Summa Teologica - I |
1 - L'introduzione seguente parla dell'uomo.
Ma l'argomento è così vasto, che ha già fornito le questioni più importanti e più numerose alla precedente.
L'uomo: a) natura e potenze dell'anima.
Ad esso rimandiamo per l'introduzione generale sull'argomento.
Nello studio delle facoltà dell'uomo siamo rimasti a mezza strada; perché un'indagine approfondita delle potenze esige l'analisi accurata delle loro funzioni.
Anzi, se l'esposizione non fosse sistematica, ma genetica, questa indagine avrebbe dovuto precedere.
Precisando ( dopo le limitazioni del trattato, cosi come è stato concepito nella Somma Teologica ), diremo che rimane da studiare il pensiero umano nelle sue manifestazioni e nel valore intrinseco dei suoi atti.
Si arriva in tal modo alla q. 89.
Dalla q. 90 alla q. 102 abbiamo invece una sezione completamente nuova: vi si parla delle origini dell'uomo, così come sono narrate nei primi capitoli della Genesi.
E si tratta di un'indagine in cui prevale l'interesse dogmatico; mentre nella sezione precedente prevale l'interesse filosofico.
Anche per quanto riguarda le fonti del pensiero tomistico si potrebbe stabilire già a priori che nella prima sezione, e cioè dalla q. 84 alla q. 89, le citazioni sono quasi tutte di autori profani; mentre in quella seguente sono prevalentemente bibliche e patristiche.
Ma basta una scorsa sommaria all' indice onomastico del volume per averne la riprova.
I « Nihil est in intellectu, quin prius fuerit in sensu ».
2 - Fermiamoci a considerare gli aspetti più discussi del pensiero tomistico, prima di affrontare la lettura dei testi, per procedere possibilmente con un orientamento sicuro.
Coloro che sono preoccupati di ricavare una criteriologia da contrapporre al criticismo dei moderni, facendo leva sulle principali evidenze di ordine soggettivo, si scandalizzano subito nel constatare che l'Aquinate, prima ancora di trattare della conoscenza che l'intelletto può avere di se stesso, si ferma ad analizzare la conoscenza intellettiva delle cose sensibili.
Lo scandalo sta in questo: si pensa e si scrive che S. Tommaso ha dato al problema gnoseologico un'impostazione metafisica ( cfr. ZAMBONI G., La gnoseologja di S. Tommaso d'Aquino, Verona, 1934, p. 6 ).
Lo scandalo cresce a dismisura quando si constata il suo attaccamento al principio aristotelico « Nihil est in intellectu, quin prius fuerit in sensu »; « non c'è conoscenza intellettiva che non sia passata attraverso i sensi ».
Cominciamo subito a rilevare che non è possibile confondere il realismo moderato di S. Tommaso col sensismo; il quale dà al suddetto principio un valore ben diverso.
Il Dottore Angelico è così persuaso della spiritualità dell'anima e dell'intelligenza, da sentire il bisogno di giustificare la possibilità stessa di una conoscenza intellettiva della realtà sensibile e materiale.
L'argomento che lo costringe a ritenere come unica fonte del pensiero immediato gli oggetti esterni apportati dai sensi, è la constatazione dello stato di potenzialità radicale in cui si trova la nostra intelligenza ( q. 87, a. 1 ).
E non si tratta di semplice impostazione metafisica del problema ( atto-potenza ) si tratta di una costatazione, di cui tutti possiamo fare in ogni istante l'esperienza.
3 - I sensi tuttavia non possono agire direttamente sull'intelletto; poiché i dati intellettivi non sono formalmente i dati della sensibilità infatti le nostre idee all'indagine razionale risultano Universali e immateriali.
Che cosa dobbiamo concluderne?
Siamo costretti a pensare che, oltre alla ben nota facoltà potenziale, la nostra anima deve possedere una facoltà attiva, capace di trasformare le immagini sensoriali, in altrettanti concetti.
A meno che non si voglia ricorrere, con S. Agostino, a una illuminazione diretta da parte della divinità, privando la creatura dell'autosufficienza in una funzione che formalmente le appartiene.
Ma è proprio vero che « non c' è conoscenza intellettiva che non sia passata attraverso i sensi »?
Una volta compreso il processo di astrazione, non ci sono difficoltà a dedurne che tutte le nostre conoscenze dirette e immediate passano dalla porta dei sensi.
La cosa è ben diversa se parliamo della conoscenza riflessa, o logicamente mediata.
Infatti, attraverso la riflessione noi possiamo conoscere, tra l'altro, il soggetto pensante, che naturalmente non può passare attraverso i sensi; e mediante il raziocinio possiamo risalire dalle cause seconde fino a Dio.
4 - Quello che rende ostica la gnoseologia tomistica a molti moderni è la complicazione delle specie intenzionali.
Alcuni non riescono a comprendere perché sia proprio necessario interporre il diaframma delle rappresentazioni soggettive, tra l'oggetto e il soggetto.
Essi pensano che la conoscenza debba esaurirsi nella rappresentazione soggettiva: questa è l'oggetto.
L'oggetto trascendente è un noumeno, un preteso dato conoscitivo, che non regge a una critica spregiudicata.
