Summa Teologica - I |
Infra, q. 62, a. 9; In 4 Sent., d. 49, q. 2, a. 4; C. G., III, c. 58
Pare che tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno non la veda più perfettamente di un altro.
1. Sta scritto [ 1 Gv 3,2 ]: « Lo vedremo così come egli è ».
Ma Dio ha un solo modo di essere: e così sarà visto da tutti alla stessa maniera.
Quindi non più o meno perfettamente.
2. S. Agostino [ Lib. LXXXIII quaest. 32 ] dice che uno non può intendere intellettualmente una cosa più di un altro.
Ma tutti coloro che vedono Dio per essenza intendono intellettualmente l'essenza divina, poiché si è dimostrato [ a. 3 ] che Dio è visto con l'intelligenza e non con il senso.
Quindi tra quanti vedono l'essenza divina uno non la vede più chiaramente dell'altro.
3. Che una cosa sia vista più perfettamente da uno che da un altro può accadere in due modi: o dalla parte dell'oggetto visibile, o dalla parte della capacità conoscitiva di chi vede.
Dalla parte dell'oggetto se esso è ricevuto più perfettamente in colui che vede, in quanto cioè vi imprime un'immagine più perfetta.
Ma questo non è il caso: poiché Dio è presente all'intelligenza che vede la sua essenza non con un'immagine, ma con la sua stessa essenza.
Resta dunque che se uno vede più perfettamente di un altro ciò sia dovuto a una differenza di capacità intellettiva.
E così la conseguenza sarebbe che chi possiede una potenza intellettiva naturalmente più elevata vedrebbe più chiaramente.
Ma ciò è falso, essendo promessa agli uomini, riguardo alla beatitudine, l'uguaglianza con gli angeli.
La vita eterna consiste nella visione di Dio, secondo l'espressione evangelica [ Gv 17,3 ]: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio ».
Se dunque tutti vedono ugualmente l'essenza di Dio, nella vita eterna tutti saranno uguali.
Ma l'Apostolo [ 1 Cor 15,41 ] asserisce il contrario quando scrive: « Ogni stella è differente dall'altra nello splendore ».
Tra coloro che vedranno Dio per essenza uno lo vedrà più perfettamente dell'altro.
Ciò però non sarà a motivo di un'immagine di Dio più perfetta in uno che nell'altro, dal momento che tale visione non si compirà mediante una qualche immagine, come si è detto [ q. 2 ].
Avverrà invece perché l'intelletto dell'uno avrà una capacità o potenza di vedere Dio maggiore dell'altro.
La facoltà di vedere Dio non appartiene però all'intelletto creato secondo la sua natura, ma per il lume di gloria il quale, come si è detto sopra [ a. prec. ], pone l'intelletto in uno stato di deiformità.
Per cui l'intelletto che partecipa maggiormente di questo lume di gloria vedrà più perfettamente Dio.
Parteciperà poi più largamente di questo lume di gloria colui che ha un grado superiore di carità, poiché dove si ha una maggiore carità lì si trova un maggiore desiderio, e il desiderio rende, in certo qual modo, colui che desidera più atto e più pronto a ricevere l'oggetto desiderato.
Quindi colui che avrà una maggiore carità vedrà più perfettamente Dio e sarà più beato.
1. Quando si dice: « Vedremo Dio così come egli è », l'avverbio come determina il modo della visione dalla parte dell'oggetto visto: per cui questo è il senso: « Vedremo che egli è così come è », in quanto ché vedremo il suo stesso essere, che è la sua essenza.
Non determina invece il modo della visione dalla parte del soggetto che vede, nel senso cioè che il nostro modo di vedere sarà così perfetto come in Dio è perfetto il modo di essere.
2. E con ciò resta sciolta anche la seconda obiezione.
Quando infatti diciamo che uno non intende una medesima cosa meglio di un altro, siamo nella verità se ci riferiamo al modo di essere della cosa intesa, poiché chiunque apprende una cosa diversamente da ciò che essa è non la conosce secondo verità.
Non lo siamo invece se ci riferiamo al modo dell'intendere, poiché l'intendere dell'uno è più perfetto dell'intendere dell'altro.
3. La diversità del vedere non dipenderà dall'oggetto, poiché a tutti sarà offerto il medesimo oggetto, cioè l'essenza di Dio; e neppure dalla diversa partecipazione dell'oggetto a motivo di differenti rappresentazioni, ma dalla diversa capacità, non già naturale, bensì gloriosa, dell'intelligenza, come si è detto [ nel corpo ].
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