Summa Teologica - I |
Infra, q. 65, a. 2; q. 103, a. 2; In 2 Sent., d. 1, q. 2, aa. 1, 2; C. G., III, cc. 17, 18; Comp. Theol., cc. 100, 101
Pare che Dio non sia la causa finale di tutte le cose.
1. Agire per un fine è proprio di un essere che necessita del fine.
Ma Dio non ha bisogno di nulla.
Quindi a lui non si addice operare per un fine.
2. Il fine di una produzione e la forma di ciò che viene prodotto non si identificano numericamente con la causa agente, come dice Aristotele [ Phys. 2,7 ]: poiché il fine della produzione è la forma della cosa prodotta.
Ma Dio è la prima causa efficiente di tutte le cose.
Quindi non può essere il fine delle medesime.
3. Tutte le cose appetiscono il fine.
Ma non tutte appetiscono Dio: poiché molte neppure lo conoscono.
Quindi Dio non è il fine di tutte le cose.
4. La causa finale è la prima delle cause.
Se dunque Dio è causa efficiente e insieme causa finale, ne segue che in lui vi è un prima e un poi.
Il che è assurdo.
Dice la Sacra Scrittura [ Pr 16,4 Vg ]: « Il Signore ha operato tutte le cose per se stesso ».
Ogni agente agisce per un fine: altrimenti dall'operazione non potrebbe risultare un effetto piuttosto che un altro, se non per caso.
Ora, l'operante e il soggetto paziente come tale hanno l'identico fine, ma sotto aspetti diversi: infatti ciò che l'agente mira a imprimere e ciò che il paziente intende ricevere sono una sola e identica cosa.
Ora, ci sono degli esseri che nell'imprimere attivamente la propria azione ne ricevono anche [ un perfezionamento ], e tali sono gli agenti imperfetti: è naturale quindi che essi nell'agire mirino ad acquistare qualcosa.
Ma al primo agente, che è pura attualità, non si può attribuire l'operazione fatta per giungere al possesso di un fine: egli invece mira soltanto a comunicare la propria perfezione, che è la sua stessa bontà.
E ogni creatura tende a raggiungere la propria perfezione, che è una somiglianza della perfezione e della bontà divina.
Così dunque la bontà divina è la causa finale di tutte le cose.
1. Agire per indigenza non si addice che a un agente imperfetto, il quale può agire e patire.
Ma ciò va escluso in Dio.
Per conseguenza egli soltanto è sommamente liberale: poiché non agisce per la propria utilità, ma solo per la sua bontà.
2. La [ nuova ] forma dell'essere prodotto può dirsi fine della produzione solo perché consiste in una imitazione della forma della causa agente, la quale appunto tende a comunicare la propria rassomiglianza. Altrimenti la forma dell'essere generato sarebbe più nobile del generante, essendo il fine più nobile di ciò che è per il fine.
3. Tutte le cose desiderano Dio come loro fine nell'atto in cui desiderano qualsiasi bene o con l'appetito intellettivo, o con quello sensitivo, o con quello naturale, che non è conoscitivo: poiché nulla riveste il carattere di bene e di desiderabile se non in quanto partecipa una somiglianza di Dio.
4. Essendo Dio causa efficiente, esemplare e finale di tutte le cose, e derivando da lui anche la materia prima, ne segue che il principio primo di tutte le cose è unico secondo la realtà.
Nulla però impedisce che in lui si possano riscontrare, per una distinzione di ragione, più causalità, alcune delle quali si presentano alla nostra intelligenza come anteriori ad altre.
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