Io posso rendere conto delle mie idee e delle mie impressioni; ma è una pretesa ingenua asserire come stanno le cose nella loro realtà concreta e inesprimibile, posto che tale realtà esista.
Altri invece, senza accettare integralmente la critica dell'idealismo, pensano di arrivare alla realtà nella sua concretezza, attraverso l'elaborazione delle impressioni soggettive; e specialmente attraverso l'induzione e il raziocinio.
Tutte queste critiche partono da un equivoco fondamentale: i filosofi immanentisti di tutte le osservanze possiedono una concezione quasi meccanica della conoscenza.
Può sembrare, un paradosso, eppure è una semplice constatazione che sorge dal complesso delle loro critiche.
Infatti soltanto chi considera la rappresentazione soggettiva ( di ordine sensitivo o intellettivo, poco importa ) come una ripresa fotografica, può sospettare che il giuoco si esaurisca nella rappresentazione stessa.
Chi invece considera la specie intenzionale come la parte costitutiva di un atto inimitabile, quale è appunto la conoscenza, capisce che la rappresentazione è soltanto funzionale in quell'atto.
Questo infatti produce per se stesso evidenze immediate che nessuna elaborazione potrebbe altrimenti giustificare, e che nessun idealista riesce praticamente a mettere in dubbio.
Questa proprietà delle immagini eidetiche noi la chiamiamo astrattamente intenzionalità.
Ogni atto conoscitivo umano ha bisogno di una species intentionalis; che viene denominata anche specie vicaria, in quanto fa le veci dell'oggetto presso la facoltà conoscitiva.
É un dato soggettivo, perché funzione della facoltà medesima; deve però il suo principio formale all'oggetto, perché la facoltà è potenziale rispetto a quanto è chiamata a conoscere.
Nel momento in cui l'atto si produce, l'immagine svolge immediatamente la sua funzione formale: presenta l'oggetto.
Solo in un secondo tempo, se è spirituale come l'intelligenza, la facoltà potrà riflettere sul proprio atto e rivolgere l'attenzione sulla rappresentazione medesima.
Perciò nell'atto di intellezione, mediante la specie intenzionale, avviene una perfetta unione tra oggetto e soggetto.
« L'intelletto in atto è lo stesso intelligibile in atto », dice S. Tommaso.
Chi invece intendesse, come fa il Prof. E. P. Lamanna, che l'intelletto « s'identifica con le specie intelligibili » ( Storia della Filosofia, Firenze, 1947, p. 774 ), mostrerebbe di non aver capito perfettamente il pensiero dell'Aquinate.
La specie intelligibile infatti è essenzialmente funzionale, e noi ci accorgiamo della sua presenza solo in seguito a laboriose indagini filosofiche.
Soltanto il filosofo riesce a scorgere il lato soggettivo delle proprie idee.
E questa conoscenza dell'idea in quanto rappresentazione soggettiva deve portare a un certo relativismo, non allo scetticismo, molto meno poi all'idealismo.
- S. Tommaso per parte sua riconosce l'esistenza di oggetti intelligibili per se, che non sono intelligibili immediatamente quoad nos.
5 - Per il momento ci preme di mettere in evidenza questo fatto: le specie intenzionali sono per loro natura in funzione dell'oggetto; cosicché negare la loro capacità a stabilire l'unione intima, e intenzionalmente immediata, tra oggetto e soggetto, significa negare la conoscenza stessa; poiché ogni cognizione da noi sperimentata produce, merito o demerito che sia, l'evidenza di questa oggettività.
Chi tenta di mediare l'oggetto intelligibile, analizzando o elaborando le rappresentazioni soggettive, è come chi volesse rendersi conto dell'ora esatta, cominciando dallo smontare l'orologio.
Se questo vale per una qualsiasi conoscenza, molto più vale per la conoscenza intellettiva.
Perciò, come non è possibile ridurre la vita a un complesso di funzioni meccaniche, così non si può ricostruire o valorizzare l'intellezione, riducendola a una serie di impressioni o di immagini sensitive.
L'atto intellettivo è talmente originale, che bisogna accettarlo così com'è, cioè senza rinnegare nessuna delle immediate evidenze con le quali si presenta.
Gli errori di percezione intellettiva, se li analizziamo bene, non sono dovuti alla prima apprensione, ma alla precipitazione con la quale avanziamo dei giudizi sulle cose.
E sul giudizio influiscono tutte le tare fisiche e morali di un individuo, che non pregiudicano affatto la capacità naturale dell'intelligenza a percepire oggettivamente le cose.
Non bisogna poi dimenticare che ci sono delle percezioni complesse, che implicitamente contengono dei giudizi ( cfr. q. 85, a. 6 ).
Sta il fatto che noi abbiamo una tale fiducia congenita in questa rettitudine delle facoltà apprensive, da ricorrere ad esse tutte le volte che il dubbio viene a turbare la nostra mente.
Allora ricorriamo alle evidenze primigenie, e chiediamo all'esperienza immediata o la conferma delle nostre induzioni, o le analogie più sicure per controllare quanto abbiamo speculato intorno alle verità di ordine superiore.
Perciò non si può dire che la nostra conoscenza intellettiva si esaurisce nelle cose sensibili; ma in queste, che sono il suo oggetto formale, l'intelletto umano trova la base di partenza e il banco di prova.
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