Summa Teologica - I |
In 3 Sent., d. 14, a. 1, sol. 3; In 4 Sent., d. 49, a. 2, a. 6; C. G., III, cc. 53, 54; De Verit., q. 8, a. 3; q. 18, a. 1, ad 1; q. 20, a. 2; Quodl., 7, q. 1, a. 1; Comp. Theol., c. 105
Pare che l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio non necessiti di un qualche lume creato.
1. Nelle realtà sensibili ciò che di per sé è luminoso non necessita di un altro lume per essere visto: quindi neppure in quelle intellettuali.
Ma Dio è luce intellettuale.
Quindi non lo vediamo per mezzo di una luce creata.
2. Vedere Dio attraverso un mezzo non è vederlo per essenza.
Ma se lo vediamo con un lume creato lo vediamo attraverso un mezzo.
Quindi non lovediamo per essenza.
3. Nulla impedisce che ciò che è creato sia naturale a una qualche creatura.
Se dunque l'essenza di Dio è vista mediante un lume creato, un tale lume potrà essere naturale a qualche creatura.
E così quella creatura per vedere Dio non abbisognerà di alcun altro lume: il che è impossibile.
Non è dunque necessario che ogni creatura per vedere l'essenza di Dio abbia una luce supplementare.
Nei Salmi [ Sal 36,10 ] sta scritto: « Nella tua luce vediamo la luce ».
Tutto ciò che viene elevato a qualcosa che supera la sua natura ha bisogno di esservi disposto con una disposizione superiore a questa natura: come l'aria, per prendere la forma del fuoco, deve esservi disposta con una disposizione connaturale a tale forma.
Ora, quando un intelletto creato vede Dio per essenza, la stessa essenza di Dio diventa la forma intelligibile dell'intelletto.
Quindi bisogna che gli si aggiunga una qualche disposizione soprannaturale perché possa elevarsi a tanta sublimità.
Siccome dunque la potenza naturale dell'intelletto creato è insufficiente a vedere l'essenza di Dio, come si è dimostrato [ a. prec. ], è necessario che la capacità di intendere gli venga accresciuta per grazia divina.
E questo accrescimento di potenza intellettiva lo chiamiamo illuminazione dell'intelletto, come lo stesso intelligibile è chiamato lume o luce.
E questa è la luce della quale è detto [ Ap 21,23 ]: « La gloria di Dio la illumina », cioè la società dei beati contemplatori di Dio.
E in forza di questa luce i beati diventano deiformi, cioè simili a Dio, secondo il detto della Sacra Scrittura [ 1 Gv 3,2 ]: « Quando si sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è ».
1. Il lume creato è necessario per vedere l'essenza di Dio non nel senso che con questa luce diventi intelligibile l'essenza di Dio, che è intelligibile di per sé, ma perché l'intelletto divenga capace di intendere al modo stesso in cui ogni altra facoltà, per una disposizione abituale, diventa più capace di compiere il suo atto.
Come anche la luce fisica è necessaria per la vista degli oggetti, in quanto rende il mezzo trasparente in atto, in modo che possa essere mosso dal colore.
2. Un tale lume non è richiesto per vedere l'essenza di Dio come un'immagine nella quale si debba vedere Dio, ma quale perfezionamento dell'intelletto, per corroborarlo a tale visione.
Per cui si può dire che non è un mezzo nel quale è visto Dio, ma un mezzo in forza del quale egli è visto.
E ciò non toglie l'immediatezza della visione di Dio.
3. Una disposizione alla forma del fuoco non può essere naturale se non a ciò che ha effettivamente la forma del fuoco.
Quindi il lume di gloria non potrebbe essere naturale a una creatura se non nel caso in cui tale creatura fosse di natura divina, il che è assurdo.
Infatti solo per tale lume la creatura razionale diventa deiforme, come si è detto [ nel corpo ].
Indice |