è per noi un "principio", ma una persona incommutabile, nella cui libera offerta d'amore al Creatore poté essere assunta la responsabilità della creazione del mondo
20 Da questo punto di vista L. de la Puente redige la sua imponente opera tradotta in molte lingue: De la perfecciòn del cristiano en todos sus estados (3 voll.: Stato laicale, stato religioso, stato sacerdotale, Valladolid 1612; cfr. Sommervogel vi, 1285-1286). Circa la "vocazione" dal punto di vista del Concilio: La vocation et les vocations a la lumière de l'ecclesiologie de Valicati n (Centre nationale des vocations, Bruxelles 1966). In esso P. de Locht mostra molto bene la complemen-tarietà ecclesiale delle vocazioni. Noi consideriamo perciò che la contrapposizione tra l'opinione che considera lo stato dei consigli come configurante per tutti gli stati ecclesiali (così per es. R. Carpentier, loc. cit.; Seb. Aguilar, Vida evangelica, Bilbao 1966; id., Secularisazión y vida religiosa, Salamanca 1970) e l'idea che stato dei consigli e stato laicale siano necessariamente complementari per la Chiesa ( così per es. K. Rahner ) non sia un'autentica contrapposizione, come fa anche ad es. V. Codina S.J. ( Teologia de la vida religiosa, Ed. Razón y Fé, Madrid 1968 ). Tutto il nostro studio vorrebbe aiutare a dissipare l'apparenza di questa contrapposizione
21 Cfr. Klaus Demmer, Die Lebensentscheidung. Ihre moraltheologischen Grund-lagen (Miinchen 1974); id., Die unwiderrufliche Entscheidung. Vberlegungen sur Theologie der Lebenswahi, in "Internai. Kath. Zeitschrift: Communio", 3 (1974), pp. 385-398
22 Sovrabbondante letteratura si trova in riviste come: "Zeitschrift tur Aszese und Mystik", ora "Geist und Leben"; "Revue d'Ascétique et de Mystique", più tardi "Revue d'Histoire de la Spiritualité"; "Ordenskorrespondenz"; "Vie Consa-crée", "Thè Way", "Rivista di vita spirituale"; "Bibliographia Internationalis Spi-ritualitatis" (dal 1966) ecc. Si dovrebbe prestare attenzione ad un richiamo al nostro tempo che è degno di venir ascoltato: J.B. Metz, Zeit der Orden? Zur Mystik und Politik der Nachfolge, Herder 1977